Il dominio dei brevetti e la globalizzazione diseguale
Marcos Costa Lima
Il ritardo tecnologico e le possibilità di sviluppo in America Latina attraverso il mercosud: opportunità in scienza e tecnologia
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2. Politica dei Brevetti, Farmaci, Biotecnologia, Biodiversità
2.1 Appunti storici
Il primo documento internazionale [1] di protezione delle invenzioni è datato 20 marzo 1883,
quando a Parigi, 11 paesi, incluso il Brasile, crearono l’Unione
Internazionale per la Protezione della Proprietà Industriale, dando origine
alla Convenzione di Parigi che, da allora, è stata rivista sei volte. L’ultima
revisione è stata realizzata a Stoccolma nel 1967 e ratificata dal Brasile
secondo il decreto n° 1263 del 10 ottobre 1994.
La Convenzione di Parigi ha consacrato quattro grandi
principi, che costituiscono i punti fondamentali che i sottoscriventi si
impegnavano a rispettare:
I il diritto dell’inventore, nazionale o straniero, di
registrare la sua invenzione ed usufruire conseguentemente dei privilegi
relativi alla sua utilizzazione;
II l’equivalenza dei diritti dell’inventore straniero,
posti allo stesso livello di protezione assicurato agli inventori nazionali;
III il diritto di “priorità”; che gode il richiedente
di un brevetto per avere, per il periodo di un anno, precedenza in altri paesi
in relazione a richieste che vengano presentate da altri;
IV il “principio di indipendenza” tra i brevetti
concessi in diversi paesi per uno stesso processo o prodotto.
La decisione brasiliana di non riconoscere più brevetti di
prodotti chimico-farmaceutici è datata 1945, alla fine del governo Vargas. Nel
1969, anche durante il governo Costa e Silva non venivano riconosciuti i
brevetti relativi a processi nello stesso settore. Le due esclusioni vennero
confermate dal Governo Médice, nel 1971. Decisioni simili vennero prese da
Giappone, Italia, Svizzera, Canada, negli anni ’70 e non si scontravano il
protocollo della Convenzione di Parigi.
L’ambasciatore Paulo Nogueira Baptista, che era a capo
della delegazione brasiliana nel GATT tra il 1983 ed il 1987, spiega che l’adesione
alla Convenzione di Parigi non rappresentava la rinuncia del paese su aspetti
sostanziali e processuali, come i seguenti: i) definizione di cosa è un
brevetto; ii) l’estensione dei privilegi concessi per il brevetto; iii) la
definizione delle aree soggette a brevettabilità; iv) la durata di protezione
assicurata dai brevetti; v) l’obbligo del registrante di sfruttare
economicamente il brevetto ottenuto; vi) le sanzioni a cui è soggetto il
registrante per abuso di potere economico nell’esercizio dei privilegi
conferiti per il brevetto; vii) le sanzioni a cui sono soggetti i terzi, per l’infrazione
dei privilegi concessi per un brevetto (Tachinardi, 1993).
Vari autori informano che, malgrado il rifiuto del governo
brasiliano di brevettare prodotti e processi nel settore chimico-farmaceutico,
queste misure non furono sufficienti a stimolare la sostituzione delle
importazioni attraverso l’attivazione di industrie di capitale nazionale nel
settore (Barbosa, 2001); (Tachinardi, 1993).
“Nel nostro paese, l’assenza di protezione del brevetto
(dei farmaci) non ha inibito l’investimento straniero, (...) che è arrivato a
dominare il 90% delle attività delle imprese del ramo, evidenziando una
de-nazionalizzazione ineguagliabile per qualsiasi altro ramo dell’industria di
trasformazione” (Barbosa, op. cit. p.95).
Lo stesso autore presenta un quadro abbastanza utile in
relazione ai paesi sviluppati e periferici che hanno iniziato a proteggere con i
brevetti il settore farmaceutico, soprattutto a partire dalla fine degli anni
’60.

Per Barbosa, il progresso scientifico negli anni ’70 e la
nascita dell’ingegneria genetica, aprendo grandi possibilità tecniche alla
produzione di medicinali, ha finito per rinnovare l’industria farmaceutica
mondiale e farle aumentare gli investimenti e recuperare gli interessi. Questo
processo ha sospinto il mutamento nel quadro della legislazione dei brevetti,
principalmente nel continente europeo.
Maria Helena Tachinardi, che aveva pubblicato “A Guerra
das Patentes”, trattando dei conflitti tra i governi brasiliano e
nordamericano in relazione alla proprietà intellettuale, afferma che tra il
1970 ed il 1990 in Brasile, gli Investimenti Diretti Esterni (IDE) nell’area
della chimica crebbero di quasi otto volte e, in relazione alla farmaceutica, di
13 volte, oltrepassando gli IDE in altri settori industriali. Il fatto rafforza
l’argomentazione che, anche senza un regime per i brevetti, gli investitori
stranieri non si sentirono disincentivati ad impiantarsi in Brasile. Gli USA
accusano il Brasile di non rispettare l’articolo 27 del TRIPs, quando la
legislazione brasiliana decise di istituire lo strumento legale che prevede la
possibilità della licenza obbligatoria ai brevetti (art. 28), con la
convinzione che la sua legge non andava contro l’accordo internazionale [2].
2.2 La licenza obbligatoria, i generici, l’AIDs e la biodiversità.
Le nuove regole di proprietà industriale nel paese,
attraverso la legge 9.279/96, vennero elaborate in conformità con l’Accordo
Internazionale sulle Trips, firmato dal Brasile e da più di 123 paesi il 15
aprile 1994 (Barbosa, op. cit: 113). È risaputo che l’Accordo delle Trips è
il risultato delle pressioni nordamericane [3] sui diversi gruppi di paesi, con l’intento di rafforzare la
proprietà industriale. Gli USA promossero una denuncia (un comitato di
indagine) nell’organo di soluzione delle controversie dell’OMC il 19 gennaio
del 2001, contro la disposizione della legge di proprietà industriale
brasiliana (art. 68, paragrafo I, 1) che esige lo sfruttamento dell’oggetto
brevettato sul territorio brasiliano. Il punto nevralgico della questione è
stato il Programma Contro l’AIDS, sviluppato dal Ministero della Salute, che
minacciava di licenza obbligatoria i medicinali Nelfavinir e Evabirenz, dei
laboratori Roche e Merck, utilizzati nel cocktail che combatte la malattia. La
legge 9.279/96, esigendo lo sfruttamento del brevetto nel paese (local
working requirement) da parte dell’impresa detentrice, la obbliga in caso
contrario a concedere licenza di produzione a chi la faccia realmente, pena la
perdita dei diritti di esclusività.
Il Brasile lancia ancora la Legge dei Medicinali Generici (l.
9.787/99) ed emana due misure legali nel campo della proprietà industriale,
regolamentando la legge 9.279/96, soprattutto rispetto all’area dei
medicinali. Il decreto n°3.201, del 6/10/1999, regola la concessione ex-officio
della licenza obbligatoria, in casi di emergenza nazionale e di interesse
pubblico, regolamentando l’articolo 71 della Legge 9.279/96. Per il decreto, l’emergenza
nazionale o il pericolo pubblico comprendono i fatti relazionati alla salute
pubblica, alla nutrizione, alla difesa dell’ambiente, e quelli importanti per
lo sviluppo tecnologico o socio-economico del paese (Scholze, 2001, p.53).
Il mercato dei generici [4] in Brasile è stato
possibile solo grazie all’introduzione degli strumenti legali, in primo luogo,
ma anche per le pressioni della società civile, che si è associata agli
interessi dell’industria nazionale privata, che oggi è leader non solo della
produzione, ma anche della ricerca e della commercializzazione. La produzione e
la commercializzazione dei medicinali sostitutivi è comune nei paesi
industrializzati. Solo negli Stati Uniti il 72% delle ricette mediche
corrisponde a medicinali generici. La OMS difende la loro diffusione come
strategia per la riduzione dei prezzi. Anche in questo campo la concentrazione
è molto grande; gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania rappresentano il 60%
di questa produzione mondiale. Il grande interesse per i generici, afferma
Fonseca, è che il mercato mondiale cresce in media dell’11% l’anno, inoltre
si prevede che una cifra considerevole investita nei brevetti di medicinali
scadranno nei prossimi anni, ma anche l’aumento dell’aspettativa di vita e
dell’invecchiamento della popolazione mondiale, con l’aumento delle malattie
croniche, innalza le spese pubbliche nel settore della salute (Fonseca, 2001:
198).
Il governo brasiliano commise il grave errore, in relazione
alla legge delle licenze, di concederne più di quello che la Convenzione dell’Unione
di Parigi e l’Accordo dei Trips esigevano e, secondo Celso Campilongo, ha
intaccato l’interesse nazionale e pubblico, ampliando in questo modo, i
diritti privati e limitando gli obblighi sociali, che sono di prassi nelle
legislazioni dei paesi sviluppati. E per quanto riguarda i titolari dei diritti,
va rilevato che i non residenti, sono più favoriti dei titolari nazionali. Da
lì l’esser stata chiamata Trips-plus, per aver concesso più diritti e
meno salvaguardia di quanto stabilito nell’Accordo suddetto. Per esempio, la
nuova legislazione ha eliminato tutte le restrizioni relative alla rimessa delle
royalty fisse. Il fatto si spiega con la riduzione dell’intervento dello Stato
nel settore e, di conseguenza, con i tentativi di aumentare il livello degli
investimenti diretti esterni. L’autore conclude che l’adozione della legge
dei brevetti da parte dei paesi periferici, molto più che un’alternativa al
progresso tecnologico, consiste in un meccanismo per evitare rappresaglie
internazionali. Indebitati in dollari, questi paesi subiscono pressioni per
cedere in regolamentazione ed autonomia, in un trade-off perverso, che
penalizza sia i consumatori sia la sovranità, rendendo difficile la
possibilità di sviluppo autonomo in R&S, aumentando l’evasione fiscale in
valuta e riducendo il livello di occupazione.
L’industria farmaceutica è un settore estremamente
oligopolizzato, dove circa 50 imprese controllano l’80% del mercato mondiale
dei farmaci [5]. La ricerca nel settore è concentrata in sette
paesi (Usa, Giappone, Inghilterra, Germania, Svizzera, Francia e Italia) nei
quali si convoglia l’80% degli investimenti in R&S dell’area. È un
settore che muove 170 milioni di dollari all’anno.
La questione della proprietà intellettuale, pertanto, non è
nuova, ma con la trans-nazionalizzazione dei mercati e la conversione della
scienza in fattore privilegiato di produzione, acquista una nuova dimensione.
Secondo il sociologo portoghese Boaventura de Souza Santos (1989), le ricerche
considerate promettenti in termini di possibilità commerciali, saranno
mantenute segrete, come modo per preservare i vantaggi competitivi dell’impresa,
e i risultati saranno resi pubblici solo quando la registrazione del brevetto
venga garantita. In questo senso la rivoluzione multimediale è servita come
pretesto alle multinazionali perché lanciassero un ciclo generale di revisione
del diritto di proprietà intellettuale, iniziato nel 1976 con la revisione
della legge sul diritto di autore (Copyright Act) negli Stati Uniti [6]. Anche in Europa l’appetito
giuridico è evidente nella direttiva sulle Banche Dati (96/9/CE, del 11
marzo1996) e sulla protezione dei programmi informatici (91/250, del 14 maggio
1991) e ancora nella OMC con le TRIP (Accordo sui diritti della proprietà
intellettuale). Prima di questo accordo, la Cina, l’Egitto, l’Argentina e l’India
riconoscevano i brevetti sui procedimenti farmaceutici, ma non sui prodotti
finali, cosa che permetteva loro la fabbricazione locale dei medicinali
generici, che avevano costi considerevolmente minori. Le Nazioni Unite
attraverso il PNUD affermavano, in maniera comparativa nel 1999, che il prezzo
dei medicinali era 13 volte più alto in Pakistan piuttosto che in India,
perché quel paese accettava il brevetto sul prodotto.
La vera tragedia che rappresenta oggi l’Africa del Sud, con
i suoi 22 milioni di malati di AIDS, 65% delle persone sieropositive nel mondo,
dimostra l’abuso e la crudeltà dei laboratori farmaceutici multinazionali,
che insistono nella difesa dei loro brevetti, lasciando senza trattamento, per
la restrizione del prezzo, la grande maggioranza degli ammalati.
La discussione sui prezzi dei farmaci e i diritti di licenza
è arrivata all’apice quando il governo dell’Africa del Sud riuscì, per tre
anni, a rompere il muro di resistenza delle multinazionali dei farmaci che
producono medicine contro l’AIDS, come Bristol-Meyers, Glaxo, Merck,
Boehringe [7],
soprattutto europee e nordamericane.
Il portavoce della Federazione Internazionale dell’Industria [8] di
Medicinali ha affermato che le leggi sudafricane avevano creato un “pessimo
precedente” che poteva minacciare la protezione dei brevetti nel mondo,
pericolo che poi si poteva disseminare nei paesi della periferia.

Si osservi nel quadro 2 la differenza nel prezzo annuale a
persona in dollari, di una sostanza per il trattamento dell’AIDS, negli Stati
Uniti, in Africa (prezzo offerto dai detentori di brevetto), ed in due
laboratori indiani:
Il reddito medio annuale degli Stati Uniti è valutato in 35
mila dollari all’anno, quando in Africa lo stesso reddito è inferiore a US$
350 per persona all’anno. Quindi, il cittadino africano non potrà mai pagare
un trattamento che costa 10 volte ciò che guadagna tutto l’anno. Significa
morire o morire.
In tutta questa polemica, argomenti come quello dell’economista
Jeffrey Sachs (2001), che propone la definizione di prezzi differenziati dei
medicinali per i paesi ricchi e poveri, mantiene la logica dell’assistenzialismo
e della carità, ma non propone di alterare ciò, che lui stesso chiama “gallina
dalle uova d’oro”, che rappresenta il sistemi dei brevetti o licenze. Anche
la soluzione è ipocrita, perchè è risaputo che queste grandi multinazionali
stanno cedendo i loro diritti di proprietà solo momentaneamente, soprattutto
perché si tratta di una malattia che è fatale in breve tempo e, in certa
misura, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale,
rivelando peraltro la violenza interna al sistema. Infine, queste imprese non
sono affatte disposte a cedere parte sostanziale delle loro percentuali sui
medicinali, che non sono così urgenti come quelli per l’AIDS, ad esempio gli
antibiotici, gli anti-ipertensivi o gli anti-infiammatori.
La ricerca scientifica patrocinata dai governi per un
determinato numero di malattie, soprattutto quelle che colpiscono i paesi della
periferia, sarebbe una misura di giustizia mondiale facilmente applicabile se
venisse creato un “fondo globale di salute” partendo da una piccola
percentuale imposta sulla vendita dei farmaci in tutto il mondo.
Ma l’AIDS non è l’unica minaccia ai poveri della
periferia. I rimedi contro la meningite batterica, particolarmente attiva nei
paesi del Sud, non sono stati più prodotti a partire dal 1995 dal gruppo
Roussel Uclaf (che si fuse con la Hoescht nel 1997). La molecola attiva contro
la leishmaniosi, che causa serie lesioni cutanee e porta alla morte, è stata
messa fuori produzione per ragioni di basso ritorno degli investimenti. Il
dottor Bernard Pécoul, della ONG Medici Senza Frontiere e coordinatore
del progetto-farmaci, osserva che delle 1.223 molecole poste in vendita tra il
1975 ed il 1997, solo 143 erano per le malattie tropicali. E solo 5 tra queste
erano prodotti della ricerca veterinaria (Bulard, 2000). È preoccupante
verificare che 4/5 delle spese mondiali per la salute servono solo a 1/5 della
sua popolazione.
A partire dal 1994, con le creazione dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio e delle Trips in linea di principio diviene
impossibile produrre un medicinale, o di comprarlo all’estero senza
autorizzazione (esborso in royalty fisse) del proprietario dell’invenzione,
che conserva questo privilegio per 20 anni. Tuttavia, in seguito alla pressione
esercitata dalla Spagna e dal Canada, la situazione ammetteva clausole di
eccezione: 1) in caso di urgenza nazionale; 2) quando il proprietario smette di
produrre un medicinale per più di tre anni. In questi casi, qualunque governo
poteva ricorrere alla “licenza obbligatoria”, e alle importazioni parallele.
Le prime danno la possibilità di ricorrere ai medicinali generici, senza
necessità di accordo dell’inventore e, le seconde, rendono possibile l’acquisto
del medicinale dove fosse più economico.
Il deposito del brevetto, pertanto, torna ad essere una
questione centrale e decisiva nell’ambiente scientifico mondiale, poiché
quando la biodiversità viene associata ad una mercanzia, si impone una presa di
posizione etica. Si sa oggi che ci sono da cinque a dieci volte più
informazioni sui genomi nelle Banche Dati private, di accesso ristretto e a
pagamento, che quella di dominio pubblico, di libero accesso. L’utilizzazione
dei brevetti e i costi esorbitanti delle licenze, impediscono che medici e
laboratori medici effettuino test genetici, limitano l’accesso ai trattamenti,
riducano la qualità e aumentino i costi sperimentali. Questo processo è andato
nel senso di una monopolizzazione di ciò che è vivo, attraverso la
confisca di diversità genetiche da parte di un pugno di imprese. È forse il
pericolo maggiore attualmente vissuto dall’umanità, vedere instaurarsi
ufficialmente un’associazione tecnologica e finanziaria dei paesi ricchi, una
sorta di G8 dei medicinali, che decide il livello delle ricerche, il lancio di
questo o di quell’altro prodotto. Il corso degli eventi sta accentuando ancora
di più gli squilibri tra paesi ricchi e poveri, per cui alcuni avranno il
diritto di accesso alle terapie di punta, dispendiose e protette da diritto d’autore,
gli altri potranno solo utilizzarle dopo 20 anni, quando scade il brevetto,
oppure rischieranno di essere esposti ai prezzi a livello di estorsione dei
medicinali. È per queste e altre ragioni che la ONG Medici Senza Frontiere
si sta battendo per decretare che le ricerche sul genoma umano e sulla
biodiversità siano configurate come beni pubblici mondiali.
[1] L’approccio storico
della proprietà intellettuale è parte della dottrina monopolistica. In questo
senso si veda l’eccellente lavoro, ancora poco conosciuto di Maria Stela
Pompeu Frota (1993), che presenta la preistoria e la storia recente della
proprietà intellettuale, ritornando alla Venezia del 1474, con lo Statuto
Veneziano che garantiva privilegi di dieci anni per gli inventori di nuove
tecniche e macchine.
[2] L’industria
farmaceutica degli USA non pensa di tornare indietro sulla valutazione nella
problematica della legge dei brevetti del Brasile nell’Organizzazione Mondiale
del Commercio (OMC). Negoziatori brasiliani riconoscono che la contestazione
degli USA non include solo i farmaci. L’attacco che fanno all’articolo 68
della Legge di Proprietà Industriale brasiliana, che tratta della licenza
obbligatoria, può riguardare politiche altre, come quella della salute, della
nutrizione, della tecnologia. In: Assis Moreira (2001), Gazeta Mercantil, 23
Aprile, p. A-19.
[3] Dal 1980 fino alla firma del Brasile
per l’Accordo delle Trips, il paese subì delle sopratasse su diversi prodotti
dal governo nordamericano-acciaio, scarpe, succo di arancia, tessuti, tra gli
altri.
[4] Il mercato dei generici in Brasile
conta appena 217 principi attivi disponibili, fabbricati in 33 laboratori e
rappresenta solo il 5% del volume di rendita dell’industria farmaceutica che,
nel paese, smuove R$ 12 miliardi (circa 4 miliardi di euro (Jornal do Comércio,
16/05/2002: “Genérico pode variar até 223,65%”).
[5] La partecipazione nel settore farmaceutico dell’America latina in
tutto il mercato mondiale era di 2,4% nel 1970, è passato al 2,0% nel 1980 ed
è caduto allo 0,8% nel 1989.
[6] Alcuni anni
fa un’impresa editoriale degli USA avendo effettuato una certa codificazione
nella Costituzione Federale, relazionando la terminologia di famosi casi di
diritto penale, aveva sollecitato la propria licenza.
[7] Il guadagno di queste imprese è fantastico, quando si calcola che
una terapia-tipo con medicinali anti-AIDS costa intorno ai US $ 10 mila per
paziente all’anno, nei paesi ricchi, quando il costo di produzione di questi
medicinali varia da US$ 300 a US$ 500 all’anno per ogni cocktail di tre.
[8] IP
Magazine, 1999, set. “Triping over Trips”, Mike Mckee. San Francisco.