1. Premessa
La cultura si conquista attraverso un processo individuale di
formazione della propria personalità, ma nel contesto di un’esperienza
sociale consapevole che è appunto la azione educativa dello Stato o di ogni
altra associazione che si ponga come “Stato” e la scuola è lo strumento
più importante dell’opera statale di direzione culturale.
Accettando la definizione gramsciana di cultura e di
intellettuale (specialista + politico e quindi oltre ai letterati anche i
tecnici) non vi è dubbio che la scuola resta lo strumento fondamentale per
elaborare gli intellettuali.
Non bisogna dimenticare che la scuola deve formare
intellettuali di vario grado, secondo una scala verticale di specializzazione.
Non servono solo gli intellettuali dell’alta cultura e della tecnica superiore
e comunque non si formano gli intellettuali di grado elevato se non si sono
curati i gradi intermedi.
Nel moltiplicarsi delle specializzazioni tecniche, richieste
a loro volta dallo sviluppo delle forze produttive della società moderna, è
una necessità obiettiva implicita il crescente moltiplicarsi dei tipi di
organizzazione scolastica educativa e culturale.
Si tratta di esigenze nel campo dell’istruzione e
formazione culturale (prima che professionale) particolarmente evidenti oggi che
strumenti (visivi ed informatici) consentono, oltre che richiedere per sé
stessi, una diversa organizzazione della didattica.
La complessità della funzione intellettuale richiede dunque
una coerente organizzazione scolastica, anch’essa disegnata secondo gradi
verticali di complessità e pari dignità formativa.
Purtroppo però non sembra di poter dire che coloro che hanno
attualmente la responsabilità della coerenza del ciclo dell’istruzione e
della formazione, come chi l’aveva prima di questi, si siano posti il compito
di coordinare l’azione degli operatori dei diversi livelli scolastici in
funzione di un progressivo arricchimento culturale delle nuove generazioni. Il
risultato si vede nelle ultime proposte per la scuola del governo attuale, così
come nelle proposte per l’Università del precedente governo.
La decisione di scrivere questo articolo parte proprio da
questa constatazione fondamentale: al di là di alcune differenze anche
importanti, gli obiettivi sostanziali di formazione dei giovani, contenuti nel
progetto di riforma scolastica e universitaria del governo di centro sinistra,
non sono stati mutati dal governo di centro destra.
Evidentemente la stragrande maggioranza degli uomini della
politica, della cultura e dei tecnici del mondo dell’istruzione e della
produzione, a prescindere dalle specificità dei partiti di appartenenza o
vicinanza, concordano su quale debba essere il ruolo primario dell’insegnamento,
in funzione di quali interessi debba essere organizzato.
Questa convergenza tutto sommato è coerente con quanto ci ha
insegnato Gramsci, ossia che l’autonomia degli intellettuali, la loro
indipendenza dal gruppo sociale dominante è una utopia sociale.
Come dice ancora Gramsci il tipo tradizionale e volgarizzato
(nel senso di conoscenza comune) dell’intellettuale è dato dal letterato, dal
filosofo, dall’artista. Tra questi si pongono senz’altro come caso “patologico”
molti giornalisti-opinionisti che, con qualche giustificazione (visto che i loro
libri, letteralmente riempiono gli scaffali delle librerie e che spesso godono
di grande spazio non solo sui giornali e nelle televisioni, ma anche nelle
scuole e nelle università), si sentono sicuramente letterati, filosofi, artisti
e quindi intellettuali. Ciò nonostante meraviglia un poco che anche uomini
politici ideologicamente (?) schierati, su un tema chiave come è quello della
formazione dei giovani convergano, a prescindere dalle diverse visioni del
mondo.
La questione a ben vedere non riguarda solo l’Italia ma,
anche se il dibattito ha poco rilievo ovunque, riguarda l’intera Europa.
Possiamo senz’altro dire che, come nel passato più o meno
remoto (anni ’40-’80), anche oggi vi è concordanza di vedute nella
maggioranza degli uomini di cultura europei e, almeno nelle dichiarazioni
ufficiali, anche negli uomini di governo (di destra- centro -sinistra). Solo che
la risposta di allora è diversa da quella di oggi.
Da pochi possiamo aspettarci quanto ieri, in via di
principio, non era messo in discussione da nessuno “...la educazione è la
condizione elementare della vita spirituale e morale dell’uomo del futuro...
la vita per l’ignorante è moralmente insopportabile... Gli interessi dei
giovani sono gli interessi di tutta la società”.
Sia nella società che tra gli esponenti della cultura
dominante nei diversi paesi della comunità, sia che governi una forza
conservatrice o progressista, difficilmente verrebbero date risposte di questo
genere, questo per un motivo semplice: perché il giovane in formazione non è
visto più come il futuro cittadino, ma come il futuro lavoratore.
Questo perché, in questa fase dei rapporti internazionali, i
paesi dell’Europa sono profondamente condizionati dagli interessi economici.
2. L’Europa Unita dall’Euro
L’Europa ha iniziato ormai da diversi anni, ma non ha
ancora completato, il processo di trasformazione in un unico soggetto
sovranazionale, né la sua realizzazione appare a tutt’oggi vicina.
I soli interessi che sembrano godere di un riconoscimento
comune e che evidentemente fanno pensare alla possibilità di un consolidamento
in una struttura sovranazionale, sono appunto quelli economici.
Non a caso la prima realizzazione importante è stata quella
della moneta unica, l’euro. Essa dovrebbe dare concretezza in Europa, ma
soprattutto nel resto del mondo, all’idea della sua unicità come potenza
economica e politica.
L’istituzione della moneta unica ha richiesto però un’accelerata
convergenza dei valori di quelli che sono riconosciuti come parametri d’efficienza
dei sistemi economici.
Di conseguenza, in tutti i paesi della comunità domina un
“pensiero unico”, i cui punti fermi sono essenzialmente l’aumento del PIL
e la diminuzione del costo del lavoro e della spesa sociale: dunque,
innanzitutto, della previdenza, della sanità e dell’istruzione pubblica.
In funzione di ciò e sempre a prescindere dall’orientamento
ideologico della forza di governo, è ormai in atto un riassestamento degli
equilibri sociali, a svantaggio della classe lavoratrice.
Si può ben comprendere come questo stato di cose stia avendo
una ricaduta anche nel campo della formazione culturale e professionale delle
nuove generazioni.
Per limitarsi all’Italia, come abbiamo già detto, questo
ha comportato una sostanziale convergenza d’intenti tra gli ultimi governi.
Entrambi infatti parlano di scuola azienda, di studente cliente e di professore
manager.
Non è in discussione la coerenza del governo di destra o del
suo ministro (imprenditore) dell’Istruzione, ma quella del precedente governo,
liberale con la partecipazione del partito socialdemocratico dei Democratici di
sinistra, eredi, ma non sul piano ideale, del vecchio Partito Comunista (PCI).
È responsabilità di questi, infatti, aver introdotto, per
molti imposto, il concetto di scuola e università come azienda, di aver
esaltato il collegamento tra istruzione e necessità del mondo produttivo, di
aver aperto le porte al finanziamento della scuola privata.
In realtà, non per diminuire la loro responsabilità,
bisogna ammettere che nell’attuale fase di sviluppo, non solo l’Italia ma l’intera
Europa ha spostato l’attenzione dalla complessità della funzione
intellettuale (che ovviamente deve comprendere anche l’aspetto professionale)
alla convenienza (per le aziende) della duttilità di una formazione tecnica non
troppo specialistica. Inevitabilmente questo sta lasciando il segno anche nell’offerta
didattica sia della scuola che dell’università.
Lo scopo dell’insegnamento non è più visto nell’arricchimento
culturale del popolo ma nell’addestramento di nuova forza lavoro coerente con
le esigenze del mercato; non è più in funzione della felicità dell’uomo, ma
dell’accrescimento della ricchezza economica della nazione, più precisamente,
dell’arricchimento dei detentori del capitale economico e finanziario.
Visto che per soddisfare gli interessi di questi è
necessario spostare rapidamente i capitali sulle attività via via più
remunerative, diviene necessario formare una forza lavoro sufficientemente
acculturata, perché questo assicura una maggiore capacità di adattamento; ma
non fortemente specializzata, perché questo ne limiterebbe la mobilità.
Ovviamente non si ritiene di poter fare a meno degli
intellettuali, ma evidentemente si pensa di poter formare specializzazioni
tecnico-culturali d’eccellenza a prescindere dalla qualità di tutti i gradi
intermedi, a partire dalla scuola primaria e fino ai corsi universitari di primo
livello.
3. Le azioni della Comunità europea in tema di istruzione
Se dunque non vi è differenza sostanziale tra le politiche
per la scuola e l’università degli ultimi anni, pur dovendo riconoscere che
una politica di destra viene molto meglio se al governo è la destra, è perché
il filo conduttore è comunque la politica europea. È il caso quindi di
ripercorrerne brevemente i documenti ufficiali.
La politica europea in tema di istruzione e formazione
culturale è stata piuttosto intensa, in particolare a partire dal libro bianco
“Insegnare ed apprendere. Verso la società conoscitiva” del 1995, che però
va letto tenendo presente il successivo libro verde del ’96 sugli ostacoli
alla mobilità transnazionale.
Dal 1997 i programmi comunitari riguardanti l’istruzione,
la formazione e i giovani si sono allargati a diversi paesi dell’Europa
centrale e dell’est, anche non appartenenti alla comunità europea e
coinvolgono ormai ben 30 paesi, parte dei quali sicuramente in posizione
subalterna rispetto alle scelte in discussione.
A partire dalle due indagini conoscitive si ebbero una serie
di incontri diretti ad armonizzare gli ordinamenti vigenti, al fine di rendere
possibile il reciproco riconoscimento (anche ai fini lavorativi) dei titoli di
studio esistenti; riconoscimento ottenuto individuando un criterio di
equivalenza fra i corsi dei diversi paesi della comunità, il sistema dei
crediti ECTS, che opportunamente rende anche possibile il riconoscimento di
attività svolte dagli studenti al di fuori del territorio nazionale.
Non ci si è certo limitati a favorire la mobilità degli
studenti, azione lodevole, ben presto questa armonizzazione ha assunto il
significato di un ridisegno culturale incisivo tanto in tema di istruzione
scolastica che universitaria.
Tra i diversi programmi, un ruolo preminente ha Socrates, che
copre l’intero settore dell’istruzione e che ha concluso la prima fase
quinquennale il 31 dicembre 1999. Dotato di un bilancio iniziale di 850 milioni
di ecu, con lo scopo di finanziare la mobilità di studenti, docenti e
operatori, ha coinvolto complessivamente 275.000 persone, circa 1.500
università, scuole (8.500) e ha finanziato 500 progetti transnazionali.
La seconda fase del programma Socrates (2000-2006) ha avuto
una dotazione di 1.850 milioni di euro; in esso vengono conglobate anche azioni
specifiche, nate separatamente, come ad esempio Erasmus (volto a favorire la
collaborazione tra le diverse sedi di istruzione superiore) o il programma
Lingua (volto ad ottenere che i giovani, all’interno del periodo di studio
obbligatorio, imparino almeno due delle lingue parlate nella comunità stessa).
A proposito di questo è il caso di rimarcare che la
commissione europea mette in guardia dal rischio che in Europa si produca un
impoverimento linguistico, con il prevalere di una sola lingua comune (ossia l’inglese,
come sembra preferire il nostro Presidente del Consiglio dei ministri)
raccomandando piuttosto agli stati membri di salvaguardare le differenze
linguistiche, di cui rimarca il valore di patrimonio culturale.
Viene detto: “... l’adattamento permanente dei sistemi
di istruzione e di formazione alle nuove esigenze costituisce una missione di
importanza strategica per l’Europa, poiché la sua competitività economica e
la stabilità della società europea si fondano sulle conoscenze sia teoriche
che pratiche e su concezioni fondamentali comuni...” La parola d’ordine
di Socrates ora non è più solo quella di favorire la mobilità di persone e
idee, ma “istruzione lungo tutto l’arco della vita”, così da favorire la
capacità d’inserimento e reinserimento professionale
In questo modo, attribuendone il compito alla scuola e all’università,
in realtà si apre ad esse una nuova strada: quella della riqualificazione dei
lavoratori, costo sociale che evidentemente non si vuole far gravare sulle
aziende.
È logico perciò che le finalità di Socrates si mescolino
così a quelle di un altro programma: Leonardo da Vinci che, fino dalla sua
prima fase (95-99), aveva l’obiettivo di migliorare la qualità della
formazione professionale in Europa.
Anche Leonardo ha comportato il finanziamento di progetti
(3.000) e la mobilità di (130.000) persone, in maggioranza giovani, l’enfasi
su questo progetto e anche i fondi però sono minori.
A gennaio 2000 si è aperta la sua seconda fase quinquennale,
con una dotazione è di 1.150 milioni di euro e anche per esso il campo di
applicazione non è più nella sola fase iniziale della formazione, che deve
diventare continua e consentire l’acquisizione delle competenze nel corso di
tutta la vita.
Esplicitamente, fatto di per sè necessario, si raccomanda di
operare coerentemente nell’utilizzo delle opportunità dei due programmi,
entrambi sono finalizzati alla crescita anche economica della società.
Dal 2000 partono altre iniziative che riguardano ad esempio
lo studio delle lingue e la promozione dell’apprendistato e che globalmente si
propongono di dimezzare, entro il 2010, il numero di persone fra i 18 e 24 anni
che hanno frequentato solo il primo ciclo d’istruzione secondaria e che non
proseguono gli studi o la formazione.
Se si vedono (sul sito web) i documenti ufficiali dell’Unione,
come ad esempio le conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del 2000, che
fissano l’obiettivo strategico di creare un’economia della conoscenza
competitiva e dinamica e obiettivi specifici riguardo alle Tecnologie dell’Informazione
e della Comunicazione (TIC) e all’istruzione, o le conclusioni del Consiglio
europeo di Stoccolma del 2001 che hanno riaffermato che migliorare le
competenze di base, segnatamente la padronanza delle tecnologie dell’informazione
e delle tecniche digitali, è una priorità assoluta per l’Unione, si vede
come le argomentazioni sull’istruzione siano indissolubilmente legate a quelle
sul lavoro o più precisamente finalizzate a quest’ultimo.
Si sottolinea “l’importanza di aumentare il livello
delle competenze e la loro trasferibilità da un paese all’altro, e di
rafforzare le politiche in materia di istruzione, competenze e formazione
permanente,... avvalendosi dell’esperienza delle imprese, del mondo dell’istruzione
e delle parti sociali... per conseguire il nuovo obiettivo strategico
fissato a Lisbona, di rendere l’Europa l’economia basata sulla conoscenza
più competitiva e dinamica del mondo”. Ecco che qui si esplicita lo scopo
ultimo, strategico.
...I buoni propositi sono tantissimi, tutti sottintendono
nobili sentimenti.
Torniamo allora al motivo della convergenza tra obiettivi di
governi di destra e di sinistra. Un primo scopo perseguito con la riforma dei
cicli è quello di facilitare l’accesso al titolo di laureato. Questo vale
particolarmente per l’Italia che, come noto, non ha il numero di laureati
necessari per il mercato del lavoro. Come si possono ottenere i numeri giusti?
Rendendo più leggera la didattica, proporsi un ripensamento dei modi
della didattica sarebbe troppo lungo e di minor certezza!
Ancora l’Europa è all’origine della seconda ragione di
convergenza tra governi “antagonisti”. È l’Europa infatti che si è data
l’obiettivo di legare più strettamente il problema della formazione culturale
a quello della formazione professionale. Perché lo studente, chiamato a volte
utente, a volte cliente, altri non è che il lavoratore di domani ed
evidentemente si vuole consegnare al mondo del lavoro un giovane più pronto ad
aderire alle esigenze del mercato del lavoro.
Un caso esemplare può chiarire bene la questione: la riforma
dei cicli nell’università (che piace anche al nuovo ministro dell’Istruzione).
Come noto i vecchi corsi di laurea sono stati sostituiti da
una struttura verticale:un corso triennale di laurea, seguito da un corso
specialistico, in genere biennale. Almeno in Italia (ed è così da tempo in
Gran Bretagna), non ha, però, prevalso l’opinione di quanti ritenevano che
doveva trattarsi di due gradi verticali di progressivo arricchimento culturale,
per entrambi i quali era necessario insegnare in funzione del comprendere le
ragioni del fare. Se non in tutti, almeno in molti casi ha prevalso l’opinione
di quanti ritenevano che, con il primo ciclo triennale di studio superiore, si
poteva imparare solamente a saper fare e solo dopo il biennio specialistico si
potevano comprendere le ragioni del fare, il sapere: la cultura.