La relazione esistente tra questo movimento più generale di
capitale e il processo di trasformazioni nello spazio concreto della regione,
può essere verificata attraverso le politiche pubbliche che iniziano ad essere
impiegate a partire dalla seconda metà degli anni ‘80. È importante
evidenziare che questo processo non avviene in forma automatica. Tutto il
processo di liberalizzazione implica un insieme di fattori che possano
legittimarlo. Nel caso latino americano la crisi del modello di sostituzione
delle importazioni e la "impossibilità" di trovare una via di scampo
è ciò che ha fatto spazio affinché queste politiche di liberalizzazione e
privatizzazione prendono forza.
La crisi regionale è strettamente vincolata all’interruzione
dei flussi esteri e al prosciugamento delle ricette di cambiamento. I flussi
liquidi totali di capitale verso l’America Latina in un decennio si riducono
drasticamente. La ripresa dei crediti esteri comincia ad essere vista come
condizione primordiale per la ripresa della crescita, ma la questione è
qualcosa di più che una semplice ripresa della fiducia degli investitori
esteri. Ripetuto fino all’esaurimento, il discorso delle virtù del mercato
incontra un luogo comune nei mezzi di comunicazione e nel linguaggio politico.
La cosiddetta " ripresa di fiducia" della comunità finanziaria
internazionale si inserisce in una fase dove le finanze internazionali sono in
vera espansione, e portano con sé una visione del mondo molto diversa da quella
del capitalismo organizzato o del fordismo e la sua regolamentazione
caratteristica, che ha dominato buona parte dell’ideologia dei governi
occidentali nei cosiddetti anni d’oro del capitalismo (Hobsbawn, 1996). Le
aperture e la solidità dei conti di commercio e di capitale accompagnate dal
processo di stabilità monetaria sono le parole d’ordine per la ripresa della
fiducia degli investitori esteri.
Il processo di deregolamentazione dei conti di capitale
trovavano la loro legittimazione nei diversi argomenti legati alle virtù del
mercato.
Le idee fortemente liberalizzanti andarono prendendo
legittimità in tutto il continente. Ad essi si associarono i piani di
stabilizzazione, che in breve sarebbero andati a promuovere, contemporaneamente
all’apertura commerciale, un’invasione di prodotti esteri. Le conseguenze di
queste misure verranno anche evidenziate dagli indicatori inflazionistici e dei
flussi di capitale.
Gli indici dei prezzi al consumo cadranno sensibilmente in
Argentina a partire dal 1991 e in Messico precedentemente. Per l’America Latina
gli indici inizieranno a cadere a partire dal 1994, ma la tendenza al ribasso si
poteva verificare precedentemente se non fosse stato per il ritardo brasiliano
nell’adozione del piano di stabilizzazione.
L’apertura dei conti di capitale otterrà ripercussioni
spettacolari sui flussi finanziari della regione. La percentuale dei flussi
liquidi di capitale è salita repentinamente da 1,3% del PIL tra il 1983-1990 al
5,2% tra il 1992-1994. Questa affluenza corrisponde al movimento più generale
dei finanziamenti su scala mondiale. La natura di questi capitali è imputabile
ad un processo più ampio speculativo, nella misura in cui buona parte sarà di
capitali a breve termine in cerca di guadagni finanziari. Anche la natura
dell’indebitamento, che crescerà a partire dal riavvicinamento della regione al
mercato finanziario internazionale, porterà novità. La grande novità sarà la
crescita dell’emissione dei titoli-bonus internazionali, sotto forma di
capacità di attirare il risparmio estero. Messico, Argentina e Brasile saranno
i leader regionali dell’emissione dei bonus. Bisogna mettere in risalto che
anche gli investimenti esteri diretti torneranno fortemente verso la regione, in
buona misura per i programmi di trasferimento patrimoniale (concessioni e
privatizzazioni) che saranno messi in opera, come anche per l’opportunità di
acquisto e fusione che verranno rese possibili. Alcuni dati sull’argomento
possono essere riassunti nella seguente forma.

Sia la stabilizzazione di prezzi che la ripresa dei flussi di
capitali verso la regione permetteranno la ripresa della crescita. Il PIL
regionale arriverà a circa 3,5% tra 1991 e il 1997 contro l’1% tra il 1981 e il
1990. La ripresa della crescita e la caduta degli indici dei prezzi daranno
respiro al discorso liberista in contrapposizione a quello dello sviluppo reale,
confuso dalle istituzioni multilaterali come modello popolare ed arcaico. Gli
argomenti critici, fuori del campo liberale, sono tacciati come oltrepassati e
crollati. In un certo modo l’antico nemico rosso dell’epoca della guerra fredda
è sostituito dal pericolo popolare (FIORI, op. cit.). In questo senso le
istituzioni devono essere riformate, lo Stato deve assumere un nuovo ruolo,
infine, un nuovo ambiente deve essere creato per promuovere la competizione e la
fine dei privilegi.
Malgrado le virtù del nuovo modello, una serie di problemi
rimane aperto ed altri si vanno ad accumulare. Le prime manifestazioni degli
effetti collaterali dell’apertura commerciale e del cambiamento possono essere
visualizzati nella bilancia commerciale dei principali paesi della regione. Il
volume delle importazioni cresce ad un ritmo maggiore di quello delle
esportazioni provocando dei deficit ricorrenti durante la prima metà del
decennio degli anni ’90. Il tasso di variazione annuale delle importazioni tra
il 1990-1997 sarà di 14,2% mentre quello delle esportazioni sarà di 9,1%. È
importante evidenziare che una parte considerevole del deficit regionale sarà
associato ai successivi surplus degli USA con l’America Latina.
Tutto ciò influirà notevolmente sul tradizionale deficit
sul conto corrente regionale. La natura speculativa dei capitali che affluiscono
alla regione rende vulnerabili i conti esteri. Qualunque percezione di rischio
su un paese può produrre un’immediata fuga di capitali e provocare squilibri
insuperabili nei conti interni ed esteri. La prima manifestazione di questo tipo
di crisi sarebbe avvenuta nel 1994 in Messico e gli effetti per la regione
potrebbero essere stati sentiti nel 1995, quando il tasso di crescita cadde dal
5,4% nel 1994 a -0,2%. Solamente il Messico avrebbe abbassato il suo PIL a -6,6%
nel 1995. In funzione della interdipendenza crescente dei mercati di cambio la
rapidità di trasmissione della crisi estera tende a crescere violentemente.
Cosicché la crisi Asiatica (1997) e Russa (1998) si faranno sentire subito dopo
nella regione [1].
Queste crisi segnalano l’esaurimento del modello nella
misura in cui evidenziano i suoi punti vulnerabili. Il deficit corrente della
regione aumenta considerevolmente, per continuare a finanziare il “buco estero”,
i tassi di interesse interni tendevano ad aumentare e ciò finisce per produrre
l’aggravamento dei conti interni. Si crea così un circolo vizioso di duplice
indebitamento. Alla radice del problema sta la bassa relazione tra il
finanziamento estero e il tasso di investimento. Secondo MEDEIROS (Idem) buona
parte dei flussi di capitale che sarebbero transitati per la regione furono
diretti a finanziare i consumi, e, quelli diretti agli investimenti vennero
concentrati in settori con bassa o nessuna capacità generatrice. In questo
senso buona parte dei flussi di capitale furono transitori.
“Se i grandi flussi di capitale sono temporanei, come pare
accadere quasi sempre in gran parte dell’America Latina, i movimenti menzionati
delle variabili-chiave darebbero una visione distorta, giacché creerebbero
squilibri economici e la probabilità di aggiustamenti futuri perturbatori con
costi molto alti”. (DEVLIN; FFRENCH-DAVIS e GRIFFITH-JONES, Idem: pp. 279-80)
5. L’aggravamento della crisi e la crisi del modello
L’avventura liberale nella storia economica latino americana
non è nuova, come provano le esperienze sotto la dittatura cilena, argentina e
uruguaiana. Sfortunatamente le amare lezioni non sono servite ad evitare la
rinascita dell’ortodossia.
Il risultato di questo modello è chiaramente espresso dalla
recente crisi argentina, uruguayana, brasiliana e dalla sottomissione crescente
delle economie latino americane al potere del dollaro. Mettendo in conto che le
pressioni americane per la concretizzazione dell’ALCA sono sempre più
intense, il continente corre il rischio di diventare il vero cortile degli USA.
Le crisi dal 2000 fino ad oggi sono state frequenti, ciò rende sospetto tutto
il discorso dominante sui guadagni della “stabilità” del modello. Come
parlare di stabilità in un paese come l’Argentina, dove la stessa stabilità
istituzionale è in prova. Senza regole la regione vive crisi economiche,
associate all’aggravamento delle condizioni di vita dei cittadini e persino
delle crisi istituzionali. Le missioni degli istituti multilaterali, in special
modo quelle della FMI, seguono il modello assurdo di garantire i flussi dei
pagamenti, costi quel che costi.
Le giovani democrazie latino americane ancora non sono state
in grado di creare coalizioni di potere che rompano con questo ciclo di servitù
delle loro elite. Rimaniamo sotto il segno dei nostri “buoni” economisti,
addestrati nelle università anglosassoni e che capiscono solo un unico
discorso: il mercato è l’unico giustiziere. Il problema di questi “bravi
ragazzi” è che il modello che dovrebbero inventare trascinerebbe paesi interi
verso il ristagno, con tutte le conseguenze sociali che ciò andrebbe ad
arrecare.
I tassi di crescita del PIL durante il decennio sono stati
ridicoli. Il PIL pro-capite è cresciuto tra il 1992-2001 solo dell’1,2%, meno
del tasso di crescita della popolazione che è stato dell’1,6%. La
disoccupazione urbana è passata da 5,5% nel 1990 all’8,4% nel 2001. E ciò che
è più grave, ancora una volta le restrizioni esterne creano uno scenario
oscuro per i prossimi anni. Il debito estero liquido è più raddoppiato tra il
1990 e il 2001, ossia una crescita approssimativa del 65%. Ciò deve essere
visto dentro il contesto attuale di mancanza di liquidità estera, e questo
riporta ancora una volta la regione verso la tutela delle istituzioni
finanziarie multilaterali.
La crisi economica è una costante negli ultimi 20 anni,
fatta eccezione per dei paesi che hanno ottenuto un miglior disimpegno, per
fattori che non è compito nostro discutere in questo testo. Dobbiamo tenere in
conto che non è una crisi locale, ma è il risultato di un sistema di Stati che
sono ossessionati della politica inflazionistica e votata a garantire gli
interessi dei detentori della ricchezza liquida. Nel contesto della egemonia
americana, i dati rivelano che nel controllare la moneta in corso universale (il
dollaro), il governo americano ha la possibilità di finanziare il benessere dei
suoi cittadini alle spese di una buona parte del mondo che si vede costretta ad
andare avanti anche durante i momenti più duri del ciclo.
6. Conclusioni
Il presente lavoro ha cercato di mettere in risalto le
trasformazioni che stanno attraversando l’economia latino americana in un
contesto più ampio delle trasformazioni del regime di accumulazione mondiale.
In questo aspetto si è data enfasi alla strategia della
politica estera degli Stati Uniti come fattore determinante nel cambiamento di
rotta osservato nella regione. Le alterazioni della politica monetaria delle
potenze egemoniche hanno prodotto un forte effetto recessivo in America Latina,
aggravando il problema della pressione esterna regionale. È così che il
decennio degli anni ’80 è stato contrassegnato dal basso tasso di crescita
regionale. La nascita di importanti movimenti, associati al problema dello “strozzamento
esterno”, ha prodotto effetti devastanti sui conti pubblici aggravando il
problema della legittimità delle istituzioni statali.
Il nuovo orientamento pro-mercato e sulla divisa esterna
permettono la ripresa dei finanziamenti esterni alla fine degli anni ’80. È
fondamentale tenere in conto che la ripresa dei flussi di capitale verso la
regione si sono avuti in un quadro di ampia espansione dei mercati finanziari su
scala globale. C’è pertanto una forte relazione tra il movimento generale di
capitali e l’apertura dei conti di capitale nella regione.
L’onda liberoscambista, che ottiene nuovo impulso sul piano
internazionale, può anche essere associata all’interesse dei paesi centrali nel
garantirsi spazi in una fase di intensi riassestamenti, riaggiustamenti e di
mutamenti nella strategia competitiva dei grandi oligopoli.
Ci sono quindi una serie di relazioni che possono essere
stabilite a partire dalla contestualizzazione di aggiustamenti avvenuti in
America Latina.
Malgrado i progressi ottenuti sia nel combattere
l’inflazione, sia nella ripresa della crescita quantitativa, possono anche
osservarsi gravi punti vulnerabili nella politica adottata nella regione.
L’aggravamento delle condizioni di finanziamento estero relazionate alle
successive crisi finanziarie internazionali mette in scacco il mantenimento
della crescita.
Gli effetti politici e sociali delle crisi avvenute a partire
dall’aggravamento dei problemi esteri si fanno già sentire attraverso la
crescita dei tassi di disoccupazione, principalmente nelle regioni
metropolitane, e dalla decelerazione dei tassi di crescita del prodotto. Tutto
ciò in un contesto dove è chiaro che un ciclo di finanziamento estero si è
esaurito.
Per ultimo, ma non meno importante, bisogna mettere in
risalto che una delle maggiori conquiste regionali durante gli ultimi 15 anni è
stato l’avvento della democrazia in quasi tutti i paesi della regione. La
ripresa dell’istituzionalità democratica è associata all’esaurimento del
ciclo dell’autoritarismo che trovava appoggio nelle potenze egemoniche nel
periodo della guerra fredda. Resta ancora un lungo cammino verso il
consolidamento della democrazia nella regione, se pensiamo, che questo regime
implica un patto sociale che riscatti l’enorme debito, a partire dai settori
esclusi ed emarginati del continente. Resta da vedere se questo debito può
essere estinto alla base . Di sicuro la soluzione non potrà aversi a partire
dall’aggravamento della vulnerabilità esterna, che storicamente riguarda la
regione, e neanche con l’adozione di un modello che produca successivamente più
disoccupati.
É in questo senso che concludiamo mettendo in dubbio
l’eccessivo grado di adesione alla cosiddetta “globalizzazione” e agli
interessi della politica estera americana che può essersi verificato nella
regione. Dubitiamo anche che a medio termine il modello in corso sia compatibile
con una istituzione democratica. La stabilità strutturale associata alla
liberalizzazione del movimento di capitali è già stata sfruttata nella storia
recente del capitalismo. Il modello che si sostiene nelle aspettative della
comunità finanziaria internazionale ha poco o quasi niente da offrire in
termini di stabilità sociale e pertanto è in ultima analisi incompatibile con
lo sviluppo.
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[1] Dati del CEPAL ottenuti a partire da Devlin; Ffrench-Davis e
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