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Tra abusivismo e una nuova valorizzazione dell’ambiente
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Tra abusivismo e una nuova valorizzazione dell’ambiente

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Il caso di “Villaggio Coppola”

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1. Cronaca di un disastro ambientale

Autentico emblema della speculazione edilizia all’italiana, il Villaggio Coppola di Pineta Mare è una vera e propria città abusiva: un milione e mezzo di metri cubi di cemento, messi in piedi su una superficie di circa 48 chilometri quadrati, fatta prevalentemente di spiaggia e pineta demaniale. Equivalgono ad un valore di circa 100 miliardi di vecchie lire, racimolato peraltro senza concessioni edilizie e autorizzazioni paesaggistiche. L’insediamento è nato all’inizio degli anni ’60 e comprende oggi migliaia di abitazioni, diversi alberghi, centri congressi una chiesa e una caserma dei carabinieri, un ufficio postale. A tutto questo si aggiunga un piccolo porto turistico, dotato di scogliere artificiali. Di fronte a questa situazione, per anni si sono susseguite denunce delle forze dell’ordine, dei cittadini, delle istituzioni e delle associazioni ambientaliste, tra cui il WWF che ha inoltrato la prima denuncia oltre trent’anni or sono, nel 1974. Mai si è giunti, tuttavia, ad una condanna della società costruttrice di proprietà di Vincenzo Coppola, nonostante ci troviamo di fronte, palesemente, ad uno dei casi più eclatanti di abusivismo che si possono registrare sui litorali italiani, frutto di un insieme di connivenze, accordi sotterranei e impunità concordate con politici e magistrati. Proviamo a ripercorrere, sia pure nelle linee generali, le tappe di una vicenda giudiziaria singolare, che ha pochi precedenti perlomeno nel campo dell’abuso edilizio: un primo procedimento penale fu avviato dalla Pretura di Capua nel 1975, ma si concluse con l’inattesa, scandalosa assoluzione degli imputati. La stampa dell’epoca insinuò che il presidente del tribunale fosse proprietario di appartamenti nel complesso edilizio. Trascorsero due decenni di denunce vane, inoltrate da associazioni ed enti locali, finché nel ’97 la costanza di alcuni magistrati della procura di S. Maria Capua Vetere, tra cui Donato Ceglie, aprirono un nuovo fascicolo, inaugurando un processo in cui il WWF si sarebbe costituito parte civile. Il procedimento tuttavia finì prima ancora d’iniziare, a causa della morte dell’unico imputato. All’insediamento nel 1998 del prefetto Ciclosi, Commissario straordinario di Governo per le aree demaniali, i giudizi pendenti sono addirittura 165, ma finalmente si dà vita ad una svolta nella gestione di tali vicende: vengono nominati due comitati operativi, uno centrale l’altro periferico, per unificare le attività in corso e coordinare gli interventi futuri. Il primo risultato è l’avvio, nel febbraio del 1999, della demolizione dell’orrendo viadotto sopraelevato, lungo circa un chilometro e mai portato a termine: paga le spese la famiglia Coppola, quale acconto per la riparazione del danno causato alla collettività. Nel febbraio 2000, invece, è ripreso l’iter giudiziario, con due procedimenti penali: uno di essi vede sul banco degli imputati Cristofaro e Francesco Coppola, insieme alla vedova di Vincenzo, con le accuse di violazione del Codice della Navigazione, deviazione delle acque, deturpazione del patrimonio naturale, occupazione del suolo demaniale con la realizzazione di venti scogliere artificiali a protezione delle costruzioni. Poiché la giunta di Castelvolturno è stata sciolta per infiltrazioni mafiose e la Provincia di Caserta non è presente quale parte lesa al processo, il WWF si fa di nuovo carico del procedimento presentandosi come parte civile.

2. Il contesto: l’area dell’illegalità

La vicenda, ad ogni modo, non sembra destinata a concludersi in tempi brevi. Se pure venissero demolite tutte le costruzioni abusive del complesso, insieme alle infrastrutture realizzate, ci vorrebbero almeno 80 anni per ricostituire gli ecosistemi originari, il sistema delle dune e la vegetazione abbattuta. A sud della foce del Volturno, l’urbanizzazione incontrollata ha modificato radicalmente la linea di costa distruggendo la duna litoranea. Il danno è stato aggravato dalla realizzazione, nel 1974, di un approdo turistico con tanto di canale artificiale per lo sbocco al mare, ricavato da un alveo dei Regi Lagni, il complesso di canali realizzato dai Borboni sul litorale casertano. Tutti questi elementi d’illegalità e sfruttamento, vanno letti nel contesto di un territorio ad elevato tasso di presenza camorristica, dove le relazioni tra criminalità organizzata e politica sono stati più volte riconosciuti e sanzionati. Per avere soltanto un’idea del brodo di coltura in cui è cresciuto, come un fungo velenoso, il Villaggio Coppola, basterà dire che nel solo Comune di Castelvolturno sono state censite più di 12.000 case abusive, prive quasi sempre dei servizi essenziali.

3. Per un recupero delle condizioni di vivibilità Nonostante l’incresciosa situazione di degrado, innescata da una combinazione micidiale di illegalità diffusa e speculazioni economiche, la fascia litoranea di Castelvolturno, che unisce il lago Patria alla foce del fiume Volturno, corrisponde ad un vasto e complesso ecosistema naturale che presenta ancora caratteristiche biologiche rilevantissime e deve essere ripristinato attraverso una decisa azione di tutela e nuova valorizzazione. La gran parte delle risorse naturali che ancora sono presenti sul territorio sono, in pratica, residuali e destinate alla sparizione repentina: proprio per questo sono d’importanza vitale, dato che costituiscono gli ultimi esempi di un assetto naturale straordinario. Per contrastare l’azione di degrado, il WWF ha avanzato alcune proposte, in parte già assunte dal Commissariato del Governo: tra queste, sono fondamentali le azioni che riguardano il ripristino delle condizioni di legalità e vivibilità, come l’abbattimento totale delle “torri” a spese delle società costruttrici; l’acquisizione da parte della Guardia Forestale dell’intera area della pineta, minacciata e caratterizzata da un profondo degrado; la cessione di circa 60 ettari di terreno di proprietà della famiglia Coppola al fine di realizzare la riforestazione; l’abbattimento dei rustici e delle costruzioni incomplete; la riqualificazione e il ridimensionamento del porto turistico; la bonifica e la costruzione di rete fognaria efficace, con l’eliminazione totale dei pennelli a mare; il controllo e la sistemazione del tratto costiero, di circa 12 chilometri, in cui sono presenti oltre 200 stabilimenti o attività, di cui alla data in cui scriviamo soltanto 38 sono assegnatarie di regolare licenza, e la definitiva formalizzazione e la tutela della riserva Regionale “Foce Volturno e costa di Ischitella-Licola”. È evidente, almeno per noi, che sulla questione del risanamento ambientale e sociale della zona litoranea di Castelvolturno, come in altri casi analoghi, non si gioca soltanto il destino di alcuni chilometri quadrati di territorio, ma quello - certamente più importante - del modello di sviluppo che condizionerà il futuro del Meridione. Per troppo tempo la combinazione degli interessi criminali e una falsa promessa di progresso sociale ha fatto strame delle condizioni di vivibilità minimali di migliaia e migliaia di cittadini, che hanno subito il saccheggio, la devastazione, lo stravolgimento dell’ambiente in cui vivevano. È ora di invertire la tendenza.

Note

* Consigliere regionale WWF - Campania