Rubrica
Q UA L E L AV O R O , Q UA L E S O C I E T À

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

James Petras
Articoli pubblicati
per Proteo (12)

Professore emerito, State University, New York

Argomenti correlati

Nella stessa rubrica

Settore automobilistico, la produzione modulare e i suoi effetti sulla forza lavoro
VLADIMIR CASTILLO, GUILLERMO CAMPOS RÍOS

Semiperiferiae lavoratori dell’energia in tempo di crisi
James Petras

Società o mercato della conoscenza?
Alessandra Ciattini


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Semiperiferiae lavoratori dell’energia in tempo di crisi

James Petras

Formato per la stampa
Stampa

1. Settore energetico nella semiperiferia del capitale

Nella semiperiferia, ad esempio latino-americana, la situazione del settore energetico è determinata sia dai rapporti interni che esteri delle forze politiche, dal livello dell’organizzazione di classe e di potere all’interno delle classi dominanti e lavoratrici, dalla condizione dell’economia mondiale e dalla forza e debolezza dell’imperialismo statunitense. La ‘situazione del settore energetico’ rimanda alle diverse varianti in termini di proprietà, peso nell’economia e distribuzione dei ricavi del petrolio nella struttura di classe. Il rapporto di forze tra i sostenitori del capitalismo ed i lavoratori del settore energetico varia notevolmente in America Latina: in Venezuela, il governo di Chávez, con il sostegno dell’unione dei lavoratori del petrolio, ha esteso la proprietà pubblica e ha distribuito le entrate del petrolio alle classi popolari attraverso sussidi alimentari, programmi di salute e di educazione pubblica. Al polo opposto, nella Colombia del Presidente Uribe, le compagnie di petrolio private e straniere hanno il pieno controllo, i profitti vanno a vantaggio dei paesi imperialisti o della classe dominante, le entrate governative sovvenzionano l’oligarchia, mentre le squadre della morte sostenute dal governo ed i militari assassinano e minacciano i leaders sindacali e della comunità. Tra questi due poli - quello della sinistra nazionalista e quello neo-fascista di destra - vi sono diverse altre varianti: democratica partecipativa, liberale e neo-liberista. La Bolivia di Evo Morales e l’Ecuador di Rafael Correa rappresentano l’apertura democratica e propongono partecipazione tra Stato e compagnie petrolifere straniere, separando così i profitti dallo sfruttamento del petrolio greggio. Le compagnie straniere hanno ancora il controllo di gran parte o di tutta la raffinazione e dell’industria, mentre i governi democratici devono ancora stabilire i propri sistemi di mercato. Le politiche liberali sono presenti in Brasile e in Argentina, dove le maggiori compagnie di petrolio sono statali solo sulla carta, visto che sono quotate nei mercati azionari dell’America Latina e di Wall Street. L’entrata statale è distribuita in modo sproporzionato, il grosso è usato per sovvenzionare il settore agro-alimentare e la parte minore per finanziare programmi sociali, compresi quelli contro la povertà. Le politiche neoliberiste sono quelle del Messico e del Perù, dove le compagnie petrolifere e le risorse energetiche, in passato di proprietà pubblica, sono state cedute alle compagnie petrolifere ed energetiche straniere. In Messico solo la militanza sindacale dei lavoratori del settore elettrico (SME) ha impedito al governo la privatizzazione di quest’industria strategica. Nei regimi neoliberali le entrate del petrolio e dell’energia sono state distribuite quasi esclusivamente tra le classi dominanti e le compagnie straniere, mentre ai lavoratori, ai contadini e alle comunità indigene è stata destinata solo una minima parte sotto forma di sussistenza ai programmi di povertà. I regimi neoliberali disinvestono e depredano le pubbliche imprese, diminuendo le loro quote di produzione e lasciandole con i loro debiti, con una tecnologia obsoleta e con una capacità di adempiere agli obblighi d’oltremare decisamente declinante.

2. L’impatto del boom economico e della recessione globale (2003-2009) L’andamento e la proprietà del settore energetico sono influenzati dalla lotta di classe internazionale, dalle condizioni dell’economia mondiale e dall’ascesa e declino dell’imperialismo degli Stati Uniti. La crisi del neoliberismo e le rivolte popolari tra il 1999 e il 2005 hanno concluso la fase principale della privatizzazione su larga scala in molti paesi dell’America Latina. Il rovesciamento dei governi di De la Rua in Argentina, di Sánchez de Losada in Bolivia e di Lucio Gutierrez e di Alvaro Noboa in Ecuador, il fallimento dei golpisti in Venezuela (aprile 2002) e lo sciopero messo in atto attraverso la cacciata dalle fabbriche dei tecnici petroliferi (dicembre 2002-febbraio 2003) hanno portato i movimenti radicali di massa a proporre un nuovo programma politico: la ri-nazionalizzazione del settore energetico, petrolifero, elettrico, minerario ecc. Tuttavia, con l’eccezione del Venezuela, la ribellione popolare non ha portato a governi di lavoratori-contadini. Al contrario, la classe media di centro-sinistra si è alleata con le classi popolari per quanto riguarda alcune riforme parziali. In Bolivia, Evo Morales ha accresciuto la funzione dello Stato in comproprietà con 42 compagnie petrolifere e di gas a capitale straniero. In Argentina, Kirchner ha istituito una compagnia statale ma si è rifiutato di ri-nazionalizzare YPF/Repson. In Ecuador, Correa ha aumentato le tasse sulle compagnie petrolifere, ma le multinazionali estere producono ancora il 57% di greggio. In Brasile, anche Lula si è rifiutato di ri-nazionalizzare le imprese private e la maggior parte delle quote di Petrobras sono rimaste nelle mani di investitori privati. La battaglia maggiore contro lo sfruttamento delle compagnie energetiche e minerarie in Perù, Colombia, Ecuador e Cile è stata condotta dai movimenti indigeni e in alcuni casi è stata supportata dai lavoratori del petrolio e dalle organizzazioni di agricoltori. La ragione è chiara: le compagnie energetiche non solo sfruttano il lavoro ma distruggono le economie locali e le condizioni di vita, a causa delle pesanti contaminazioni dell’ambiente tradizionale. In Brasile, la promozione, voluta da Lula su larga scala e a lungo termine, delle immense piantagioni da zucchero e delle raffinerie multinazionali che producono etanolo ha portato allo spostamento di migliaia di piccole aziende e di comunità indigene e ha intensificato lo sfruttamento dei lavoratori rurali. Il Movimento dei Lavoratori Senza Terra (MST), insieme ad altri gruppi sociali alleati con Lula sono impegnati in lotte difensive. Tuttavia, senza gli alleati urbani, essi sarebbero stati incapaci di sconfiggere l’unione di Lula con l’impresa agro-industriale.

3. Lavoratori urbani e sindacati La forza trainante delle ribellioni popolari contro il neo-liberismo varia nei diversi paesi e nelle diverse epoche. In Ecuador, all’inizio del decennio passato, i lavoratori del petrolio, delle miniere e delle fabbriche si sono uniti con i movimenti contadini di massa per sconfiggere l’imprenditore “re delle banane” Alvaro Noboa. In Argentina, i disoccupati e la classe media si sono impegnati per il rovesciamento di De la Rua. In Venezuela, i lavoratori petroliferi sono divisi tra una minoranza che appoggia la cacciata dalle fabbriche dei tecnici (detrattori di Chávez) e la maggioranza che controlla ed opera sui pozzi, in supporto al presidente Chávez. Durante tutto il decennio, tuttavia, i lavoratori del settore energetico si sono organizzati militando in difesa del loro settore economico, opponendosi alla privatizzazione e proteggendo i loro standard di vita grazie alle lotte di massa. Ma la loro presenza nelle ribellioni popolari è stata scarsa. In molti casi la guida dei sindacati del settore energetico ha sostenuto i regimi di centro-sinistra allo scopo di assicurarsi concessioni salariali e protezione occupazionale. Nel migliore dei casi, i sindacati del settore energetico si sono impegnati in dimostrazioni di solidarietà con la lotta di massa dei contadini, degli indigeni e dei disoccupati. Paradossalmente, la forte organizzazione militante dei sindacati dell’area energetica ha prodotto utili economici e riforme di settore che a loro volta hanno generato zone altamente segregate di affluenza per una massa di poveri provenienti dall’area urbana e da quella rurale. Nel decennio trascorso si è assistito al declino dei lavoratori del settore energetico in quanto avanguardia delle ribellioni popolari, e alla fine un’altra classe ha preso il loro posto. Questo comporta un pericolo strategico poiché durante la privatizzazione su larga scala del settore energetico, i lavoratori non potranno assicurare il supporto al resto della classe lavoratrice e contadina. Mentre in Amazzonia l’estrazione del petrolio crea occupazione per i lavoratori petroliferi, essa distrugge la vita delle comunità indigene, generando pericolosi conflitti tra le compagnie petrolifere, con i loro operai e l’insieme degli artigiani, i piccoli imprenditori e le comunità indigene che vivono in prossimità di aree minerarie e di lavorazione del greggio. Questi ultimi dipendono dall’agricoltura, dalla pesca e dai prodotti di artigianato.

4. La recessione mondiale e il settore energetico La crisi mondiale non può risolversi unicamente con gli scioperi e le proteste. La stessa ri-nazionalizzazione non può, da sola, creare le basi per una ripresa nazionale. L’unica alternativa per i lavoratori del settore energetico è una rivoluzione politico-culturale interna, in cui si possa ripensare la propria strategia di base e andare oltre le lotte settoriali. La profonda recessione corrente può essere fronteggiata solo a livello politico nazionale, formando una più ampia alleanza politica con le classi popolari sulla base di una strategia di presa di potere statale. Di fronte al collasso del capitalismo, la lotta sindacale non ha più efficacia. I sindacati possono solo assumere un ruolo decisivo all’interno dei movimenti anti-capitalisti, ossia intraprendere una svolta verso un’esplicita accettazione del socialismo. Oggi l’intera classe capitalista ha assunto il controllo dello stato, soprattutto del bilancio statale, per finanziare la propria sopravvivenza e ripresa a spese dei lavoratori, dei contadini, degli indigeni e dei poveri che vivono in città. Nella misura in cui la crisi si intensifica, la ribellione della massa urbana e rurale romperà ancora una volta i vincoli dell’egemonia borghese. La questione allora sarà: i lavoratori del settore energetico faranno parte di una soluzione socialista o parte del problema capitalistico? I lavoratori del settore energetico potranno tornare ad essere parte di un’avanguardia o rimarranno parte della retroguardia? Ciò che è totalmente chiaro è che i lavoratori del settore energetico occupano una posizione strategica nel sistema capitalista mondiale, poiché senza petrolio non si muove nulla, senza elettricità le banche non possono contare i loro profitti e gli investitori non possono conoscere i pagamenti dei loro dividendi. Fino ad oggi, il sistema capitalista, nella sua totalità, non ha mai dimostrato di essere un sistema fallito, né nella produzione di beni e servizi, né nel fornire credito e finanza, né nell’impiego di manodopera. Torna alla mente la famosa frase di Karl Marx: “Uno spettro ossessiona la classe capitalista: l’arrivo della rivoluzione socialista”.

1 Lavoro presentato nella Sessione Plenaria dell’Incontro Internazionale dei Lavoratori del Settore Elettrico, tenutosi in Messico e organizzato dal Sindicato Mexicano de Electricistas (SME) Luglio 2009.