Buona governance contro buon governo?
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1. Generalità
Dall’inizio degli anni ’90 le grandi organizzazioni
internazionali, con in testa il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Mondiale, indirizzano regolarmente ai loro paesi membri delle raccomandazioni di
«buona governance» (good governance). Le definizioni di questa ultima, e con
esse il suo contenuto, variano tuttavia molto sensibilmente da un’istituzione
all’altra, impedendo di fissarne i contorni giuridici precisi - tanto più che
la governance può essere anche di impresa, globale, ecc. Nella cornice delle
sue operazioni di prestiti e di “surveillance”, il FMI vuole promuovere una
buona governance che copra “tutti gli aspetti della condotta degli affari
pubblici”. Applicabile dai paesi che beneficiano della sua assistenza tecnica,
e strettamente associata alla lotta anti-corruzione, il suo codice di buona
gestione pubblica mira a rendere più trasparenti le decisioni di politica
economica, ad accedere al massimo di notizie sulle finanze pubbliche, a
normalizzare le pratiche di controllo e, recentemente, a “combattere il
finanziamento del terrorismo” [1]. Secondo la Banca Mondiale, la governance dei “paesi
clienti” deve “andare al di là della disfunzione del settore pubblico (il
“sintomo”) per aiutarli ad integrare riforme “destinate a migliorare i
meccanismi di sussidio di risorse pubbliche e le pianificazioni istituzionali
dello Stato, i processi di formulazione, adozione di decisioni ed applicazione
delle politiche, e le relazioni tra cittadini e governo”. Se il PNUD
collega la governance allo sviluppo umano duraturo, la Banca Asiatica di
Sviluppo mette l’accento sulla partecipazione del settore privato, mentre la
Banca interamericana di Sviluppo insiste sul rafforzamento della società
civile, l’OCSE sull’obbligo di rendere conto in merito alle decisioni in
quanto a trasparenza, efficienza ed efficacia e sulla prospettiva ed il primato
del diritto, il BERD sui diritti umani e i principi democratici... A dispetto
dell’indeterminatezza del concetto e dei criteri di giudizio normativo ad esso
legati, gli obiettivi formulati da queste organizzazioni sono invece chiari e
convergenti: ciò che è in gioco è la determinazione di politiche degli Stati
nel senso dell’instaurazione di contesti istituzionali più favorevoli all’apertura
dei paesi del Sud ai mercati finanziari globalizzati.
2. Buona governance e democrazia
La linea direttiva in materia è data dal FMI. Per questo la
buona governance consiste essenzialmente nel “liberalizzare i sistemi di
scambio, di commercio e di prezzo”, nel “limitare le adozioni delle
decisioni ad hoc ed i trattamenti preferenziali di individui e di organizzazioni”
e “nell’eliminare i sussidi diretti di credito” per lo Stato. La sua
richiesta sarebbe indissociabile dal proseguimento delle politiche neo-liberiste
e dal progetto di società che è l’obiettivo della loro applicazione. Ora
questa strategia, imposta dall’inizio degli anni ’80 alla maggior parte dei
paesi del Sud (piani di adeguamento strutturale, deregolamentazione,
privatizzazioni, libera circolazione dei capitali...), ha portato, in tutti i
campi e su tutti i continenti, alla dimostrazione del suo fallimento. Riflesso
del potere egemonico della finanza - soprattutto dei più grandi proprietari del
capitale, in particolar modo statunitensi- il neo-liberismo non è un modello di
sviluppo, ma di dominio. I suoi disastri sociali, i suoi drammi umani sono
troppo noti per essere qui ricordati. Il suo nuovo dogma ideologico
anti-statale, la good governance, non dovrebbe essere considerato altro
che il simmetrico opposto di un buon governo. Difatti, il suo scopo non
è lo sviluppo della partecipazione democratica degli individui e dei popoli ai
processi di decisione, né il rispetto del loro diritto allo sviluppo, ma è di
spingere gli Stati nazionali a deregolamentare i mercati, vale a dire a
regolarli secondo gli esclusivi interessi delle forze del capitale dominante.
Di fronte all’impossibilità per il neo-liberismo di
gestire la crisi del sistema mondiale ed al rifiuto delle organizzazioni
internazionali di riconoscere l’emergenza di un’alternativa che impone alla
dinamica di espansione del capitale dei limiti esterni alla sua logica di
massimizzazione del profitto, la buona governance può confermare e indurire
solamente la critica dei “fallimenti dello Stato”.
Gli agenti della funzione pubblica non sono imputati più
solamente di comportamenti di rent seeking; ciò che è messo oramai in dubbio
è la loro capacità di gestire gli affari pubblici, specialmente nei paesi
indebitati del Sud, e di dotarsi di buone istituzioni - non tanto per i popoli
quanto per il capitale. Ma la coincidenza del discorso moralizzatore sulla
responsabilità degli Stati e sull’irresponsabilità dei loro agenti, non è
altro che una legittimazione dell’opzione reazionario-liberale di abbandono
delle funzioni di regolazione dello Stato, che arriva in certi casi fino alla
delega ad altri della difesa nazionale, alla sostituzione della moneta nazionale
con una divisa straniera, alla privatizzazione della raccolta delle tasse, ecc.
Di qui questo paradosso forte, inerente alla buona
governance, agli appelli lanciati dalle organizzazioni internazionali ai governi
nazionali affinché essi adottino delle politiche neo-liberiste imposte dell’esterno,
affinché essi se ne “approprino” nel momento in cui i mercati finanziari
globalizzati li spodestano della loro sovranità e penetrano le strutture di
proprietà del loro capitale.
Gestire direttamente gli apparati degli Stati del Sud dal
centro del sistema mondiale, neutralizzando la loro sovranità statuale,
privandoli di ogni prerogativa, costringendo al minimo il loro margine di
manovra, non sarebbe questo il segreto di una governance ideale?
Quale democrazia potrebbero pretendere delle autorità
pubbliche che limitano l’espressione della sovranità nazionale all’apertura
e alla liberalizzazione dei mercati ed al pagamento del debito estero e dei
dividendi sugli investimenti stranieri?
In queste condizioni, non possiamo che mostrarci preoccupati
delle iniziative di “partenariato pubblico-privato per lo sviluppo”
adottate dalla Segreteria generale dell’ONU, ed in modo particolare della
messa in opera del “Global Compact” [2]. Questa convenzione morale mira ufficialmente “a dare al mercato
globalizzato un volto umano” badando a che un insieme di “valori e
principi” relativi ai diritti dell’Uomo, alla legislazione del lavoro ed
alla protezione dell’ambiente naturale, siano rispettati dalle imprese
multinazionali.
In realtà, questo deal avventuroso permette a queste ultime
di fare dipendere dai loro finanziamenti le istituzioni dell’ONU e di
utilizzare il suo “label” pubblico ed universale a fini privati.
3. Il FMI, modello di bad governance?
L’insistenza del FMI a parlare di buona governance, diventata uno delle
leve del condizionamento dell’aiuto ai paesi del Sud e degli accordi di
alleggerimento del loro debito esterno, rivela la politicizzazione crescente dei
suoi interventi e la deriva delle sue missioni al di là di quello che definisce
il suo mandato. La sua sorveglianza delle politiche macro-economiche e dello
sviluppo delle attività del settore privato, ove la fiducia condizionerebbe una
crescita sostenuta, riguarda “tutti gli aspetti” delle istituzioni
statali, ivi compresa la natura del regime politico, auspicato d’ora in poi il
più trasparente possibile. Abbiamo quindi il diritto di domandarci se questo
organismo applica con la stessa determinazione gli imperativi proposti da parte
del Sud quando si tratta del suo proprio funzionamento.
In teoria la risposta sarebbe affermativa: è stato redatto
un codice di condotta che dovrebbe assicurare l’etica e prevenire la
corruzione del suo personale, è entrato in azione un consigliere alla
deontologia... Numerosi fatti concorrono tuttavia a suggerire che il FMI è
diventato oggi un modello di bad governance.
Delle istituzioni democratiche ed imparziali, la diffusione
di notizie al pubblico, la trasparenza delle procedure di decisione, la
partecipazione degli attori, il principio di elezione, una gestione efficace
delle risorse, la competenza delle analisi, l’obbligo di rendere conto, l’integrità,
il rispetto dei diritti dell’Uomo... sarebbero alcune delle condizioni della good
gouvernace. Cosa succede nel FMI?
1) In questa istituzione dove il peso dei membri è in
funzione dei loro contributi pecuniari, gli Stati Uniti dispongono, da soli,
di un diritto di veto per le decisioni importanti [3].
2) Malgrado il recente progresso, ancora limitato, la
disponibilità dei documenti elaborati nel suo seno resta sottomessa a forti
restrizioni.
3) I negoziati che lo coinvolgono rimangono opachi e
circondati generalmente del più stretto riserbo.
4) Il ventaglio dei suoi interlocutori è estremamente
ristretto (ministero delle Finanze, Banca centrale) sebbene si stia
leggermente allargando negli ultimi anni (imprenditori) ma senza far mai
intervenire né consultare democraticamente i popoli.
5) Il consenso è il metodo abitualmente utilizzato, le
misure sui programmi sono adottate eccezionalmente attraverso il voto.
6) Le politiche di adeguamento strutturale si sono rivelate
totalmente inefficaci nel risolvere gli squilibri interni ed esterni e hanno
contribuito anche a causare e ad estendere le crisi finanziarie.
7) I suoi esperti non sono sottoposti a nessuna procedura
di valutazione della pertinenza delle loro raccomandazioni
8) “C’est la qualité même des travaux menés au
Fonds, au regard des recherches disponibles dans la littérature académique,
qui est sujette à caution”.
9) La retorica anti-corruzione non impedisce di finanziare,
con perfetta cognizione di causa, regimi notoriamente corrotti.
10) Molti paesi dipendenti dai suoi aiuti finanziari sono
spesso criticati per la loro violazione sistematica dei diritti dell’Uomo.
4. La necessità di trasformazioni per lo sviluppo e la democrazia
Il nostro proposito qui non è unicamente di fare il processo
all’organo direttivo delle istanze internazionali - la cui riforma è comunque
reclamata a ragione da tutte le parti. Si vuole qui soprattutto sottolineare che
le mancanze del FMI, attestato sulla difesa dei soli interessi dei creditori e
delle multinazionali, si traducono più essenzialmente nell’insuccesso della
governance globale imposta dal G7, sotto la leadership degli Stati Uniti, per
tentare di far uscire il sistema mondiale dalla crisi. Le condizioni della buona
governance saranno ricercate invano finché non saranno rimossi gli ostacoli
strutturali che impediscono alla grande maggioranza dei paesi del mondo di
godere dei loro diritti allo sviluppo ed alla democrazia. É ormai necessario
abbandonare senza indugi il neo-liberismo, regolare il problema del debito,
mettere fine al dominio della speculazione finanziaria e controllare
rigorosamente le attività delle multinazionali all’origine dello scambio
ineguale.
Quali sarebbero dunque le trasformazioni indispensabili da
realizzare per costruire un mondo democratico, assicurando ai popoli migliori
condizioni di vita e la loro partecipazione effettiva ai processi decisionali?
La riflessione dovrebbe prioritairement condurre a:
1) modificare le regole di accesso ai mercati e dei sistemi
monetari e finanziari, il che è possibile attraverso la riforma (refonte)
del FMI, della Banca mondiale e dell’OMC;
2) instaurare un sistema di fiscalità e di ridistribuzione
su scala mondiale, più coerenti ed ambiziosi della “Tobin Tax “;
3) arrestare l’uso della guerra come sistema di
regolazione delle controversia a livello mondiale, grazie alla
smilitarizzazione del pianeta ed al mantenimento della pace;
4) rafforzare e democratizzare l’ONU, conciliando i
diritti dell’individuo e dei popoli, i diritti politici e quelli sociali, l’universalismo
e la diversità delle culture;
5) gestire collettivamente le risorse naturali,
collocandole al servizio dei popoli, e rispettare l’ambiente naturale.
Tali sono secondo noi le condizioni sine qua non di una
società civile e dinamica, di Stati sovrani ed autenticamente democratici, di
regionalizzazioni autonome che rafforzino le posizioni dei paesi sfavoriti del
sistema mondiale, ma anche del rispetto stesso dei diritti dell’uomo, nelle
loro dimensioni al tempo stesso individuali e sociali: alimentazione, salute,
alloggio, educazione, sicurezza collettiva, Stato di diritto, giustizia,
uguaglianza...
[1] FMI, Good Governance: The IMF Role,
Washington D.C., 2003.
[2] Discours de Kofi Annan à Davos en
1999.
[3] Et la dépendance du FMI à
l’égard du Département du Trésor états-unien n’est plus un
secret...