Storia dei movimenti sindacali nel Paese Basco spagnolo (terza parte) Il movimento operaio basco contro l’Autoriforma del Regime (1975-1986)
Marco Santopadre
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1. Un franchismo senza Franco
La morte di Franco, nel suo letto, non produce alcuna
discontinuità nelle istituzioni del regime. La cosiddetta transizione
spagnola alla democrazia si compie attraverso un graduale processo di
sostituzione della legalità franchista utilizzando i suoi stessi apparati e
personaggi, e si svolge attraverso un negoziato blindato, con la partecipazione
del Re Juan Carlos di Borbone, tra i settori aperturisti del regime, le
forze armate e le principali organizzazioni politiche dell’opposizione. La
transizione si converte in un processo funzionale alle esigenze di
modernizzazione del capitalismo spagnolo. D’ora in poi sarà la democrazia
parlamentare il contesto nel quale opererà l’accumulazione capitalistica, con
una funzione fondamentale svolta dalla monarchia quale garanzia di continuità
tra vecchio e nuovo regime. Le nuove istituzioni vengono proposte come
intoccabili, non contestabili, e chiunque non le riconosca viene messo ai
margini e fatto oggetto di repressione.
Ma la situazione in Euskal Herria rende impossibile la
realizzazione della transizione, in quanto le capacità di manovra dei grandi
partiti spagnoli è limitata; un PNV che si richiama al governo autonomo ai
tempi della repubblica non può essere subito cooptato nella gestione del
potere. Inoltre, per partire davvero, la transizione deve attendere che passi un
anno dalla morte del Caudillo, con la Ley de Reforma politica approvata
dalle Cortes franchiste il 18 novembre 1976 e poi attraverso un referendum
popolare. Ma nel Paese Basco spagnolo anche le forze politiche antifranchiste
non radicali prendono inizialmente le distanze dalla reforma pactada, che
subisce in Euskal Herria una sconfitta, ottenendo il Si del 91,1% dei votanti
che però sono solo il 53,2% degli aventi diritto.
Intanto si rafforza la mobilitazione del movimento per la
liberazione dei prigionieri politici e per il ritorno a casa dei 500 esuli
attorno alla Gestora pro Amnistia che riunisce decine di comitati locali
di massa. L’esplosione di enormi movimenti sociali per l’amnistia e il
diritto all’autodeterminazione, contro il nucleare e la repressione costringe
tutto il baschismo politico a collaborare con la sinistra. La società basca
esprime una radicalità che molti partiti non vogliono raccogliere. Il giudizio
di alcuni storici secondo cui negli ultimi anni il regime è stato morbido e
tollerante nei confronti delle lotte sociali va sfatato. Lo Stato impone ai
baschi lo stato d’assedio tra l’aprile e il luglio del ’75 colpendo
chiunque sia sospettato di collaborare col movimento indipendentista. Alla fine
dello stesso anno vi sono nelle carceri 749 prigionieri politici baschi contro i
245 della fine del ’74. La conflittualità operaia generata da cause
strettamente politiche cresce costantemente. Uno sciopero generale è convocato
nel giugno 1975 contro lo stato d’assedio, e poi il 28 agosto, il 3 settembre
e il 12 settembre contro le condanne a morte di Otaegi e Txiki, militanti
dell’ETA, e Baena, Bravo e Sanz, del gruppo antifranchista FRAP, tutti poi
fucilati il 27 settembre. Dal 1976 al 1979 partecipano alle mobilitazioni tra un
terzo e due terzi dei lavoratori salariati; ogni organizzazione deve adattare i
propri obiettivi e la propria struttura a un contesto di esplosione del
conflitto operaio e di vertenze nel quale il sindacato verticale non ha più
alcun ruolo.
Non riconoscendo il carattere democratico minimo del nuovo
regime, si costituisce il Coordinamento Socialista Patriottico (KAS) che
riunisce varie organizzazioni di massa attorno ad un piattaforma comune (Alternativa
KAS) che chiede, come precondizione per la cessazione della lotta armata: il
ristabilimento di tutte le libertà democratiche senza restrizioni, l’amnistia
totale, la dissoluzione dei corpi repressivi, l’adozione di misure volte al
miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, il riconoscimento della
sovranità nazionale per il popolo basco compreso il diritto a costituirsi come
Stato indipendente. Nel KAS entrano ETAm, ETApm, i partiti LAIA, EAS e HAS e poi
LAB. Nel 1977 nasce HASI, Herriko Alderdi Sozialista Iraultzailea (Partito
Socialista Rivoluzionario del Popolo) che, assieme ad altre formazioni
politiche, nel 1978 dà vita alla coalizione elettorale Herri Batasuna (Unità
Popolare).
Gli apparati repressivi dello Stato, nelle mani della classe
dirigente franchista, rispondono duramente alle mobilitazioni. Il 3 marzo 1976
durante uno sciopero operaio a Gasteiz la polizia spara su un’assemblea,
uccidendo 5 lavoratori e ferendone decine. Il 9 marzo, durante lo sciopero
generale indetto nel Paese Basco proprio contro la strage del 3, la polizia
uccide un altro lavoratore. La polizia provoca altri feriti il 13 settembre
durante un nuovo sciopero generale, e poi torna ad uccidere lavoratori in lotta
nel maggio ’77. Intanto si sviluppa un’enorme battaglia popolare contro la
costruzione sulla costa basca della centrale nucleare di Lemoiz, con
manifestazioni di massa, boicottaggi e attentati fino alla chiusura definitiva
della centrale nel 1982.
In un documento intitolato Principi fondamentali, LAB
afferma la propria condizione di organizzazione di massa di un popolo (Euskadi)
nazionalmente oppresso. “In quanto operai interessati a dare una risposta
completa e globale ai nostri problemi, lotteremo affinché il popolo basco possa
autogovernarsi eliminando lo sfruttamento di classe e l’oppressione nazionale
dei quali siamo oggetto, per esercitare liberamente il nostro diritto alla
riunificazione nazionale e all’indipendenza. LAB lotta per l’eliminazione
dello sfruttamento da parte del Capitale realizzando simultaneamente la
liberazione nazionale. Consideriamo che per ottenerla un fattore fondamentale è
l’unità della classe lavoratrice basca, senza la quale sarebbe inefficace la
lotta contro le classi borghesi e lo Stato che le protegge”.
Nel giugno ’75 diffondono il loro primo comunicato
congiunto la Giunta Democratica e la Piattaforma di Convergenza Democratica,
organismi formati rispettivamente intorno al PCE e al PSOE. Dal ’76
praticamente tutti i sindacati cominciano a invocare l’unità sindacale, in un
momento in cui si assiste alla crescita dell’assemblearismo operaio. Nel 1976
si unificano i due rami delle CCOO nel Paese Basco, controllate rispettivamente
dal PCE e dal Movimento Comunista di Euskadi, e si crea il Coordinamento delle
Organizzazioni Sindacali tra UGT, CCOO e USO (Unione Sindacale Operaia).
Ma non si va affatto verso la costituzione di un sindacato unico delle correnti
di ambito statale, anzi. La direzione delle CCOO decide di convertire il proprio
movimento in un’organizzazione basata sull’affiliazione, scatenando la
concorrenza per l’occupazione dello spazio lasciato libero dalla sparizione
del sindacato franchista. Si apre la corsa alla costituzione, da parte di ogni
area politica, del proprio sindacato. Così come l’UGT anche ELA celebra il
proprio congresso di rifondazione nel dicembre ’76. Ogni sindacato si propone
come il luogo nel quale attuare l’unità della classe lavoratrice. Ma già lo
stesso anno due partiti alla sinistra del PCE, cioè ORT e PTE, rompono con la
burocratizzazione delle CCOO creando rispettivamente il Sindacato Unitario e la
Confederazione dei Sindacati Unitari. La conflittualità operaia continua a
crescere. Solo in Bizkaia, durante il ’76 e l’inizio del ’77, si hanno 361
scioperi, portati avanti per lo più da organismi assembleari come ad esempio il
Coordinamento delle Fabbriche della Bizkaia. In Araba si crea un organismo
simile dopo la strage del 3 marzo. Anche il coordinamento degli Altiforni della
Bizkaia sorge come risposta all’assassinio di un operaio per mano della
polizia durante una manifestazione. Si crea il Consiglio dei Lavoratori della
Navarra che per un certo periodo guida la lotta per il contratto di decine di
migliaia di operai scavalcando le diverse direzioni sindacali. Ma man mano che
le direzioni sindacali assumono il controllo dei diversi settori, gli organi
unitari e assembleari vengono depotenziati.
LAB celebra un’Assemblea Nazionale in due tappe tra la fine
del ’76 e l’inizio del ’77. Durante la prima, i progetti politici di
Carlos Arias, primo presidente del governo spagnolo designato da Re alla guida
dello Stato dopo la morte di Franco, sono andati incontro a un fallimento totale
a causa dell’opposizione del cosiddetto bunker (i settori più
reazionari del regime) e delle critiche dell’opposizione. Il secondo governo
postfranchista, presieduto da Adolfo Suarez, non ha ancora indetto elezioni
generali.
LAB decide di non circoscrivere la sua attività ad obiettivi
esclusivamente sindacali, ma di volersi costruire come sindacato sociopolitico
impegnandosi anche in altri conflitti di natura sociale, nell’ottica di una rivendicazione
integrale. Al proprio interno si struttura valorizzando la pratica
assemblearia. Ai tempi della seconda parte dell’Assemblea Nazionale l’approvazione
della Legge per la Riforma Politica evidenzia la sconfitta del bunker e l’avvio
della transizione verso la monarchia costituzionale. Di fronte all’atteggiamento
conciliante dei sindacati spagnoli, LAB si propone di rappresentare un polo
alternativo basco, di classe, di massa, indipendente (dal Governo, dai
Padroni e dai Partiti), unitaria, democratica, strutturata ai livelli di
fabbrica/zona/provincia/nazione e che s’impegna per lo sviluppo della
solidarietà internazionalista. Il problema di stabilizzare la sua struttura
confligge in parte con la scelta di privilegiare un funzionamento interno ed
esterno basato sulle assemblee. D’altronde la proposta di configurare un polo
sindacale alternativo a UGT e CCOO non ottiene risposte al di fuori della
sinistra patriottica, quindi con gli anni LAB prende atto del panorama ormai
cristallizzato sulla divisione partitica e nazionale. Il rischio è quello di
perdere terreno di fronte alla concorrenza esercitata dalle altre sigle, cosa
che in effetti avviene. Ormai è chiara l’impossibilità di sostenere una
struttura sindacale basata su un’organizzazione stabile di delegati svincolati
dalle direzioni dei diversi sindacati, dato l’incipiente riflusso. LAB si
registra come sindacato il 24 maggio 1977. É l’ammissione che nel Paese Basco
non vi sono più le condizioni per un assalto al cielo e che le
rivendicazioni operaie e nazionali dovranno svilupparsi all’interno di un
regime di democrazia formale.
Nel ’77 le grandi centrali sindacali cominciano a
scoraggiare, all’interno delle lotte, quella miscela di rivendicazioni
politiche, sociali e nazionali che ha caratterizzato gli anni precedenti. UGT e
CCOO, assumendo la strategia dei partiti di riferimento, scambiano per
democrazia la propria legalizzazione prima e la gestione della concertazione
poi. Inoltre i grandi partiti riformisti spagnoli accettano una legge elettorale
che penalizza fortemente le forze minori o concentrate territorialmente
accordandogli una scarsa rappresentanza parlamentare. Le elezioni generali
spagnole vedono il trionfo del partito del premier Suarez, l’Unione del Centro
Democratico, e del Partito Socialista.
2. L’era della concertazione
Nell’ottobre ’77 viene firmato a Madrid il Patto della
Moncloa, un accordo politico sociale varato da UCD, PSOE e PCE con gli
apparati di potere politico ed economico, ancora quelli franchisti. La crisi
iniziata nel 1973 con l’aumento dei prezzi del petrolio si riverbera
lentamente in Spagna e nel Paese Basco, chiudendo un ciclo economico positivo
durato due decenni durante i quali Euskal Herria è stata industrializzata a
tappe forzate. Il tutto accompagnato da una moderata ma crescente rivalutazione
dei salari. Tra il ’75 e il ’76 si ha un aumento dell’inflazione e della
disoccupazione. La crisi economica coincide con la crisi politica della
dittatura ed esercita sulle classi dirigenti franchiste una pressione tanto
forte da convincerle ad intraprendere la Riforma. L’eccessivo protezionismo
esercitato dal Franchismo e la scarsa innovazione tecnologica hanno reso la
Spagna assai vulnerabile alla crisi economica internazionale. È nell’ottobre
’77 che, proprio mentre l’inflazione raggiunge il 25%, si firmano i Patti
della Moncloa con lo scopo di contenere le rivendicazioni salariali al di sotto
degli indici programmati dal Governo. Il patto è sottoscritto da UGT e CCOO,
sulla base della giustificazione che per difendere i diritti dei lavoratori
occorre difendere innanzitutto i profitti delle imprese. Il Partito Comunista e
quello Socialista non solo hanno accettato un quadro costituzionale monarchico
basato sulla tutela dell’esercito e sull’amovibilità della classe dirigente
franchista, ma si impegnano ora a garantire la pace sociale e la smobilitazione
operaia in cambio della loro cooptazione. La transizione dal franchismo alla democrazia
si è conclusa.
Nel 1978 si torna a votare per le elezioni sindacali regolate
questa volta da una nuova legge varata il 1° Aprile senza una vera rottura con
le regole di funzionamento del sindacato verticale. Essa prevede una divisione
nel voto tra operai da una parte e tecnici e amministrativi dall’altra; l’impossibilità
da parte dell’assemblea operaia di poter revocare i delegati eletti; il voto
su liste bloccate impedendo ai lavoratori di poter premiare coloro che si
sarebbero contraddistinti per il loro impegno. LAB si oppone a questa legge ma i
suoi risultati sono scarsi, ottiene solo una manciata di delegati.
3. Una democrazia senza democrazia
La Costituzione Spagnola recita all’art. 2: “La
Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione Spagnola, patria
comune e indivisibile di tutti gli spagnoli...”. Il Referendum per la sua
approvazione si tiene il 6 dicembre 1978. LAB, insieme a tutta la sinistra
basca, si schiera per il No. L’opposizione del PNV manifesta ancora una volta
le enormi differenze tra il contesto politico spagnolo, normalizzato grazie agli
sforzi di PSOE e PCE, e quello basco, contraddistinto da un rifiuto
generalizzato del nuovo regime. Mentre nell’insieme dello Stato i Si
raggiungono il 59%, nel Paese Basco sud solo il 34,9% (68,8% di Si sul 45,6% di
votanti). Il popolo basco non approva la Costituzione Spagnola.
Intanto tutti i Partiti politici operanti nel Paese Basco,
tranne Herri Batasuna, scrivono lo Statuto di Autonomia che viene consegnato al
Governo centrale alla fine del 1978. Dopo un tira e molla con i maggiori partiti
spagnoli che riescono a limitare ancora di più l’autonomia concessa alle
province basche, lo Statuto viene sottoposto a referendum popolare il 25 ottobre
1979 e viene approvato con un risicato 53,1% dei voti (90,3% di Si su un totale
di affluenza del 60%) contro un 84% ottenuto dallo statuto votato nel 1933,
durante la Repubblica. La separazione forzata della Navarra del resto di Euskadi
viene sancita nel 1982, varando uno statuto di autonomia per Pamplona mai
sottoposto a referendum.
Nel 1978 nonostante il boicottaggio di CCOO e UGT continua la
costituzione di assemblee unitarie di delegati operai e poi anche di
disoccupati, alcune delle quali si trasformano in organizzazioni sindacali vere
e proprie come nel caso di STEE-EILAS tra i lavoratori dell’istruzione o di
EHNE nel settore dell’agricoltura e dell’allevamento. Cresce l’opposizione
sia alle pastoie imposte dal Patto della Moncloa, sia la lotta per la
definizione di un Ambito Basco di relazioni del lavoro, obiettivi che
differenziarono ancora di più i sindacati baschi da quelli di osservanza
spagnola.
Nel Primo Congresso di LAB tenuto nel Marzo del ’78 a Leioa
si accende il dibattito sulla permanenza del sindacato dentro KAS. La polemica
riguarda l’accettazione o meno del contesto istituzionale generato dall’autoriforma
del franchismo; mentre il vasto movimento sociale spinge per uno scontro
frontale col nuovo regime, alla fine il congresso è vinto dai favorevoli al
compromesso con le nuove istituzioni, per lo più esponenti del partito EIA
espressione politica di ETApm. Nel 1979 le due linee generano ormai un’accesa
polemica interna finché il settore vicino a EIA non decide di puntare al
rafforzamento di ELA nell’ottica di creare un unico sindacato basco.
ELA celebra il suo IV congresso nel giugno ’79. Nelle
relazioni si parla del disincanto per descrivere il riflusso e il
distanziamento di grandi masse di lavoratori dalle nuove istituzioni già a
pochi mesi dalla loro creazione a causa della limitazione imposta alla
democrazia e alla mancanza di una rottura col franchismo. Nel suo congresso ELA
chiede la chiusura della centrale atomica di Lemoiz, si pronuncia per la
creazione di un ambito basco di relazioni del lavoro. Ma, a differenza di LAB,
accetta il contesto istituzionale generato dall’imposizione dello Statuto di
Gernika.
Nel 1979 si sviluppa la lotta contro il nuovo Statuto dei
Lavoratori, che lascia senza tutela la pubblica amministrazione e il personale
civile del settore militare, che garantisce ai padroni un’estrema facilità di
licenziamento, che impedisce la partecipazione alla negoziazione di ambito
statale dei sindacati espressione delle minoranze nazionali. Il movimento contro
il nuovo Statuto, guidato da LAB, culmina con un’assemblea a Gasteiz nella
quale 1500 delegati operai proclamano lo sciopero generale per il 27 novembre,
il quale ha un tale successo da obbligare ELA e CCOO a sommarsi ad un nuovo
sciopero convocato il 7 dicembre.
Ma l’ascesa dell’influenza di LAB convince le CCOO a
congelare la propria collaborazione con il sindacato patriottico e a fare pulizia
al proprio interno, esautorando o espellendo quelle federazioni o sezioni che si
sono dimostrate più combattive in quanto influenzate da forze politiche a
sinistra del PCE. La sconfitta della cosiddetta Sinistra sindacale
all’interno delle CCOO è ormai evidente, così come la debolezza delle SO e
della CSUT che tre anni più tardi scompaiono dalla scena. Ma in Navarra la
sinistra sindacale costituisce un Coordinamento che, nel 1985, dà vita al
sindacato indipendente ESK-CUIS, unendosi con analoghe esperienze provenienti
dalle CCOO in Araba, Gipuzkoa e Bizkaia. La nuova organizzazione si radica in
alcuni settori del mondo del lavoro, unendo il rifiuto della concertazione ad
una opposizione contro la repressione delle rivendicazioni sociali e nazionali.
Ma dentro LAB, che pure approfitta delle difficoltà delle
CCOO per poter ampliare la sua base di consenso, aumenta il dissenso rispetto
alla direzione favorevole a democratizzare lo statuto di Gernika anche
attraverso la collaborazione con i sindacati maggioritari. Nel 1980 la
spaccatura tra le due tendenze conduce alla divisione di LAB in due correnti
ognuna delle quali rivendicava la continuità con i principi fondativi. Si
arriva a celebrare due distinti congressi: a Leioa quello della corrente fedele
all’alternativa KAS, a Donostia quello della corrente favorevole a un ingresso
a livello individuale dei propri attivisti in ELA. Nell’ottobre del 1980 un
nuovo congresso straordinario della corrente di sinistra, maggioritaria,
ribadisce il giudizio negativo sulle nuove istituzioni basche e spagnole e
rilancia il proprio carattere di organizzazione di quadri, privilegiando più la
qualità del proprio lavoro e dei propri affiliati che la quantità. LAB,
insieme a Herri Batasuna, comincia a catalizzare crescenti settori della
popolazione basca disillusa dalla transizione ma disponibile al conflitto. Come
quei lavoratori dell’Azienda Nervacero che, per sfuggire alle cariche della
polizia, irrompono all’interno della sala del consiglio provinciale della
Bizkaia interrompendone i lavori, seguiti dai poliziotti che continuano i
pestaggi fin sui banchi dei consiglieri.
EIA, Euskal Iraultzarako Alderdia (Partito per la
Rivoluzione Basca) decide di promuovere una coalizione elettorale denominata
Euskadiko Ezkerra, i cui dirigenti accettano gradualmente il modello autonomico
e la fine della lotta armata (ETA pm si scioglie nel 1982). Gradualmente EE
modera i suoi contenuti e le sue rivendicazioni sia nazionali che sociali fino a
federarsi al Partito Socialista. Il 9 marzo 1980, nelle prime elezioni per
eleggere il parlamento autonomo di Gasteiz, le forze nazionaliste ottengono 40
seggi sui 60 totali, ma gli 11 eletti di Herri Batasuna annunciano che non
parteciperanno alle istituzioni autonome ritenendole illegittime.
Nel frattempo i militari e i settori più reazionari della
vecchia classe dirigente ricordano al nuovo regime, attraverso un costante tintinnio
di sciabole, i confini stabiliti dal patto che ha permesso la transizione:
un tentativo di golpe militare viene sventato nel 1978 e, blandamente represso,
si ripete il 23 febbraio 1981, addirittura con alcuni degli stessi protagonisti,
come il tenente colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero. Il Golpe rientra
grazie ad un accordo tra i suoi promotori ed il governo dell’UCD, che porta al
varo della LOAPA, o Legge organica di armonizzazione del processo autonomico.
Esaurita la sua funzione, il partito conservatore che aveva guidato la
cosiddetta transizione, lascia il campo libero al Partito Socialista Operaio
Spagnolo di Felipe Gonzalez che nel 1982 accede al potere.
Per contro, in larghi strati della popolazione basca monta la
disillusione per una transizione che non ha significato né la liberazione dal
regime di occupazione militare né l’affermazione delle proprie aspirazioni
sociali e nazionali. La Spagna continua ad essere un paese occupante e
repressivo. Dal 1975 al 1981 operano gli squadroni della morte spagnoli formati
da elementi dei vari servizi di sicurezza, da estremisti di destra anche
stranieri (italiani, greci, latinoamericani), da dirigenti della nuova classe
politica. La Triple A e il Batallon Vasco Español uccideranno circa 30
militanti della sinistra indipendentista, per lo più in territorio basco
francese, prima di essere sostituiti dai GAL (Gruppi Antiterrorismo di
Liberazione) che attraverso attentati, assassinii e rapimenti continuano a
praticare il Terrorismo di Stato, uccidendo dirigenti e addirittura deputati di
Herri Batasuna.
4. Crisi economica e resistenza operaia
Durante gli anni ’80 nel Paese Basco si rafforzano due modi
di intendere l’attività sindacale: un sindacalismo di gestione e un
sindacalismo conflittuale. L’unità d’azione tra UGT, CCOO ed ELA si basa su
una filosofia di accettazione o di puri ritocchi alle offensive del Governo e
del Padronato, mentre LAB e la sinistra sindacale rappresentano un baluardo di
resistenza contro una riconversione industriale che distrugge completamente il
tessuto economico basco e che impone ai lavoratori e alle masse popolari enormi
sacrifici.
Già nel ’77 cominciano a chiudere numerose imprese
generando un aumento sostanziale della disoccupazione. UGT e CCOO accettano la
concertazione col Governo e il Padronato, sulla base della convinzione che le
masse lavoratrici devono contribuire alla risoluzione della crisi economica a
costo di crescenti rinunce. Al tessuto produttivo basco, caratterizzato da un’estrema
specializzazione, si impone una ristrutturazione produttiva selvaggia,
caratterizzata da una volontà di punizione nei confronti della società basca
per il suo non conformismo da parte delle istituzioni economiche e politiche
spagnole obbedienti ai diktat provenienti già allora dalla CEE. Il caso più
evidente del carattere punitivo dello smantellamento industriale in Euskal
Herria è forse quello dei cantieri navali Euskalduna, chiusi nonostante
generino ingenti profitti e abbiano un alto livello di innovazione tecnica. Tra
il 1977 ed il 1986 si produce un’ininterrotta diminuzione dei posti di lavoro
disponibili, fondamentalmente nel settore primario e in quello industriale. A
ciò si somma, dal ’79 in poi, una drastica riduzione dei salari reali
accompagnata da un aumento netto della produttività.
La ristrutturazione delle grandi acciaierie comincia con un
accordo iniziale firmato dalle imprese e da UGT e CCOO, osteggiato da LAB, da
ELA e dalla sinistra sindacale perché prevede migliaia di tagli al personale, l’intensificazione
dei ritmi di lavoro, la perdita del valore dei salari. Contro la
ristrutturazione si sviluppano ondate di scioperi, di manifestazioni e di
occupazioni da parte degli operai.
L’arrivo al governo del PSOE nel 1982 rafforza la politica
di riconversione industriale basata sulla chiusura di migliaia di fabbriche. L’obiettivo
è attrarre capitali europei destinati alla modernizzazione del tessuto
produttivo e rendere le imprese spagnole più produttive e più competitive nel
contesto della CEE, il che suppone una perdita di 20.000 posti di lavoro, il
congelamento dei salari, l’aumento della flessibilità del lavoro, la
legalizzazione del lavoro precario. Contro questo piano del governo socialista
LAB si appella a una resistenza generalizzata della società basca perché le
lotte dei lavoratori interessati dai licenziamenti da sole non potranno
invertire il processo. La UGT accentua invece la propria subalternità al
governo diventandone una vera e propria cinghia di trasmissione. ELA e CCOO
portano avanti lotte parziali e mobilitazioni di settore senza però convocare
uno sciopero generale.
Il Governo prevede la chiusura totale dei cantieri navali
pubblici nel giro di 10 anni e l’abbandono della gestione del trasporto
marittimo. Nonostante ciò, il 9 ottobre ’84 l’UGT sottoscrive, insieme al
Governo e agli imprenditori, l’Accordo Economico e Sociale, nel tentativo di
far accettare ai lavoratori le politiche neoliberiste. La concertazione mira a
far apparire le scelte del governo come inevitabili e concordate tra tutte le
parti sociali. Ma la lotta contro la chiusura del più grande cantiere navale di
Bilbao, l’Euskalduna, non solo continua ma assunse forme sempre più violente
da parte dei lavoratori che per mesi si scontrano con la polizia, fanno blocchi
stradali e barricate, occupano gli impianti e gli uffici dell’azienda. L’accordo
con l’UGT non impedisce che tutti gli altri sindacati proclamino uno sciopero
generale in tutto lo Stato nel settore navale, ma il governo accentua la
repressione. La polizia occupa gli impianti industriali, mentre i lavoratori
tentano in tutti i modi di riprendere possesso dell’impresa. Il 23 novembre la
polizia distrugge le sedi sindacali all’interno degli impianti tranne quello
dell’UGT, spara sugli operai e ne arresta decine. Un lavoratore, Pablo
Gonzalez, rimane ucciso, e alla fine la fabbrica viene chiusa.
Di nuovo tocca alle acciaierie, con un piano che prevede 3100
licenziamenti in 2 anni, mentre se ne sono già persi 4000. Mentre chiudono
centinaia di piccole aziende dell’indotto, il governo cerca di fomentare la
nascita di cooperative di comodo per riassorbire temporaneamente la
disoccupazione e depotenziare la lotta dei lavoratori. LAB cerca di intervenire
nel nuovo settore cooperativo, che in poco tempo giunge a rappresentare il 6%
degli occupati. La CEE chiede l’eliminazione quasi totale del settore pubblico
dell’acciaio con la perdita di 9000 posti di lavoro, di cui 2000 solo negli
Alti Forni di Bizkaia. Il settore industriale subisce una perdita netta, dal
1973 al 1985, di 171.000 posti di lavoro solo nel Paese Basco. Nel 1986 il
numero di baschi disoccupati è pari al 23,1% della popolazione attiva, tra le
più alte di tutto lo Stato.
Nel 1985 il Tribunale Costituzionale approva, su input del
Governo, la Legge Organica per le Libertà Sindacali, che mira a subordinare i
sindacati all’apparato statale. La legge fissa una quota del 10% dei delegati
in tutto lo Stato o del 15% in una Comunità Autonoma affinché un sindacato
possa essere considerato rappresentativo e partecipare alla contrattazione
nazionale. Mentre gli indicatori macroeconomici cominciano a migliorare, alla
disoccupazione di massa si somma una crescente precarizzazione del lavoro, che
trasforma le città basche in territori degradati dove si estendono la povertà,
l’emarginazione e la tossicodipendenza. La Spagna è nel 1987 il paese d’Europa
col maggior tasso di contratti precari rispetto al totale (90%).
In questi anni la sparizione dei sindacati minori lascia il
campo libero a ELA, CCOO e UGT. LAB mantiene il proprio carattere sociopolitico
e un doppio livello di organizzazione, settoriale e territoriale. Il sindacato
patriottico comincia ad aumentare la quota di delegati eletti ad ogni elezione
sindacale. Se nel 1980 conquista il 4,5% del totale, contro 23,5 di ELA, il 19,2
dell’UGT e il 16,4 delle CCOO, negli anni seguenti LAB diventa il punto di
riferimento di settori di lavoratori delusi dalle centrali maggioritarie e
attratti dalle coerenza e dalla capacità del sindacato abertzale di promuovere
lotte unitarie, ma anche di boicottare e a volte impedire l’esecuzione dei
piani di ristrutturazione. Negli anni seguenti LAB conduce una forte battaglia
contro la privatizzazione del sistema pensionistico pubblico, arrivando a
occupare gli uffici della Sicurezza Sociale in tutti e quattro i capoluoghi
baschi, scontrandosi per l’ennesima volta con la polizia. Nelle elezioni dell’82
LAB ottiene il 5,73%, ELA il 28,74%, l’UGT il 22 e le CCOO il 16,9.
Alla fine degli anni ’80 si produce un’inflessione
generalizzata del movimento sindacale nello Stato Spagnolo. La crisi industriale
è ormai conclusa, la politica dei patti portata avanti dai sindacati
maggioritari si è rivelata un fallimento, il movimento sindacale ha subito una
cocente sconfitta nel momento in cui l’economia ha cominciato a crescere
grazie all’integrazione dello Stato nella Comunità Economica Europea nel
1986. Alle elezioni del 1986 LAB tocca quota 10,66%, mentre l’UGT scende al
20,5 e le CCOO ha il 17,26 mentre ELA ottiene il 32%. La perdita della sua
egemonia nelle grandi imprese pubbliche e nei settori strategici nelle elezioni
sindacali convince l’UGT a rompere la relazione preferenziale col PSOE.
Nel 1986 il Partito Nazionalista, fino ad allora egemone
dello scenario elettorale ed istituzionale basco, subisce una scissione che
porta alla nascita di Eusko Alkartasuna (Solidarietà basca), partito
nazionalista con connotazioni liberali e socialdemocratiche.
Sempre nel 1986, si tiene un ennesimo referendum in cui
ancora una volta i baschi votano in maniera distinta dal resto degli abitanti
dello Stato Spagnolo. Il 12 marzo il governo di Gonzalez chiede ai cittadini di
appoggiare la permanenza della Spagna nella NATO. La sinistra patriottica e i
movimenti pacifisti e antimilitaristi chiedono di bocciare il quesito, cosa che
avviene: il Si non raccoglie che 430.000 voti, contro gli 830.000 No. Ancora una
volta, pur essendosi espresso democraticamente contro l’adesione alla Alleanza
Atlantica, il popolo basco vi sarà inserito, non avendo il potere di esercitare
il diritto all’autodeterminazione. (Continua nel prossimo numero di Proteo).
Bibliografia
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