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SOCIETA’ E PROCESSI IMMATERIALI

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Paolo Graziano
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The show must go on?

Paolo Graziano

A partire da Juan Goytisolo

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Volevano intervistarlo, piazzargli un microfono davanti alla bocca, tempestarlo di domande, confutare le sue risposte difensive, obbligarlo a confessare il suo fallimento. J. Goytisolo

1. Una carretta del mare stracarica di albanesi cenciosi, facce bruciate dal sole e occhi scavati dalla spossatezza, si avvicina alla costa pugliese brulicante di famiglie da copertina, bambini nutriti da omogeneizzati di marca, pechinesi urlanti contro lo straniero invasore che appare all’orizzonte. I primi: depressi, ansiosi, adoranti. Gli altri: superbi, infastiditi, altezzosi. Provate ad immaginare la scena di queste due umanità contrapposte - e la distanza che descrive - per avere la misura di Karl Marx show, il romanzo di Juan Goytisolo recentemente tradotto nella collana “Cargo” per i tipi de “l’ancora del Mediterraneo”. Lo spettacolo di cui parla il titolo è il grande mediatore che rende plausibile un mondo in cui “danno da mangiare ai gatti con cucchiaini d’argento”1, frapponendo uno schermo tra la realtà e la sua fruizione: come scrive Debord nella prima delle sue tesi, “tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”2. A fruirne c’è, però, uno spettatore d’eccezione, catturato dal nevrotico zapping della figlia minore: un Carlo Marx redivivo, crudelmente catapultato da Goytisolo al tempo della resa dei conti, dopo il diluvio. Le immagini che si alternano in rapida successione sullo schermo, insieme a quelle di una pellicola di Fellini, sono altrettanti schiaffi in faccia, le prove umane, sudate, ansanti dello scacco del socialismo reale. Di questo si accusa Marx - Old Nick, il Moro o il Diavolo - lungo l’arco della rapsodica narrazione: di aver freddamente analizzato ma impudentemente previsto, consegnando molte generazioni alla crudele damnatio riservata a chi ha creduto nelle utopie irrealizzate. Nel chiacchiericcio mediatico di grotteschi talk-show e patetiche fiction televisive sugli esiliati di Treviri, le accuse che colpiscono il padre del socialismo scientifico si riconducono invariabilmente a questa stanca dicotomia: un Bakunin livoroso lo rimprovera di aver dimostrato la funzione conservativa e repressiva dello Stato, ipotizzando tuttavia la sua conservazione nella società comunista (“nessun organismo centrale, come quello creato in nome della dottrina marxista, poteva rimpiazzare la somma delle decisioni individuali che contraddistinguono una società”3); un’arcigna femminista gli rinfaccia di aver mantenuto il duplice sfruttamento sessista, privilegiando “la lotta di classe a spese di quella delle relazioni di potere tra uomo e donna”4. Eppure questi eretici pretenziosi finiscono per somigliare piuttosto a pedanti chiosatori: incapaci di trarre il nuovo dal vecchio, superare la frontiera del pensiero; destinati a girare e rigirare intorno all’oggetto della loro critica fino a renderlo un arnese inservibile, un giocattolo per teorici e anchormen. Nell’iperbolico salotto televisivo in cui Goytisolo li mette a sedere, praticano l’anestesia di un pensiero corrosivo e trasformatore con la consolante alienazione dello spettacolo, “il cattivo sogno della società moderna incatenata, che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire”5. I loro distinguo, come quegli altri confezionati dai revisionismi attuali, stanno a guardia di questo sonno.

2. Sottoposto post mortem al giogo della civiltà dello spettacolo, il filosofo materialista che ha rovesciato la gerarchia hegeliana affermando il primato della realtà su qualsiasi forma ideale, il fondatore della moderna teoria del valore fa i conti con l’immaterialità delle rappresentazioni e con il loro potere di conferire consistenza a qualsiasi elemento immesso nell’universo della fiction, separando le cose dal valore e allontanando gli individui dal possesso e dalla comprensione di esse. E questa alchimia non è il risultato della fine del vecchio mondo fondato su ben concreti rapporti di produzione e sfruttamento, ma la nuova veste colorata che esso assume per sopravvivere e perpetuarsi: “lo spettacolo - scrive Debord - è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”6. Grazie alle sue arti, sembra dire Goytisolo nell’epilogo del libro, si può spacciare facilmente ad un gruppo di naufraghi albanesi, come un pericoloso equivoco, il sogno vuoto di un Occidente prospero e accogliente, fabbricato dall’immagine di sé che proietta sugli schermi in bianco e nero delle periferie del mondo.

3. Dopo la fine dei cattivi prodotti delle idee, surrettiziamente estesa alla fine delle idee tout court, questo resta: che è impossibile collocare Marx fuori tempo massimo. Come è impossibile collocarlo in un tempo, d’altronde: la vicenda di cui dovrebbe essere il protagonista, nelle mani di Goytisolo, finisce per disperdersi nei mille rivoli tracciati da anacronismi, sovrapposizioni, incontri impossibili che si oppongono a qualsiasi sistemazione del suo pensiero nell’asettico archivio della storia delle idee. Non si può scrivere il romanzo di Marx, perché non è ancora concluso: lo sanno finanche i sudditi di Sua Maestà governati dall’insospettabile Blair, che designano l’esule di Treviri come il più grande filosofo di tutti i tempi7; lo sentono nella carne i contadini, gli operai, gli emarginati che vivono nei ghetti stabiliti dal modello capitalista e dalla pratica imperialista. Lì, dove le luci della scena non bastano a sfumare la realtà, Marx è vivo e pungente e provocatorio, come nelle pagine di Goytisolo. E fa pensare che uno spettro s’aggirerà ancora a lungo per le contrade del mondo. Il suo.

Note

* Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO.

1 J. Goytisolo, Karl Marx show, l’ancora, Napoli 2005, p. 17.

2 G. Debord, La società dello spettacolo [1967], Baldini&Castoldi, Milano 2002, p. 53.

3 J. Goytisolo, op. cit., p. 63.

4 Ivi, p. 101.

5 G. Debord, op. cit., p. 59.

6 Ivi, p. 64.

7 Il sondaggio è stato condotto dal programma In Our Time del canale radiofonico inglese della Bbc 4. Cfr. M. Musto, Filosofi, Marx il più amato in Europa, in “Liberazione”, 1 luglio 2005.