Il Sud si risveglia!!! Si risveglia da un lungo torpore di
assimilazione, subalternità, disincanto: ecco un anno di lotte popolari estese,
diffuse che hanno meravigliato, colto di sorpresa e fatto discutere sociologi,
politologi, intellettuali e gente comune.
“Era dalle rivolte di Avola, Battipaglia, Reggio Calabria,
dal ciclo di lotte sociali che va dal 1967 al 1973, che la gente del sud non si
ribellava con forza e determinazione per far valere i propri diritti” (Tonino
Perna - Carta n° 44/2003).
Difficile fare un elenco di piccole e grandi battaglie che in
genere hanno visto al centro questioni ambientali, questioni sociali e
sindacali.
Provo a farne un elenco (non esaustivo) per delinearne una
mappa:
- Messina - Reggio C. mobilitazione contro la costruzione
del ponte sullo stretto
- Gran Sasso mobilitazione contro la costruzione del terzo
traforo
- Termoli opposizione alla costruzione della centrale
termoelettrica
- Alta Murgia - lotta per la costituzione di un parco
nazionale e contro la destinazione dei terreni a discariche di rifiuti
speciali
- Terlizzi - mobilitazione contro la chiusura dell’ospedale
della città
- Conversano - mobilitazione contro l’installazione di
inceneritore dei rifiuti
- Difesa della riserva dello Zingaro a Castellamare
(Trapani) contro la costruzione di una grande arteria stradale sulla costa
- Calabria - Mobilitazioni contro la costruzione di nuove
centrali elettriche
- Sparanise (Ce) - Contro la costruzione di nuove centrali
elettriche
- Acerra - mobilitazione contro la costruzione di
inceneritori tra i più grandi di Europa
- Melfi FIAT - Lotta per aumenti salariali e migliori
condizioni di lavoro
- Montecorvino Rovella - lotta decennale contro la
discarica di Parapoti e sua apertura
- Scanzano Ionico - lotta contro la decisione del Governo
nazionale di installare il sito di stoccaggio nazionale sui rifiuti nucleari.
Questo elenco è solo indicativo e vuole dare un quadro
abbastanza diffuso di lotte che si incentrano soprattutto su conflitti
ambientali legati al territorio. Questi conflitti vanno comunque messi in
relazioni con quelli che si stanno accumulando nel resto dell’Italia (Centrali
a Carbone, Alta velocità, Autoferrotranvieri)
Nell’immaginario collettivo tre sono stati i conflitti che
hanno avuto gran risalto: Melfi-FIAT, Parapoti-RIFIUTI, Scanzano-SCORIE
NUCLEARI. Tra questi quello che ha maggiormente colpito per mobilitazione
popolare, trasversalità ed incisività è stato certamente Scanzano Ionico, che
da alcuni è stato assunto anche a modello (il cosiddetto Modello Scanzano).
Alcuni riferimenti nel dibattito sull’emergere di nuovi movimenti al
SUD
Su questo fermento sono stati scritti fiumi di parole, la
novità di questi movimenti ha colti molti di sorpresa e quindi si cerca di
inquadrare il tutto in categorie analitiche nuove, cercando di spiegare cosa è
successo e prevedendo scenari di medio e lungo periodi.
Mi soffermerò brevemente su quanto scritto da alcuni autori
che analizzano e studiano fenomeni e movimenti sociali, per poi portare alcune
considerazioni personali.
Ilvo Diamanti (sociologo della politica che scrive anche su
Repubblica) intervistato da Carta (n. 7/2004) dice in termini generali
intrecciando le mobilitazioni locali con analisi più generali: “Torna la
partecipazione che si presenta in forme variegate. I segnali che indicano questo
mutamento sono tanti... È una partecipazione che esprime anche in modo nuovo,
‘individuale’. Ci si dedica al volontariato anche a titolo individuale. Un
tempo, invece, la richiesta di partecipazione era più esigente. Oggi una
casalinga può prendere parte, esprimere la sua posizione attraverso una
bandiera arcobaleno”. Sui motivi di questa nuova partecipazione dice: “Questo
fenomeno è legato alla fine dei valori che hanno dominato negli anni ’80: in
primo luogo l’impresa, intesa come modello che travalica la sfera della
produzione per arrivare a regolare tutti gli aspetti della vita e della
politica... Dopo il crollo dei partiti (ci si riferisce alla fine della prima
repubblica), si è creato un vuoto sociale, che negli anni scorsi è stato
rimpiazzato dalla competitività, dal mercato, dalla produttività, dal
marketing... I movimenti (no global, ma anche i girotondi) sono nati come
reazione all’attuale sistema dei partiti. I sindacati sono pesantemente
colpiti dalle mutazioni in corso, dalle nuove forme di lavoro che non riescono
ad intercettare. Hanno usato la concertazione come legittimazione pubblica di
fronte alle difficoltà. Ma ora che la concertazione è finita devono fare i
conti anche col fatto che rappresentano ceti sociali più anziani e fanno fatica
a fare nuovi e più giovani aderenti”.
Collegandosi a Diamanti ma approfondendo lo specifico dei
territori va Roberto Biorcio, sociologo, sempre intervistato da CARTA (n.
6/2004). “La lotta di Scanzano è stata trasversale, ed è andata oltre le
identità tradizionali. Innanzitutto credo che le appartenenze vengano superate
semplicemente perché le forze tradizionali non hanno più radicamento
sociale... La capacità di allargare la mobilitazione deriva da una logica
nuova: nel contesto di una vicenda specifica entrano i principi generali. In
questo caso il principio era che il governo si era comportato come una potenza
straniera, che invadeva quel territorio. Si è mostrato che con buone ragioni si
può essere radicali... Autorganizzandosi, si mette in discussione la decisione
autoritaria. Viene praticata una forma diversa di democrazia... Bisogna
considerare l’importanza delle forme di lotta. Se si ha ragione, si possono
usare metodi radicali, e non si viene criminalizzati dall’opinione pubblica.
Perché il “fare” non è un tavolo di concertazione infinito. A Scanzano non
si era disposti ad accettare mediazioni: non si volevano le scorie e basta...”.
Franco Cassano in un breve passaggio su Avvenire (7 luglio
2004) interpreta così l’origine del pullulare di rivolte e lotte “La
coscienza di essere in bilico, deboli, oggetto di poteri esterni al Sud. Si
avverte un senso di precarietà e la fine di un sogno di sviluppo. Negli anni
’90, grazie ai sindaci e non solo, il Mezzogiorno aveva tentato di diventare
protagonista della vita nazionale, ma ora si percepisce che il Sud non è più
rilevante”.
Gli elementi fondamentali del nuovo protagonismo sociale del Sud
Questi tre interventi indicano, dal mio punto di vista, gli
elementi cruciali che hanno visto l’emergere le popolazioni meridionali come
protagoniste di molte lotte radicali. Provo a dare un quadro più articolato di
tali elementi, integrandoli con considerazioni personali:
- La limitata capacità dei gruppi tradizionalmente
mediatori clientelari, di controllare la popolazione
Il controllo sociale è stato sempre il tallone di Achille
delle società meridionali. Gruppi più o meno organizzati, legati ai gruppi di
potere, hanno sempre saputo creare un ponte tra questi e la popolazione. È un
processo che si è sviluppato nei secoli ed è stato sedimentato dalla cultura
popolare: l’asservimento ai Signori, la paura di ritorsioni, la richiesta
piangente di aiuto sono caratteristiche abbastanza comuni nei comportamenti
delle popolazioni meridionali. Nella fase del dopoguerra del boom economico che
si è trasportato fino ai giorni nostri, tale capacità di controllo è stato
assunto dalla Democrazia Cristiana in primis, ma anche dal partito socialista ed
in misura diversa, ma lo stesso determinante, dal Partito Comunista. Le classi
subalterne che nel frattempo diventavano anche più istruite, hanno visto in
queste strutture (compreso il sottobosco dei faccendieri, segretari e
portaborse) la sostituzione del Nobile, del Signorotto a cui chiedere piaceri e
compassione... e così è stato. Certo c’è stata una forte emigrazione nel
Nord Italia o all’estero, ma chi ha saputo entrare nei circuiti giusti è
riuscito ad assumere posizione di prestigio (o per lo meno di tranquillità
economica) nella pubblica amministrazione (creando vere e proprie dinastie
familistiche) o nelle aziende private che dovevano portare lo sviluppo al sud...
Ovviamente briciole rispetto ai benefici ottenuti dalla borghesia
imprenditoriale locale, dai gruppi della malavita organizzata (mafia, camorra) e
dai grandi gruppi industriali del Nord.
Il contesto dell’accumulazione fordista permetteva al ceto
di raccordo tra popolazione e grandi gruppi economici di poter svolgere questo
ruolo... Con la fine del fordismo tutto questo viene meno, l’accumulazione
flessibile non permette mediazioni, nemmeno per elargire elemosine clientelari,
ecco quindi che tranne per vecchie “obbligazioni” questo ceto medio non
trova più un ruolo per una prospettiva futura. Negli anni ’80 si chiedeva una
raccomandazione per un posto al comune o alla regione, oggi al massimo si chiede
una intercessione per un lavoro stagionale o per avere un avvicinamento per il
servizio militare del proprio figlio (con la fine del servizio di leva neanche
questo sarà più possibile). La gente lentamente (i vecchi privilegi non si
dimenticano) e a macchia di leopardo ha colto nel concreto questo passaggio e
trova nuove strada per organizzarsi e rispondere alle proprie esigenze di vita e
di reddito.
- La rimessa in discussione dei partiti e sindacati come
strumenti di mediazione sociale
Dire che partiti e sindacati non contino più niente, sarebbe
una falsità (le manifestazioni di Scanzano lo dimostrano), ma certo il loro
ruolo è notevolmente ridimensionato. La loro rappresentanza, come ci ricorda
Ilvo Diamanti, diventa più complicata. Non riescono ad intercettare le nuove
forme del politico e del sociale e quindi arrancano, al massimo seguono o
inseguono i movimenti, cercando in genere di capire se un certo movimento è
ampio (nel qual caso starci dentro senza sbilanciarsi) o minoritario (in tal
caso affossandolo o remando contro). In questo quadro di destabilizzazione delle
vecchie forme del politico, i partiti soprattutto moderati del centro sinistra
sono allo sbando culturale (non certo di potere): hanno costruito il loro essere
su una forte mediazione fra capitale e soggetti popolari (a tutto vantaggio del
primo) e appaiono sempre come quelli che vogliono mediare per non perdere
posizioni di privilegio.
I movimenti visti sul campo non conoscono mediazioni al
ribasso, si battono su principi molto forti e sono credibili proprio perché non
cedono a facili lusinghe del sottobosco politico che in questi casi entra subito
in azione. Il processo che si descrive nel sud non è uniforme, ci sono intere
zone ancora troppo controllate, o che non hanno ancora conosciuto vere e proprie
forme di lotta per la conquista dei propri diritti, ma quello che è
interessante sottolineare è la tendenza di questi processi che diventano sempre
più contagiosi
- La verifica sul campo che strumenti di autorganizzazione
e partecipazione sono più sicuri rispetto alla delega
L’esperienza sul campo, comunque, è quella che dimostra
quanto certe pratiche del passato siano state autolesioniste e devastanti per il
Mezzogiorno. Gli strumenti di autorganizzazione si rivelano capaci di
amplificare la partecipazione popolare, e di rendere responsabili i soggetti in
campo, con risultati buoni anche dal punto di vista degli obiettivi raggiunti.
Ecco quindi che il graduale esaurirsi del controllo dei partiti e dei sindacati
non porta alla morte della politica, come molti lamentano, ma a nuove forme
della politica, spesso embrionali e contraddittorie, ma che fanno emergere, se
ben coltivate, un nuovo protagonismo sociale delle comunità meridionali.
- Coscienza di luogo, la presa di coscienza che il proprio
territorio è la base su cui costruire il futuro e la distruzione dello stesso
significa la fine di ogni prospettiva
Una caratteristica, sia che si parla di lotte ambientali o
sindacali, è il radicamento nel luogo di queste battaglie sociali... Il proprio
luogo di vita che diventa un grande spazio pubblico da difendere e su cui
costruire il futuro. Nella logica meridionale, dove in genere ha spesso prevalso
il bene comune della FAMIGLIA o del CLAN, è un passaggio epocale. È il luogo
di vita che diventa bene comune. La dimensione politica e la potenzialità
dirompente di mutazione deriva proprio da questo passaggio, il collettivo, il
comune, il territorio diventa il luogo dei processi di trasformazione
partecipata e condivisa. La passionalità e la intraprendenza meridionale
immersa in questa prospettiva, se non verrà repressa o mortificata, può dare
luogo ad una lunga stagione di cambiamento.
- La fine del modello SVILUPPISTA che ha accompagnato il
miraggio dell’Industrialismo per il Sud, perno delle politiche degli ultimi
decenni
La fine dello sviluppismo è la fine di un sogno, è l’emergere
di una delusione cogente. Il Sud industriale, che doveva raggiungere il nord
nella potenzialità industriale e nella chimera del mercato si è infranto su
alcuni scogli: il carattere del meridionale, poco incline ad affidarsi al
mercato e ai ritmi inumani delle industrie, la natura strettamente
parassitaria dell’intervento industriale, capace solo di divorare ingenti
quantità di denaro pubblico, l’indubbia cronica incapacità di dare
occupazione stabile, e qui ritorna importante analizzare il passaggio da
fordismo a postfordismo, ed infine la devastante rottura degli equilibri
naturali del sogno sviluppista (Bagnoli, Gioia Turo, Taranto).
Oggi tutti questi nodi sono venuti al pettine e sempre più
persone si stanno rendendo conto che quella strada è senza uscita.
- La crescita di una nuova sensibilità basata su modi
nuovi e diversi di intendere la partecipazione pubblica
Negli ultimi venti anni si è andata affermando una nuova
cultura di solidarietà, spesso non profondamente politica, ma che ha permeato
la società italiana e meridionale. Il notevole aumento di associazioni, di
volontari di gruppi impegnati in vari campi ha permesso che certe idee potessero
circolare. Questa cultura sotterranea quando si incontra e riesce a saldarsi e
unirsi con una più politica di rivendicazione di diritti e di costruzione di
una società più giusta, diventa un detonatore formidabile di allargamento
delle forme del politico. Difficilmente i grossi movimenti visti negli ultimi
anni (compreso quello sulla guerra) si sarebbero potuti sviluppare senza la
presenza di questo substrato.
- Il clima creato dal movimento globale che ha sicuramente
influenzato l’immaginario collettivo, ribaltando l’isolamento
individualista tipico della cultura degli anni ’80 e ’90
Seattle, Napoli, Genova il movimento cosiddetto no global
hanno influito sulla nascita di questi nuovi movimenti? Forse direttamente no,
infatti non sempre, si hanno prospettive chiare, ma è certo che l’irruzione
sulla scena della contestazione alla globalizzazione capitalistica, ha avuto
influenza sull’immaginario... Se c’è gente in tutto il mondo che contesta e
si mette in gioco contro i grandi poteri della terra, perché non possiamo farlo
noi con i potenti che ci calano dall’alto le loro scelte sui nostri territori?
È un processo più allo stato inconscio che reale, ma credo che abbia avuto la
sua importanza. Il passare dall’idea che tutto cambi affinché niente cambi
(Sciascia), tipicamente meridionale, all’idea che tutto può cambiare, nel
senso della giustizia e dei diritti, se ognuno si mette in gioco, è un
passaggio epocale.
Il ciclo di lotte che si stanno verificando soprattutto al
SUD, indicano una chiara inversione di tendenza rispetto al passato, e se pur
tra tante contraddizioni, fanno ben sperare per un radicamento più forte per la
costruzione di alternative al Neoliberismo. Non siamo ancora in una fase di
coscienza diffusa rispetto a questa prospettiva, ma i segnali sono confortanti,
perché dalle lotte non si ottengono sempre dei cambi di prospettiva e prima o
poi un’analisi più approfondita potrà far cogliere, a chi lo vorrà, che i
vari problemi di ordine economico, sociale ed ambientale hanno una sola origine:
IL PROFITTO E IL CAPITALISMO.
Speriamo solo che l’ansia di mandare a casa Berlusconi e la
voglia di poltrone del politicanti del centro sinistra (inclusa Rifondazione
Comunista) non ingabbi questa galassia sociale e ne riduca il potenziale di
cambiamento radicale presente... Sarebbe, questa, una grave colpa.