Per una compatibilità ecologica e sociale dell’attività produttiva

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Cestes ripropone con forza la necessità di una legge per il bilancio socio-ambientale d’impresa [1]

1. Produzione e ambiente

Vi è ormai una chiara consapevolezza del problema socio-ambientale e della necessità di non danneggiare in modo irreversibile il mondo che ci circonda, anche perché si è assunta pressoché generalmente la filosofia e il conseguente modo di operare secondo il quale non essendo l’umanità dotata di risorse illimitate, un uso spropositato delle ricchezze naturali può avere conseguenze fatali sulla sopravvivenza stessa della specie umana.

In questi ultimi anni si è recepita pienamente la preoccupazione per il degrado ambientale e si sono adottati dei comportamenti sempre più tesi a garantire la crescita di una domanda “ambientalista” arrivando così a sovvertire le principali regole del marketing. L’inquinamento ambientale è un problema sentito dalle popolazioni di tutti i paesi industrializzati e vi è una presa di coscienza delle problematiche legate all’ambiente presente ormai in tutti i ceti della società, coinvolgendo impiegati, professionisti e persone di ogni fascia di età, tutti in veste di consumatori che chiedono soluzioni definitive.

Nel nostro Paese la legislazione esistente è piuttosto caotica in quanto i “principi ambientali” sono entrati a far parte del nostro ordinamento molto spesso, in seguito a delle vere emergenze o al più per recepire alcune direttive comunitarie. Per quanto riguarda più da vicino la legislazione italiana, va segnalato che già all’art. 32 della Costituzione ( il quale cita testualmente : “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, e all’art. 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) pone in rilievo l’importanza della questione ambientale. E’ chiaro comunque che alle problematiche ambientali non viene riconosciuta la giusta e rilevante dignità di scelte di politica economica, poiché prevalgono finalità prettamente economiciste di difesa e rafforzamento dell’attuale modello economico. Non vi è alcun senso critico e di volontà di superamento degli squilibri sociali ed ecologici causati proprio dalla logica del perseguimento a tutti i costi del profitto, mentre la crisi socio-ambientale planetaria spinge affinché si realizzino definitive linee di politica economica che siano capaci di riconsiderare le scelte in funzione di un’equa redistribuzione e diffusione sociale di una ricchezza prodotta nel rispetto del diritto ad un equilibrio sociale ed ecologico, in un ambiente vivibile.

E’, infatti, prioritario assumere la problematica impresa-ambiente come funzione di interscambio a valenza strategica, a partire già da una prima analisi riguardante l’ambiente in cui si svolge l’attività produttiva, in relazione soprattutto alla sicurezza e alla salubrità delle condizioni di lavoro, ai risvolti occupazionali e alle dinamiche che la politica socio-ambientale d’impresa innesca complessivamente nel mercato del lavoro e nelle relazioni economiche ed etiche connesse al tempo liberato.

A tal proposito è importante valutare se e in quale modo una politica ambientale influenzi l’occupazione in termini di contrazione, di crescita, o più in generale di riduzione di tempo sociale del lavoro. Più in generale la cultura socio-economica di mercato non è di per sé né ecocompatibile né ecosolidale e pertanto non può favorire la creazione di lavori socialmente utili di tipo non mercantile. E’ quindi necessario che lo sviluppo di corrette politiche socio-ambientali d’impresa possano essere orientate da nuove e coraggiose politiche economiche generali che permettano di realizzare cambiamenti parziali ma significativi nell’ottica della costruzione di un diverso modello di sviluppo capace di generare nuova e diversa occupazione, diversa ricchezza, di modificare i prodotti, i modi di produzione e del vivere sociale; un modello quindi che punti alla distribuzione del lavoro e del reddito, all’incremento della ricchezza sociale, alla qualità della produzione e più in generale al miglioramento della qualità della vita.

Va considerato che il possibile conflitto tra le esigenze della collettività e le scelte aziendali, unito all’incertezza scientifica dei flussi informativi e dei connessi processi decisori e comunicazionali, rendono difficile l’attuazione di linee strategiche complessive riguardanti l’incremento che l’impresa dovrebbe saper e voler realizzare sul valore del patrimonio socio-ambientale complessivo. Quello che è in discussione è infatti lo stesso generale modello di sviluppo di mercato che punta esclusivamente all’obiettivo del profitto e di competitività che non può per sua natura essere ecosolidale.

2. Globalizzazione capitalistica e devastazione del patrimonio socio-naturale collettivo

Ecco che riemerge la necessità ormai economicamente e storicamente non più rinviabile di innescare processi di costruzione graduale di progetti di mutamento socio-economico dell’attuale modello di sviluppo, progetti magari parziali ma che comincino a dare risposte in chiave di ridefinizione del rapporto tra patrimonio collettivo, interessi economici privati d’impresa e rispetto dei diritti socio-economici della collettività. Ci troviamo in una fase di emergenza in cui sono sempre più grandi i fenomeni di distruzione ad opera del capitale di ogni forma di legame con la natura, con l’ambiente, con le compatibilità sociali. La globalizzazione dei mercati, delle produzioni sta portando sempre più l’uomo verso una fase di annientamento di ogni forma di spazio vitale, a partire dalla crescente alienazione del lavoro umano che viene ad essere sempre più spesso sostituito con macchinari sofisticati. Ciò oltre a provocare la completa e irresponsabile devastazione del patrimonio naturale collettivo, colpiscono la qualità della vita, accrescendo le varie forme di accumulazione del capitale, distruggendo lavoro attraverso gli incrementi di produttività che si traducono solo in profitti senza migliorare i salari, aumentare l’occupazione e diminuire realmente l’orario di lavoro complessivo producendo tempo liberato.

Poche grandi strutture transnazionali (le imprese multinazionali, le grandi Banche ecc.) dominano completamente la scena internazionale ed impongono ai popoli la propria logica di raggiungimento del profitto ad ogni costo; questo stato di cose ha portato alla progressiva eliminazione di ogni forma di garanzia sociale, di Stato sociale che tuteli i settori più emarginati, i non garantiti, gli esclusi dai processi di produzione incentrati sulle leggi di mercato.

E’ ovvio infatti che la corsa sfrenata all’arricchimento dei pochi, sta portando l’umanità verso strade catastrofiche che possono avere conseguenze umane e sociali non più controllabili. Basti pensare al disastro legato allo sfruttamento e neo-colonizzazione del Terzo Mondo, in cui non esiste alcun tipo di protezione del lavoro e dell’ambiente, per comprendere quale sia l’effettiva portata del problema.

I vari settori produttivi provocano impatti socio-ambientali molto diversi; il settore agricolo, ad esempio, è caratterizzato da un elevato effetto negativo sull’ambiente sia che si consideri la realtà dei paesi a capitalismo avanzato sia quelli in via di sviluppo sottoposti a forme varie di moderna colonizzazione. Si rifletta sulle varie forme di inquinamento fortemente causato dall’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti, all’erosione dei territori, ai problemi legati alla desertificazione e distruzione delle grandi foreste. Se si analizza l’attività industriale ci si rende conto che il problema è ancora più grande; gli effetti di impatto ambientale della produzione riguardano l’aria, il rumore, i rifiuti, l’acqua. In questo settore è ancora più marcata la differenza comportamentale tra i diversi paesi, poiché i vari modelli di capitalismo utilizzano, o meglio determinano, i fattori di sviluppo compatibilmente ai locali rapporti di forza fra lavoro e capitale, assoggettando e modellando i vari sistemi di legislazione ambientale e sociale in modo che gli ostacoli ai processi di accumulazione siano inesistenti o comunque poco condizionanti. In tale contesto anche le tecnologie impiegate e l’evoluzione dei processi produttivi sono determinati senza tener in alcun conto la necessità di sviluppare processi di miglioramento qualitativo del lavoro e del vivere collettivo, ostacolando qualsiasi intento di mirare alla conservazione del patrimonio naturale e all’incremento di valore sociale della ricchezza anche non direttamente monetizzabile o quantificabile attraverso parametri tipici dell’economia di mercato (valore aggiunto, PIL, ecc.)

3. Per una contabilità d’impresa con contenuti socio-ambientali [2]

Come gli indicatori di gestione sono necessari per ottenere informazioni sullo stato di salute dell’impresa dal punto di vista economico, finanziario e patrimoniale, così dal punto di vista dell’impatto sociale complessivo dell’attività produttiva sono fondamentali gli indicatori di performance socio-ambientale che permettono di analizzare i rapporti che legano l’impresa al macrosistema ambientale complessivamente inteso.

Questi strumenti sintetici di natura qualitativa e quantitativa, costruiti attraverso semplici rapporti, permettono di effettuare un confronto rapido ed efficace sugli aspetti socio-ambientali connessi all’attività d’impresa che la contabilità tradizionale non consente di analizzare. Tali indicatori di performance ambientale, infatti, comprendono tutti i dati e le informazioni necessarie a valutare l’efficacia dell’attività di un’impresa in termini di ricadute sociali globali e di contributo a raggiungere uno sviluppo socio-eco-compatibile.

Una definizione di indicatore socio-ambientale può essere quella di “strumento di analisi necessario ai fini di uno studio di diagnostica sociale dell’impresa”. [3] Questa definizione fa capire la numerosità di indicatori sociali che possono essere proposti, oltre che la loro disomogeneità e variabilità. Un problema che sorge in merito alla determinazione e costruzione di questi indicatori è la mancanza di una classificazione omogenea riconosciuta in modo univoco che possa essere utilizzata “universalmente” per la contabilità sociale. E’ importante sottolineare però le caratteristiche principali che questi indicatori devono necessariamente possedere; i valori che esprimono dovranno infatti essere oltre che obiettivi e dimostrabili anche e soprattutto significativi, omogenei e comparabili.

Dalla contrapposizione dei costi e benefici a valenza sociale si può arrivare a determinare una sorta di reddito sociale netto per il personale, la comunità e il pubblico in generale. Le informazioni necessarie per redigere una corretta contabilità sociale dovrebbero riguardare la struttura del personale (numero dei dipendenti, divisi per sesso, età, qualifica, ecc.), il costo del personale (ammontare delle retribuzioni, tariffe orarie applicate, eventuale partecipazioni agli utili dei lavoratori, ecc.), informazioni riguardanti le formazione e l’addestramento (spese totali per la formazione, incidenza di queste spese sul totale delle retribuzioni, indicazioni della frequenza con la quale i lavoratori partecipano a tali corsi, ecc.), informazioni riguardanti le malattie e gli infortuni (numero ore assenza per malattia, tipi di infortuni e loro frequenza in azienda, spese per la sicurezza sul lavoro, ecc.), informazioni riguardanti il tempo di lavoro (ore di lavoro effettuate ed ore di lavoro previste dai contratti personali, orari medi settimanali, ore di lavoro straordinario, numero lavoratori part-time ecc.), informazioni riguardanti le condizioni fisiche del lavoro (indicazioni dei valori delle sostanze inquinanti nell’aria, rumore,ecc.), informazioni riguardanti le relazioni industriali e le opere sociali attuate dall’impresa a favore dei lavoratori (ore di assenza per motivi sindacali, cause, ricorsi e istanze dei lavoratori verso l’azienda, spese sostenute per mense, alloggi, mezzi di trasporto, benefit in genere, ecc.).

L’applicabilità di tali indicatori può considerare ed interessare tutti i settori produttivi; per fare alcuni esempi basti ricordare le aree riguardanti:

1) la produzione di rifiuti, di emissioni gassose, di effluenti;

2) il livello dei contaminanti nell’aria, nell’acqua e nel terreno;

3) l’esposizione dell’uomo alle sostanze tossiche sia all’interno che all’esterno dei luoghi di lavoro;

4) i rischi di incidenti connessi direttamente o indirettamente ad attività produttive;

5) il grado di utilizzo e di ripristino delle risorse rinnovabili,

6) il consumo di risorse non rinnovabili;

7) i rapporti tra attività economiche e ambiente. [4]

In particolare per le ricadute dell’attività d’impresa sul patrimonio naturale, per far fronte alle suddette esigenze si è soliti distinguere due tipi di indicatori ambientali: gli indicatori di impatto ambientale e gli indicatori di performance ambientale.

Si effettua questa distinzione per il diverso significato della misurazione delle attività di un’impresa in relazione al suo impatto sul patrimonio naturale; infatti mentre è possibile misurare in termini di uso delle risorse, delle emissioni, dei rifiuti prodotti ecc. l’attività di un’impresa, per effettuare una rilevazione del suo impatto complessivo sull’ambiente è necessario effettuare delle valutazioni soggettive, delle stime che accertino le conseguenze provocate dalla gestione produttiva.

A questo proposito va ricordato che gli indicatori di impatto ambientale analizzano le ricadute dell’attività produttiva sull’ambiente attraverso una determinazione delle grandezze fisiche che si riferiscono alla produzione dello stabilimento, come ad esempio, l’effetto serra, il livello di tossicità per la salute umana, per la fauna, per la flora,ecc..Tali indicatori possono essere determinati da un punto di vista fisico e da un punto di vista monetario.

Gli indicatori fisici calcolano il contributo dell’impresa al cambiamento delle condizioni ambientali a livello sia locale sia globale e costituiscono una ulteriore misura dell’efficienza dell’azienda nella propria gestione delle risorse. Per la costruzione di questi indicatori il metodo più usato a tutt’oggi è quello di collegare i flussi fisici ad alcuni effetti sulla salute umana, sugli ecosistemi e sull’impoverimento delle risorse presenti in natura. Si avrà quindi in primo luogo una classificazione dei flussi fisici sulla base degli effetti che producono sull’ambiente; si procede poi ad una caratterizzazione di questi flussi fisici prendendo in considerazione gli impatti ambientali riguardanti l’effetto serra, la diminuzione della fascia di ozono, la tossicità con i pericoli derivanti agli uomini, alla vegetazione e agli animali, l’energia, i rifiuti, lo smog, ecc.. Infine vi è la valutazione vera e propria, fondamentale se ci si trova in una situazione in cui i risultati dei valori d’impatto contrastano tra loro; in questo caso è necessario saper confrontare i risultati ottenuti per prendere le varie decisioni di gestione.

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Gli indicatori monetari invece permettono all’azienda di misurare in termini economici tutte le variazioni causate al patrimonio naturale, per consentire di aggiungere la variabile ambiente nei vari processi decisori, basati di solito solo su considerazioni di natura strettamente economico-aziendali. Il metodo principale per valutare monetariamente l’impatto sull’ambiente dell’attività produttiva di un’impresa è costituito dalla determinazione di una stima del Valore Aggiunto Sostenibile(VAS). Questo valore è costituito dalla differenza tra il tradizionale Valore Aggiunto (VA) e il Valore Ambientale Distrutto(VAMD), ossia quel valore economico derivante dall’attività d’impresa a causa degli impatti sull’ambiente naturale, ottenuto da: Valore Economico Impatti Ambientali (VEIA) - Spese Ambientali Nette (SPAN). Il valore economico dei danni all’ambiente causati dall’impresa è misurato considerando i costi di tutela sostenuti dall’azienda per mitigare il danno (CTUT) e del costo dei danni residui (CDRES) ossia il costo del danno derivante dalle emissioni non abbattute.

In simboli pertanto si ha:

  VAS = VA - VAMD

Dove VAMD = VEIA - SPAN

e con VEIA = CTUT + CDRES

  VAS = VA - CTUT - CDRES + SPAN

Va comunque considerato che l’attività d’impresa produce diversi livelli di impatto ambientale: si avrà un impatto diretto derivato dai processi produttivi e del consumo di energia; un impatto indiretto attraverso la pressione esercitata da coloro che agiscono a monte del processo produttivo (fornitori) ; infine un impatto sempre indiretto ma in questo caso operante a valle del processo produttivo (consumatori).

Gli indicatori di performance ambientale invece forniscono le informazioni qualitative e quantitative che consentono di effettuare una valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e del consumo delle risorse al fine di permettere al top management di adottare le strategie migliori atte a rafforzare il più possibile il perseguimento degli obiettivi ambientali, attraverso anche una migliore comunicazione esterna dei risultati (ad esempio agli stakeholders d’impresa). L’uso di questi indicatori in relazione al consumo di materie prime, di energia, ecc. permette all’impresa di valutare la propria efficienza nell’uso delle risorse ambientali (indicatori di processo).

L’azienda deve però poter valutare la propria efficienza anche in termini più strettamente economico-finanziari :si serve a questo scopo di indicatori ecofinanziari per correlare gli interventi a favore dell’ambiente con i costi di investimento e di gestione che questi comportano. L’impresa inoltre controlla la propria capacità di raggiungere gli obiettivi di performance ambientale attraverso i cosiddetti indicatori di gestione ambientale che le consentono di misurare continuamente il grado di conformità alla legislazione e alle politiche ambientali ed il grado di integrazione con altre funzioni ambientali.

Va sottolineato comunque che, nonostante tutti gli indicatori ambientali d’impresa (e soprattutto quelli di impatto ambientale) presentino un alto livello di complessità ed incertezza nella loro costruzione in termini di validità scientifica, un loro utilizzo integrato consente all’impresa di adottare comportamenti e di orientare le decisioni aziendali verso obiettivi di sensibilità economica e ambientale. In sintesi gli indicatori consentono di rafforzare la politica ambientale attraverso una formulazione di obiettivi più chiara, specifica e settoriale; permettono altresì uno sviluppo del sistema di gestione ambientale, un miglioramento della comunicazione esterna e una riduzione delle emissioni e dei relativi costi di abbattimento e di prevenzione. Le aziende, quindi, sono portate ad adottare degli indicatori di performance ambientale oltre che per motivi di informazione e comunicazione anche per sostenere i processi decisori interni.

Tra i requisiti essenziali che questi indicatori devono possedere per misurare le diverse ricadute socio-ambientali vanno ricordati, oltre all’obiettività (per non pregiudicare l’efficacia delle valutazioni),alla dimostrabilità (per identificare l’origine dei fenomeni che si vogliono analizzare), anche la confrontabilità ( utile per l’uso sia interno sia esterno all’azienda); si tratta di una confrontabilità sia di tipo temporale sia spaziale ed anche economica). Va inoltre ricordato il requisito di significatività, cioè la necessità di chiarezza, di sintesi, di leggibilità. Tra i principali problemi che spesso contrastano la costruzione di questi indicatori vi è oltre alla difficile reperibilità dei dati anche la questione legata alla confidenzialità delle informazioni; (si pensi ad esempio che le imprese, anche per problemi di competizione tra loro, sono restie a fornire all’esterno informazioni riguardanti la gestione aziendale) e del costo dello sviluppo degli indicatori.

Il documento principale che contiene questo tipo di informazioni è il report ambientale. Questo documento descrive le relazioni a rilevanza economica che si instaurano tra il macrosistema ambiente e impresa; le informazioni presenti nel report sono indirizzate soprattutto all’esterno e forniscono indicazioni sia generali sulla politica ambientale adottata sia quantitative di ordine fisico e monetario.

Gli indicatori di performance consentono all’impresa di ottenere dei vantaggi competitivi e di conseguenza aumentano il suo valore complessivo realizzando così un obiettivo valoriale di lungo termine.

E’ possibile costruire i suddetti indicatori in diversi modi: si possono esporre i valori quantitativi presenti di solito nel report ambientale in maniera assoluta, come ad esempio nel caso in cui si analizza il totale delle emissioni di una sostanza chimica in un anno di riferimento; è possibile poi rapportare il risultato ottenuto nel modo precedente con un parametro scelto opportunamente ed ottenere indicatori relativi (es. rapportando l’output ottenuto attraverso il suo impiego); vi è poi la possibilità di effettuare una combinazione di ambedue i modi o ancora in gruppi attraverso una raccolta di informazioni che riguardano fenomeni tra loro collegati. Infine costruire degli indici attraverso i quali ottenere entità che possono essere confrontate tra loro; è chiaro comunque che tanto più complessi sono questi indicatori tanto più difficile sarà la loro interpretazione e quindi la loro utilità informativa sarà molto ridotta.

Per ottenere degli indicatori realmente efficaci è necessario, in sostanza, che siano applicabili a tutti i diversi settori industriali in maniera abbastanza uniforme con un ristretto numero di varianti; si devono utilizzare dati di facile reperibilità, fornire delle indicazioni chiare e soprattutto devono essere strutturati in modo da essere facilmente confrontabili con gli indicatori proposti a livello internazionale.

Alcuni studiosi [5] distinguono gli indicatori della “performance delle attività” da quelli “delle performance della gestione ambientale”; altri, [6] invece, pur adottando questa impostazione propongono di distinguere tra “Indicatori di Processo”, che misurano l’efficienza da parte dell’azienda nell’uso delle risorse naturali, e “Indicatori di Gestione” che valutano invece l’efficacia della gestione; a questi indicatori vanno aggiunti quelli “Eco-finanziari” che analizzano l’efficacia e l’efficienza economico-finanziaria degli strumenti di protezione adottati dalle imprese.

Gli indicatori di processo sono facilmente calcolabili in quanto i dati che devono essere aggregati sono omogenei ed espressi in unità di peso; i campi in cui questi indicatori dovrebbero essere applicati riguardano i consumi di energia e l’uso delle materie prime per i quali viene misurata l’efficienza d’impiego, i prodotti, gli incidenti, i rifiuti.

Il problema che sorge è comunque quello del confronto tra questi indicatori di efficienza ambientale relativamente a periodi differenti, a imprese o siti diversi. Per poter effettuare un paragone significativo è necessario procedere a una “normalizzazione” dei dati; di solito questoprocessoavviene ponendosi in rapportoal volume delle vendite, al valore aggiunto, alla quantità prodotta.

La “normalizzazione” attraverso il valore aggiunto consente di effettuare dei confronti tra risultati di due o più periodi diversi; si tratta anche di un buon parametro dal punto di vista sociale, poiché è utile per rappresentare il benessere economico prodotto e distribuito nell’eco-sistema.

Va rilevato che è importante valutare attentamente i parametri di ponderazione adottati in quanto da questi dipendono le informazioni che l’impresa utilizza per le proprie scelte di gestione; infatti le decisioni prese in relazione a questi parametri potrebbero rivelarsi dannose per l’impresa e per la collettività.

In sostanza, comunque, gli indicatori di processo costituiscono uno strumento importante per le decisioni gestionali dell’impresa, anche se va rilevato che per essere realmente efficaci devono essere sufficientemente chiari e accompagnati da note esplicative e commenti che permettano di interpretare nel giusto modo i risultati ottenuti.

Gli indicatori di gestione invece sono necessari per valutare l’efficacia e gli sforzi compiuti dall’organizzazione dell’impresa nelle proprie relazioni ambientali ed aumentare la fiducia degli investitori sulle politiche ambientali esposte nel report. In sostanza questi indicatori consentono di verificare la qualità della gestione ambientale e di decidere i cambiamenti necessari per migliorarla.

Una suddivisione di tali indicatori in categorie consente di effettuare una distinzione tra: “indicatori di conformità”, che misurano appunto quale è il grado di rispetto delle norme legislative e i problemi legati alla non ottemperanza di queste; “indicatori di implementazione dei sistemi di management ambientale” e “indicatori che misurano l’integrazione tra le decisioni ambientali e le altre unità di business”.

Anche in presenza di notevoli problemi di costruzione ed interpretazione è ormai irrinunciabile individuare un insieme di indicatori in grado di misurare le reali prestazioni ambientali di un’impresa, anche se soprattutto per queste difficoltà ancora non si è arrivati a definire una serie di tipologie di questi nuovi strumenti di gestione da applicare in ogni caso e che possano essere tra loro confrontabili. E’ possibile, comunque, effettuare una ulteriore suddivisione tra:

1. indicatori che si basano sugli sforzi compiuti dalle imprese;

2. indicatori di tipo fisico diretti;

3. indicatori di tipo fisico indiretti;

4. indicatori economici.

1) Gli indicatori che si basano sugli sforzi compiuti dalle imprese, espressi in termini quantitativi o qualitativi, analizzano gli impegni delle imprese per sviluppare e perfezionare le proprie prestazioni in tema di salvaguardia socio-ambientale. Da un punto di vista qualitativo questi indicatori sono caratterizzati da una estrema semplicità di rilevazione, soprattutto in ordine alla introduzione di specifici contenuti utili ad esaminare i problemi del macrosistema ambientale, anche attraverso lo sviluppo di specifici accorgimenti e procedimenti da utilizzare nelle varie fasi del processo produttivo. Il limite principale di questi indicatori sta nel fatto che, mancando una rilevazione rivolta all’esterno, gli impegni presi dalle imprese risultano essere più che altro di “facciata”, principalmente con lo scopo di miglioramento dell’immagine e non di effettivo programma di intervento ambientale.

2) Gli indicatori fisici diretti invece riguardano soprattutto l’impatto inquinante sull’aria, sulle acque, il rumore, le emissioni di inquinanti e l’utilizzo delle materie prime. Data la facile reperibilità dei dati riguardanti questo tipo di indicatori ciò consente una agevole rilevazione, facilmente comprensibile all’esterno.

3) Gli indicatori fisici indiretti riguardano soprattutto la rilevazione degli incidenti, dei reclami o dei problemi, come le assenze per infortuni e malattie del lavoro, che un’impresa ha subito nell’arco di un periodo di tempo.

4) Gli indicatori economici analizzano tutti i costi che direttamente o indirettamente si ricollegano alle problematiche socio-ambientali; si tratta sia di costi attuali, ossia sostenuti nell’esercizio corrente, sia da costi futuri ossia legati a spese che l’impresa dovrà sostenere per adempiere agli obblighi legati alle normative presenti e future (passività nascoste). Il limite principale di questo tipo di indicatori consiste proprio nella difficoltà di rilevare correttamente le cosiddette passività occulte; è per questo motivo che sono poco utilizzati dalle imprese.

Si vuole comunque precisare che, al di là delle difficoltà presenti nella costruzione delle varie tipologie di indicatori, la loro presenza è ormai necessaria, anzi indispensabile per una corretta attività di gestione e di rendiconto all’intera collettività del proprio operato; inoltre le informazioni ricavabili attraverso la determinazione di tali indicatori sono infatti fondamentali per la costruzione del vero e proprio bilancio socio-ambientale. [7]

Programmare e gestire gli investimenti ambientali significa pianificare il rapporto con l’ambiente, senza improvvisazione, attraverso strumenti tecnici, rigorosi che inseriscano nel capital budget e nel bilancio d’esercizio quegli elementi di contabilità ambientale che, oltre a valutare il rischio ambientale dell’azienda, ne corregga l’approccio contabile valutativo ponendo obiettivi qualificati e quantificati di intervento diretto e indiretto per la salvaguardia dell’ambiente.

Diventa così indispensabile effettuare un vero e proprio monitoraggio periodico dell‘impatto socio-ambientale dell’impresa che consenta una più attenta valutazione dei costi, derivanti dall’attività produttiva, di carattere sociale e ambientale, presenti e futuri. Si tratta, tanto per fare un esempio, dei costi sociali che valutano finanziariamente l’eventuale danno ecologico causato e dei costi interni relativi all’adeguamento degli impianti, allo smaltimento dei rifiuti ecc.

Va considerato inoltre che diventa necessario comunicare all’esterno le attività svolte dall’impresa in campo socio-ambientale, al fine di ottenere dei ritorni economici (diretti e indiretti, palesi e occulti, quantificabili immediatamente oppure valutabili in termini non soltanto monetari) sia per ciò che riguarda l’immagine e il profitto aziendale sia per quanto riguarda la salvaguardia e l’incremento del patrimonio socio-ambientale collettivo.

I nuovi sistemi gestionali devono quindi fornire le informazioni necessarie alla compilazione di quadri contabili completi dal punto di vista dei rapporti tra l’impresa e il macrosistema ambientale. Come la contabilità generale tradizionale dà le informazioni sulla salute economica dell’azienda così la contabilità sociale e ambientale d’impresa dovrebbe produrre informazioni finalizzate alla realizzazione di processi decisori e comunicazionali riguardanti il patrimonio sociale e ambientale di proprietà collettiva e su come questo viene utilizzato, salvaguardato e incrementato.

E’ ormai quindi imprescindibile che il budget, il piano degli investimenti e il bilancio aziendale siano sottoposti a sistemi di audit ambientale e che si giunga e legiferare in materia di bilancio socio-ambientale, quale documento obbligatorio e fondamentale per una corretta tenuta della contabilità. Le informazioni desumibili dal bilancio contabile aziendale, alla luce dei cambiamenti dei fattori culturali, sociali, tecnologici e ambientali in atto, non sono più sufficienti per evidenziare l’evoluzione relazionale fra micro-sistema aziendale e macro-sistema ambientale.

Il bilancio socio-ambientale e il conto del surplus integrano le informazioni del risultato economico, dell’accrescimento della ricchezza d’impresa attraverso l’individuazione delle risorse intangibili ambientali e pongono l’accento sulle problematiche relative alla distribuzione sociale del valore aziendale. Le stesse valutazioni d’investimento non possono più prescindere da corrette analisi costi-benefici, da valutazioni di impatto ambientale e dall’affermazione dell’approccio integrato alle problematiche della gestione aziendale. Va riconsiderato il ruolo dell’impresa all’interno della molteplicità e diversità degli interessi che continuamente si sviluppano nei processi di interazione quali-quantitativi con l’ambiente. Ciò deve avvenire attraverso politiche aziendali capaci di instaurare rapporti organici di salvaguardia ambientale in modo che i vari interlocutori sociali siano in grado di mettere sotto esame continuamente il comportamento dell’azienda, la quale deve instaurare relazioni socio-economiche interattive a carattere veritiero e trasparente.

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Tale nuova cultura d’impresa deve dotarsi di strumenti da utilizzare per valutare il giusto equilibrio tra redditività, economicità di gestione e garantismo economico, inteso come salvaguarda della libertà economica dei vari attori sociali interagenti con l’azienda e della società civile nel suo complesso, dando il giusto peso all’investimento in risorse capaci di salvaguardare l’ambiente. Il bilancio socio-ambientale va considerato come uno strumento in grado di misurare e valutare il “clima socio-economico-culturale” in cui l’impresa opera tenendo conto delle politiche aziendali operative e strategiche prefissate, ed essendo un documento che può essere presentato congiuntamente al classico bilancio di esercizio, esso deve fornire tutte le indicazioni indispensabili a favorire i cambiamenti necessari all’instaurazione di nuovi rapporti tra impresa e macrosistema socio-ambientale.

Si tratta, in ultima istanza, di contabilizzare e pubblicizzare il rapporto non solo economico, o meglio non riguardante soltanto le relazioni e i rapporti economici diretti e immediatamente misurabili, che l’azienda instaura con i propri dipendenti, con la popolazione locale residente nei pressi del sito produttivo, con l’insieme dei consumatori, dei fornitori, dei finanziatori e di tutti coloro che hanno contatti economici e sociali con l’azienda stessa. Il bilancio socio-ambientale è dunque un documento che contabilizza e rende pubblico il passaggio dell’impresa da semplice soggetto economico-produttivo a soggetto economico-sociale che si assume responsabilità di natura etica, sociale e ambientale, nell’ambito del macrosistema nel quale opera.

Tale bilancio è un documento molto difficile da redigere in quanto deve tener conto di molte variabili socio-economico-ambientali che devono essere misurate e quantificate in modo da rispondere alle esigenze informative di tutti coloro che hanno “scommesso” sulle sorti dell’impresa (i cosiddetti “stakeholders”), e si aspettano prima di tutto dei ritorni economico-finanziari e poi, eventualmente, quelli di natura sociale.

Scopo di questo documento contabile è quello di ottenere una valutazione complessiva del contributo quantitativo sociale e di impatto ambientale dell’impresa e per raggiungere tale obiettivo deve essere redatto in modo da presentare sia un prospetto dei costi e dei ricavi sociali e sia quello delle attività e passività sociali. Un aspetto del bilancio socio-ambientale, che merita di essere approfondito, è sicuramente quello relativo all’inserimento al suo interno di fattori più specificatamente a carattere ambientale, per meglio comprendere quanto questi condizionano la pianificazione aziendale e l’organizzazione gestionale dell’impresa stessa. Infatti il progresso scientifico-tecnologico , la maggiore sensibilità dell’opinione pubblica sulle tematiche ecologiche, la spinta dovuta alle organizzazioni e ai movimenti ambientalisti, hanno notevolmente aumentato la consapevolezza della gravità del problema ambientale anche da parte delle imprese.

Ciò ha comportato che all’ipotesi iniziale di rendere conto attraverso il bilancio sociale della responsabilità sociale dell’attività produttiva, si sia aggiunta l’esigenza di contabilizzare e pubblicizzare le ricadute di carattere ambientale dovute appunto all’attività d’impresa.Si parla a tale proposito di eco-bilancio, come parte del più ampio concetto di bilancio sociale, al fine di contabilizzare le ricadute economiche dovute all’impatto della produzione aziendale in relazione ai costi di natura ambientale. Infatti pur considerando che “sulla compatibilità ambientale dell’impresa si gioca il consenso di cittadini e pubblici amministratori, dunque la possibilità di crescere e svilupparsi in un clima sociale favorevole”, resta comunque ancora la convinzione che alla tutela dell’ambiente si accompagni una riduzione del margine di profitto da parte dell’impresa, anche se “esperienze a livello internazionale hanno invece dimostrato il contrario: una maggiore responsabilizzazione ambientale porta a risparmiare materie prime, energia, acqua, riducendone i costi per l’azienda che sono in prospettiva crescenti data la sempre maggiore consapevolezza della loro scarsità”.

Fin dagli anni ‘70 il problema della contabilizzazione delle esternalità è apparso in tutta la sua importanza, in quanto le imprese che sostengono i costi per la salvaguardia ambientale sono contabilmente svantaggiate rispetto alle altre poiché a parità di altre condizioni evidenziano un Valore Aggiunto inferiore; diventa quindi necessario allargare i confini tradizionali della contabilità generale d’esercizio, generalizzando e valutando positivamente l’inserimento delle voci dei “costi ambientali”.

Ciò è ancor più vero se si considera l’aumentata sensibilità da parte delle imprese rispetto ai problemi di eco-compatibilità produttiva che ha prodotto la consapevolezza che le spese di natura ambientale non devono più essere intese come semplici esternalità; si va cioè superando la concezione secondo la quale le spese ambientali vengono considerate elementi reddituali negativi dell’impresa da scaricare come costi sociali collettivi.

Il bilancio ambientale non deve essere considerato come il bilancio sociale d’impresa, ossia come documento orientato al miglioramento delle pubbliche relazioni, soprattutto perché in questo modo vi sarebbero molte conseguenze negative riguardanti specialmente la mancanza di notizie precise, trasparenti e chiare sulle ricadute ambientali dell’attività d’impresa.

E’ necessario un riconoscimento legislativo che renda obbligatoria la presentazione del bilancio socio-ambientale, che integri e affianchi il normale bilancio d’esercizio, per costringere le imprese ad analizzare e pubblicizzare il grado di perturbazione delle condizioni ambientali causate dal proprio ciclo produttivo e consentire così di avviare un processo culturale d’impresa che sia orientato non solo al raggiungimento del “profitto ad ogni costo” ma che si ponga come obiettivo anche la salvaguardia degli interessi socio-ambientali collettivi. Si tratta in sostanza di realizzare un diverso modello di sviluppo incentrato non solo sulle leggi ferree del mercato, ma che si basi anche sull’attuazione di forme di economia sociale a carattere ecosolidale e cooperativo.

4. Per un’economia dello sviluppo solidale a carattere eco-sociale e cooperativo con connotazioni fuori mercato

Va rilevato allora che, già da subito, per dare un senso socio-economico alla costruzione dei bilanci ambientali, è necessario effettuare delle scelte strategiche di politica economica generale che operino congiuntamente sulle emergenze dell’occupazione e della salvaguardia ambientale. E’ fondamentale coordinare il concetto di sviluppo sostenibile con quello di incremento di una diversa ricchezza, realizzabile anche attraverso investimenti in processi, di innovazione ad alto contenuto di capitale immateriale ed ambientale, in grado di modificare radicalmente i modi di produzione e la funzione e natura stessa dei beni prodotti.

Si tratta in sostanza di realizzare un diverso modello di sviluppo incentrato non solo sulle leggi ferree del mercato, ma che si basi fondamentalmente sull’attuazione di forme di economia sociale a carattere ecosolidale e cooperativo con connotazioni e logiche fuorimercato.

Diventa allora centrale per un’iniziativa sociale politico-ecologica antagonista aprire una battaglia per modificare le forme di organizzazione produttiva attuali con altre più rispettose dell’ambiente, della vita umana, delle risorse a partire dall’inversione delle regole del modello neo-liberista.

I principi ispiratori di un diverso sviluppo, di un nuovo modello riguardano certamente la prevenzione e il miglioramento della performance ambientale d’impresa ma mettono al centro del dibattito non necessariamente la crescita economico-produttiva, ma la crescita della valenza sociale del vivere collettivo. Questi principi fanno riferimento non alle priorità aziendali ma alle priorità sociali, al miglioramento continuo della qualità della vita, alla formazione del personale non incentrata sulle logiche di competitività di un nuovo darwinismo economico, alla valutazione preventiva degli impatti socio-ambientali riguardanti il Nord e il Sud del mondo, dei prodotti e dei servizi orientati a una nuova qualità dei bisogni, all’assistenza al consumatore e a garantire universalmente i consumi di sopravvivenza, ai piani di emergenza sociale, al trasferimento di tecnologia non con finalità da neocolonialismo, ecc.

Va considerato, poi, che non vi è ancora una cultura adeguata che si indirizzi alla formazione di personale specializzato. E’ fondamentale comprendere che vanno contrastate non solo le diversità economiche ma anche le differenze di istruzione e di informazione che portano a condizionamenti più o meno pesanti dal punto di vista culturale. Gli emarginati, gli esclusi possono arrivare a raggiungere una propria dignità anche attraverso la parità culturale. Quindi “l’eguaglianza di accesso ai mezzi di conoscenza - con la creazione di libere reti di informazione e di cultura “alternative” rispetto a quelle del Sistema - va messa al primo posto tra i nostri obiettivi.

E’ indispensabile pertanto sviluppare nuove politiche socio-ambientali in grado di mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo, a cominciare dalla possibilità concreta di generare nuova e diversa occupazione, di incrementare la ricchezza sociale in un’ottica di miglioramento della qualità della vita dell’intero genere umano e di ogni specie vivente.

Il fine è quello di sostituire le idee economiciste del sistema attuale con quelle di solidarietà umana, internazionale e anticapitalistica; questo per contrastare la crescente globalizzazione dell’economia che al grido di “vincano i più forti” sta devastando e distruggendo ogni dimensione della civiltà umana, dell’ambiente, delle solidarietà sociali.

E allora è necessario contrastare il potere del mercato, realizzando un miglioramento delle condizioni umane e ambientali attraverso l’articolazione di un vero e proprio sodalizio fra ricerca scientifica e iniziativa politico-sindacale che ponga al centro i bisogni reali dei popoli, per arrivare a una effettiva solidarietà internazionale capace di realizzare un modello di sviluppo solidale fuori-mercato socio-ecocompatibile.

La necessità di un movimento internazionale della sinistra di classe che trova le sue ragioni nelle problematiche socio-ecologiche e il suo fondamento sulle ragioni delle masse dei non garantiti, è diventato ormai sempre più fondamentale soprattutto in vista della crescente crisi del capitalismo mondiale e del peggioramento delle condizioni economiche, sociali ed ecologiche globali. La classe lavoratrice, inserendo ovviamente in questa i disoccupati e i non garantiti, deve comprendere che il degrado dell’ambiente è ormai una problematica cruciale per ogni movimento antagonista, poiché derivata dal complessivo meccanismo di sfruttamento del modello di sviluppo neo-liberista. E’ allora centrale per l’iniziativa sociale e di riflessione scientifica di una nuova sinistra antagonista ”sviluppare una sensibilità verso la scienza e l’ecologia” e al tempo stesso riconoscere che “la distruzione della natura nel mondo capitalista si basa sullo sfruttamento di classe e sulle leggi che muovono il capitale”.

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Vasapollo L., Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale d’impresa in “Finanza Italiana”, mensile economico-finanziario, Anno V, N.11-12, Novembre, Dicembre 1997.


[1] Su queste tematiche si vedano gli art. di R.Martufi sul n.0 di PROTEO e l’art. di L.Vasapollo “Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale d’impresa” su “Finanza Italiana”, mensile economico-finanziario, Anno V, N.11-12, Novembre, Dicembre 1997.

[2] Cfr. L.Vasapollo “Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale d’impresa” su “Finanza Italiana”, mensile economico-finanziario, Anno V, N.11-12, Novembre, Dicembre 1997.

[3] Cfr. Matacena A., “Impresa e ambiente. Il bilancio sociale”, CLUEB Bologna, 1984.

[4] Cfr.Azzone G., Dubini M., “Indicatori per la misura delle prestazioni ambientali delle imprese”, Istituto per l’Ambiente, Luglio 1993, p.11.

[5] European Green Table (EGT), Environmentale Performances Indicators Industry, Oslo 1993.

[6] Bartolomeo M:, “Environmental Performance Indicators in Industry, Milano ,1995, p.13.

[7] Cfr. Longo E., Ambiente e Impresa. Scenari, organizzazione, normative e controlli, EtasLibri, Milano, 1993.