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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Per una compatibilità ecologica e sociale dell’attività produttiva
Luciano Vasapollo, Rita Martufi

 

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Per una compatibilità ecologica e sociale dell’attività produttiva

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Cestes ripropone con forza la necessità di una legge per il bilancio socio-ambientale d’impresa [1]

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1. Produzione e ambiente

Vi è ormai una chiara consapevolezza del problema socio-ambientale e della necessità di non danneggiare in modo irreversibile il mondo che ci circonda, anche perché si è assunta pressoché generalmente la filosofia e il conseguente modo di operare secondo il quale non essendo l’umanità dotata di risorse illimitate, un uso spropositato delle ricchezze naturali può avere conseguenze fatali sulla sopravvivenza stessa della specie umana.

In questi ultimi anni si è recepita pienamente la preoccupazione per il degrado ambientale e si sono adottati dei comportamenti sempre più tesi a garantire la crescita di una domanda “ambientalista” arrivando così a sovvertire le principali regole del marketing. L’inquinamento ambientale è un problema sentito dalle popolazioni di tutti i paesi industrializzati e vi è una presa di coscienza delle problematiche legate all’ambiente presente ormai in tutti i ceti della società, coinvolgendo impiegati, professionisti e persone di ogni fascia di età, tutti in veste di consumatori che chiedono soluzioni definitive.

Nel nostro Paese la legislazione esistente è piuttosto caotica in quanto i “principi ambientali” sono entrati a far parte del nostro ordinamento molto spesso, in seguito a delle vere emergenze o al più per recepire alcune direttive comunitarie. Per quanto riguarda più da vicino la legislazione italiana, va segnalato che già all’art. 32 della Costituzione ( il quale cita testualmente : “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, e all’art. 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) pone in rilievo l’importanza della questione ambientale. E’ chiaro comunque che alle problematiche ambientali non viene riconosciuta la giusta e rilevante dignità di scelte di politica economica, poiché prevalgono finalità prettamente economiciste di difesa e rafforzamento dell’attuale modello economico. Non vi è alcun senso critico e di volontà di superamento degli squilibri sociali ed ecologici causati proprio dalla logica del perseguimento a tutti i costi del profitto, mentre la crisi socio-ambientale planetaria spinge affinché si realizzino definitive linee di politica economica che siano capaci di riconsiderare le scelte in funzione di un’equa redistribuzione e diffusione sociale di una ricchezza prodotta nel rispetto del diritto ad un equilibrio sociale ed ecologico, in un ambiente vivibile.

E’, infatti, prioritario assumere la problematica impresa-ambiente come funzione di interscambio a valenza strategica, a partire già da una prima analisi riguardante l’ambiente in cui si svolge l’attività produttiva, in relazione soprattutto alla sicurezza e alla salubrità delle condizioni di lavoro, ai risvolti occupazionali e alle dinamiche che la politica socio-ambientale d’impresa innesca complessivamente nel mercato del lavoro e nelle relazioni economiche ed etiche connesse al tempo liberato.

A tal proposito è importante valutare se e in quale modo una politica ambientale influenzi l’occupazione in termini di contrazione, di crescita, o più in generale di riduzione di tempo sociale del lavoro. Più in generale la cultura socio-economica di mercato non è di per sé né ecocompatibile né ecosolidale e pertanto non può favorire la creazione di lavori socialmente utili di tipo non mercantile. E’ quindi necessario che lo sviluppo di corrette politiche socio-ambientali d’impresa possano essere orientate da nuove e coraggiose politiche economiche generali che permettano di realizzare cambiamenti parziali ma significativi nell’ottica della costruzione di un diverso modello di sviluppo capace di generare nuova e diversa occupazione, diversa ricchezza, di modificare i prodotti, i modi di produzione e del vivere sociale; un modello quindi che punti alla distribuzione del lavoro e del reddito, all’incremento della ricchezza sociale, alla qualità della produzione e più in generale al miglioramento della qualità della vita.

Va considerato che il possibile conflitto tra le esigenze della collettività e le scelte aziendali, unito all’incertezza scientifica dei flussi informativi e dei connessi processi decisori e comunicazionali, rendono difficile l’attuazione di linee strategiche complessive riguardanti l’incremento che l’impresa dovrebbe saper e voler realizzare sul valore del patrimonio socio-ambientale complessivo. Quello che è in discussione è infatti lo stesso generale modello di sviluppo di mercato che punta esclusivamente all’obiettivo del profitto e di competitività che non può per sua natura essere ecosolidale.

2. Globalizzazione capitalistica e devastazione del patrimonio socio-naturale collettivo

Ecco che riemerge la necessità ormai economicamente e storicamente non più rinviabile di innescare processi di costruzione graduale di progetti di mutamento socio-economico dell’attuale modello di sviluppo, progetti magari parziali ma che comincino a dare risposte in chiave di ridefinizione del rapporto tra patrimonio collettivo, interessi economici privati d’impresa e rispetto dei diritti socio-economici della collettività. Ci troviamo in una fase di emergenza in cui sono sempre più grandi i fenomeni di distruzione ad opera del capitale di ogni forma di legame con la natura, con l’ambiente, con le compatibilità sociali. La globalizzazione dei mercati, delle produzioni sta portando sempre più l’uomo verso una fase di annientamento di ogni forma di spazio vitale, a partire dalla crescente alienazione del lavoro umano che viene ad essere sempre più spesso sostituito con macchinari sofisticati. Ciò oltre a provocare la completa e irresponsabile devastazione del patrimonio naturale collettivo, colpiscono la qualità della vita, accrescendo le varie forme di accumulazione del capitale, distruggendo lavoro attraverso gli incrementi di produttività che si traducono solo in profitti senza migliorare i salari, aumentare l’occupazione e diminuire realmente l’orario di lavoro complessivo producendo tempo liberato.

Poche grandi strutture transnazionali (le imprese multinazionali, le grandi Banche ecc.) dominano completamente la scena internazionale ed impongono ai popoli la propria logica di raggiungimento del profitto ad ogni costo; questo stato di cose ha portato alla progressiva eliminazione di ogni forma di garanzia sociale, di Stato sociale che tuteli i settori più emarginati, i non garantiti, gli esclusi dai processi di produzione incentrati sulle leggi di mercato.

E’ ovvio infatti che la corsa sfrenata all’arricchimento dei pochi, sta portando l’umanità verso strade catastrofiche che possono avere conseguenze umane e sociali non più controllabili. Basti pensare al disastro legato allo sfruttamento e neo-colonizzazione del Terzo Mondo, in cui non esiste alcun tipo di protezione del lavoro e dell’ambiente, per comprendere quale sia l’effettiva portata del problema.

I vari settori produttivi provocano impatti socio-ambientali molto diversi; il settore agricolo, ad esempio, è caratterizzato da un elevato effetto negativo sull’ambiente sia che si consideri la realtà dei paesi a capitalismo avanzato sia quelli in via di sviluppo sottoposti a forme varie di moderna colonizzazione. Si rifletta sulle varie forme di inquinamento fortemente causato dall’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti, all’erosione dei territori, ai problemi legati alla desertificazione e distruzione delle grandi foreste. Se si analizza l’attività industriale ci si rende conto che il problema è ancora più grande; gli effetti di impatto ambientale della produzione riguardano l’aria, il rumore, i rifiuti, l’acqua. In questo settore è ancora più marcata la differenza comportamentale tra i diversi paesi, poiché i vari modelli di capitalismo utilizzano, o meglio determinano, i fattori di sviluppo compatibilmente ai locali rapporti di forza fra lavoro e capitale, assoggettando e modellando i vari sistemi di legislazione ambientale e sociale in modo che gli ostacoli ai processi di accumulazione siano inesistenti o comunque poco condizionanti. In tale contesto anche le tecnologie impiegate e l’evoluzione dei processi produttivi sono determinati senza tener in alcun conto la necessità di sviluppare processi di miglioramento qualitativo del lavoro e del vivere collettivo, ostacolando qualsiasi intento di mirare alla conservazione del patrimonio naturale e all’incremento di valore sociale della ricchezza anche non direttamente monetizzabile o quantificabile attraverso parametri tipici dell’economia di mercato (valore aggiunto, PIL, ecc.)

3. Per una contabilità d’impresa con contenuti socio-ambientali [2]

Come gli indicatori di gestione sono necessari per ottenere informazioni sullo stato di salute dell’impresa dal punto di vista economico, finanziario e patrimoniale, così dal punto di vista dell’impatto sociale complessivo dell’attività produttiva sono fondamentali gli indicatori di performance socio-ambientale che permettono di analizzare i rapporti che legano l’impresa al macrosistema ambientale complessivamente inteso.

Questi strumenti sintetici di natura qualitativa e quantitativa, costruiti attraverso semplici rapporti, permettono di effettuare un confronto rapido ed efficace sugli aspetti socio-ambientali connessi all’attività d’impresa che la contabilità tradizionale non consente di analizzare. Tali indicatori di performance ambientale, infatti, comprendono tutti i dati e le informazioni necessarie a valutare l’efficacia dell’attività di un’impresa in termini di ricadute sociali globali e di contributo a raggiungere uno sviluppo socio-eco-compatibile.

Una definizione di indicatore socio-ambientale può essere quella di “strumento di analisi necessario ai fini di uno studio di diagnostica sociale dell’impresa”. [3] Questa definizione fa capire la numerosità di indicatori sociali che possono essere proposti, oltre che la loro disomogeneità e variabilità. Un problema che sorge in merito alla determinazione e costruzione di questi indicatori è la mancanza di una classificazione omogenea riconosciuta in modo univoco che possa essere utilizzata “universalmente” per la contabilità sociale. E’ importante sottolineare però le caratteristiche principali che questi indicatori devono necessariamente possedere; i valori che esprimono dovranno infatti essere oltre che obiettivi e dimostrabili anche e soprattutto significativi, omogenei e comparabili.

Dalla contrapposizione dei costi e benefici a valenza sociale si può arrivare a determinare una sorta di reddito sociale netto per il personale, la comunità e il pubblico in generale. Le informazioni necessarie per redigere una corretta contabilità sociale dovrebbero riguardare la struttura del personale (numero dei dipendenti, divisi per sesso, età, qualifica, ecc.), il costo del personale (ammontare delle retribuzioni, tariffe orarie applicate, eventuale partecipazioni agli utili dei lavoratori, ecc.), informazioni riguardanti le formazione e l’addestramento (spese totali per la formazione, incidenza di queste spese sul totale delle retribuzioni, indicazioni della frequenza con la quale i lavoratori partecipano a tali corsi, ecc.), informazioni riguardanti le malattie e gli infortuni (numero ore assenza per malattia, tipi di infortuni e loro frequenza in azienda, spese per la sicurezza sul lavoro, ecc.), informazioni riguardanti il tempo di lavoro (ore di lavoro effettuate ed ore di lavoro previste dai contratti personali, orari medi settimanali, ore di lavoro straordinario, numero lavoratori part-time ecc.), informazioni riguardanti le condizioni fisiche del lavoro (indicazioni dei valori delle sostanze inquinanti nell’aria, rumore,ecc.), informazioni riguardanti le relazioni industriali e le opere sociali attuate dall’impresa a favore dei lavoratori (ore di assenza per motivi sindacali, cause, ricorsi e istanze dei lavoratori verso l’azienda, spese sostenute per mense, alloggi, mezzi di trasporto, benefit in genere, ecc.).

L’applicabilità di tali indicatori può considerare ed interessare tutti i settori produttivi; per fare alcuni esempi basti ricordare le aree riguardanti:

1) la produzione di rifiuti, di emissioni gassose, di effluenti;

2) il livello dei contaminanti nell’aria, nell’acqua e nel terreno;

3) l’esposizione dell’uomo alle sostanze tossiche sia all’interno che all’esterno dei luoghi di lavoro;

4) i rischi di incidenti connessi direttamente o indirettamente ad attività produttive;

5) il grado di utilizzo e di ripristino delle risorse rinnovabili,

6) il consumo di risorse non rinnovabili;

7) i rapporti tra attività economiche e ambiente. [4]

In particolare per le ricadute dell’attività d’impresa sul patrimonio naturale, per far fronte alle suddette esigenze si è soliti distinguere due tipi di indicatori ambientali: gli indicatori di impatto ambientale e gli indicatori di performance ambientale.

Si effettua questa distinzione per il diverso significato della misurazione delle attività di un’impresa in relazione al suo impatto sul patrimonio naturale; infatti mentre è possibile misurare in termini di uso delle risorse, delle emissioni, dei rifiuti prodotti ecc. l’attività di un’impresa, per effettuare una rilevazione del suo impatto complessivo sull’ambiente è necessario effettuare delle valutazioni soggettive, delle stime che accertino le conseguenze provocate dalla gestione produttiva.

A questo proposito va ricordato che gli indicatori di impatto ambientale analizzano le ricadute dell’attività produttiva sull’ambiente attraverso una determinazione delle grandezze fisiche che si riferiscono alla produzione dello stabilimento, come ad esempio, l’effetto serra, il livello di tossicità per la salute umana, per la fauna, per la flora,ecc..Tali indicatori possono essere determinati da un punto di vista fisico e da un punto di vista monetario.

Gli indicatori fisici calcolano il contributo dell’impresa al cambiamento delle condizioni ambientali a livello sia locale sia globale e costituiscono una ulteriore misura dell’efficienza dell’azienda nella propria gestione delle risorse. Per la costruzione di questi indicatori il metodo più usato a tutt’oggi è quello di collegare i flussi fisici ad alcuni effetti sulla salute umana, sugli ecosistemi e sull’impoverimento delle risorse presenti in natura. Si avrà quindi in primo luogo una classificazione dei flussi fisici sulla base degli effetti che producono sull’ambiente; si procede poi ad una caratterizzazione di questi flussi fisici prendendo in considerazione gli impatti ambientali riguardanti l’effetto serra, la diminuzione della fascia di ozono, la tossicità con i pericoli derivanti agli uomini, alla vegetazione e agli animali, l’energia, i rifiuti, lo smog, ecc.. Infine vi è la valutazione vera e propria, fondamentale se ci si trova in una situazione in cui i risultati dei valori d’impatto contrastano tra loro; in questo caso è necessario saper confrontare i risultati ottenuti per prendere le varie decisioni di gestione.


[1] Su queste tematiche si vedano gli art. di R.Martufi sul n.0 di PROTEO e l’art. di L.Vasapollo “Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale d’impresa” su “Finanza Italiana”, mensile economico-finanziario, Anno V, N.11-12, Novembre, Dicembre 1997.

[2] Cfr. L.Vasapollo “Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale d’impresa” su “Finanza Italiana”, mensile economico-finanziario, Anno V, N.11-12, Novembre, Dicembre 1997.

[3] Cfr. Matacena A., “Impresa e ambiente. Il bilancio sociale”, CLUEB Bologna, 1984.

[4] Cfr.Azzone G., Dubini M., “Indicatori per la misura delle prestazioni ambientali delle imprese”, Istituto per l’Ambiente, Luglio 1993, p.11.