Rubrica
PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

NELSON ROSAS RIBEIRO
Articoli pubblicati
per Proteo (1)

Argomenti correlati

Nella stessa rubrica

La crisi economica è solo un sintomo, curiamo la malattia
ALEJANDRO VALLE BAEZA

IL CARATTERE FINANZIARIO DELLA CRISI ATTUALE
NELSON ROSAS RIBEIRO

Interpretazioni del Capitalismo Attuale
REINALDO CARCANHOLO

La definizione delle alternative alla crisi attuale
VICTOR RIOS

Il ruolo delle risorse idriche nell’occupazione israeliana della Palestina
GIULIA ALTERI


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

IL CARATTERE FINANZIARIO DELLA CRISI ATTUALE

NELSON ROSAS RIBEIRO

Formato per la stampa
Stampa

1. Gli “avvenimenti infelici” La crisi che interessa l’economia mondiale ha provocato, da parte delle istituzioni e autorità, i commenti più diversi. La violenza del fenomeno ha sconvolto imprese industriali, commerciali e bancarie, portando molte al fallimento. Le vendite calano, la disoccupazione cresce, comprimendo ancor di più i consumi il che, a sua volta, provoca la riduzione della produzione e la sospensione dei piani d’investimento. La decelerazione dell’attività economica si aggrava, e solo in pochi ancora non vedono che la crisi economica generale si estende all’economia reale. Giustificare il disastro con il crollo del mercato immobiliare e dei sub-prime negli Stati Uniti, anche se poteva sembrare un argomento convincente non regge più. Nessuno è riuscito a spiegare come è stato possibile che un gruppo ridotto di cattivi pagatori potesse provocare una catastrofe di queste proporzioni. Anche se questa spiegazione fosse valida, sarebbe applicabile solo alla crisi attuale. Ma, come spiegare la crisi dell’inizio degli anni 2.000? Per quella, è stato trovato un altro capro espiatorio: l’atto terroristico che distrusse le torri gemelle del WTC, a Manhattan. E che potremmo dire della crisi che si manifestò all’inizio degli anni ‘90? Possiamo usare la stessa scusa già applicata alla crisi precedente, negli anni ‘80: lo shock dei prezzi del petrolio. Rimane fuori, però, la crisi degli anni ‘70. Questa non ha avuto spiegazione; fu una tragica casualità, secondo le parole delle autorità investite dall’OCSE del compito di studiarla per trovare una causa, perché si pensava che la fase ciclica del capitalismo fosse stata superata. Come si sa, dopo la seconda guerra mondiale, il mondo ha attraversato 25 anni di sviluppo senza sussulti, sotto l’influenza delle azioni di politica economica keynesiane. Gli studi elaborati diedero origine al documento conosciuto come Documento McCraken, che concludeva: “... le cause immediate dei gravi problemi del periodo 1971-1975 possono essere spiegate in gran parte dall’ analisi economica classica. (...) La rivoluzione recente si spiega, essenzialmente, per la coniugazione eccezionale nel tempo di una serie di fatti negativi che con certezza non si ripeterà nella stessa scala e i cui effetti sono stati amplificati da alcuni errori di politica economica che potevano essere evitati.” (McCraken). Per ironia, gli “avvenimenti infelici” si sono coniugati in un periodo di circa 10 anni e nessuna politica economica è stata capace di spiegarli e risolverli: il movimento ciclico della economia capitalista, che si ripete da quasi 200 anni, è tornato a manifestarsi con tutta la sua violenza e regolarità. É questa la conclusione alla quale siamo arrivati sul carattere della crisi attuale. Nonostante abbia assunto inizialmente una forma finanziaria, questa crisi non è altro che una nuova manifestazione del movimento ciclico dell’economia capitalista. Un’analisi grafica ci permetterebbe di visualizzare con sufficiente chiarezza queste onde cicliche. Per questo possiamo prendere come indicatore, a partire dal 1962, i tassi di crescita del PIL della economia USA, locomotiva dell’economia mondiale. Per rendere possibile un’osservazione più precisa della linea di tendenza, usiamo un ricorso econometrico, il filtro di Hoderik-Prescott - HP, per costruire il grafico che segue.

Il grafico ci permette di vedere che, nel periodo di 46 anni, l’economia americana è stata investita da sei onde di crescita e decelerazione, ossia, sviluppando sei cicli. Non é minimamente logico pensare che questi movimenti siano stati motivati dal puro caso o siano stati provocati da cause accidentali. É certo che ognuna ha avuto la sua specificità, ma non se ne può negare la regolarità, il che ci obbliga a chiedere una teoria che spieghi le onde come un fenomeno ciclico, ripetitivo, che deve per forza avere una causa generale. Si sa che tutte le attuali correnti di pensiero economico riconoscono e ammettono l’esistenza di periodi di crescita e crisi nelle economie di tutti i paesi capitalisti. La volgarizzazione di questa constatazione può essere osservata nei più consacrati manuali di economia. I dibattiti sulle cause del fenomeno e la scarsa credibilità delle teorie economiche ufficiali, che sostengono il neoliberismo, che cercano di spiegarlo, hanno portato, non solo i governi ma anche i media, per ragioni politico-ideologiche, alla generalizzazione della confusione. Il risultato é che ogni manifestazione ciclica appare come una grande sorpresa, una catastrofe per la quale occorre inventare di fretta una scusa qualsiasi.

2. La crisi ciclica di sovrapproduzione Il fenomeno che abbiamo di fronte é trattato da Marx come “crisi di superproduzione o sovrapproduzione”. A questa espressione é unito il termine “ciclica”. Siamo, pertanto, davanti a una “crisi ciclica di superproduzione”, fenomeno che é composto da quattro fasi distinte: crisi, depressione, ripresa e picco, ed é anche conosciuto come ciclo economico, termine che si è generalizzato in sostituzione del precedente. Anche se questa crisi attuale ha avuto una forma finanziaria particolare, sempre di più essa presenta tutte le caratteristiche tipiche del fenomeno generale riconosciuto da tutti gli economisti. La crisi si manifesta nell’impossibilità della vendita delle merci prodotte, perché, in un dato momento, l’offerta si presenta maggiore della domanda solvente. “C’è una superproduzione generalizzata di merci in termini relativi al volume della domanda effettiva. Le imprese, impossibilitate a realizzare il valore delle loro merci tentano di mantenere la produzione aumentando gli stocks. La situazione economico-finanziaria diventa insopportabile e cominciano le misure di riduzione della produzione, con i conseguenti licenziamenti di lavoratori e la diminuzione del consumo produttivo. Aumenta la disoccupazione, i salari tendono a bloccarsi, riducendosi anche il consumo personale il che genera la chiusura di nuove imprese. Il fenomeno si sviluppa a catena causando la riduzione degli investimenti e fallimenti” (Ribeiro, 1983).

La manifestazione visibile della crisi attraverso l’eccesso dell’offerta rispetto alla domanda é solo una forma in cui si manifesta il fenomeno. É questo che lo rende visibile, ma non é il suo contenuto.

3. Il contenuto della crisi La crisi é una crisi di abbondanza, perché ha per base l’impossibilità per il prodotto del lavoro umano di essere consumato, cosa che succede con l’avvento delle merci e della produzione mercantile. Con lo sviluppo di questa produzione, questa possibilità cambia quantitativamente e qualitativamente. Quantitativamente perché la produzione mercantile si va generalizzando e il volume di merci aumenta in forma irreversibile. Qualitativamente perché la nascita del denaro e le funzioni che questo passa a esercitare introducono elementi che fanno si che sia inevitabile che il prodotto del lavoro umano smetta di essere consumato. La probabilità che ciò possa accadere aumenta progressivamente.

3.1 - L’espansione della forma mencantile La società capitalista introdurrà profonde modifiche nella produzione di merci, a causa della produzione capitalista, prodotti dal capitale. Non si produce per soddisfare le diverse necessità sociali, ma si produce perché é necessario produrre profitto. “Il tasso di profitto é la forza propulsiva della produzione capitalista, e si produce solo ciò che si può e quando si può produrre con profitto.” (Marx, 1894, L - III, Vol. IV, cap. XV, p. 297) In questa società, la forma merce domina tutto il prodotto del lavoro umano, si estende alla stessa forza lavoro e alla fine al capitale che viene scambiato come una merce speciale chiamata merce-capitale. Per produrre profitti, il capitale deve consumare, ma il suo consumo é il consumo produttivo e, per ogni merce ritirata dal mercato, nuove merci saranno distribuite in quantità crescente. Dal punto di vista del consumo personale, il risultato sará anche la produzione e il lancio sul mercato della merce speciale della forza lavoro. In ciò che sì riferisce alla merce-capitale, la situazione non é più preoccupante. Questa merce ha la proprietà di non essere distrutta dal consumo e al contrario, di crescere. Tutta la logica della produzione capitalista conduce inevitabilmente alla superproduzione generale di merci in tutte le forme. E questa é una conseguenza delle stesse leggi del sistema e non può essere alterata senza che venga alterato lo stesso sistema.

3.2 - L’espansione del numero di consumatori Il capitale, nella sua riproduzione, ricrea le relazioni capitaliste di produzione nel momento in cui distrugge le relazioni di produzione pre-capitaliste esistenti, incorporando, sempre di più, popolazioni nel mercato al ritmo in cui occupa tutto lo spazio economico. “Le stesse circostanze che producono la condizione fondamentale della produzione capitalista, l’esistenza di una classe salariata, esige la transizione di tutta la produzione di merci per la produzione capitalista di merci. Questa, nella misura in cui si sviluppa, decompone e dissolve le vecchie forme di produzione, orientate di preferenza verso la sussistenza immediata e che trasformano solo in merci l’eccedente di produzione.” (Marx, 1893, L - II, cap. I, p. 39) La generalizzazione della relazione di lavoro salariato trasforma la popolazione in consumatori potenziali della produzione capitalista. Ma, oltre a questo tipo di consumatore, il capitale crea un altro tipo: il consumatore produttivo, le imprese, che sono insaziabili, perché le loro necessità sono le necessità del capitale: produrre profitto. Nell’insieme della società capitalista, il lavoro salariato oltrepassa i limiti dei lavoratori produttivi, estendendosi a ogni tipo di impiegati nell’apparato dello Stato, nei servizi, commercio, assicurazioni, banche ecc. Possiamo quindi affermare che le forze del capitalismo, nella sua espansione, creano un numero crescente di consumatori. 3.3 - Le barriere al consumo Ma, le stesse leggi che reggono la creazione di un volume crescente di merci e di un numero crescente di consumatori, creano ugualmente le barriere che impediscono a questi consumatori di soddisfare le loro necessità. In primo luogo, essendo il profitto originato nel plusvalore, l’obiettivo della produzione, il sistema tenta, in tutti i modi, di appropriarsi di quantità crescenti di plusvalore in tutte le sue forme: assoluta, relativa e straordinaria, comprimendo la capacità di consumo della maggior parte dei consumatori, precisamente i lavoratori salariati. Dall’altro lato la ricerca di plusvalore straordinario, motore del progresso tecnico nel modo di produzione capitalistico, porta all’aumento della composizione organica del capitale e del numero di lavoratori spinti nella disoccupazione. Come afferma Marx: “Con la forza del capitale sociale già in funzionamento e il suo grado di crescita, con l’ ampliamento della scala di produzione e della massa dei lavoratori mobilitati, con lo sviluppo della produttività del lavoro, con il flusso più vasto e più completo dei risparmi della ricchezza, si amplia la scala in cui la attrazione maggiore dei lavoratori per il capitale è legata alla maggiore ripulsa di essi. Oltre a ciò aumenta la velocità dei cambiamenti nella composizione organica del capitale e nella sua forma tecnica, e un numero crescente di rami di produzione é interessato, simultaneamente e alternativamente, da queste mutazioni. Per questo la popolazione lavoratrice, producendo la accumulazione del capitale, produce, in proporzioni crescenti, i mezzi che fanno di essa, relativamente, una popolazione superflua. Questa é una legge della popolazione peculiare al modo capitalista di produzione.” (Marx, 1890, L - I, Vol. II, cap. XXIII, p. 732 - 733) Se, da un lato, le forze del capitale, nel loro affanno di produrre profitto, provocano la riduzione della capacità di consumo dei singoli consumatori, in ciò che si riferisce al consumo produttivo la situazione non é più favorevole. “Sotto forma di denaro, il capitalista distribuisce meno valore nella circolazione di quello che ritira, e sotto forma di merci mette in circolazione più valore di quello che ritira.( ...) La parità tra le due equivarrebbe alla non valorizzazione del suo capitale che quindi non funzionerebbe come capitale produttivo (...) ...Il tasso al quale il capitalista valorizza il suo capitale é tanto maggiore quanto maggiore è la differenza tra la sua offerta e la sua domanda, ossia quanto maggiore è l’eccedente del valore-merce che fornisce il valore-merce che acquisce. Il suo obiettivo non é la coincidenza, ma la maggiore disparità possibile, la maggiore superiorità possibile della offerta sulla domanda”. (Marx, 1893, L- II, Cap. IV, p. 119). Così, la “illimitata” capacità di consumo del capitale, come consumatore produttivo, ha in partenza una forte limitazione imposta dalla stessa logica della accumulazione capitalista, perché la domanda di mezzi di produzione e forza lavoro è condizionata dalla possibilità di un’offerta futura in scala molto maggiore, ossia, dalla possibilità di ottenere profitto attraverso la vendita, nel mercato, di una quantità di valore superiore a quella che da esso è stata sottratta. Se il capitale é un consumatore insaziabile, può diventare un compratore estremamente aggressivo quando sente i suoi profitti futuri minacciati. Come possiamo vedere, sono le leggi dello stesso sistema che creano le barriere tra i consumatori e le merci da consumare.

4. Conclusione Possiamo concludere che la tendenza alla superproduzione generalizzata di merci sta nella stessa essenza del modo capitalistico di produzione, é inerente a esso. Ossia, il Modo di Produzione Capitalista crea un volume crescente di merci, anche un numero crescente di consumatori, ma crea anche meccanismi che gli impediscono di consumare. É così che deve essere intesa la superproduzione, sovrapproduzione di merci e di capitali. Non in relazione alle necessità sociali. Superproduzione perché i consumatori sono impediti dal consumare da meccanismi creati dallo stesso sistema, perché nel Modo di Produzione Capitalista, “Il limite della produzione é il profitto del capitalista e mai le necessità dei produttori.” (Marx, 1863, T-II, 1980, p. 962) Il fenomeno ingloba, pertanto, la produzione di un volume crescente di merci, di una quantità crescente di consumatori e, al tempo stesso, la creazione di barriere che impediscono il consumo. É questo il contenuto del fenomeno della crisi. Non é un problema di eccesso di offerta in relazione alla domanda. “... Non si produce ricchezza in più. Ma la ricchezza che si produce periodicamente é maggiore nelle forme antagonistiche del capitalismo.” (Marx, 1894, L - III, Vol. IV, cap. XV, pp. 295 - 296) Questo fenomeno é una legge del Modo di Produzione Capitalista e, pertanto, non può essere corretto ma lo stesso sistema deve essere superato e abolito. É così che deve essere considerato e studiato il fenomeno che oggi tocca tutto il pianeta.