1. Germania: la crisi odierna
Il capitalismo tedesco, principale forza sia di aggregazione
che conflitto nell’ambito del capitalismo europeo, è in una crisi di
orientamento che è andata allargandosi dal 1992 in poi [1]. Caratterizzata da
alterne vicende la crisi di direzione è emersa alla luce del giorno con il
governo socialdemocratico-militarverde capeggiato da Schroeder. La gestione
politico-economica della crisi di un processo di accumulazione ricade ancora una
volta sulla socialdemocrazia, vero ago della bussola del capitale nella storia
tedesca di quest’ultimi trent’anni. Ed è con la storia che conviene
iniziare.
2. USA e Germania: il polo europeo
Alcuni storici di tutto rispetto come Alan Milward sostengono
che la crescita economica europea sia stata dovuta alla mutazione della
ricostruzione postbellica in un processo di ristrutturazione globale volto all’introduzione
dei prodotti e sistemi di produzione di massa, metamorfizzandosi quindi in un
grande boom che ha finito per riempire le case di vari aggeggi elettrici, le
strade cittadine di automobili e le campagne di autostrade [2]. Non viene sostenuto che il
processo fu generato da automatismi economici ma piuttosto dal fatto che il
disegno integrativo europeo, a cominciare dall’accordo sul carbone e l’acciao
del 1952, permetteva agli stati nazionali di programmare il loro sviluppo in
termini strutturali. In questo contesto la Germania costituiva il motore della
trasformazione.
A mio avviso mentre è esatto vedere nella Germania il fulcro
della rinnovata crescita capitalistica europea, non è altrettanto convincente -
pur essendoci del vero come testimonia l’esperienza italiana - la tesi secondo
cui il processo fu dovuto principalmente ad una razionalità
statalista-democristiana della dirigenza politica europea e tedesca. Recenti
studi di storia mostrano che la decisione di dividere la Germania fu presa
unilateralmente dagli Stati Uniti pochi mesi dopo la fine del conflitto mondiale
tanto per escludere l’Unione Sovietica da ogni decisione concernente il futuro
dell’Europa occidentale, quanto per costituire un polo di crescita
capitalistica da funzionare in maniera parallela al polo asiatico rappresentato
dal Giappone [3]. In altre parole, gli Stati Uniti
avrebbero costituito il paese centrale, fonte delle importazioni di tecnologie,
derrate alimentari e capitali finanziari dell’Europa e del Giappone. I teorici
e gli architetti di questa strategia furono George Kennan, Averell Harriman,
James Forrestal e l’ex presidente repubblicano Herbert Hoover. Gli storici
hanno individuato nella crisi della bilancia dei pagamenti britannica e della
Sterlina del 1947 - che comportò l’abbandono da parte di Londra dell’impegno
di sostenere il governo greco e la Turchia - la svolta americana in favore della
reindustrializzazione della Germania e del Giappone [4]. Tuttavia la documentazione fornita dal lavoro
della signora Eisenberg fa pensare che tale orientamento fosse, almeno per la
Germania, già in via di maturazione verso la fine del conflitto. Ciò
chiarifica anche la rapidità con cui venne allestito il Piano Marshall il cui
fulcro era la Germania dato che gli Stati Uniti non erano propensi a cancellare
l’indebitamento britannico che finiva per assorbire buona parte dei soldi
assegnati a Londra.
Nelle gare dei levrieri al momento della partenza viene
azionato, su una monorotaia al lato della pista, un cane meccanico altrimenti
gli animali potrebbero non scattare o non terminare la corsa. In materia di
decisioni di investimento i capitalisti sono più simili ai cani che alle
persone. Se viene azionata la domanda senza intaccare i margini di profitto,
magari perfino rafforzandoli, essi partono alla rincorsa facendo leva sull’investimento
e l’accumulazione reale. Se invece l’azione meccanica non si manifesta i
cani, cioè i capitalisti, possono vagare a destra e a manca annusando la
sporcizia e rosicchiando qua e là. Il che significa che l’investimento
stagna, le attività privilegiate diventano quelle speculative (fare soldi
attraverso i soldi), dall’immobiliare, alla borsa - secondo le condizioni
politiche e sociali del momento. Quest’è l’essenza dell’intuizione di
Keynes, offuscata dalla vaghezza e dall’opacità della sua opera teorica ma
pienamente comprensibile ogniqualvolta egli dovette esprimersi in pubblico. Ora
dopo la seconda guerra mondiale la monorotaia, il suo tracciato, il cane
meccanico ed il motore vennero progettati e costruiti dagli Stati Uniti tanto
per l’Europa quanto per il Giappone. L’accensione stessa messa in moto del
cane meccanico provenne da Washington.
3. La fase trainante: 1950-66
Il piano Marshall, che comportò la creazione dell’Unione
europea dei pagamenti, permise l’avvio della ricostruzione del capitalismo nel
vecchio continente. Il mantenimento dell’industria e segnatamente quella dei
beni capitali, il cui peso in Germania era superiore rispetto agli altri Stati
europei, poneva il paese in condizioni di esportare al resto del continente
essendo proprio questi i settori che producevano i beni materiali più adatti
alla ricostruzione. Inoltre, come ha giustamente osservato Charles Kindleberger,
il piano Marshall continuò nelle vesti della Nato i cui costi furono, almeno
inizialmente, sostenuti principalmente da esborsi americani. Il riarmo europeo
fu un ulteriore fattore di stimolazione alla crescita dei comparti industriali
dell’industria metallurgica e metalmeccanica della Repubblica Federale
Tedesca. Inoltre, la Guerra di Corea, che i governanti giapponesi dell’epoca
definirono ‘un dono degli dei’, indusse pure in Germania un boom della
domanda di beni capitali [5].
Ne consegue che tra Piano Marshall, riarmo Nato e Guerra di
Corea il cane meccanico era ben lanciato Per la Germania tutto ciò assumeva una
connotazione politico istituzionale di estrema importanza in quanto ricostituiva
lo spazio sociale del capitale tedesco sollevandolo da ogni preoccupazione
morale e politica dall’essersi gettato anima e corpo nel nazismo. Al
contrario, una volta assolti, con l’appoggio degli Stati Uniti, da ogni
responsabilità politica, i gruppi tedeschi, effettuarono con successo una
transizione nella continuità rispetto al regime nazista [6].
Tutti questi elementi, gerarchicamente dipendenti dalla
strategia di Kennan, Forrestal e compagnia, fecero sì che la ricostruzione
europea si trasformasse in un boom delle esportazioni tedesche. Quest’ultime
contribuirono all’ammodernamento dell’apparato produttivo degli altri paesi
alimentando tanto un processo cumulativo all’interno del continente quanto l’emarginazione
della Gran Bretagna dall’intelaiatura produttiva dell’Europa. Durante gli
anni cinquanta la forza trainante dell’economia tedesca si manifestò
attraverso due aspetti. La Germania esibì un tasso di crescita superiore alla
media europea stimolando le esportazioni da parte degli altri paesi europei e
soprattutto dal nucleo che avrebbe poi dato vita al Mercato Comune Europeo nel
1957. Infatti dal 1951 al 1958 il saggio di crescita medio annuo del prodotto
interno lordo tedesco era del 7,3% mentre la dinamica di quello italiano -
secondo nella graduatoria europea - era del 5,8%. In quegli anni, sebbene la
Germania occidentale continuasse a realizzare delle eccedenze nei conti con l’estero,
tutti i paesi europei espandono notevolmente la quota delle proprie esportazioni
verso la repubblica federale. L’Europa si costituisce quindi come la zona di
maggiore realizzo dei profitti nelle operazioni estere delle società tedesche,
mentre esportare sul mercato tedesco diventa, per le aziende degli altri paesi,
la via per sviluppare le economie di scala e le strategie oligopolistiche extra
nazionali.
Il processo cumulativo suddelineato rafforzava ed affinava l’integrazione
tra banca e industria tipica del capitalismo tedesco oggi, come vedremo, in via
di sfilacciamento. La sostenibilità del meccanismo cumulativo fu però
garantita dal funzionamento dell’Unione europea dei pagamenti che, in un
contesto di monete non convertibili, permise il rapido riciclaggio delle
eccedenze commerciali a tassi di interesse alquanto bassi rispetto ai profitti
ottenibili attraverso l’investimento reale. Sarà stata forse una coincidenza
ma l’abrogazione dell’Unione europea dei pagamenti effettuata con il ritorno
delle monete europee alla convertibilità diretta nel 1958, tolse una batteria
al cane meccanico rallentandolo rispetto alla corsa degli animali in carne ed
ossa. In linea di principio i cani potevano ancora continuare a correre ma la
garanzia che lo facessero, che non si fermassero di fronte ad un qualche
ostacolo, reale o immaginario, era molto meno sicura. Nel concreto l’ostacolo
apparve con l’emergere del vincolo della bilancia di pagamenti per i paesi
deficitari in assenza, ormai, di un sistema istituzionale che organizzasse il
riciclaggio dei surplus dei paesi eccedentari.
Il nuovo decennio vide pertanto l’attuazione a livello
europeo di politiche keynesiane perverse: impedire il consolidamento della piena
occupazione (maschile) provocando deliberatamente una recessione con conseguente
disoccupazione industriale. L’indebolimento del potere contrattuale dei
lavoratori avrebbe poi rallentato la dinamica salariale rispetto agli incrementi
di produttvità permettendo così alle imprese di esportare a prezzi
concorrenziali senza intaccare i margini di profitto. Il keynesimo perverso
serviva a sormontare il vincolo di un eventuale deficit estero. Chi con maggiore
(Italia, 1963-65) chi con minore intensità, le dirigenze dei paesi europei si
mossero in questa direzione che avrebbe certamente invertito il processo
cumulativo del precedente periodo. Se l’inversione non ci fu lo si debbe in
gran parte all’evoluzione dell’economia tedesca. Dopo il 1958 il tasso di
crescita della repubblica federale rallentò significativamente anche per motivi
fisiologici dovuti alla piena occupazione (maschile). Continuò invece l’espansione
salariale e la crescita delle importazioni. Alla metà del decennio l’eccedenza
tedesca nei conti con l’estero era quasi annullata. Il cane da guardia - la
Bundesbank - si svegliò imponendo restrizioni creditizie e di bilancio
generando nel 1966 una recessione il cui obettivo era il rilancio massiccio
delle esportazioni. Fu il primo passo verso un mutamento radicale del modello di
sviluppo perseguito fino ad allora e significò la fine del ruolo trainante
svolto da Bonn in Europa [7].
4. Stagnazione e egemonia neomercantilista: 1969-1990
L’operazione recessiva guidata dalla Bundesbank produsse,
con il ritorno di forti eccedenze con l’estero, l’effetto voluto dal lato
delle esportazioni ma non assicurò la disciplina sociale dei lavoratori. La
crescita dei profitti grazie alle esportazioni rilanciò le rivendicazioni
salariali e normative. In questo contesto il partito socialdemocratico, dopo il
breve periodo di coabitazione con la democrazia cristiana dal 1966 al 1969,
effettuò nel 1969 una svolta economica radicale rivalutando il marco. I settori
competitivi, operanti prevalentemente nei rami dei beni di consumo, si vedevano
quindi costretti a ristrutturare per far fronte alla concorrenza delle
importazioni. Dal canto loro i settori ad alta concentrazione capitalistica, che
erano anche la principale fonte delle esportazioni, venivano stimolati sia a
ristrutturare che ad investire all’estero. Il nocciolo del nuovo modello di
accumulazione era tutto qui: la trasformazione del sistema economico tedesco da
esportatore di prodotti industriali ed importatore di capitali a creatore di
investimenti esteri ed esportatore di tecnologie avanzate. Agli investimenti
diretti all’estero spettava il compito di sostenere le esportazioni. Gli
investimenti esteri di portafoglio ed in attività commerciali avrebbero dovuto
ampliare la penetrazione commerciale delle esportazioni industriali, mentre gli
investimenti diretti in impianti avrebbero stimolato le esportazioni tedesche in
macchinari e tecnologie.
In Europa solo la Germania era in condizioni di attuare una
strategia in cui la rivalutazione doveva, in ultima analisi, sospingere le
esportazioni. La vasta e continua rstrutturazione che tale strategia richiedeva
dipendeva crucialmente dall’esistenza di una coerente e completa industria dei
macchinari e delle nuove tecnologie, cioè dalla presenza di quei settori che il
capitalismo tedesco, non sempre di sua spontanea volontà, aveva storicamente
prediletto. Il rilancio neomercantlistico delle esportazioni, prima con metodi
tradizionali poi con la rivalutazione, non implicò un cappio stagnazionsitico
al collo della Cee e della Germania. Il motivo principale di ciò va individuato
nella grande ondata di aumenti salariali del periodo 1968-73 cui corrispose in
tutta l’Europa, perfino nella lenta Gran Bretagna, un forte rilancio della
domanda e quindi della crescita. Come motivo secondario va considerato il fatto
che alla rivalutazione del 1969 corrispose nel breve periodo un declino del
surplus tedesco. Tuttavia sul finire del 1972 le eccedenze estere di Bonn erano
in netta ripresa per raggiungere nel 1974 l’apice del decennio nonostante
ulteriori rivalutazioni della moneta nazionale. Tanto più avanzava la
stagnazione europea e mondiale tanto più si consolidava il successo della
strategia tedesca consistente a garantirsi delle eccedenze estere per finanziare
gli investimenti internazionali compatibilmente con la politica di selezione
creditizia della Bundesbank e la dinamica delle esportazioni. Tra il 1974-79,
anni in cui il vincolo estero di molto paesi si aggrva a causa del rincaro
petrolifero, La Germania genera un’eccedenza commerciale pari al 2, 2% del
prodotto interno lordo ed una capacità di finanziamento estero pari all’8%
del PIL. Nello stesso periodo il surplus commerciale del Giappone tocca appena
lo 0,4% del PIL e lo 0,3% in termini di capacità di finanziamento estero.
[1] Come emerge dai titoli
delle sezioni in cui è suddiviso quest’intervento.
[2] Alan Milward: The
Reconstruction of Western Europe, 1945-51, London: Methuen 1984; nonché, dello
stesso autore, The European Rescue of the Nation State, London: Routledge, 1992.
Per l’Italia, senza però l’ipoteca pianificante di Milward, consiglio
assolutamente la lettura dell’eccezionale lavoro di Guido Crainz Storia del
miracolo italiano, Roma: Donzelli, 1994.
[3] La politica della divisione unilaterale è documentata in Carolyn
Eisenberg, Drawing the Line: the American Decision to Divide Germany, 1944-1949,
Cambridge: Cambridge University Press.
[4] Michael Schaller, The
American Occupation of Japan. The Origins of the Cold War in Asia, New York:
Oxford University Press, 1985.
[5] Tuttavia per poter trasformare in profitti
capitalistici il frutto di una guerra che stava causando, principalmente per via
dei bombardamenti aerei americani, oltre un milione di morti tra la popolazione
civile coreana fu necessario, nel caso tedesco, sormontare le difficoltà nella
bilancia dei pagamenti causate dal’impennata nei prezzi delle materie
provocata dalla guerra stessa. L’ostacolo venne aggirato grazie ad un
ulteriore regalo di 500 milioni di dollari da parte di Washington all’Unione
europea dei pagamenti. Questo versamento - a tutti gli effetti gratis - permise
soprattutto alla Germania di affrontare produttivamente l’accresciuta domanda
reale di beni strumentali senza passare per il collo di bottiglia della carenza
di dollari con cui comperare materie prime e pagare il deficit con gli USA.
[6] Simon Reich, The
Fruits of Fascism, Ithaca, N.Y.: Cornell University Press, 1990.
[7] Si veda l’ancora validissmo volume curato da
Vittorio Valli: L’economia tedesca: la Germania federale verso l’egemonia
economica in Europa, Milano: Etas Libri, 1981.