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LO SVILUPPO ALTERNATIVO ECO-SOCIO-COMPATIBILE

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L’insostenibilità del “crescete e moltiplicatevi”

ANTONIO D’ACUNTO

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1. L’insostenibilità dello sviluppo sostenibile Il tema centrale, l’obbiettivo aggregante di ogni programma elettorale di destra come di centro-sinistra, in Italia e in Europa, in Giappone come negli USA, (e cioè nei Paesi ad economia capitalistica), sia pure con contenuti, accenti, obbiettivi e interessi profondamente diversi è però sempre lo stesso: “rilanciare i consumi”, “più crescita”, “più sviluppo”, riferendosi ad una maggiore produzione di beni materiali. Contestualmente, (anche se oggi molto meno pure di un recente passato) si promettono ecologia, tutela ambientale, interventi radicali contro i mutamenti climatici ed il surriscaldamento del Pianeta, lotta alla povertà ed alla fame nel Mondo. Nella realtà l’Economia del Potere Mondiale ignora L’Ecologia e si fonda totalmente sul Mercato e su regole proprie autonomamente create e definite come verità assolute. Il Potere Politico, se costretto a mediare tra Economia ed Ecologia, risolve la questione con la “sostenibilità”: una bella parola che piace a tutti, in Italia a Berlusconi come a Veltroni e Franceschini, a Tremonti come a Realacci, alla Legambiente come alla Confindustria, e a livello internazionale a Sarkozy, come a Brown e Merkel. Centrale è perciò oggi la discussione sulla sostenibilità e, come vedremo, sulla complessità ma soprattutto sulla ambiguità ed anche insignificanza di tale termine.

Sostenibilità: la definizione secondo il rapporto Brundtland estranea alle categorie di spazio e tempo. Per rimanere ancora nel vago, possiamo intendere “la sostenibilità” quale “capacità del Pianeta di consentire uno sviluppo sostenibile”. Nei fatti si è partiti non dalla sostenibilità e ragionare (ma sarebbe estremamente complicato farlo) su che cosa è consentito, possibile fare, ma dallo sviluppo sostenibile; da sempre, fino alla era industriale, lo sviluppo economico (nel senso dell’economia delle risorse) era difatti molto legato alla sostenibilità, intesa come potenzialità del territorio. Lo “sviluppo sostenibile” è stato invece introdotto nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), presieduta da Gro Harlem Brundtaland e la sua definizione viene indicata come quella del rapporto Brundtland: esso viene definito come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Il Rapporto del Club di Roma del 1972 introdusse per la prima volta i limiti, in assoluto, per lo sviluppo a causa della limitata disponibilità delle risorse; lo sviluppo sostenibile già nella definizione del rapporto Brundtland sembra invece voler introdurre un principio nuovo e di rilevanza universale, una “eticità” nella esplicitazione della responsabilità dell’attuale generazione rispetto a quelle future. Dal rapporto non neutrale nel soddisfacimento dei bisogni dell’attuale generazione rispetto a quelle future vorrebbe farsi dedurre la conservazione delle risorse e l’equilibrio ambientale, sia pure in una finalità antropocentrica cioè dell’interesse dell’Uomo e non in generale dell’Ecosistema e del Pianeta Terra, nelle sue infinite espressioni e forme di vita; l’acquisizione della “Conservazione della Biodiversità” è in tale senso un ricco ampliamento della precedente definizione di sviluppo sostenibile. Ma lo “sviluppo sostenibile” così definito è realmente sostenibile o è la formulazione “pseudoecologista” di continuità dell’attuale modello economico, produttivo, di sfruttamento della Natura e dell’Uomo, dominante nel Mondo? Partiamo da quello che io ritengo l’elemento centrale della riflessione: lo sviluppo sostenibile nella definizione data è estraneo a tempo e spazio. Le condizioni del Pianeta ai tempi di Adamo ed Eva, prima della rivoluzione industriale, ed oggi sono completamente diverse come, alla stessa identica, maniera non sono confrontabili gli USA ed il resto dei Paesi basati sul consumismo con i Paesi poveri.

Anche restando tal quale, sarebbe sostenibile l’attuale sistema economico e produttivo? Non lo è minimamente nelle idee e nei programmi della politica della gran parte di quelli che realmente contano nel Mondo; ammesso, però, che da oggi, tutto, dalle risorse consumate alla produzione dei rifiuti rimanesse “stabile”, sussisterebbe Sostenibilità del sistema nella identità di sviluppo sostenibile come prima definito? e cioè, con le “ attuali condizioni iniziali” e la “dinamica delle forze, politiche, economiche, culturali, sociali della realtà di oggi”, la evoluzione inerziale del Pianeta, del suo corpo inorganico, delle sue forme ed espressione di vita, e dello stato dei diversi paesi consentirebbe la realizzazione dei contenuti identificati come sviluppo sostenibile? La realtà è molto più lontana dalla predetta ipotesi di “stabilità” del sistema produttivo e consumistico (e secondo logica insita al modello economico non potrebbe essere differentemente), ma già la risposta a tale questione ha valenza primaria nella riflessione su quanto è già avvenuto ed avviene con il modello economico dominante e per il futuro della Umanità e del Pianeta. Analizziamo ora la Sostenibilità sotto i suoi due aspetti della “Disponibilità delle risorse - energia e materia” - e della “Capacità Recettiva del Pianeta”. Naturalmente, Disponibilità di Risorse e Capacità Recettiva stanno in strettissima connessione

IL CASO NOTO DELL’ENERGIA

Disponibilità della risorsa L’energia è l’essenza della vita: ogni momento di essa, anche il più infinitesimo è legato ad un suo flusso, ma anche un’energia infinita non significa necessariamente vita, almeno come noi la conosciamo. Invece la storia della vita del pianeta Terra è la storia della “vitalizzazione di energia solare” e cioè la sua trasformazione in forma nuova e l’acquisizione a materia per sé inerte con la composizione di complessi potenziali di conservazione, trasformazione e restituzione della energia; dal brodo primordiale in cui si vitalizzò (chi potrà mai dire come e perché?) la prima energia solare, il Pianeta Terra, perchè illuminato dal Sole, ha generato la sua incommensurabile biodiversità, le luci ed i colori del mondo animale e vegetale; ed ha accumulato per intere ere geologiche, per centinaia di milioni di anni, forse miliardi di anni, “energia”, l’energia fossile. Tutto ciò è stato predestinato per soddisfare i Consumi di quattro-cinque generazioni, le nostre, di una parte ristrettissima dell’Umanità? In maniera esponenzialmente crescente, da meno di un secolo e mezzo si è difatti consumato e si sta consumando tutta questa energia. Possono farsi infinite esposizioni ed ipotesi sul futuro energetico del Mondo e dei singoli paesi; il dato di fondo, incancellabile, è la scala del confronto: ogni anno si consuma nel Mondo una quantità di energia accumulata per via fossile in alcuni milioni di anni. Il paradosso più grande è che tutta questa immensa riserva viene consumata, abbandonando la disponibilità continua fornita dal Sole: il dato più devastante è che tale abnorme quantità di energia viene consumata da pochi paesi e da una piccolissima parte della umanità; se ogni persona del mondo volesse consumare - ed in questa logica di sviluppo come si fa a darle torto? - la stessa energia di un cittadino (sempre riferentesi alla media) degli USA, la stessa energia consumata nel mondo diventerebbe circa 5 volte l’attuale!

È Sostenibile tale consumo? Assolutamente no!, né dal lato della Disponibilità né da quello della Ricaduta Ambientale. Naturalmente le previsioni sulle risorse disponibili di combustibili fossili variano secondo gli specifici interessi ma nessuno osa minimamente riproporre l’idea di risorsa illimitata. Secondo l’Energy Watch Group (stima del 2007), ai livelli attuali di produzione, il petrolio si esaurirà tra 40 anni, il gas naturale fra 60 anni ed il carbone tra 200 anni; per Al - Naimi (chi è costui? Il ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita) il petrolio durerà per altri 50 anni: per la BP sempre il petrolio e sempre all’attuale livello di produzione durerà per altri 40 anni. In generale in questi calcoli già si introducono “i non convenienti economicamente”, “i difficili tecnicamente”, “i pericolosi per gli ecosistemi”, “gli scarti, ovvero le sabbie e gli scisti bituminosi”. Va da sé che i tempi indicati per gas e carbone si riducono drasticamente quando esaurendosi il petrolio essi lo dovrebbero sostituire.

Le previsioni di Alberto Di Fazio L’ottimo lavoro di Alberto Di Fazio - le Grandi Crisi Ambientali Globali, la fine della Crescita e l’Agonia del Sistema industriale di Mercato del Febbraio 2008 - “aggiorna” disponibilità, previsioni e costi attualizzando ad un futuro molto più prossimo la curva di discesa della disponibilità di tali fonti energetiche ed il successivo loro esaurirsi. La immensa risorsa, in origine, delle fonti fossili si impoverirà drasticamente fino al suo esaurirsi già fra due, tre generazioni. Chi parla di sviluppo sostenibile, anche solo secondo la originaria definizione di Brundtland, dovrebbe quindi immediatamente porre il problema, non della inversione del consumo il che già non è nella idea di alcun potente, ma la cessazione del consumo di energia fossile; siamo nell’universo delle chiacchiere, del parlare per parlare, sapendo di parlare per demagogica propaganda. Il pensiero Positivista e Scientista affronta la questione del tramonto delle fonti fossili, dettando, in definitiva, un postulato sulla certezza che l’Onnipotente Uomo, individuerà fonti capaci di sostenere e rafforzare l’attuale modello sviluppo dando anche risposte alle esigenze dei Paesi più poveri. Ed addirittura prospetta benefici all’ambiente e traduce il Postulato nello sviluppo dell’energia nucleare. In generale il Grande Imbroglio è nella identificazione della energia consumata nel Paese con quella elettrica, che possiamo (con ampia stima) dire che è in generale dell’ordine del 20%.

Il grande imbroglio del nucleare La copertura (assurda) dell’elettrico con il 50% da fonte nucleare appare così decisiva per la Sostenibilità della Disponibilità dell’energia, falsificando totalmente la realtà che anche in tale ipotesi darebbe soluzione solo al 10% dell’attuale fabbisogno. In Italia, per accreditare il nucleare civile e ovviamente gli immani interessi connessi, vengono fatte mistificazioni colossali e detti dati totalmente falsi e devianti, dal costo del kWh alla indipendenza e autonomia energetica del Paese, dalla assenza di inquinamento termico alla sicurezza da incidenti, dalla soluzione per le scorie allo scenario mondiale desideroso di nucleare, dalla “gioia” dei prescelti per il sito nucleare (vedi Francia) all’assenza di interconnessione con il nucleare delle bombe: nella consapevolezza di essere totalmente perdente, con l’arroganza del potere che si ha, si evita ogni confronto e si calpestano volontà popolari come l’esito del referendum del 1987.

2. ¬¬La insostenibilità della capacità recettiva Partiamo dalle fonti fossili; le conseguenze della loro combustione sono: il calore prodotto e le emissioni.

I limiti del protocollo di Kyoto A ciclo finito tutta l’energia chimica potenziale degrada in calore, anche quella che passa attraverso forme “nobili” di energia come quella elettrica e meccanica. All’equilibrio, nella sua complessa naturalità, dello scambio “energia solare- restituzione per irraggiamento nello spazio”, si aggiunge perciò un energia termica non insignificante che, come detto, per i valori attuali di consumo per ogni anno è pari a quella accumulata dalla Terra in alcuni milioni di anni: nel Protocollo di Kyoto manca completamente il dato della quantità in assoluto di energia consumata ed il conseguente aumento di temperatura del Pianeta per ristabilire l’equilibrio termico con lo Spazio circostante, indipendentemente dalla variazione di ogni altra sua condizione. La questione dello inquinamento termico assume valenza abnorme nelle “Isole di Calore”, costituite o dai luoghi di produzione quali centrali termoelettriche con forte crescita della temperatura di corsi d’acqua e di parti di mare, o dai luoghi di grande consumo , quali le Città e le intense conurbazioni urbane, che costituiscono, anche come immagini, veri forni: l’assenza nel protocollo di Kyoto della preoccupazione per la quantità in assoluto di sovraccarico termico da combustione resta funzionale alla produzione del nucleare civile.

Le emissioni e le piogge acide La combustione produce emissioni che naturalmente derivano dalla composizione chimica del combustibile e dalle modalità della combustione stessa e sono direttamente proporzionali alla quantità bruciata: ciò è vero per le Leggi Naturali della Fisica, della Chimica e della Filosofia; non lo è purtroppo solo per gli Ingegneri, i Chimici e gli altri Tecnici dello staff del Presidente Berlusconi che continuano ad ingannare l’opinione pubblica dicendo il contrario. Le sostanze emesse si spandono nell’Atmosfera modificandone la composizione (inquinamento dell’aria) o ricadono al suolo, tal quale o sotto diversa composizione. Cominciamo a vedere per la Sostenibilità della Capacità Recettiva la loro ricaduta come Pioggia Acida, conseguente, per semplificare, alle emissioni derivanti dallo Zolfo presente nei combustibili. Gli effetti delle piogge acide, come noto, possono essere catastrofici, oltre che per la salute delle Persone Umane, per la vegetazione, contribuendo alla deforestazione, per le acque e la vita in esse presente, per la cancellazione di Storia e Cultura: emblematico è il Buddah di Leshan in Cina. Negli anni 80 vi è stato un allarme mondiale: l’inquinamento era identificato con le piogge acide. Oggi esso viene ignorato come se si trattasse di un problema risolto, con l’impiego delle nafte dette BTZ (Basso Tenore di Zolfo) fino al punto che una «Equipe di Scienziati» finanziati, manco a dirlo dall’Unione Europea, afferma che «il colore sempre più marrone di molti dei nostri laghi e torrenti è dovuto ad una diminuzione delle piogge acide» e «che il cambiamento di colore indicherebbe il ritorno a uno stato più naturale». La verità per il futuro è totalmente diversa e gli addetti ai lavori, o meglio agli affari, lo sanno bene, ma non parlano: l’esaurimento del petrolio richiama l’impiego di scisti bituminosi e carbone dove lo zolfo ha percentuali altissime e non eliminabili (se non con costi insopportabili e la creazione di altre forme di inquinamento). La combustione di tali scisti produrrà emissioni generatrici di piogge acide come mai nel passato, con conseguenze inimmaginabili. Diciamo qualcosa in più sulla CO2: dall’effetto serra a valanga alla perdita di verde del Pianeta. Facciamo intanto una considerazione preliminare: l’anidride carbonica non è stata, non è, né potrebbe essere annoverata tra le emissioni inquinanti a scala locale; solo l’ossido di carbonio lo è come effetto di una combustione incompleta. Essa, o correttamente il suo incremento, è invece il principale inquinante sul piano Planetario nel senso della rottura dell’equilibrio tra Pianeta Terra e Spazio Circostante, perché come ben noto accresce la quantità di calore trattenuta dalla stessa Terra e di conseguenza innalza la sua temperatura “media” necessaria per un suo nuovo equilibrio termico: questo fin quando si resta entro la “soglia critica”, di una configurazione ancora relativamente benigna (sebbene assai più problematica di quella attuale), oltre la quale si innesca un ciclo perverso che provoca l’effetto serra a valanga, che significherebbe la probabile fine non solo dell’homo sapiens ma della vita sul Pianeta. I dati di oggi rispetto al passato sono noti ed incontrovertibili: dal 1860 la temperatura media terrestre è cresciuta di circa 1° (da 13,5° a 14,5°) e l’anidride carbonica di oltre il 30%; le curve sia della temperatura terrestre che dell’anidride carbonica sono con pendenza crescente (derivata prima e seconda maggiore di zero) ed è scientificamente ipotizzabile quali saranno nel migliore dei casi i valori di temperatura e di anidride carbonica già nel futuro prossimo, continuando con i parametri dello sviluppo finora seguito. Sulla CO2 una ulteriore fondamentale considerazione va fatta, spesso dimenticata: per l’equilibrio nella composizione dell’aria, più viene emessa CO2, più dovrebbe crescere la capacità del Pianeta per ritrasformarla con la luce solare in composto organico ed ossigeno; invece accade l’esatto opposto e cioè sistematicamente ed in maniera impressionante il “Pianeta Perde Verde”: a causa della deforestazione, la perdita netta ( e cioè quella persa, 13 milioni di ettari, meno quella recuperata, 5,7 milioni di ettari) annuale di area boschiva è pari a 7,3 milioni di ettari - un’area pari alla dimensione della Sierra Leone o di Panama. Tale perdita netta si aggiunge a quella degli anni precedenti e si sommerà a quella degli anni successivi ed il Verde totale della Foreste diminuirà conseguentemente di pari valore e progressivamente: perciò non la diminuzione della perdita totale annua di foreste, come dice la FAO, è il risultato positivo ma la inversione e cioè l’afforestazione che pareggia (per l’equilibrio) e supera la deforestazione. Siamo anni luce lontani da questa possibilità, che costituirebbe la sostenibilità.

Nulla cambia se cambia il combustibile Il percorso dello sconvolgimento radicale del Pianeta per l’aumento della CO2 è ben noto ed è possibile prefigurare il suo stato nei prossimi anni e decenni sia nelle condizioni attuali di consumo di combustibili e deforestazioni sia in un incremento di esso: le previsioni sui processi di scioglimento dei ghiacciai alle calotte polari, sull’innalzamento del livello del mare, sulla desertificazione, sulle modificazioni climatiche delle aree geografiche sono già la incombente realtà di oggi. La CO2 è uno dei gas serra, e l’azione di sconvolgimento del Pianeta, chiaramente cresce sinergicamente con l’aumento degli altri gas serra, vapore acqueo, ossido di azoto, metano. L’impiego del metano, porta a CO2 e vapore acqueo, l’impiego dell’idrogeno fa crescere il vapore acqueo e soprattutto porta poi ad un ulteriore, insostenibile aumento del buco di ozono. Appare chiaro cioè che la soluzione di fondo, la sostenibilità, non può essere ricercata, come pur si vuol far credere, nel tipo di combustibile impiegato ma nella entità della energia consumata.

Gli inquinanti emessi hanno vita lunga Ma la Sostenibilità della Capacità Recettiva del Pianeta crolla ancora quando si analizza il Che Cosa si emette dai vari scarichi e soprattutto la forte tendenza all’aumento degli inquinanti non solo per le emissioni del momento ma per la integrazione con quelle precedenti, considerati i loro tempi di persistenza nell’atmosfera; per l’avvelenamento dell’aria conta non solo quello che si sta buttando, ma anche quello che si è buttato da molto tempo prima. Il dato, sempre sottovalutato, è di fondo ed interessa direttamente la definizione di sostenibilità. Per restare ai casi di prima, possiamo dire con certezza massima che i gas serra e i divoratori dell’ozono sono molto longevi: per molti scienziati dal 15% al 30% della CO2 derivante da attività umana persiste ancora dopo 1000 anni dalla sua produzione e tra l’11% ed il 14 % addirittura dopo 10000 anni. Una vita atmosferica similare hanno gli ODS (Ozone Depleting Substances), causa del Buco di Ozono Senza che venga irreversibilmente intrapresa la via della degenerazione genetica, soprattutto per i livelli più alti della catena alimentare, a partire dall’Uomo, possono ancora ulteriormente essere incrementate le quantità degli inquinanti organici persistenti - le diossine, i PCB (Policloruri bifenili, gli IPA(idrocarburi policlici aromatici) o i metalli pesanti? Anche solo superficialmente avvicinandosi alla conoscenza della “Magnificazione Biologica”, la risposta onesta, politica-istituzionale-scientifica -morale, dovrebbe essere NO! Invece non è assolutamente così, come ad esempio, per restare in un caso mondialmente noto, accade per il regalo fatto alla Campania dal quartetto Berlusconi, Bertolaso, Bassolino, Ganapini con il piano degli inceneritori.

Il Grande Imbroglio Legislativo sull’inquinamento da emissioni Il riferimento legislativo ai valori percentuali (o parti per milioni) di sostanze inquinanti nelle emissioni, nasconde la quantità reale dell’inquinante emesso. In tal modo Il Presidente del Consiglio dei Ministri e Tecnici, molto poco attenti alla Scienza, possono dire “scemenze chimico-fisiche” come quella per cui dagli inceneritori fuoriescono sostanze inquinanti a partire dalla diossina, prossime allo zero! L’analisi della sostenibilità di ogni nuova scelta produttiva, che abbia produzione di emissioni, richiama invece il prioritario rilevamento, ai livelli territoriali ed a livello globale, considerato il diffondersi degli inquinanti, dello stato dell’accumulo delle sostanze inquinanti precedentemente immesse nell’aria, al suolo, nelle acque per valutare la reale nuova condizione che viene a crearsi; ciò naturalmente non avviene mai e si ragiona eventualmente su determinate scelte, quando le conseguenze sono state drammatiche!

Lo sviluppo produttivo dell’attività umana si dissocia radicalmente dai cicli della Natura I Cicli della Natura si chiudono sempre compiutamente in simbiosi e sinergia tra di loro, generando nei loro percorsi le armonie delle vite naturali, vegetali ed animali. Il solo bisogno al ciclo della materia circolante è l’energia che gli viene dal Sole. La evoluzione e la mutazione, la moltiplicazione e la riduzione dei cicli vanno sempre nella direzione dell’equilibrio della “circuitazione”. Lo “sviluppo”, i percorsi produttivi dell’Uomo, così come progressivamente determinatisi, si dissociano profondamente da tale Naturalità e vanno sempre più in conflittualità insanabile con essa. La circuitazione della materia dei cicli naturali viene sostituita, in un percorso senza fine, dall’estirpazione permanente di nuove risorse e dal contestuale abbandono del vissuto: in tal modo il Volto stesso del Pianeta è profondamente sfigurato, abbruttito, sporcato.

In Italia ogni tre anni si movimenta una quantità di materia pari all’Isola di Capri In realtà la riflessione sulla movimentazione della materia è allo stesso livello di come era quella dell’energia prima della crisi petrolifera del Kippur del 1972 e cioè ancora oggi la “materia” è considerata risorsa illimitata ed anche nel mondo “Ecologista” è, fatte poche eccezioni, totalmente ignorata quale fondamentale questione dei limiti dello sviluppo. Giorgio Nebbia riporta, in molti suoi articoli sulla questione, il dato mondiale di “una massa di materia (escluse acqua ed aria) che attraversa la tecnosfera pari a 25 miliardi di tonnellate all’anno”. In Italia l’Istat da anni presenta i principali indicatori relativi ai flussi di materia dell’economia italiana calcolati secondo concetti e schemi fondamentali del Sistema Europeo dei Conti nonché le linee guida adottate dagli organismi internazionali per lo sviluppo di un sistema di contabilità integrata ambientale ed economica. L’Input Materiale Diretto (IMD) registra la materia che nel periodo contabile è entrata nel sistema economico nazionale, con riferimento alle quantità effettivamente utilizzate nella produzione e nel consumo nazionali: possiamo dire che l’IMD in Italia negli ultimi anni è pari a circa 1000 milioni di tonnellate all’anno: è molto? è poco? e cioè che significato ha tale numero? Se come unità di misura prendiamo ad esempio la “massa dell’Isola di Capri” possiamo dire che (all’incirca) ogni tre anni per la sola Italia si movimenta l’intera Isola di Capri a partire dal livello del mare! Se consideriamo il dato mondiale riportato da Nebbia e prendiamo per Unità di Misura il complesso Vesuvio-Monte Somma possiamo affermare che ogni anno all’incirca viene movimenta una massa ad esso corrispondente! E’ sostenibile questo? Per restare agli indicatori del nostro Paese, il dato disaggregato nelle due componenti estera ed interna ci dice poi che l’IMD da importazione è estremamente rilevante e che è in fortissima crescita, passando dal 25,4% del 1980 al 37,7% del 2004. Leggiamo bene questo dato; sul piano ambientale è il trasferimento di una enorme quantità di materia da una parte all’altra del Pianeta e la prevalente restituzione o in discariche o in atmosfera; dal punto di vista della “ricchezza”, della “crescita economica” del nostro paese, il dato ci dice che essa è costruita su risorse non nostre, che se vengono a mancare, portano al collasso il nostro Paese in rapporto a questo modello di sviluppo; dal punto di vista politico ci indica quella che dovrebbe essere la vera chiave di lettura della immigrazione, in rapporto sia all’impoverimento che al debito morale verso le popolazioni di molti Paesi deturpati e privati di fondamentali risorse.

3. L’insostenibilità del “Crescete e Moltiplicatevi” Guardiamo adesso ad un’altra questione centrale per la sostenibilità e cioè la crescita della popolazione umana: può oggi valere ancora il biblico dogma “Crescete e Moltiplicatevi”? La insostenibilità di tale dogma agli attuali tassi di crescita appare dal “calcolo puramente matematico” di Ashley J Coale (the history of human population- scientific american, settembre 1974) per cui la popolazione mondiale entro i prossimi tre secoli e mezzo diventerebbe 2000 volte quella attuale, nei prossimi sette secoli 1 milione di volte; fra 1200 anni il peso della popolazione umana sarebbe uguale a quella della intera Terra e... continuando nella estrapolazione fra 6000 anni la popolazione mondiale costituirebbe una sfera attorno alla terra il cui raggio crescerebbe con la velocità della luce! Passando dall’algoritmo di Ashley all’oggi ed alle proiezioni per i prossimi anni, è parimenti del tutto evidente che restando le condizioni e la struttura attuale del sistema energia e massa, la insostenibilità del sistema, già prima delineata, con il valore della Popolazione Mondiale di oggi cresce direttamente con la crescita della Popolazione: se fino in fondo non può che esservi l’opposizione alla soluzione del problema data da Malthus, non può che da ogni parte essere accolta la sua impostazione sulla insostenibilità della crescita della popolazione in rapporto al soddisfacimento vitale, di base della alimentazione: ragionare sulle diverse possibilità del Pianeta di soddisfare tali necessità comporta la scelta politica, economica, filosofica, culturale, sociale nell’indicare e definire le Vite Organiche Residuali rispetto all’Uomo e cioè la Biodiversità Residua (in termini di quantità e di specie) che si vuole mantenere sul Pianeta.

La irreversibilità della perdita della Biodiversità Naturale La crescita della Massa Organica dell’Uomo è avvenuta ed avverrà a spesa od anche in rapporto alle altre specie viventi; per i bisogni dell’Uomo, alcune in quantità possono anche essere programmate per crescere. Il Pianeta non è ovviamente illimitato e la crescita della popolazione umana richiama per se spazi crescenti e riduce conseguentemente quelli necessari alle altre specie viventi sia animali che vegetali; naturalmente, come detto, ciò viene amplificato in stretta connessione con la crescita del rapporto linearizzazione-circuitazione del processo produttivo. Più crescono i rifiuti a discariche e gli inceneritori più crescono gli spazi da sottrarre ad altre forme di vita: più si ricircola materia, più si va nella direzione della possibile tutela della Biodiversità. La domanda, ovvero la questione centrale da porsi è: la Biodiversità va preservata perché Essenza della Vita sul Pianeta e cioè la Vita stessa del Pianeta o perché essa fornisce servizi all’Uomo? la scelta seconda significa che se tali servizi, ad esempio l’impiego nella farmacologia, possono essere diversamente soddisfatti, si può fare a meno di un Pianeta dalla Vita Biodiversa e continuare nel processo di esponenziale estinzione delle forme viventi: il tasso attuale, come noto, è di 100-200 volte superiore a quello precedente la comparsa dell’Uomo. Se invece la risposta è quella della preservazione della Biodiversità perché Essa è il Contesto Naturale, l’Habitat della Vita dell’Uomo allora è necessario arrestare, anzi invertire tutto ciò che sta portando alla perdita della Biodiversità ed affrontare in termini completamente nuovi il rapporto Uomo - altre Forme di Vita, portando ad esempio a valori uguali o superiore ad uno il rendimento delle trasformazioni territoriali nella direzione della costituzione - ricostituzione di ambienti ed ecosistemi naturali. Anche se con i suoi innumerevoli limiti di impostazione, che vanno comunque nella direzione di una fortissima attenuazione della sua valenza ambientale, l’impronta ecologica è un indicatore significativo del livello di sostenibilità nella utilizzazione della Biosfera da parte dell’Uomo; se nel 1961 l’Uomo utilizzava il 70% della Capacita Globale della Biosfera, già nel 1996 utilizzava “più di quanto disponibile” e cioè il 120% ed oggi all’incirca il doppio, ovvero il 140% della capacità globale, ovviamente “spremendone la disponibilità” per ottenerne il surplus.

La irreversibilità della perdita della Biodiversità dell’Uomo Questa “Globale Insostenibilità dello sviluppo” come si compone e si disaggrega dentro l’Umanità? L’omologazione dei simboli, del linguaggio formale, del consumo e del mercato ha violentemente cancellato, come mai avvenuto nel passato tra vincitori e vinti, l’immensa Biodiversità Umana, accumulata in centinaia di migliaia di anni ed in maniera diffusa in tutto il Pianeta e fatta di linguaggi, messaggi, tradizioni, culture, produzioni, lavori, immagini. Ermes Ferraro nel suo saggio “Lingue liquidate e Lingue soffocate” in un passo di grande efficacia così descrive questa perdita: “Ebbene sì: anche se pochi lo sanno - e soprattutto ben pochi ne parlano- ogni due settimane scompare definitivamente una lingua, insieme con l’ultima persona in grado di parlarla. Si tratta di una strage silenziosa ( e mai aggettivo fu più adatto...) le cui vittime non sono come si potrebbe credere stranissimi linguaggi di luoghi sperduti e disabitati (nota mia, di cui è comunque immenso il valore) bensì interi repertori di civiltà, interi patrimoni culturali prima marginalizzati e poi spazzati via dalla globalizzazione galoppante. ... Le lingue più fragili sono quelle prive di qualsiasi documentazione scritta... Basti pensare alle 231 lingue aborigene australiane o alle 131 della tradizione andina ed amazzonica , la cui sopravvivenza è seriamente minacciata dall’inglese”. E naturalmente ciò che vale per le lingue vale per tutte le altre identità culturali dell’Uomo.

4. L’insostenibilità della impronta ecologica non cancella sottosviluppo, povertà, ingiustizia Il consumo abnorme di risorse, con un degrado incalcolabile del Pianeta, non ha risolto, ma ha accentuato la povertà, ha accresciuto a dismisura gli squilibri tra i vari Paesi ed all’interno degli stessi tra ricchi e poveri. Il dato di fondo anzi è sempre lo stesso: la miseria, il sottosviluppo, la disoccupazione restano necessari e funzionali ad un determinato modello economico, per la produzione ed il consumo. Ho inizialmente citato il dato del consumo energetico pro capite tra i diversi paesi estremamente significativo sul modo di consumare le risorse. Ancora più emblematico è però il dato dell’indicatore che già ho richiamato altre volte perché come detto, pur con tanti limiti esprime fino in fondo l’impatto ambientale dello stile di vita: e cioè l’impronta ecologica: Rispetto ad una Biocapacità media del Pianeta di 1,78 ettari pro capite, e ad una impronta ecologica media di 1,9 ettari pro capite, l’impronta ecologica media USA, ovviamente nettamente la più alta del mondo, è pari a 9,6 ettari pro capite con un surplus rispetto alla media di 7,8 ettari pro capite; se anche si utilizza, per il ragionamento di sostenibilità, la Biocapacità media USA, pari a 4,4 ettari pro capite, resta un deficit di 5,2 ettari pro capite. E’ in questo dato che sta la chiave di lettura vera della economia e della politica USA: anche sfruttando al massimo possibile le risorse del proprio Paese, un cittadino USA non potrebbe mai mantenere l’attuale stile di vita; per sostenerlo ha bisogno di “occupare” 5,2 ettari di Terra fuori dal suo Paese e che naturalmente non gli appartengono e che vengono sottratti ad Uomini di altre Comunità. L’entità di questa “occupazione” appare chiara quando si moltiplicano 5,2 ettari pro capite per 300 milioni di abitanti. Quando si dice che lo stile di vita non si cambia, si dice perciò che non si rinuncia a questa “occupazione” e si utilizza ogni mezzo per mantenerla: dalla mistificazione della finanza e dei suoi strumenti e meccanismi quale ricchezza vera alle guerre, dalla distruzione di immensi patrimoni naturali alla crescita e proliferazione del “debito” dei Paesi “occupati” per la fornitura di risorse naturali, dalla esportazione del consumismo alla imposizione del modello culturale ed etico. Il Paese che non ci sta è il nemico da sconfiggere: da Cuba ai paesi del Centro e Sud America a molti altri Stati del resto del Mondo. Nella realtà la declamata politica USA di gendarme mondiale della democrazia e della libertà è la politica della protezione dell’insostenibile stile di vita dei propri cittadini. E’ su questa filosofia culturale, economica, sociale e politica che il nuovo Presidente degli USA, Barak Obama, deve confrontarsi e dare forte inversione. Quanto detto per gli USA vale naturalmente a livelli diversi per gli altri paesi della “società consumistica”; per restare nell’ambito dell’indicatore impronta ecologica abbiamo ad esempio che per la Germania essa è pari a 4,2 rispetto ad una biocapacità di 1,9, per la gran Bretagna è di 5,3 contro una biocapcità di 1,6. Per l’Italia l’impronta ecologica è pari 4,8 contro una biocapacità di 1,2 e cioè anche l’Italia ha un deficit di 3,6 ettari pro capite e cioè un pesantissimo impatto ambientale, insostenibile con le sue capacità naturali ed è fortemente debitrice verso il resto del mondo in termini di risorse naturali. Le “ricchezze” dei poveri sono acquisite, sequestrate per sostenere lo sviluppo dei ricchi con danni spesso incalcolabili alla Biodiversità ed alla Natura più complessivamente: la operazione Corea del Sud - Daewoo - Madagaskar è la materializzazione dell’occupazione di suolo di altro Paese per sostenere la insostenibile impronta ecologica del proprio Paese; operazione che ha una denominazione semplice: neocolonialismo. Con l’accordo con il Governo del Madagaskar la Daewoo acquisisce a titolo gratuito per novantanove anni l’utilizzazione di un milione e trecentomila ettari di terreno che viene rubata ai contadini del Paese. Qual è il vantaggio del Madagaskar? Lo chiarisce il manager della Daewoo, mister Hong: “Si tratta di terra totalmente non sviluppata, incontaminata (sono difatti foreste vergini); la renderemo coltivabile e questo è buono per il Madagaskar”; si dà in cambio alle Comunità locali “lavoro” per distruggere totalmente gli habitat esistenti umani e naturali e cioè lavoro per decretare la loro stessa morte. I prodotti (sia quelli della distruzione delle foreste, sia quelli agricoli) sono naturalmente della Daewoo e costituiscono l’immane utile del capitale investito. Se cambia il Potere, che oggi non può che essere profondamente corrotto, e la popolazione si ribella, siamo davanti a terroristi che si oppongono ad accordi internazionali? In Messico il TLCAN (Trattato di Libero Commercio Per l’America del Nord) per far prosperare i grandi capitali internazionali delle monoculture del mais e del fagiolo ha annientato la milpa, antichissima policultura, tutrice massima dell’ecosistema rispetto all’uso dei fertilizzanti ed ha “segnato il destino finale” di contadini e comunità trasformandoli in eserciti di “emigranti non autorizzati” verso gli USA. La produzione di biocombustibili dà un colpo mortale alle agricolture tradizionali ed al Mondo ad esse legate di innumerevoli Paesi al fine di mantenere l’attuale modello di sviluppo energetico.

E’ nella contraddizione Capitale - Lavoro la insostenibilità dello sviluppo sostenibile Tutto quanto finora detto sulla insostenibilità ha una sua sintesi genetica: il modo di produzione capitalistica. La questione è chiaramente filosofica, politica, economica, sociale ed è centrale rispetto all’altra impostazione ecologista che parte dai consumi: non solo la scuola della decrescita, che vedremo successivamente, ma anche di Ecologisti come Morin e Bateson. Credo sia insignificante, astratta una discussione sul primato tra democrazia della produzione e democrazia dei consumi, che spesso sterilmente si pone tra ecologisti rossi ed ecologisti puri e credo invece che le due questioni siano strutturalmente, conseguenzialmente legate nel senso che la prima è la “condizione necessaria ma non sufficiente”, giacchè un modello non capitalistico di produzione non comporta necessariamente un modello di produzione ecosolidale con l’Uomo e La Natura, come attestano esperienze di Socialismo reale e la seconda, che fa riferimento a nuovi modelli ecologisti, è pura astrazione se non si è avviato un percorso netto nella soluzione della contraddizione (marxiana) capitale - lavoro: possono, anzi, si sono fatte e si fanno, a seconda delle circostanze e della specificità della crisi, innumerevoli teorie e pratiche di politica economica e si costruiscono teoremi e dogmi, ma la sostanza di fondo è l’analisi di Marx sull’alienazione del lavoro e sulla costruzione del plus valore: le scelte della produzione e la qualità e quantità di esse sono fatte nella sola funzione dell’accrescimento del capitale iniziale. Non è assolutamente vero quanto dice Ludwig von Mises nell’esaltazione estrema del Capitalismo “Ognuno agisce per proprio conto; ma le azioni di ognuno tendono tanto al soddisfacimento dei bisogni degli altri che dei propri. Agendo ognuno serve i suoi concittadini. D’altra parte, ognuno è servito dai suoi concittadini: Ognuno è, in sé stesso, mezzo e fine; fine ultimo per sé stesso e mezzo per gli altri nei loro tentativi di raggiungere i propri fini.” Se il plus- valore della merce è superiore acquisendo le materie prime e l’energia, sfruttando Natura e Paesi, perché ci si dovrebbe preoccupare dell’IMD o di chiudere il “cerchio dell’equilibro del ciclo produttivo”? Perché cioè il ciclo dovrebbe guardare alle future generazioni od anche alla tutela della Biodiversità o ad un mondo equo e giusto? Se il suo plus valore è senza limiti, in nome di quale etica dovrebbe fermarsi il mercato delle armi, semplici o di distruzione di massa? D’altra parte di fronte alla capacità crescente della produzione delle macchine che riducono il plus valore della singola merce, qual è l’unica risposta possibile se non una “Merce” complessivamente, enormemente più grande, (fatta possibilmente con salari bassissimi) anche se essa è totalmente insostenibile per la “Disponibilità e la Capacità Recettiva dal Pianeta”? Debolissime in ogni suo punto sono le teorie che vorrebbero vedere il Consumismo ed il Capitalismo sistemi tra loro estranei: il consumismo, sotto la mistificazione di “libera facoltà di scegliere”, è violenta imposizione di bisogno per il modo di produzione capitalistico. Il condizionamento dei bisogni umani dalla proprietà privata, che oggi potremmo dire la genesi etica del consumismo, è anticipato compiutamente nell’analisi - denuncia di Marx nei Manoscritti economici-filosofici” del 1848! “..Ogni Uomo si ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica...” “Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei ai quali l’uomo è soggiogato ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spoliazioni”...”il bisogno del danaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce”... “Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava , ingegnosa e sempre calcolatrice, di appetiti disumani, raffinati, innaturali ed immaginari: il produttore, al fine di carpire qualche po’ di denaro e di cavare gli zecchini dalle tasche del prossimo cristianamente amato , si adatta ai più abietti capricci dei propri simili, fa la parte del mezzano tra i propri simili ed i loro bisogni, eccita in loro appetiti morbosi, spia ogni loro debolezza per esigere poi il prezzo dei suoi buoni uffici..”( passi dei Manoscritti nella traduzione di Norberto Bobbio, riportati in Eddyburg da Giorgio Nebbia). Ed in antitesi a questo processo di induzione dei bisogni e conseguente produzione di merci, Marx indica con la realizzazione del socialismo una diversa ricchezza dei bisogni umani e quindi “tanto un nuovo modo di produzione quanto anche un nuovo oggetto di produzione”, ciò che a sinistra e nel mondo ambientalista, diciamo, in maniera spesso confusa ed indefinita “nuovo modello di sviluppo”.

Valori e limiti del Pensiero della Società della Decrescita Insostenibilità dello sviluppo attuale e profondissima ingiustizia mondiale sono indissoblubilmente connesse e nelle scelte per il futuro anche prossimo dell’Umanità e del Pianeta non possono che essere affrontate in maniera organica, sistemica ed unitaria. La questione è centrale anche rispetto ad alcuni nuovi pensieri emergenti, di grandissima valenza scientifica e profondamente accattivanti quali: la Bioeconomia, e la Decrescita. Il “Quarto Principio della Termodinamica”, (N. Georgescu- Roegen), ovvero la entropia (il degrado) crescente della materia nei processi economici e la sua più bassa possibilità di essere usata in future attività economiche dovrebbe essere un vero postulato, un dogma, per tutti nella scelta dei processi di produzione che dovrebbero essere circolarmente chiusi sempre con Zero Rifiuti e reimpiego della intera materia onde entropizzare (degradare) sempre meno le risorse naturali. La visione come branca dell’ecologia e per molti aspetti il ritorno (enunciato sempre da Georgescu) dopo due secoli, al modello fisiocratico ispirantesi alla biologia è certamente parte dell’essenza fondante di un nuovo percorso teorico e programmatico dell’economia. D’altra parte se non si vuole arrivare alla catastrofe, all’infarto del Pianeta, non vi è dubbio alcuno che bisogna drasticamente e rapidamente consumare in assoluto molto meno risorse in termini di energia e materia, attivare una loro qualità nuova e andare verso l’azzeramento dell’impatto ambientale. Il Pensiero di Latouche sulla transizione e sulla costruzione della “Società della Decrescita”, con la “esposizione” dei contenuti della quotidianeità deformata del consumismo, della pubblicità e del mercato e della inutilità della gran parte degli oggetti usati e rottamati è ineludibile riferimento di analisi, di confronto e di progetto per chi ha coscienza della insostenibilità dello sviluppo attuale. E’ possibile però far avvenire ciò, neutralmente e omogeneamente, mantenendo il sistema - modello economico e produttivo mondiale oggi esistente? Cioè i Pensieri di Georgescu, Latouche, in Italia, Bonaiuti, Pallante e delle Scuole e dei Movimenti che ad essi si ispirano possono costruire il percorso di soluzione sia della possibile catastrofe del Pianeta sia della profonda ingiustizia nella Società dell’Uomo? Per costruire una risposta a tale domanda partiamo dalla “riflessione” di tali pensieri nei “Documenti più Politici”, ad esempio nel Manifesto per la Rete Italiana per la Decrescita conseguente alla Dichiarazione seguita alla conferenza di Parigi del 18 e 19 Aprile del 2008 “sulla Decrescita economica per la Sostenibilità Ecologica e l’Equità Sociale”. Tale Manifesto è indubbiamente di grande interesse per i moltissimi positivi messaggi che dà sia nell’analisi del mondo di oggi che nel disegno di un nuovo futuro; “l’utopia concreta” proposta è principalmente nella consapevolezza individuale e collettiva della necessità di cambiare verso una “decrescita condivisa, sostenibile e responsabile che ... può dischiudere grandi opportunità per la democrazia e l’autogoverno delle società”.

Il “qualunquismo” del Manifesto della Decrescita Allo stesso tempo il Manifesto introduce però rilevanti e devianti ambiguità e non disegna un vero percorso politico per il cambiamento: esso si apre con l’affermazione “di un sottofondo comune delle ideologie politiche moderne sia di destra che di sinistra: il mito della crescita”. L’affermazione, per restare nella terminologia proposta, ha un sottofondo fortemente “qualunquista” nella generica omologazione tra ideologie di destra e di sinistra ed è densa di conseguenze: da una parte è profondamente schematica soprattutto sul piano della ricostruzione del pensiero teorico e dell’azione politica soprattutto in Marx (come abbiamo visto) ed Engels, e dall’altra non contribuisce ad individuare l’Essenza, gli Interessi ed il Percorso che hanno determinato l’attuale stato del mondo e dei singoli Paesi. Per restare nell’ambito di un confronto, il Manifesto per la Decrescita parte da una critica (profondamente giusta) di un sistema di Pensiero che si fonda e al tempo stesso riproduce una rappresentazione dell’Essere Umano come Homo Economicus per riavvitarsi però alla fine in una sfera ancora tutta economica (la decrescita), là dove in Marx vi è la piena esaltazione della Natura. Ma il problema centrale di una siffatta impostazione è che la responsabilità del percorso verso la catastrofe viene a configurarsi come casuale ed imputabile ad un indistinto Uomo, come Soggetto Universale e non a quel determinato sistema economico e produttivo la cui esistenza, continuità e sviluppo richiede lo sfruttamento della Forza Lavoro e della Natura. Questa “ricostruzione” indistinta non è occasionale, ma assume il carattere di metodologia sistematica quando non si intende affrontare la questione politica del necessario cambiamento: dai Partiti Verdi - oggi esiste con queste peculiarità anche il “Partito della Decrescita” - e da molte Associazioni e Lobbies Ambientaliste a partire dalla più forte oggi in Italia, la Legambiente, alla stessa Chiesa, che critica fortemente il Consumismo (che pone in indissolubilità con l’Edonismo, che è ovviamente tutt’altra cosa), ma non individua nel modello capitalistico lo sfruttamento dell’Uomo e della Natura.

La necessità di cambiare il modo di produzione e di scambio capitalista Naturalmente operare per far cambiare sensibilità ed acquisire coscienza ambientale è essenziale e profondamente errato sarebbe il non cogliere ciò da parte di forze ed ideologie alternative al modello capitalistico; allo stesso tempo, strutturalmente, ineludibilmente, centrale per il cambiamento è quello che dicono Rita Martufi e Luciano Vasapollo in “Riferimenti Teorici contro la Pratica della Globalizzazione Snaturata”: “Finchè il modo di produzione e di scambio capitalista resterà il modello dominante, le condizioni dell’Uomo, quelle della Natura e la stessa vivibilità della Umanità non avranno miglioramenti significativi. A poco valgono le battaglie dei movimenti ambientalisti se non assumono la centralità della questione politica ed economica del modo di produzione capitalistico, quindi la centralità del conflitto capitale -lavoro. E a poco valgono le teorie ecologiche più o meno imbellettate se non sono interne a quelle teorie alternative al capitalismo che dialogano in un continuo interscambio con quei partiti politici, le associazioni e le organizzazioni sindacali di classe e di base e i movimenti di lotta che assumono la prospettiva della costruzione di un sistema socialista internazionale.” Nella realtà la decrescita economica e produttiva, almeno come contingenza temporale, è difatti in atto; anche se è chiamata recessione o diminuzione del PIL. A gestirla è il capitalismo, che sta determinando le politiche, il percorso, gli interventi per il futuro: la decrescita così disegnata sta generando quanto auspicato da Georgescu, Latouche, Bonaiuti, Pallante? Assolutamente No! Guardiamo all’Italia: da una parte vi è un ulteriore gravissimo arretramento rispetto alla tutela della Natura, dal mancato rispetto degli impegni sul protocollo di Kyoto per il Clima al “rilancio economico” basato su aggressivi interventi di opere pubbliche ipotizzati con la cancellazione delle più elementari forme di controllo democratico e valutazione di impatto ambientale e dall’altro sfruttando e degradando la Persona Umana, la sua Dignità ed il suo Lavoro: che cosa è nella sostanza il paradosso, rispetto alla minore produzione di merci, della detassazione dello straordinario se non un ritorno ad un drastico aumento dell’orario di lavoro, con la cancellazione di secoli di battaglie operaie per un salario degno con recupero di disponibilità del proprio tempo e della propria vita? La detassazione è contestualmente crerazione di conflittualità tra lavoratori (quelli meritevoli e i... contestatori di sinistra), riduzione della occupazione e disponibilità di manodopera a più basso costo secondo i canoni classici del mercato del lavoro. Contestualmente si “decrescono” funzioni fondamentali della qualità della vita, in gran parte immateriali: la tutela della salute, la cultura, la solidarietà, la ricerca. Che succede a livello mondiale se la decrescita ha percorso similare? Ovvero può il Capitalismo gestire questo nuovo obbligato percorso della Umanità o occorre una nuova prospettiva di Società, di Valori, di Economia? Il vero grande limite del pensiero della decrescita sta proprio nella identificazione di un percorso economico e produttivo, appunto quello della decrescita, quale prospettiva ideale, culturale e politica, e conseguentemente economica di una Nuovo Mondo dell’Uomo e della Natura.

Il Comunismo Ecologico o l’Ecologismo Comunista Se da una parte in molti partiti ed aggregazioni politiche che si richiamano al “Comunismo” od anche al “Socialismo” persistono vecchi schemi e blocchi programmatici economicisti e produttivisti subalterni al capitalismo ed al mercato, in realtà lontani dalla concezione marxiana del Comunismo, dall’altra parte, per intellettuali, di grandissimo valore, come per movimenti, la sconfitta delle esperienze storiche del Socialismo reale del Novecento costituisce profonda preoccupazione se non proprio rinuncia a riferirsi alla Utopia Concreta del Comunismo, a nuovi suoi contenuti ed al percorso per la sua attuazione. Senza questo Progetto della Umanità, chiaramente alternativo al Capitalismo, sono impensabili scuotimenti dal profondo di coscienze di massa, movimenti forti, vitalizzazione di nuove esperienze di società umana. Si resta cioè globalmente nel Sistema, leggendone e, perché no, soffrendone la profondissima crisi ed insostenibilità, ma non sapendo concretamente indicare la via per uscirne. La Utopia Concreta del Comunismo è bene oggi definirla Comunismo Ecologico o Ecologia Comunista per la chiarificazione ed esternazione del Pensiero della sua Identità, ma che può ben essere definita nella sola espressione di Comunismo od anche Ecologia (o Mondo della Natura) quando di Essi sono specificate le categorie fondanti del loro Essere: Comunismo ed Ecologia vanno ad immedesimarsi, a divenire e a conformarsi in Identità.

Dalla Natura la categoria di partenza del Comunismo Ecologico: la Biodiversità delle nuove esperienze Nel Libro “Capitale, Natura e Lavoro” (Jaka Book) si ritrova la necessaria categoria di partenza dell’immanenza del Mondo della Natura nella costruzione del Comunismo: la Biodiversità delle esperienze dei Paesi, delle Culture, dei Popoli: l’esperienza di “Nuestra America” nelle sue diverse espressioni, dal comunismo naturalistico indio al socialismo bolivariano indica allo stesso tempo la non unicità di modelli e società e intrinsecamente il dissolvimento del pensiero egemonico occidentale verso il Comunismo: unificante per tutte le esperienze e per la esplicazione di ogni nuovo percorso è la liberazione dal saccheggio, dallo sfruttamento, dal condizionamento del capitalismo e del consumismo: l’appartenenza totale e reciproca tra Natura e Popolazione locale è la base per la costruzione della nuova Società.

L’Economia quale branca dell’Ecologia Immediatamente conseguente alla Biodiversità è una nuova visione della Economia: partiamo da ciò che essa non deve essere e cioè dal contrario di quanto espresso nel lontano 1828 da J.B. Say, nel “Corso di Economia Politica” e che ha caratterizzato la teoria economica almeno fino ai limiti dello Sviluppo del già citato Club di Roma e continua ad essere il pilastro della reale politica economica: “le ricchezze naturali sono inesauribili, altrimenti non le otterremo gratuitamente. Non potendo essere moltiplicate o esaurite, esse non sono soggette delle scienze economiche”. Ed è anche il tempo di una radicale inversione di rotta rispetto alla teoria di W.Beckerman,(Economists, Scientist and Environmental Catastrophs, 1972) fatta politica non solo dal becero Bushismo ma anche sostanzialmente dai Presidenti Democratici, per cui la questione ambientale è semplicemente riconducibile “alla correzione di un leggero difetto di allocazione delle risorse per mezzo di tasse sull’inquinamento”. In una certa qualmaniera questa teoria è ripresa dallo stesso Latouche (in ecofascismo o ecodemocrazia) che a sua volta richiama le misure riformiste di Arthur Cecil Pigou: “tutte le disfunzioni ecologiche e sociali potrebbero e dovrebbero essere messe a carico dei soggetti responsabili... In questo modo le aziende che seguono la logica capitalista sarebbero ampiamente scoraggiate”. La teoria è in realtà estremamente debole, direi ingenua, sul punto centrale della questione: a dettare le leggi e le regole restano “i soggetti responsabili” che scaricano i carichi pendenti nel proprio interesse e cioè secondo la logica capitalistica del profitto in ogni circostanza. L’esempio più emblematico in Italia è quanto viene fatto nelle grandi città nel superamento delle soglie di inquinamento atmosferico: rispetto ad un divieto di circolazione generalizzato per tutte le auto nell’interesse generale della tutela della salute, provvedimento uguale per tutti i cittadini, ed in subordine alla circolazione a targhe alterne (già meno giusto) si fa divieto a tutte le auto escluse quelle più nuove scaricando il costo dell’inquinamento non sui “capitalisti dell’auto” ma sui cittadini meno abbienti e stimolando o costringendo ad acquistare nuove auto che poi in breve diventano di categoria inquinante: l’inquinamento diventa elemento fondamentale dello sviluppo del mercato dell’auto e certo non è interesse delle grandi aziende automobilistiche produrre per tempi lunghi auto durevoli e sostenibili sul piano dell’inquinamento. Nessun ragionamento ambientalista d’altra parte viene fatto sui consumi di materia ed energia per la loro produzione. E gli stessi incentivi, per elettrodomestici ed ogni altra apparecchiatura similare, indicati con la finalità di ridurre l’inquinamento con la sottrazione di risorse economiche ad altri settori che cosa sono se non maggiore tassazione degli stessi?

La questione centrale è invece che al centro del modello di sviluppo non può esservi il “Libero Mercato”, ignorante ed estraneo ai vincoli ed alle leggi della ecologia: l’economia non solo non può essere estranea all’Ecologia ma deve ritornare ad essere una branca di Essa: occorre cioè una nuova Economia al servizio non del Capitale e degli interessi di pochi, ricchi, potenti e sfruttatori, ma dell’Umanità, della Biodiversità, in sostanza della Vita di oggi e del futuro del Pianeta. L’abbandono della cultura “USA” e getta, la circuitazione della materia dei cicli produttivi con rifiuti zero, il risparmio e la equa distribuzione delle risorse, il Rispetto, l’Amore, la Tutela della Naturalità e della Vita oltre l’Uomo, la identificazione della Ricchezza e del Bene dello Stato nella Cultura, nella Creazione dell’Arte, nella Educazione, nella Ricerca, nella Solidarietà e nel Lavoro quale realizzazione piena della Persona Umana a tali fini dedicato, costituiscono i fondamenti del nuovo percorso che la Insostenibilità del modello capitalistico-consumistico impone e che costituisce il fondamento nella via del Comunismo Ecologico. Nell’oggi è quella che Luciano Vasapollo chiama “il contenuto pratico dell’economia socio-ecologica politica basata sulla centralità dell’Uomo e della Natura, quindi per i percorsi della transizione socialista”: nella finalità della identificazione e costruzione di tali nuovi percorsi per la piena realizzazione dell’Uomo in un “Mondo Comunista”, Marx ed il Marxismo, come anche l’Utopia di Prouhdon e Saint Simon, le lotte del movimento operaio e di tutto quanto è stato, per l’Umanità, liberazione ed emancipazione, le nuove esperienze di socialismo derivanti da culture diverse dal classicismo occidentale, costituiscono non contraddizione o negazione ma le fondamenta incaccellabili ed incommensurabili.

Il comunismo ecologico costituisce il cammino opposto alla cosiddetta Carta dei Valori del Popolo della Libertà Il Comunismo ecologico e l’ecologia comunista costituiscono l’analisi dell’oggi ed il percorso futuro del nostro Paese opposti alla identità del berlusconismo e della nuova destra, fatta teoria, è da ritenere da Tremonti e Quagliariello, nello Statuto e nella Carta dei Valori approvati dal Congresso costitutivo del “Popolo della Libertà”. Vi è una sottovalutazione profonda da parte della sinistra e più in generale del movimento laico, democratico, progressista, sull’essere di un pensare sotteso al berlusconismo che si sta consolidando non solo come maggioranza elettorale con la conseguente appropriazione delle istituzioni ma anche, ed è forse il fatto più preoccupante, come egemonia culturale, soprattutto tra giovani, nella espressione della potenziale aspirazione dello stile di vita e del modello di società. Leggendo i due documenti del popolo della liberta emergono certamente chiare contraddizioni globali, strutturali delle enunciazioni, “diciture opposte”: sono la riproposizione teorica del populismo e della demagogia berlusconiana. L’illuminismo, come l’Umanesimo e la Cultura Classica sono in profonda contraddizione con una visione teocratica dello Stato; come si può perciò affermare nei documenti fondativi che : “Le radici giudaico-cristiane dell’Europa e la sua comune eredità culturale classica ed umanistica, insieme con la parte migliore dell’illuminismo, sono le fondamenta della nostra visione della società”? Eppure lo si fa, sapendo che in realtà il messaggio vero, il dominante, è quello richiesto dalla parte più retriva, dogmatica, assolutista della chiesa, che si è vista sconfitta per anni nel tentativo di imporre questa enunciazione nella Costituzione del Parlamento Europeo, per la quale ha prevalso la impostazione della ricchezza della Biodiversità Storica e Culturale che per millenni ha caratterizzata l’Europa. E’ la negazione della laicità dello Stato, la negazione della Libertà; eppure lo si fa perché ci si chiama “Popolo della Libertà”. L’anticomunismo è l’asse portante dei due documenti; si afferma in essi “La nostra concezione della persona ripudia tanto ogni forma di collettivismo, quanto l’individualismo egoistico”. Tale ultima considerazione successivamente negata nella formulazione “le persone e le comunità devono avere il diritto di realizzare ciò che possono grazie alla loro iniziativa”, che viene esplicitata fino in fondo addirittura nell’Art 1 dello Statuto, “esalta il riconoscimento del merito”: una società perciò tutta competitiva, dove in ogni momento, azione, scelta occorre attestare l’essere superiore, più bravo, più capace di un altro. La Cultura Cristiana, nella interpretazione giudaico, profondamente diversa ad esempio di quella di S. Francesco nel Cantico delle Creature o di Papa Paolo Giovanni XXIII, e cioè quella del primato del mondo occidentale e del dominio dell’Uomo su tutto il Creato appare chiara, da una parte nel relazionarsi alla immigrazione, “noi pensiamo che si debba aggiungere alla libertà un altro valore, ad essa complementare: la sicurezza della nostra identità davanti all’immigrazione”, e dall’altra nel rapporto con la Natura e gli altri esseri viventi: non una parola sulla Biodiversità Naturale, sul rischio della catastrofe dell’intero Pianeta, sulla limitatezza e profondamente iniqua distribuzione delle risorse nel Mondo, sulla insostenibilità dello sviluppo attuale. Il Comunismo Ecologico è perciò il cammino attuale e l’orizzonte futuro della contraddizione fondamentale, economica, politica, ideale, culturale, sociale della Carta dei Valori “Noi pensiamo che le generazioni future debbano essere poste nelle condizioni di vivere in armonia con l’ambiente naturale”.

5¬. A mo’ di conclusione “La storia delle idee dimostra che la produzione spirituale si trasforma con quella materiale” (Marx - Engels) La recessione mondiale in atto è molto più di un segnale della crisi del capitalismo, nella sua identità di Pensiero, di Stile di Vita, di Modello Economico, di Società dell’Uomo: il dato nuovo, oggi storicamente determinato, in maniera chiaramente più esplicita e forte, rispetto all’analisi di Marx, del Marxismo e del “Pensiero Comunista”, è che a portare, o almeno a contribuire in maniera decisiva, alla sua crisi è la “Insostenibilità per disponibilità di risorse e capacità recettiva del Pianeta”. La crisi del Capitalismo emerge nella radicale connotazione di crisi di rigetto da parte della Terra: sfigurata, sfregiata, sfruttata, depredata dal Capitalismo e dal suo “modo di produzione”, la Terra attua la sua nemesi ed esprime verso di Esso la incompatibilità del suo Essere. Naturalmente questa crisi, potenziale alla dimensione generale ed in atto alla portata della recessione, se riattiva e consolida grandi speranze ed attese dell’Umanità, ritenute definitivamente cancellate dal potere economico e politico costruito sullo sfruttamento sull’Uomo e sulla Natura, dopo la crisi del Socialismo reale del Novecento, richiama una nuova, forse meglio dire più alta ed attenta, riflessione teorica, politica e programmatica, che abbia una forte centralità proprio “nelle ragioni attuali della crisi del capitalismo” e una ricomposizione e una riaggregazione di soggetti e forze sociali per il cambiamento nella direzione di quello che ho chiamato Comunismo Ecologico. Ed è questo il senso vero del presente contributo - con la evidenza di alcune forti accentuazioni e palesi limiti nell’analisi, nei contenuti e nella terminologia - proiettato nella direzione di una accelerazione della discussione e della creazione di una concreta politica. Sono «idee che rivoluzionano tutta una Società?»: sicuramente no! «Con ciò si esprime soltanto il fatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di pari passo il dissolversi delle vecchie idee» (Manifesto del Partito Comunista - Editori Riuniti 1974 a cura di Luciano Gruppi)