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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Costituzione Europea: apoteosi dell’ipocrisia liberista

Arturo Salerni

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1. La Conferenza intergovernativa ha approvato alla fine del mese di giugno - dopo tanti passaggi contrastati e contrastanti e grazie anche al decisivo passaggio della vittoria socialista in Spagna - il Trattato costituzionale dell’Unione Europea. Il testo finale dovrà essere ufficialmente sottoscritto a Roma in ottobre dai capi di Stato e di governo di tutti i venticinque paesi che aderiscono all’Unione (compresi cioè i dieci paesi che hanno fatto il loro ingresso il primo maggio di quest’anno). Al di là dell’aspetto formale della cerimonia di sottoscrizione da quel momento si avvierà un complesso percorso di ratifica del trattato costituzionale da parte dei Paesi sottoscrittori, percorso che si differenzierà nei diversi Paesi, con procedure di carattere parlamentare o di natura referendaria.

Si è detto da più parti che si tratta comunque di un passaggio storico, altri hanno invece sottolineato l’estrema farraginosità del complesso sistema istituzionale previsto dal trattato costituzionale e la lentezza dei passi in avanti compiuti sul piano dell’integrazione europea, con l’esclusione del meccanismo della maggioranza qualificata per l’adozione delle decisioni in materia di politica estera e delle scelte relative alle politiche sociali e alle politiche fiscali.

L’approvazione da parte della conferenza intergovernativa di Bruxelles ha seguito di pochi giorni la consultazione elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.

Anche in questo caso per la prima volta si è registrato il concorso di venticinque paesi: ovvero mai era accaduta si registra la nomina diretta di un organismo rappresentativo della gran parte dei popoli europei, dall’occidente all’oriente.1

Al contempo si sono registrati due elementi preoccupanti per coloro che sostengono il processo di integrazione continentale. Il primo è la scarsa partecipazione dell’elettorato alla consultazione per il rinnovo del Parlamento europeo (con percentuali di affluenza alle urne particolarmente basse nei paesi dell’Est e con una significativa eccezione che riguarda il nostro paese), indice questo quantomeno di una scarsa attenzione alle vicende dell’Europa e di un mancato coinvolgimento delle popolazioni nel processo di costruzione europea. Il secondo è stato l’affermazione in Gran Bretagna di una lista dichiaratamente ostile non solo all’introduzione dell’euro ma anche alla partecipazione stessa del Regno Unito all’Unione europea.

A questo punto il percorso di ratifica del trattato costituzionale appare pieno di insidie: si pensi al fatto che in diversi paesi è sicuramente prevista una consultazione referendaria (Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Danimarca, Lussemburgo, Irlanda) e che in altri paesi essa appare altamente probabile (Belgio Olanda, Polonia, Lettonia).

Si tratta per alcuni (ad esempio Ralf Dahrendorf, La Repubblica del 18 luglio 2004) di uno strano documento non classificabile tecnicamente come una Costituzione ma soltanto di un trattato stipulato tra i governi degli Stati membri dell’Unione europea. Esso infatti potrà essere emendato o modificato solo da ulteriori Conferenze intergovernative e non dal parlamento europeo. Afferma Dahrendorf: “In ogni caso, è certo che l’attuale testo del Trattato non sopravviverà per oltre due secoli come la Costituzione USA, e forse neppure per due decenni ... In assenza di un progetto politico consistente, l’Europa sembra essersi ripiegata su se stessa, producendo un documento che ostenta di essere assai più di quanto non rappresenti in realtà”.

Per altri invece “quel testo è l’unico possibile, almeno in questa fase storica” (intervista al socialista spagnolo Josep Borrell, nuovo presidente del Parlamento europeo, pubblicata su La Repubblica del 15 luglio 2004).

Certo è che lo scenario dell’integrazione europea - anche a seguito dell’allargamento - appare dai contorni sempre meno definiti, e tutti si chiedono cosa succederà dell’Unione qualora uno o più Paesi dovessero non ratificare il trattato, se il processo andrà avanti solo per un nucleo di Paesi con l’associazione con un coinvolgimento minore di altri Paesi, cosa faranno gli inglesi. Da un paio di anni (ovvero dall’aprirsi dello scenario di guerra irakeno) le novità si moltiplicano ma il quadro finale appare ancora lontano e la sua immagine imprecisa e nebulosa.

2. Il testo approvato dalla Conferenza intergovernativa è rinvenibile ancora in una versione provvisoria sul sito dell’Unione europea e l’elaborazione del testo definitivo nelle ventuno lingue da parte dei giuristi-linguisti terminerà nel mese di ottobre del 2004, ovvero a ridosso della data prevista per la sottoscrizione: non è ancora il tempo dell’analisi più approfondita, che abbiamo più volte rinviato, così come più volte è stata rinviata la definizione del percorso rispetto a quanto inizialmente si era prevista (non possiamo non ricordare ad esempio che l’approvazione del testo sarebbe dovuta avvenire alla fine del 2003 durante il semestre di presidenza italiana, ma che allora una serie di veti incrociati - innanzitutto quelli di Spagna e Polonia - ne bloccarono l’iter).

Però è possibile già da ora richiamare qualche elemento significativo.

Innanzitutto è utile richiamare le definizioni contenute nel preambolo approvato dalla Conferenza intergovernativa, perché del preambolo si è molto discusso - spesso strumentalmente - a proposito del mancato inserimento del richiamo alle radici giudaico-cristiane dell’Europa: i capi di stato dei paesi membri “ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili ed inalienabili della persona, della democrazia, dell’uguaglianza, della libertà e dello Stato di diritto; convinti che l’Europa riunificata dopo esperienze amare, intende proseguire questo percorso di civiltà, di progresso e di prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi i più deboli e bisognosi; che vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale; che desidera approfondire il carattere democratico e trasparente della vita pubblica e operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo; persuasi che i popoli dell’Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare il loro comune destino; certi che, unita nella diversità, l’Europa offre loro le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza della loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana; risoluti a proseguire l’opera compiuta nel quadro dei trattati che istituiscono le Comunità europee e del trattato sull’Unione europea, assicurando la continuità dell’acquis comunitario; riconoscenti ai membri della Convenzione europea di aver elaborato il presente progetto di Costituzione a nome dei cittadini e degli Stati d’Europa; hanno designato come plenipotenziari ... i quali, dopo avere scambiato i loro pieni poteri, riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto le disposizioni che seguono”.

La conclusione del preambolo evidenzia con grande chiarezza la natura di trattato che il testo assume.

Va richiamato il fatto che nell’articolo 2 della prima parte accanto ai valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani - presenti nel testo redatto dalla convenzione presieduta da Giscard d’Estaing - si fa un espresso richiamo ai “diritti delle persone appartenenti a una minoranza” e che si ritiene che la società debba essere fondata oltre che sul pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà, anche “sulla parità tra donne e uomini”.

Un elemento importante di differenza tra il testo proposto dalla Convenzione ed il testo elaborato dalla Conferenza intergovernativa (e che successivamente agli aggiustamenti tecnico-linguistici sarà sottoposto alla firma in ottobre a Roma) si trova nel paragrafo 3 dell’art.I (che sta per prima parte) - 11. Laddove il testo precedente recitava “L’Unione ha competenza per promuovere le politiche economiche e dell’occupazione degli Stati membri e assicurarne il coordinamento”, nel testo approvato a giugno si assiste ad un mutamento radicale di approccio per cui “gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche e dell’occupazione secondo le modalità descritte nella parte III, la definizione delle quali è di competenza dell’Unione”.

Scompare in definitiva quella competenza in capo all’Unione relativa alla promozione - e non solo al coordinamento - delle politiche economiche e dell’occupazione. Meno Europa nel nuovo testo, meno politica economica in capo all’Unione, nessuna politica dell’occupazione a largo raggio: gli Stati membri sono chiamati a coordinare le loro scelte sul piano delle politiche economiche e dell’occupazione. E tale mutamento di accento è rinvenibile ancora nella nuova formulazione dell’art. I-14, che passa da “L’Unione adotta misure intese ad assicurare il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri” (laddove cioè si prevedeva sia pur blandamente un protagonismo dell’Unione) al nuovo testo per cui “gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nell’ambito dell’Unione”. Un ordinamento più unionista che federalista.

3. Con riguardo alle istituzioni dell’Unione si definiscono - nel testo approvato dalla Conferenza intergovernativa in giugno - ulteriori precisazioni sulla composizione del Parlamento a partire dalla prossima elezione del 2009: i componenti saranno in numero non superiore a settecentocinquanta, vi sarà una soglia minima di sei componenti per Stato membro e “a nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei seggi” (art. I-19).

Il nuovo testo mantiene la previsione della durata di due anni e mezzo della carica di Presidente del Consiglio europeo (con mandato “rinnovabile una volta”, art. I-21): si tratta come è noto di una delle novità più significative del nuovo impianto istituzionale dell’Unione, con la quale si supera la previsione della presidenza semestrale a rotazione che caratterizza oggi la vita politica europea e si determina una più evidente continuità ed una più netta rappresentanza nella gestione politica della U.E.. Tale elemento è rafforzato dalla previsione - già contenuta nel testo approvato dalla Convenzione - per cui “il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato nazionale”.

Si definiscono nel nuovo testo le “varie formazioni” (così si esprime l’art. I-23) in cui si riunisce il Consiglio dei Ministri: affari generali e affari esteri (oltre ad altre formazioni che saranno adottate dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata). Non si parla più di Consiglio legislativo, ma il quinto paragrafo dell’art. I-23 precisa che “il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto legislativo. A tal fine, ciascuna sessione del Consiglio è suddivisa in due parti dedicate, rispettivamente, alle deliberazioni su atti legislativi dell’Unione e alle attività non legislative”.

L’art. I-24 ha come oggetto la tanto discussa questione della definizione della maggioranza qualificata in sede di Consiglio europeo e di Consiglio dei Ministri (ovvero dell’organismo che congiuntamente al Parlamento europeo esercita la funzione legislativa e di bilancio). Su tale questione non si era giunti all’accordo durante il semestre di presidenza italiana e quindi vale la pena richiamare nella sua formulazione: integrale il testo approvato dalla Conferenza intergovernativa del giugno 2004: “ [1]. Per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti gli Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione.

La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta.

2. In deroga al paragrafo 1, quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o del ministro degli affari esteri dell’Unione, per maggioranza qualificata si intende almeno il 72% dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione.

2bis. I paragrafi 1 e 2 si applicano al Consiglio europeo allorché delibera a maggioranza qualificata.

Appare a tutti evidente quanto un sistema così farraginoso e soglie così elevate limitino fortemente la possibilità di decisioni politiche e scelte legislative da parte delle istituzioni dell’Unione.

4. Per ciò che concerne l’organo esecutivo dell’Unione
 ovvero la Commissione europea - l’art. I-25 del testo approvato dalla Conferenza intergovernativa prevede che il mandato della Commissione sia di cinque anni e che “i membri della Commissione siano scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e offrano ogni garanzia di indipendenza”.

Sul numero dei Commissari - altra questione fortemente dibattuta soprattutto su sollecitazione dei paesi più piccoli - si giunge al seguente compromesso: “5. La prima Commissione nominata conformemente alle disposizioni della Costituzione si compone di un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il presidente ed il ministro degli affari esteri dell’Unione, che è uno dei suoi vice presidenti.

6. A decorrere dal termine del mandato della Commissione di cui al paragrafo 5, la Commissione si compone di un numero di membri, compreso il presidente e il ministro degli affari esteri dell’Unione, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, decida di modificare tale numero”.

Nella versione elaborata dalla Convenzione il numero dei componenti della Commissione previsto a partire dal primo novembre 2009 era di quindici.

Insomma il neo eletto presidente della Commissione europea, il portoghese Barroso, presiederà un organismo di venticinque persone (tante quanti gli Stati attualmente membri dell’Unione), poi forse si arriverà ad una riduzione.

I componenti della Commissione sono nominati congiuntamente dal Presidente della Commissione (eletto dal parlamento europeo su proposta del Consiglio) e dal Consiglio europeo: quindi - art. I-26 - “il presidente, il ministro degli affari esteri dell’Unione e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. In seguito a tale approvazione la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata”.

Con riferimento al ministro degli affari esteri dell’Unione il nuovo testo prevede che egli assicuri la coerenza dell’azione esterna dell’Unione. In seno alla Commissione, è incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione”. Ed anche con riferimento alla istituzione di tale figura si coglie la valenza contraddittoria e ondivaga del processo di integrazione europea ripreso dal trattato costituzionale: un rappresentante esterno dell’Unione, ed anche l’istituzione di una Agenzia europea degli armamenti, ma al contempo una politica estera sottratta al meccanismo della maggioranza qualificata, sicché di fatto ogni Stato membro potrà decidere per conto proprio. La vicenda irakena dimostra che le divisioni - alimentate ad arte dagli USA - impediscono all’Europa di giocare un ruolo di effettivo protagonista sullo scacchiere internazionale.


[1] I 732 parlamentari eletti risultano così suddivisi: 268 fanno parte del gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo, 200 in quello del Partito Socialista Europeo, 88 appartengono al gruppo dei democratici e liberali (ADLE), 42 al gruppo dei Verdi, 41 al GUE (ovvero la sinistra), 32 si sono iscritti al gruppo Indipendenza e democrazia, 27 al gruppo di destra UEN, e 34 risultano per ora non iscritti.