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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Francesca Occhionero
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Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; membro Società Chimica Italiana; consulente di Sicurezza del Lavoro e Analisi Ambientale.

Gabriele Favero
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Dipartimento di Chimica, Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; ricercatore del Parco Scientifico e Tecnologico del Lazio Meridionale; collaboratore del Museo Multipolare della Scienza e dell’Informazione Scientifica.

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Il mutamento ambientale globale: il recupero della dimensione umana

Francesca Occhionero

Gabriele Favero

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4. Produzione e consumi ecocompatibili: strategie da intraprendere

Da quanto precede, emerge chiaramente come la protezione dell’ambiente debba ormai diventare un imperativo per tutto il sistema industriale: la sempre maggiore consapevolezza della criticità del fattore ambientale sta determinando una pressione crescente sia esogena, in quanto proveniente dall’opinione pubblica, sia endogena al sistema industriale stesso.

Sotto la spinta ambientale, infatti, tutto cambia o è destinato a cambiare: dai prodotti ai processi, dal rapporto con i consumatori finali alle relazioni intersettoriali e interaziendali, dall’orientamento della ricerca alle scelte di localizzazione e via dicendo.

In altre parole per le imprese non si tratta solamente di elaborare ed attuare doverose strategie sociali, si tratta altresì di cominciare a considerare l’ambiente un elemento chiave delle proprie strategie di sviluppo: non bisogna avviarsi con ritardo su un sentiero di sviluppo di lungo periodo, quale è quello dello sviluppo compatibile, destinato ad essere intrapreso da tutti i settori e, dunque da tutte le imprese.

L’impresa non deve quindi porsi di fronte al problema ambientale con un atteggiamento passivo o di semplice adeguamento all’evoluzione della normativa; il problema ambientale deve, vista la sua criticità, essere risolto indipendentemente dal comportamento del legislatore.

L’attività produttiva deve cominciare necessariamente a basarsi esclusivamente su tecnologie intrinsecamente pulite [1] dando luogo a prodotti ecocompatibili; se questa impostazione non viene tempestivamente adottata, le imprese devono essere messe di fronte alle proprie responsabilità e deve iniziare un processo legislativo teso a far si che esse siano costrette ad affrontare il problema ambientale non come un vincolo né tantomeno come opportunità di espansione dell’attività industriale ma come uno dei fattori che rientrano nel quadro gestionale della loro attività, nel rispetto dell’ambiente e della collettività, sancendo il principio del diritto di quest’ultima a rivendicare il potere di controllo sui cicli produttivi e sui loro esiti.

In altre parole, è necessario che le imprese riducano l’accumulo del capitale investendo invece i profitti nella salvaguardia del territorio e dei beni ambientali, nella ricerca e nell’adozione di tecnologie innovative ed appropriate alle diverse situazioni socio-economiche-ambientali, al fine di massimizzare l’impiego delle risorse rinnovabili attraverso il riciclo ed il recupero di prodotti e minimizzare per contro quello delle risorse non rinnovabili.

Questi presupposti possono così consentire alle imprese di continuare a produrre legittimando la propria attività di fronte all’opinione pubblica. A tal fine, deve risultare prioritario che le imprese modifichino anzitutto il proprio atteggiamento nei confronti dei problemi ambientali e, di conseguenza, diano il via a modificazioni strutturali e funzionali della propria attività nel senso di organizzarsi verso nuovi cicli produttivi e nuovi prodotti.

Si tratta per le imprese di essere messe di fronte alla necessità di sviluppare un concetto nuovo di ‘management ambientale’ che dia meno spazio alle logiche d’impresa tradizionali, basate su un capitalismo sfrenato, fallimentare e cieco di fronte a qualunque problematica sociale e ambientale, a favore delle aspettative della popolazione, fissando strategie per raggiungere tali obiettivi nel rispetto della collettività; in tal modo l’impresa viene a sviluppare strumenti validi di gestione ambientale facendo affidamento sulle proprie capacità tecniche oltre che sui propri mezzi finanziari, cosciente della necessità di gestire un sistema complesso comprendente componenti dell’ambiente fisico (risorse) e dell’ambiente sociale (comunità, istituzioni, etc.).

In pratica, per raggiungere nel lungo periodo una maggiore compatibilità ambientale, le imprese, avvalendosi dell’analisi ambientale attraverso la valutazione di impatto ambientale, devono sviluppare una nuova strategia perseguendo il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

• La riduzione degli input di produzione, attraverso la semplificazione dei processi e l’introduzione di nuove tecnologie comportanti risparmi, recuperi ed aumenti delle rese al fine di ridurre per unità di prodotto la quantità di energia, di materie prime, prodotti ausiliari, acqua e quant’altro rientra nel processo produttivo.

• La riconversione e riqualificazione degli input, vale a dire la sostituzione degli input di origine fossile con materie prime e fonti di energia rinnovabili e la modificazione degli input di materie prime e prodotti ausiliari in funzione del riutilizzo o del riciclo dei residui e degli scarti di lavorazione.

• La riduzione dell’impatto ambientale attraverso la minimizzazione delle emissioni liquide e gassose e dei rifiuti solidi derivanti dai processi industriali e la realizzazione di prodotti con elevate caratteristiche di accettabilità ambientale sia nella fase della loro vita utile che in quella della loro dismissione.

• La scelta di siti appropriati per la collocazione degli impianti produttivi, attraverso la razionalizzazione della localizzazione dei siti industriali sulla base di nuovi criteri che tengano conto delle caratteristiche socio-economiche e di sviluppo insediativo, dei valori naturali, paesaggistici e turistici, nonché dei rischi per la salute umana e di compromissione ambientale del territorio.

Alcuni esempi concreti, peraltro già attuati da alcune imprese e in fase di studio da parte di altre, per ottenere una maggiore compatibilità ambientale ad esempio nel settore chimico, vedono l’impiego di risorse vegetali al posto di risorse fossili (petrolio, carbone e metano) come materie prime per l’industria chimica e lo sfruttamento di processi biotecnologici, ossia dei processi di sintesi che imitano la natura.

L’utilizzo di materie prime vegetali e lo sfruttamento delle biotecnologie per produzioni di tipo chimico appare oggi tanto più interessante se si tiene conto sia delle sempre maggiori disponibilità di prodotti agricoli, che si stanno verificando in più parti del globo, sia dei risultati ottenuti con le tecniche tradizionali di selezione genetica delle piante e, soprattutto, di quelli conseguiti con l’ausilio delle biotecnologie avanzate: ingegneria genetica e coltivazione di cellule di piante.

L’affermarsi su larga scala di un’industria chimica del tipo di quella qui delineata, avrebbe diverse conseguenze positive, con implicazioni di notevole rilevanza socioeconomica anche su scala mondiale. Lo sviluppo di questo tipo di chimica porterebbe infatti ad una migliore integrazione delle attività di tipo chimico nel contesto produttivo-ambientale, ad un miglior utilizzo del territorio, ad un incremento dell’impiego di sostanze chimiche (naturali) non nocive e alla realizzazione in diversi casi di processi più puliti, essendo i prodotti naturali più facilmente biodegradabili.

Alcuni tra gli esempi più noti di derivati della cosiddetta chimica verde sono:

• Le materie plastiche biodegradabili (che possono essere attaccate e demolite fino ai componenti elementari dai microrganismi naturalmente presenti nel terreno e nelle acque) e fotodegradabili (plastiche degradate sotto l’azione della luce)

• I tensioattivi sintetici prodotti mediante oli vegetali

• I carburanti vegetali.

Infine, per effettuare un più efficace controllo sulle emissioni di agenti inquinanti, e quindi un controllo del loro impatto ambientale, sarebbe auspicabile intervenire sul settore energetico, caratterizzato da sempre maggiori fabbisogni sia dei Pesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, dalla ridotta disponibilità delle materie prime tradizionali e dall’aumento dei costi e delle difficoltà per una corretta gestione degli impianti. Si potrebbe ad esempio pensare di sostituire progressivamente l’impiego delle fonti energetiche di origine fossile (petrolio, metano e carbone fossile), incrementando l’uso delle cosiddette fonti rinnovabili, ovvero di quelle fonti le cui risorse non sono esauribili ma vengono prodotte a “ciclo continuo” (acqua, sole, vento, geotermia, biomasse) ma che, nel fabbisogno mondiale energetico, concorrono attualmente solo per una piccola percentuale

E’ quindi indubbio che i mercati si devono orientare verso materiali e prodotti che abbiano un basso rischio di inquinamento in tutto il loro ciclo vitale, dalla scelta della materia prima (vedi Figura 8), fino al prodotto finito.

 

Prodotti facilmente riciclabili, convertibili in energia o smaltibili senza conseguenze dannose per l’ambiente, costituiscono certamente una soluzione da seguire per molte aziende, ma risulta altrettanto vero che, se non ci si oppone efficacemente all’idea che il consumismo sia l’unico modello economico possibile, anche nei paesi in via di sviluppo cresceranno quelle richieste che nel mondo occidentale si sono a poco a poco trasformate in esigenze inderogabili e allo stesso tempo hanno determinato un forte e negativo impatto ambientale e allo stesso tempo hanno acutizzato le tensioni sociali accrescendo, ad esempio, il divario Nord-Sud.


[1] “Tecnologie pulite: strategie e politiche”, Istituto per l’ambiente 1994, E. Gerelli