Rubrica
La transizione difficile

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

José Luis Martín Romero
Articoli pubblicati
per Proteo (3)

Dottore in Scienze Sociologiche. Preside del Dipartimento di studi sul lavoro del Centro di Ricerche Psicologiche e Sociologiche, Istituto cubano appartenente al Ministero di Scienza, Tecnologia ed Ambiente

Argomenti correlati

America Latina

Cuba

Nella stessa rubrica

L’integrazione europea e l’organizzazione scolastica e formativa
Annamaria Crescimanni

Il riaggiustamento economico-produttivo cubano degli anni ’90 e le sue conseguenze sul mondo del lavoro
José Luis Martín Romero

 

Tutti gli articoli della rubrica "La transizione difficile"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il riaggiustamento economico-produttivo cubano degli anni ’90 e le sue conseguenze sul mondo del lavoro

José Luis Martín Romero

I differenti spazi di azione economica di base per le organizzazioni dei lavoratori

Formato per la stampa
Stampa

II. Il multispazio economico. Il Sistema di Relazioni Sociali nel lavoro nei differenti spazi economici

a) Il multispazio economico e gli spazi

economici che include

Quando nei nostri articoli parliamo di multispazio economico ci riferiamo a qualcosa che si spiega da sé, cioè, designa la coesistenza nello stesso tempo storico di differenti spazi di azione economica per singoli e organizzazioni di lavoro.

Ora, gli spazi economici sono ambiti di azione degli oggetti, dei mezzi e della forza lavoro, che si differenziano tra di loro per il modo particolare in cui si configurano al loro interno i seguenti elementi:

• Il tipo di proprietà dominante (statale, mista, cooperativa, privata).

• Il grado del vincolo con la pianificazione o con il mercato come meccanismo di regolamentazione.

• La forma di gestione e dei meccanismi o/e delle prerogative di amministrazione prevalenti.

• Le condizioni e le relazioni di lavoro caratteristiche al suo interno.

Devo chiarire che il concetto di spazio economico è qualcosa sul quale stiamo ancora lavorando. Malgrado l’esistenza del multispazio sia indiscutibile, la natura, la sua relativa novità e la sua reale complessità fanno si che allo stesso tempo, il numero e il carattere degli spazi economici, così come le loro frontiere, siano ancora elementi imprecisi o difficili da delineare. È probabile, soprattutto, che questi elementi già identificati possano svilupparsi maggiormente al suo interno.

Per cominciare, intanto, privilegiamo il tipo di proprietà come tratto distintivo fondamentale, sebbene ciò che è veramente caratteristico è la configurazione dei tanti fattori e mai uno solo di essi.

Oggi, a Cuba, facciamo distinzione tra due spazi economici, uno reattivo e uno non reattivo. Il primo è sottoposto a meccanismi di finanziamento monetario, questo ha permesso in generale di realizzare una gestione riproduttiva del denaro ottenuto inizialmente attraverso un movimento economico più autonomo e un vincolo più diretto con il mercato interno ed estero. Comunemente in questo spazio si incontrano relazioni e condizioni di lavoro più favorevoli rispetto a quello non reattivo e anche aggregazioni culturali nella gestione imprenditoriale più legate alle impostazioni attuali a livello internazionale.

Nel caso del non reattivo (che raggruppa più della metà delle imprese cubane) le sue imprese o unità economiche dipendono completamente dalle sovvenzioni statali e le attività o non sono propriamente mercantili o lo sono solo nei limiti locali.

Questo è uno spazio relativamente svantaggiato soprattutto per quelle unità che sono propriamente imprese. La sua cultura gestionale segue vecchi schemi e le loro condizioni e relazioni di lavoro sono, rispettivamente, inadeguate o sottoposte alla vecchia usanza.

Lo spazio misto è formato da entità economiche dove esistono in associazione diverse modalità della proprietà statale e straniera. È uno spazio emblematico del riaggiustamento, cioè del rinnovamento economico produttivo.

Lo spazio cooperativo è costituito dalle due forme di associazione e gestione collettiva che oggi caratterizzano il lavoro e l’attività economica agricola a Cuba. Ossia questo spazio è occupato dalle Cooperative di Produzione Agricola e Pastorizia (CPA) e le Unità di Base di Produzione Cooperativa (UBPC). La differenza sta nell’origine rurale delle prime e operaia delle seconde. Questo spazio è soggetto, a nostro parere, ad ampliamenti con attività di produzione in aree urbane.

Lo spazio privato è rappresentato fondamentalmente dalle attività per conto proprio. Sebbene sia possibile legalmente la proprietà straniera al 100%, in realtà, difficilmente esiste un’impresa in quella condizione. Anche in questo spazio esistono piccoli agricoltori privati, che non sono un numero irrilevante, ma sono un gruppo di contatto con lo spazio cooperativo; gran parte di essi è associato a cooperative creditizie e di servizi.

Per lo spazio misto, come per la massa critica degli operai del settore cooperativo e del privato, il loro spazio è vantaggioso in termini relativi e il suo vincolo, più o meno diretto con il mercato, sebbene abbia i suoi rischi, ha un’immagine più chiara rispetto a quello statale non reattivo. È chiaro che quando la cooperativa non produce buoni risultati o esiste solo un privato, quei vantaggi scompaiono. Anche nello spazio misto l’insicurezza pende come la spada di Damocle su molte imprese nella cui associazione c’è un solo socio straniero debole.

Oltre a tutti questi spazi descritti esiste uno spazio residuo dove vengono ubicate sia l’inattività che la disoccupazione, o l’attività illegale dell’economia sommersa. Sebbene sia chiaro che disoccupati ed illegali siano due gruppi in contatto permanente, non è neanche corretto identificarli. I disoccupati dipendono dall’appoggio familiare -a volte statale- o da un eventuale lavoro privato. Gli illegali si occupano quasi sempre di attività economiche parassite, che si arricchiscono attraverso lo scarso controllo dei restanti spazi, o sono semplicemente criminali. È lo spazio della disfunzione economica, del lavoro nero o dell’inattività.

La capacità sociale del lavoro a Cuba viene distribuita essenzialmente tra questi spazi, anche se non bisogna intendere che tutte le forme di lavoro reale si possano ripartire in questa distribuzione. La stessa crisi ha potenziato diverse e imprecisate quote di lavoro sommerso dentro e fuori delle mura domestiche, allo stesso tempo non si possono dimenticare diverse forme più o meno tradizionali di lavoro volontario, comunitario o di attivismo politico che qui, non per disattenzione, non possono considerarsi.

b) Il sistema delle relazioni sociali dell’occupazione nei diversi spazi economici

Il nostro gruppo di ricerca [1] nell’anno 2000 sviluppò lo studio intitolato Riaggiustamento e Lavoro negli anni ’90 dal cui testo estraggo il contenuto essenziale di questo articolo [i]. Studieremo la problematica dell’occupazione, ma, inoltre, il comportamento multispaziale del Sistema delle Relazioni Sociali nell’Impiego (SRT) e della soggettività. Per ragioni tecniche, economiche e pratiche non studiamo in questa occasione o non includiamo in questo articolo lo spazio privato e quello residuale.

Mi limiterò, inoltre, a rendere conto del comportamento del SRT in ogni spazio.

b-1) Lo spazio statale non reattivo

Le persone o i gruppi con i quali entrammo in contatto in questo spazio conservano un forte legame con la loro professione accompagnato da un’elevata autostima professionale (bisogna considerare che una buona parte di questo spazio è occupato da operatori sanitari, dell’educazione, dell’amministrazione statale, etc) in permanente lotta per realizzarsi in un contesto sfavorevolissimo al loro esercizio.

Esiste un insieme di fattori, come il congelamento dei posti di lavoro e fino a poco tempo fa dei salari, la mancanza di rinnovamento tecnologico, le cattive condizioni di lavoro e il funzionamento irregolare delle diverse unità, che fanno sì che la qualifica o la competenza lavorativa siano caratterizzate dal congelamento o incluso dalla tendenza allo scioglimento.

A questo processo si accompagna una forte tensione psicologica, per cui il grado di istruzione su cui contano li spinge al superamento mentre la situazione reale di lavoro li inibisce. Sebbene in alcuni segmenti come la sanità e l’istruzione vi appaiano soluzioni palliative e persino di miglior raggiungimento con gli sforzi del paese per non perdere i loro traguardi, nell’area industriale di questo spazio la contraddizione è viva e vegeta.

Riassumendo: diminuiscono i contenuti e questo, in molti casi, danneggia la specializzazione.

Le severe limitazioni delle risorse materiali e finanziarie, unito ad una apatia culturale della gestione di questo spazio, provoca che i sistemi di controllo che sono sopravvissuti possano individuare con chiarezza la mancanza di impegno né possano rispettivamente gratificare o sollecitare adeguatamente il lavoro ben fatto o mal fatto a seconda del caso.

La motivazione lavorativa, dal canto suo, è fortemente marcata dalle necessità della sopravvivenza, e solo alcune attività professionali si difendono a tutti i costi e sostengono la volontà di un maggior impegno. La speranza e la fiducia nel cambiamento sono un contrassegno di questo spazio.

Vale a dire: le motivazioni si spostano dall’area lavorativa verso quella extra-lavorativa (o estranea al vincolo lavorativo concreto) e i sistemi di incentivazione hanno pochissime possibilità di arginarle.

Nelle condizioni anzidette manca un sostegno che renda possibile la partecipazione collettiva alla presa di decisioni. Sebbene si possa contare su nuove impostazioni finalizzate alla partecipazione, queste sono legate a vecchi funzionamenti formali. Le scarse possibilità di trovare una soluzione ai problemi opprimono l’iniziativa, al contempo la competitività per un maggiore impegno manca di uno stimolo reale.

L’applicazione e l’impegno si vedono sostituiti dalla “cultura dell’attesa”, dalla speranza in agenti esterni alle unità economiche, dalle spinte forti del cambiamento. C’è una potenzialità dell’attività partecipativa che proviene da un passato senza obiettivi e da un presente ed un futuro incerti. La crisi ha sottoposto l’identità socio-politica dei soggetti lavorativi di questo spazio ad una forte tensione.

In conclusione, nello spazio statale non reattivo si distinguono nitidamente gli effetti della crisi: la specializzazione viene oppressa, le motivazioni vengono attenuate e non si approfitta delle potenzialità di partecipazione.

b-2) Lo spazio statale reattivo

Qui vengono concentrate le imprese che hanno potuto affrontare gli impatti impressionanti della crisi e che oggi hanno iniziato a dar cenni di recupero. Ciò è stato possibile perché, con l’aiuto della pianificazione, seppero conquistare una quota del mercato.

Le condizioni di immobilità tecnologica provocate dalla crisi non hanno permesso il miglioramento di qualifica della maggior parte dei lavoratori di questo spazio, malgrado i dirigenti, i funzionari e parte del personale tecnico, si siano associati per dar vita a processi di formazione continua come non esistevano negli anni ’80.

Ciò si deve alla necessaria combinazione di tecniche di direzione, di mercato, di aumento delle attività a livello informatico che si sono dovute attuare per elevare la competitività. È successo anche che certi investimenti in aree chiave hanno motivato questa specializzazione.

Cioè, c’è una divisione nell’aumento della specializzazione nei segmenti direttamente o indirettamente vincolati alla produzione o al servizio che si presta e i cambiamenti sono stati più intensi nelle relazioni dell’impresa con il suo intorno e con il mercato, che è il terreno della sua attività o ragione sociale specifica.

In questo spazio, pertanto, c’è un livellamento verso il basso tra la specializzazione e la domanda dei contenuti, tra quelli legati direttamente alla ragione sociale dell’impresa e un livellamento crescente, in ascesa, ma -potremmo aggiungere- ancora incompleto tra i lavoratori legati indirettamente alla ragione sociale.

In questa struttura sono stati attivati sistemi di incentivazione, che, malgrado siano influenzati da delimitazioni centralizzate e presentino alcune incongruenze, hanno saputo rispondere alle motivazioni proprie della sopravvivenza. Per i lavoratori indiretti possiamo intuire che certe motivazioni vincolate alla condizione sociale sembrano avere certamente una migliore prospettiva.

Comunque, sebbene il salario si consideri insufficiente, soprattutto se relazionato allo sforzo che di norma bisogna impiegare (si tenga in conto che si lavora in una economia bloccata), le imprese dello spazio reattivo possono contare sull’attrazione che esercitano i vantaggi in confronto all’altro spazio statale, con l’elemento aggiuntivo che i restanti spazi non sono zone né di libero né di facile accesso e ci sono molte professioni e mestieri con scarsa elasticità occupazionale.

Sto dicendo che c’è una maggior aderenza relativa in questo spazio tra la motivazione e l’incentivazione (la sanzione di non ricevere incentivazioni è parte del sistema), ciò non implica assolutamente e neanche lontanamente un funzionamento che si avvicini a quello ideale.

La partecipazione dei lavoratori alla direzione in questo spazio ha un comportamento molto interessante e non si può perdere di vista, poiché si presenta su due piani e con un comportamento diametralmente opposto: la partecipazione al processo di lavoro si è incrementata enormemente, fino alla co-decisione in molti casi. Tuttavia, in tutto il processo vitale dell’organizzazione, cioè nella sua politica di investimento, i suoi sistemi di incentivazione, la sua politica di specializzazione, etc, la partecipazione riprende vecchi comportamenti formali, inconsistenti e al fine nulli.

Succede che la partecipazione al processo di lavoro è colpita dall’enorme ruolo che giocano, nella fase di recupero, la creatività e l’iniziativa nelle difficili condizioni in cui oggi si producono. A questo bisogna aggiungere che nella crescita dei poteri direzionali -molto influenzati dall’”esperienza del mondo sviluppato”- è stato utile considerare l’opinione popolare e dei lavoratori in aspetti tecnici od organizzativi che gravano sul processo di lavoro, non così in altri aspetti che implicano il vero e proprio esercizio del potere.

Nel processo di vita organizzativa gli operai passano da soggetto ad oggetto delle decisioni, che non possono essere svincolate dalle diversificazioni che ci sono state nel piano della specializzazione.

In concreto la partecipazione è senza dubbio cresciuta, ma con carattere strumentale, subordinato ed utilitaristico, mentre il flusso della conoscenza scorre nello stesso senso degli interessi del potere reale dentro le strutture lavorative e non nel senso di un potenziamento integrale e reale dei lavoratori.

Siamo davanti ad uno spazio che cambia, che amalgama nuovi elementi e sviluppa nuove relazioni, tuttavia non ha lasciato dietro di sé vecchi segni del passato e neanche tutto ciò che ha incorporato coincide con ciò che potremmo chiamare un futuro allettante. Sicuramente il futuro renderà più chiara la differenza tra apprendere dai capitalisti ed apprendere come essere capitalisti.

b-3) Lo spazio misto

Sebbene qualcuno si sorprenda, il riscontro legale dell’apparizione dello spazio misto esiste dal 1982 con il decreto 50 del Consiglio di Stato, tuttavia è sorto realmente dalla seconda metà degli anni ’90, ovvero è un prodotto della fase del riaggiustamento.

Secondo gli studiosi gli aspetti più importanti della strategia economica che avviarono il riaggiustamento sul piano esterno furono la promozione e l’apertura verso il capitale straniero, la ristrutturazione del commercio estero (decentralizzandolo) e lo sviluppo accelerato del turismo internazionale. L’ampliamento dell’investimento estero dal 1995 creò il contorno propizio alla conferma e successiva estensione di ciò che abbiamo denominato spazio misto.

Come si può supporre -e malgrado la sua eterogeneità- lo spazio misto ha aperto la strada ad un sistema veramente inedito nell’esperienza cubana di quasi nove lustri di Relazioni Sociali nel lavoro.

Lo spazio misto ha promosso una logica dell’arricchimento del lavoro nella concezione stessa dei contenuti che non può intendersi se non come un beneficio. In generale la specializzazione è corrispondente alla richiesta di contenuti e di fatto è frequente la ultra-specializzazione.

Ciò è spiegato dal relativo esodo che si è prodotto da molte attività professionali in direzione del turismo e altri settori dove esistono associazioni di capitale misto alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e accesso alla valuta estera per mezzo di schemi di incentivazione che la includono o attraverso extra nel caso del turismo, etc.

Ciò che sembra anche una norma è che gli schemi di specializzazione permanente non sono dove si vuole e, di fatto, dipendono dal grado in cui l’investimento favorisce l’innovazione tecnologica che non è un tratto generale né permanente. Di buon grado l’innovazione tecnologica a Cuba non è espressa dall’investimento straniero ma dallo sforzo, a volte eroico, dello Stato cubano, dalla nazione.

La discrepanza generale, rafforzata dalla doppia moneta, esistente tra le entrate per il lavoro a Cuba ed il costo della vita, è molto più attenuata in questo spazio perché le migliori condizioni diminuiscono le spese personali (vestiario, calzature, trasporti, alimentazione) e permettono, come si è già detto, un accesso più diretto alla valuta estera. Questo crea un condizionamento motivazionale di risalita. In questo senso i sistemi di incentivazione di questo spazio vengono a coincidere con motivazioni di natura materiale, sebbene in misura minore con la natura meno obiettiva e più vicina ai sentimenti, i valori, le condizioni umane.

Da un certo punto di vista questo sottosistema, sebbene funzioni meglio in questo spazio che in qualunque altro, giacché aderisce molto di più a motivazioni che lo stesso orientamento del paese rende dominanti, presenta anch’esso delle disfunzioni.

Da una parte perché predominano schemi simili a quelli dello spazio statale reattivo, dall’altra perché dipende dal funzionamento imprenditoriale in cui gli operai non possono influire e in tutti i casi perché il collettivo non partecipa all’elaborazione e alla definizione delle forme e dei meccanismi di incentivazione.

Di modo che in questo spazio, sebbene il ruolo auto-regolante del sottosistema di incentivazione avviene meglio che nello spazio statale, neanche si realizza un modello da seguire e gli si può pronosticare un’efficacia temporanea che dipenderà dalla permanenza dei vantaggi comparativi di questo spazio in base alle condizioni di lavoro e le risorse materiali.

La partecipazione dei lavoratori alla dirigenza, all’interno dello spazio misto, ha delle similitudini concettuali con quella dello spazio reattivo, anche se con tratti molto più distintivi nel loro ruolo di rafforzamento della dirigenza ed in base a dei limiti posti da altri aspetti che bisogna considerare.

L’iniziativa e la creatività hanno un’amplia copertura e grande spazio di estensione; l’emulazione per un migliore impegno ha degli atteggiamenti difformi, ma relativamente accettabili. Comunque, la democrazia operaia, sebbene conti sull’esempio di altri spazi (assemblee sindacali, etc) si trova a metà tra il timore di infastidire l’amministrazione straniera e l’inaccessibilità dell’opinione popolare alla determinazione della politica imprenditoriale.

Le relazioni con l’amministrazione sono di una varietà enorme e non permettono generalizzazioni. Ci sono degli amministratori che si confondono con i membri del collettivo e altri che addirittura ricordano ai borghesi gli anni precedenti alla Rivoluzione.

In due parole: è una partecipazione a favore del beneficio delle imprese e non del beneficio dei lavoratori. Chiaro che ci sono delle sfumature qui e là, ma quanto scritto è valido in generale.

Il Sistema di Relazioni Sociali nel Lavoro nello spazio misto presenta progressi in relazione alla fase precedente gli anni ’80 negli aspetti puntuali di tutto il sottosistema e bisogna accettare che raggiunga livelli di efficacia superiore nell’esecuzione della missione organizzativa; comunque, non è per niente un modello da seguire né potrebbe sperarsi che lo fosse. L’efficacia sociale del lavoro, la crescita umana è un tema irrilevante per l’SRT predominante in questo spazio.

b-4) Lo spazio cooperativo

La creazione delle UBPC nel settembre del 1993, quando lo stato ha ceduto in usufrutto il 70% della sua terra all’amministrazione dei collettivi operai, convertiti anche in padroni della produzione e dei mezzi di lavoro, ha rappresentato il cambiamento radicale che provocò la nascita di questo spazio economico.

Le cooperative agricole (CPA) esistevano già da prima, ma né la grandezza proporzionale della sua terra, né il numero degli effettivi, né il suo ruolo economico -sempre subordinato alle imprese agricole statali- giustificavano l’identificazione di uno spazio economico propriamente detto.

L’incorporazione delle UBPC a questa forma di proprietà ha evidenziato il cambiamento definitivo. Il peso effettivo di questa decisione forse non è ancora possibile da misurare, comunque l’esame dei tratti del SRT che si sviluppa al suo interno permette di distinguere bagliori che non possono passare inosservati.

Nello spazio cooperativo la specializzazione è venuta ad aderire ai contenuti del lavoro in una forma involutiva. Vuol dire che, sebbene il “ritorno” a forme più tradizionali di produzione non debba implicare necessariamente una regressione qualitativa, potrebbe essere vincolata allo sviluppo di un’agricoltura avanzata, ciò che è sicuro è che la specializzazione ha dovuto anzi adattarsi alla trazione animale e ad altri metodi più primitivi senza realizzare un ri-orientamento specialistico né un corrispondente di tipo tecnologico.

Sia nel piano oggettivo che in quello soggettivo, ciò che è successo è un regresso alle forme più primitive del lavoro, in funzione dell’impossibilità di usare parte dei mezzi meccanici di cui si dispone per mancanza di pezzi di ricambio, combustibile o per deterioramento dei mezzi stessi.

In questo spazio c’è una certa immobilità della specializzazione che si interrompe solo con l’introduzione di alcune tecnologie di irrigazione, l’utilizzo di agenti biologici o l’applicazione dell’inventiva soggettiva e non pianificata alla risoluzione di problemi tecnici.

L’aumento più importante della specializzazione si è riscontrato non nei contenuti ma nelle relazioni di lavoro; per questo è dovuta emergere necessariamente una nuova considerazione rispetto alla proprietà e così i lavoratori di tutte le categorie e i generi hanno dovuto acquisire capacità dirigenziali e auto-educarsi nell’implicazione e nel legame con ciò che si fa e con cosa si fa.

Infine, in una cornice di mancanza di approccio alla specializzazione, nel lavoro fisico va producendosi un’ascesa singolare della competenza per essere proprietario collettivo dei mezzi di produzione.

Il meccanismo di incentivazione in questo spazio è segnato dalla riuscita o meno della gestione cooperativa e la corrispondenza che ha con una certa omogeneità nelle motivazioni dell’uomo di campagna: efficienza produttiva, consumo proprio, un’abitazione decorosa, entrate alte e stabili, prestigio personale e benessere collettivo.

La condizione di autogestione delle cooperative permette di garantire, quando c’è un buon risultato, che si trovino risorse per dare una copertura a queste motivazioni, non così quando non c’è il risultato atteso. Il fatto, comunque, che è il collettivo che determina cosa, come, quando, quanto e a chi bisogna stimolare, è una chiave importante per capire che esiste un controllo eccellente, nella maggior parte delle cooperative e in tutte quelle che abbiamo conosciuto, che hanno tutte una buona riuscita nelle relazioni di lavoro.

Ora, nello spazio cooperativo l’emulazione si è concretizzata molto di più poiché c’è più chiarezza, l’impegno si può constatare direttamente ed economicamente. Si continuano a seguire vecchie prassi, ma è cambiata la sostanza. Lo spiegamento dell’iniziativa e della creatività, sebbene con carattere palliativo e regressivo ha avuto un grande sviluppo a ragione della sopravvivenza delle unità.

Ora nella democrazia lavorativa e nell’area dirigenziale si sono fatti passi da gigante messi in risalto dalla direzione collettiva e dalla chiara implicazione economica nell’attività lavorativa degli operai di questo spazio.

La rimozione e la sostituzione dei dirigenti è comune nelle cooperative, come è vero che tutti i lavoratori a lunga permanenza al loro posto (molte volte sono gli stessi che dirigono cooperative con buon esito) si caratterizzino in funzione dei loro subordinati con metodi altamente partecipativi.

La richiesta più frequente è quella dell’autonomia (le UBPC continuano ad avere la guida metodologica e continuano a fare da via di comunicazione con il mercato nell’Impresa Statale Agricola che prima amministrava), autonomia che non può vedersi se non come risultato diretto della crescente implicazione economica.

In questo spazio sta sorgendo un nuovo soggetto lavorativo: il cooperativista.

III. Una conclusione provvisoria

La complessa eterogeneità, che caratterizza la vita lavorativa cubana in conseguenza del multispazio economico generato dal riaggiustamento economico complessivo, ha un’espressione chiara nei sistemi delle relazioni sociali nel lavoro che si trovano nei diversi spazi economici.

La diversificazione del soggetto popolare e del lavoro e dei suoi vincoli con la pianificazione o con il mercato è accompagnata inoltre da un’alta complessità.

Ci sono ovviamente vincitori e perdenti nel processo di riaggiustamento, c’è un mondo soggettivo ambivalente in corrispondenza alle contraddizioni del mondo oggettivo. Scompaiono antichi protagonisti sociali, sorgono nuovi soggetti sociali del lavoro.

La contraddizione tra le entrate e il costo della vita delinea la realtà attuale e condiziona il grosso della condotta lavorativa e sociale in generale.

Il livello di specializzazione e la domanda di contenuti scendono nella maggior parte delle unità lavorative, le tradizionali condizioni del meccanismo o sottosistema di incentivazione in generale si mantengono, sebbene in alcuni spazi (soprattutto in quello cooperativo) c’è il segnale di un cambiamento.

La partecipazione si è mossa in senso positivo, una via di mezzo che sta tra la cultura del lavoro da una parte e la direttrice tipicamente cubana dall’altra.

 

***

Cuba cambia, amici e amiche che ci state leggendo, i segni del futuro sono contraddittori: vanno dal molto preoccupante al molto promettente, lo studio continua... verranno nuove conclusioni...


[1] Il gruppo è diretto dall’autore ed è composto da: José Luis Nicolau, Armando Capote, Juan Carlos Campos, Isabel Candelé e Arnaldo Pérez, oltre alla nostra ausiliaria Yanet Castellanos. Si chiama Gruppo degli Studi sul Lavoro.

[i] Reajuste y Trabajo en los ’90. Dr. José Luis Martín Romero. Fondi del CIPS. 2000.