La nuova legge in materia di sciopero nei servizi pubblici
essenziali non detta una disciplina radicalmente nuova della materia, ma
modifica, anche se in maniera incisiva, la legge precedente. Per questa ragione
è necessario muovere da un sintetico esame del precedente testo di legge.
La legge n.146 del 1990 ha introdotto per la prima volta nel
nostro ordinamento una regolamentazione legislativa dell’esercizio del diritto
di sciopero nei servizi pubblici essenziali - per meglio dire, nei servizi che
devono qualificarsi pubblici ed essenziali in base ai criteri posti dalla
legge stessa - allo scopo di “contemperare l’esercizio del diritto di
sciopero con il godimento dei diritti fondamentali della persona,
costituzionalmente tutelati” (art.1, comma 2): In nome del “bilanciamento”
tra i diritti considerati sono state così previste limitazioni incisive all’esercizio
del diritto di sciopero, in una vasta area del settore terziario (servizi), che
alla fine degli anni ottanta aveva conosciuto un forte aumento della
conflittualità.
Le limitazioni all’esercizio del diritto di sciopero nella
legge 146/90: prestazioni indispensabili, preavviso e indicazione della durata.
Nel sistema della legge 146/90 la prima, fondamentale limitazione consiste nell’obbligo
dei soggetti che proclamano lo sciopero (organizzazioni sindacali e/o formazioni
spontanee di lavoratori), dei singoli lavoratori che aderiscono, e delle
amministrazioni ed imprese erogatrici dei servizi, di garantire, in caso di
sciopero, l’erogazione delle c.d. prestazioni indispensabili, cioè di
una soglia minima di prestazioni. L’individuazione delle prestazioni
essenziali da garantire in caso di sciopero non è fatta direttamente dalla
legge, ma è dalla stessa affidata ad altre fonti, e cioè, in sostanza, all’autoregolamentazione
adottata dalle singole organizzazioni sindacali, e alla contrattazione
collettiva, facendo dunque carico alle organizzazioni rappresentative di
realizzare il contemperamento tra il diritto di sciopero e i diritti degli
utenti. La regolamentazione adottata dovrebbe essere controllata a posteriori da
un’autorità amministrativa non soggetta al controllo dell’esecutivo, che la
norma individua nella Commissione di garanzia per l’attuazione della legge. In
caso di giudizio negativo, o in caso di mancato accordo, la stessa Commissione
deve procedere alla formulazione di una proposta sulle prestazioni da
considerarsi indispensabili.
Limitazioni ulteriori consistono nell’obbligo di proclamare
lo sciopero con un preavviso non inferiore a dieci giorni (art.2 comma
5), e nell’obbligo di indicarne la durata al momento della proclamazione
dello stesso (art.2 comma 1).
Il sistema sanzionatorio. La Commissione di garanzia valuta
il comportamento delle parti e, se rileva violazioni degli obblighi posti dalla
legge e dagli atti collettivi, le segnala al datore di lavoro per l’applicazione
delle sanzioni. A carico delle organizzazioni sindacali si prevede l’esclusione
dai benefici patrimoniali (contributi sindacali e permessi retribuiti) per
un periodo non inferiore ad un mese, e l’esclusione dalle trattative
(per i sindacati ammessi, ovviamente) per un periodo di due mesi dalla
cessazione del comportamento illegittimo. I lavoratori che aderiscono ad uno
sciopero proclamato in violazione della legge, o che rifiutano di effettuare le
prestazioni indispensabili concordate, sono sottoposti a sanzioni
disciplinari proporzionate alla gravità dell’infrazione, con esclusione
del licenziamento.
La precettazione. La legge prevede e disciplina il ricorso
alla precettazione, indicandone il presupposto in “un fondato
pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente
garantiti, a causa del mancato funzionamento dei servizi di preminente
interesse generale” dovuto alle modalità dello sciopero. Il potere di
adottare l’ordinanza di precettazione è attribuito al Presidente del
Consiglio o ad un ministro da lui delegato, in caso di conflitto di rilevanza
nazionale, ovvero al Prefetto negli altri casi. L’autorità precettante deve
promuovere un tentativo di conciliazione e, in caso di esito negativo, adottare
ordinanza motivata di precettazione diretta a garantire le prestazioni
indispensabili. Contro l’ordinanza, si può promuovere ricorso nel termine di
sette giorni avanti al giudice amministrativo.
Cosa cambia. La nuova legge, approvata in nome dell’esigenza
di regole e sanzioni in grado di garantire il governo del conflitto, secondo i
promotori (e sostenitori) non sufficientemente assicurato dalla L.146/90,
modifica la disciplina in diversi punti fondamentali.
Ampliamento dei soggetti a cui si applica la disciplina. La
nuova legge si applica per espressa previsione anche ai “lavoratori
autonomi, professionisti o piccoli imprenditori”, quando la loro
astensione collettiva dalle prestazioni, per fini di protesta e di
rivendicazione di categoria, incide sulla funzionalità dei servizi pubblici
essenziali (art.2 bis). La legge contiene pertanto una serie di norme che “modellano”
la disciplina sulle “specificità” di questi soggetti, che impediscono un’applicazione
automatica nei loro confronti della disciplina dettata per il lavoro dipendente.
Previsione di nuovi limiti e nuovi obblighi: gli intervalli,
le procedure obbligatorie di raffreddamento e conciliazione, le modalità della
convocazione. La nuova legge prevede l’obbligo per le parti del conflitto di
indicare negli accordi sulle prestazioni indispensabili gli “intervalli
minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del
successivo, quando ciò sia necessario ad evitare che, per effetto di
scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali diversi e che
incidono sullo stesso servizio finale e sullo stesso bacino di utenza, sia
oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici”. La norma,
ispirata ad analoga disposizione del Patto Treu per il settore dei trasporti,
mira a garantire la c.d. rarefazione oggettiva degli scioperi (oggettiva perché
prescinde da chi promuove l’azione ), e pone una limitazione pesante all’esercizio
del diritto di sciopero, perché può determinare una situazione in cui il
sindacato che proclama per primo lo sciopero impedisce agli altri, per tutto il
periodo di intervallo, di proclamarne. Gli accordi devono poi prevedere, in base
alla nuova legge, “procedure di raffreddamento e conciliazione obbligatorie
per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero”,
di cui le parti possono decidere di non avvalersi, essendo tenute in questo caso
a richiedere lo svolgimento di un tentativo di conciliazione presso la
prefettura (o il Comune), o presso “la competente struttura del Ministero
del lavoro”, a seconda della rilevanza locale o nazionale dello sciopero.
Un primo effetto - negativo - della obbligatorietà della procedura di
raffreddamento e conciliazione consiste nell’allungamento dei tempi necessari
per l’effettuazione dell’azione di sciopero: ai giorni di preavviso si deve
infatti sommare il tempo necessario per l’effettuazione di tale procedura,
che, come detto, deve precedere la proclamazione. Quanto alla
possibilità che le procedure obbligatorie di raffreddamento e conciliazione si
traducano in qualcosa di più e di diverso da meri adempimenti burocratici e
dilatori, sarà la prassi a dirlo, anche se allo stato ciò appare molto poco
probabile. La legge introduce poi l’obbligo di proclamare lo sciopero
comunicando per iscritto, nel termine di preavviso, la durata e le modalità di
attuazione dello sciopero, nonché la motivazione dello stesso, non solo
alla controparte (impresa o amministrazione) ma anche all’autorità titolare
del potere di precettazione, che la trasmette alla Commissione di garanzia.
Quest’ultima previsione è un segnale rivelatore della logica in cui si muove
il legislatore, che afferma di attribuire alla precettazione natura di strumento
“eccezionale”, ma poi dispone che la comunicazione dello sciopero venga data
non alla Commissione di garanzia, ma all’autorità titolare del potere in
questione.
Potere della Commissione di adottare una provvisoria
regolamentazione vincolante. Una novità fondamentale è prevista con
riferimento ai poteri della Commissione di garanzia. Come abbiamo visto, in base
alla vecchia legge la Commissione valutava gli accordi, e in caso di giudizio
negativo - o in caso di assenza di accordo - formulava una proposta sulle
prestazioni da considerarsi indispensabili. Sul valore giuridico della proposta
ovvero sul punto se le parti fossero o meno obbligate a rispettarla - non c’è
mai stata certezza. La nuova legge attribuisce alla Commissione il potere di
adottare con delibera, negli stessi casi, una provvisoria regolamentazione
che le parti sono tenute ad osservare fino al raggiungimento di un accordo
giudicato idoneo dalla Commissione. La provvisoria regolamentazione riguarda non
soltanto le prestazioni indispensabili, ma anche gli altri aspetti che
gli accordi devono attualmente, obbligatoriamente regolare: primi tra tutti, gli
intervalli minimi e le procedure di raffreddamento e conciliazione. Il
considerevole potere che viene così attribuito alla Commissione incontra un
limite, perché la legge individua il criterio in base al quale la Commissione
deve giudicare dell’idoneità degli accordi, e deve formulare la provvisoria
regolamentazione. Dice la norma che le prestazioni indispensabili “salvo
casi particolari, devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il
50% delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente
necessarie di personale non superiore mediamente ad un terzo del personale
normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio (...) tenuto
conto delle condizioni tecniche di sicurezza”, precisando che nel 50% non
si computano i servizi prestati nelle fasce orarie “garantite”. In
sostanza, si prevede un tetto massimo di prestazioni indispensabili, ma è
difficile capire come agirà in concreto questa previsione. L’unica cosa che
allo stato si può affermare - e non è poco - è che la previsione del “tetto
massimo” rende senz’altro sindacabile in via giudiziale la regolamentazione
provvisoria dettata dalla Commissione sotto il profilo del rispetto del tetto
stesso. Non dovrebbe più essere possibile che, come è accaduto in moltissimi
casi sino ad oggi, il personale “contingentato” in occasione delle giornate
di sciopero sia numericamente superiore al personale ordinariamente occupato in
un determinato servizio. E forse per questa via si potrà chiedere in taluni
casi (si pensi a tanti reparti ospedalieri sprovvisti di personale
infermieristico) l’adeguamento degli standards del personale ai requisiti
legislativamente previsti, contrastando la tendenza alla contrazione della spesa
pubblica.
Modifiche al sistema delle sanzioni. La modifica fondamentale
consiste nell’attribuzione alla Commissione del potere di deliberare
direttamente le sanzioni, prima determinate dal datore di lavoro su segnalazione
delle violazioni da parte della Commissione. Contro le delibere in materia di
sanzioni è ammesso il ricorso al giudice del lavoro. Quanto alle sanzioni
applicabili alle O.O.SS, da un lato la nuova legge prevede un sistema più
flessibile, perché consente di sospendere solo i permessi, o solo i contributi,
o entrambi, e rende solo eventuale la sanzione della sospensione dalle
trattative: il punto sarà chiaramente quello di vedere come verrà usata questa
“flessibilità” (che evidentemente si presta a discriminazioni). Dall’altro,
la legge aggrava le sanzioni stabilendo un minimo di cinque e un massimo di
cinquanta milioni di lire, e indicando come criteri per la determinazione della
misura della sanzione la consistenza associativa, la gravità della violazione,
la recidiva, la gravità degli effetti dello sciopero. Per colpire i sindacati
che non godono dei benefici patrimoniali (permessi e contributi) viene poi
introdotta una sanzione amministrativa, anche questa di importo minimo di
£.5.000.000 e massimo di £.50.000.000. Le sanzioni, già gravose, sono
raddoppiate nel massimo se lo sciopero viene effettuato nonostante l’invito
della Commissione a riformularne la proclamazione o differirlo. Per contrastare
il c.d. effetto annuncio, è prevista una sanzione in caso di revoca dello
sciopero dopo che dello stesso sia stata già data comunicazione agli utenti,
salvo il caso di intervenuto accordo. Quanto alle sanzioni disciplinari per i
singoli lavoratori, sono deliberate dalla Commissione e il datore di lavoro ha l’obbligo
di applicarle, obbligo che svuota di senso la procedura del contraddittorio nell’applicazione
delle sanzioni prevista dall’art.7 dello Statuto del lavoratori. Infine, sono
previste nuove sanzioni a carico delle imprese e delle amministrazioni per
violazione degli obblighi previsti a loro carico dalla legge e in caso di
mancata applicazione delle sanzioni deliberate dalla Commissione.
Precettazione. Novità negative anche qui. Si amplia la
possibilità del ricorso alla precettazione, ammessa non più solo in caso di
pericolo per mancato funzionamento del servizio, ma anche in caso di pericolo
per “alterazione del funzionamento dei servizi pubblici”. Diventano
più gravi le sanzioni: per ogni giorno di inosservanza della precettazione, da
un minimo di cinquecentomila a un massimo di un milione di lire per i singoli
lavoratori, da cinque a cinquanta milioni per le O.O.S.S. Va segnalato in
ultimo, che per le violazioni commesse prima del 31 dicembre 1999 la legge
stabilisce l’inapplicabilità delle sanzioni della L.146/90, l’estinzione
delle sanzioni già applicate e dei processi in corso relativi agli atti con cui
sono state comminate le sanzioni, stabilendo inoltre che “in nessun caso si
darà luogo alla ripetizione delle somme già versate”: neanche in caso di
illegittimità accertata delle sanzioni già applicate si avrebbe diritto alla
restituzione (la norma appare viziata da incostituzionalità e si dovrà portare
la questione davanti alla Corte).
Ulteriori limiti, nuove e più pesanti sanzioni, allargamento
dei presupposti del ricorso alla precettazione: si tratta di elementi nuovi in
grado di condizionare pesantemente il ricorso allo sciopero. Al centro del
sistema così delineato dalla nuova legge c’è la Commissione di garanzia, con
il ruolo che essa svolge in ordine all’individuazione delle prestazioni
indispensabili e delle altre misure (valutazione degli accordi e potere di
adottare la provvisoria regolamentazione), e alla valutazione delle violazioni e
deliberazione delle sanzioni.
Il controllo dell’operato della Commissione diventa
pertanto fondamentale per contrastare le restrizioni ulteriori all’esercizio
del diritto di sciopero e le politiche di repressione del conflitto che saranno
attuate. E’ sufficiente avere presente il ruolo svolto dalla Commissione nelle
vicende degli ultimi scioperi nei settori della scuola e dei trasporti per
comprendere in che misura essa possa, attraverso la propria attività,
condizionare lo svolgimento del conflitto. Il controllo costante dell’attività
della Commissione è necessario inoltre al fine di contrastare, con gli
strumenti giuridici a disposizione, l’imposizione di limitazioni all’esercizio
del diritto di sciopero e l’adozione di scelte sanzionatorie che avvengano in
violazione della legge.
Le forme organizzate del mondo del lavoro - ed in primo luogo
il sindacalismo di base che è presente nei servizi - hanno oggi l’assoluta
necessità di dotarsi di strumenti di controllo e di intervento rispetto alla
evoluzione in materia, con la consapevolezza che - anche sul piano degli
organismi competenti ad intervenire - la legge sul diritto di sciopero è stata
ed è un banco di prova: si pensi ad esempio al ruolo delle “authorities”,
tra le quali si pone senz’altro la Commissione di Garanzia, ed al possibile
rapporto tra l’intervento davanti alla Commissione e la valutazione in sede
giudiziaria del suo operato.
Ma le questioni poste dalla legge possono divenire un terreno
sperimentale di rapporto tra lavoratori ed utenti dei servizi, ribaltando la
contrapposizione indotta da una cultura che vede il consumatore come distinto e
nemico del lavoratore, cultura cavalcata da quasi tutte le organizzazioni dei
consumatori, ed invece ponendo al centro del dibattito la questione dello
smantellamento e della privatizzazione dei servizi pubblici e la necessità di
attrezzare nuovi strumenti di tutela a fronte di una situazione che vede il
cittadino sempre più privo di diritti sociali a fronte dell’avanzare sempre
più massiccio di soggetti economici potentissimi ed arroganti.
E non può essere certo rimosso il dato principale: che lo
sciopero è l’arma principale per sostenere il conflitto (per promuovere
rivendicazioni e per difendere i propri interessi) messa in campo dal movimento
dei lavoratori, che la crescita sociale e democratica del Paese è stata in gran
parte generata ed accompagnata dalle astensioni collettive dal lavoro, che l’organizzazione
sindacale senza strumenti efficaci di lotta si trasforma da strumento di difesa
e di avanzamento sociale in qualcosa di diverso e sempre più incapace di
rappresentate gli interessi del mondo del lavoro: insomma la tutela del diritto
di sciopero è interesse primario dei lavoratori ed è interesse primario di una
società democratica.
Progetto Diritti - mettendo a disposizione le proprie
competenze giuridiche e la propria esperienza - propone alle forze del
sindacalismo di base di partecipare, unitamente ai soggetti democratici, ai
lavoratori ed agli uomini di cultura interessati, di realizzare un osservatorio
permanente sul diritto di sciopero, con lo scopo primario di seguire ed
analizzare puntualmente ciò che avviene sul piano dell’interpretazione della
normativa e di fornire gli strumenti - anche giuridici - per intervenire
tempestivamente davanti alla Commisione, in sede parlamentare, davanti all’opinione
pubblica ed ai cittadini utenti ed in sede giudiziaria a fianco dei lavoratori e
delle loro rivendicazioni.