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Autonomia politica e politiche del territorio.Nella mediocre Italia del “fattore L” e del “fattore R”
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Autonomia politica e politiche del territorio.Nella mediocre Italia del “fattore L” e del “fattore R”

ANTONIO MUSELLA

UNA NECESSARIA PREMESSA DI METODO E... DI SOSTANZA

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L’articolo che pubblichiamo scritto da Antonio Musella, attivista del Laboratorio Occupato Insurgencia di Napoli, nonché collaboratore della rivista PROTEO, contiene analisi e valutazioni - particolarmente per ciò che attiene alla complessa questione del federalismo - che non sono condivise dalla redazione di PROTEO. Chi segue la nostra attività è a conoscenza della critica che avanziamo, fin dagli inizi degli anni ’90, ad ogni ipotesi di federalismo politico, economico e sociale (... declinato in ogni tipo di salsa!) ed al suo astuto utilizzo antisociale. Del resto a distanza di più di 15 anni dal comparire, sul proscenio politico, di tali teorizzazioni i risultati, dal punto di vista degli interessi immediati e di prospettiva dei lavoratori, sono palesemente evidenti nella loro tragicità. Chi conosce il mondo del lavoro percepisce con nettezza l’avvenuta rottura e frantumazione della quasi totalità di ciò che residuava dell’unità politica e materiale della classe. Una situazione che complica, non poco, il compito di ricostruire l’identità e la capacità di lotta del nlocco sociale operaio e popolare. Riteniamo - però - che alcune delle argomentazioni presenti nell’articolo di Antonio Musella sono fortemente innervate nella testa e nei comportamenti sociali di consistenti fasce di lavoratori e precari specie nelle regioni della cosiddetta Padania. Un problema teorico e, necessariamente, politico che non può essere eluso per chi, come l’attività della nostra rivista, dell’RdB e dell’intera Confederazione Unitaria di Base punta alla legittima rappresentanza sindacale del nuovo movimento operaio e popolare. I nostri lettori conoscono le analisi che il Sindacalismo di Base ha sviluppato in questi anni. Anche la nostra rivista si è, più volte, espressa su tali problematiche con articoli e riflessioni provenienti da diversi punti di vista teorici ed analitici. Rimandiamo - quindi - i nostri lettori a consultare questi contributi alla discussione visionabili e scaricabili interamente dal sito/web di Proteo. Con questa premessa, non formale ma, secondo noi, necessaria, pubblichiamo lo scritto di A. Musella auspicando ulteriori interventi con l’intento di contribuire all’ampliamento di un non più rinviabile serrato confronto su tali argomenti. Il nuovo quadro politico di governo, gli scenari sociali che si approssimano e le rinnovate responsabilità a cui è chiamato il Sindacalismo di Base ed Indipendente consegnano una nuova e più avanzata dimensione di dibattito e di organizzazione sindacale ad ampia scala. Un compito a cui non intende sottrarsi il lavoro teorico e di ricerca politica della nostra rivista. La Redazione di PROTEO

Razzista, giustizialista, legalitario, in un’unica formula: un paese reazionario. Sembrerebbe questo il volto dipinto dalle elezioni politiche della primavera del 2008 nel nostro paese. Sembrerebbe appunto, da una analisi superficiale, ma che senza dubbio ci racconta tanto delle viscere di un paese che è in un processo di mutazione socio-antropologica da diversi anni. Senza dubbio due fattori su tutti hanno pesato su quella che oggi possiamo definire una fotografia del paese sotto i flash delle urne. I dati dei flussi e degli umori del corpo elettorale risultano essere poco interessanti per lo sviluppo di un punto di vista più profondo su ciò che è accaduto, e dunque metteremo via aspetti come “il voto utile” o “il voto di protesta alla Lega”, Senza dubbio da Nord a Sud sono stati due i fattori che maggiormente rappresentano lo stato delle tensioni viscerali del nostro paese, il fattore L (Lega) per il nord, e quello che i media hanno chiamato fattore R (Rifiuti) per il Sud. Due fattori che si toccano e si contaminano. La Lega ha dimostrato di essere un vero e proprio partito di movimento, popolare, radicato sul territorio, e soprattutto un partito dinamico capace di focalizzare la sua agenda politica intorno a quelle che sono le esigenze ed i bisogni di una base, che ancora una volta, scopriamo principalmente popolare ed operaia. Un vero e proprio modello organizzativo fuori dalle schematizzazioni novecentesche tra destra e sinistra, capace di tessere alleanze nell’esclusiva pratica dell’obiettivo - oggi più che mai il federalismo fiscale - che gli permette di rappresentare l’anomalia del bipolarismo indotto da Veltroni e Berlusconi. La dinamicità della Lega e la sua matrice popolare ha portato alla crescita esponenziale della sua credibilità davanti alle fasce sociali non garantite, testimoniato anche dai nuovi insediamenti, subito dopo le elezioni con l’apertura dei sezioni a Quarto Oggiaro ed a Mirafiori ad esempio. La capacità di leggere il territorio, interpretare le pulsioni del corpo sociale, la prassi politica conflittuale sono il paradigma su cui la Lega si afferma come partito trasversale capace però di interpretare meglio di altri i bisogni del territorio. Ovviamente la chiave di interpretazione dei leghisti continua a puntare su un impianto che continua ad essere reazionario e xenofobo. La paura verso il diverso, il razzismo strisciante continuano ad essere i tratti caratteristici della Lega come forza politica, ma oggi la sua dimensione sociale è senza dubbio molto più complessa di ciò che politicamente la Lega esprime. È il modello organizzativo che fa della Lega più movimento che partito, ed è su questo crinale che va analizzato lo spostamento del voto popolare ed operaio verso il Carroccio. È su questo crinale di ragionamento che il “fattore L” ha molto a che fare con il crollo della Sinistra Arcobaleno. L’assenza di radicamento territoriale, la mancanza di credibilità di chi ha preferito gli interessi di governo a quelli dei conflitti sociali, l’incapacità di leggere e di declinare l’alfabeto dei bisogni del territorio e porlo al centro del proprio agire politico, l’assenza di una pratica di conflitto vero, l’immobilismo indotto da una linea politica delle dirigenze dei partiti della Sinistra Arcobaleno a cominciare da Rifondazione Comunista, che ha dimostrato di voler essere a tutti i costi forza di governo piuttosto che punto di riferimento degli interessi della moltitudine, fanno della scomparsa della sinistra che “radicale” non lo è mai stata, un fenomeno assolutamente inevitabile. Il fattore L ha contribuito dunque a ridisegnare il quadro politico istituzionale, riuscendo a sfuggire grazie alla sua dimensione sociale ad una crisi della rappresentanza in cui, invece, la Sinistra Arcobaleno è rimasta assolutamente inghiottita dalle sue incapacità e dai suoi vizi strutturali. Al tempo stesso in questo scenario, si comprende come anche la questione federalista non può più essere liquidata come un rigurgito razzista e xenofobo, come i partiti della sinistra continuano a volerla dipingere. La questione federalista esiste, e non può e non deve essere un terreno da lasciare alla chiave di lettura reazionaria della Lega, ne tantomeno terreno di costruzione di consenso di Berlusconi. Il nostro è uno dei pochi paesi europei dove non esiste un sistema federale come in Germania, in Spagna, oppure una articolata architettura del decentramento politico ed amministrativo come in Francia. I landen, le autonomias, gli arrondissement, sono delle forme di decentramento politico, amministrativo, fiscale ed economico che non solo rappresentano la struttura giuridico amministrativa di tanti paesi europei, ma risponde proprio al bisogno di autonomia politica in cui hanno trovato spazio diverse forme di conflitti sociali importanti nel resto d’Europa. Nel nostro paese sopravvive una geopolitica degli interessi economici che sostanzialmente ricalca quella del 1860! Il regno delle Due Sicilie, il Vaticano, il Granducato di Toscana, la Repubblica Cispadana, la Repubblica Cisalpina, il Piemonte, riportate ai giorni nostri rappresentano ancora la dislocazione degli interessi economici e commerciali, ormai inseriti nel processo di globalizzazione dei mercati, sono indicativi di dove sorgono le centrali di potere nel nostro paese. Eppure sembra che questo quadro non ci dica nulla. La battaglia federalista della Lega riesce a trovare il suo perché nel meccanismo di ridistribuzione della spesa sociale di un governo centrale che ha scelto di lasciare pezzi del paese in balia di un’altra dinamica di gestione del territorio e della pianificazione socio economica. Il Sud abbandonato nelle mani delle organizzazioni criminali che rappresentano oggi un pezzo importantissimo dell’economia del paese, capace di gestire parte delle economie legali dei territori implementandole e potenziandole attraverso i profitti delle economie illegali, risulta essere il vero buco nero del nostro paese. Non è possibile ragionare sulla questione federalista se non si parte proprio dal Sud. I poteri centrali hanno scelto di convivere con le economie criminali nel nostro paese. Lo hanno scelto a partire dal ruolo economico e finanziario che le centrali criminali hanno assunto nel nostro paese. Un paese in cui sopravvive un capitalismo parassitario, di rendita, sempre in attesa dei finanziamenti statali, una assoluta anomalia rispetto al quadro europeo. I primi ad esplorare i nuovi mercati e gli spazi aperti dalla globalizzazione sono state le organizzazioni criminali, e poi, in un secondo momento Confindustria. La Romania, la ex Jugoslavia, la Repubblica Ceca, ma ancor prima la Spagna, la Grecia, l’Irlanda, mercati invasi dai capitali di Mafia, Camorra e Ndrangheta la cui capacità di ritrovare sempre nuovi mercati ha tracciato la via su cui poi si sono inseriti i capitali dalla faccia pulita. La capacità imprenditoriale e finanziaria delle organizzazioni criminali si è dimostrata senza dubbio più efficace di un capitalismo italiano molto simile a quello di inizio ‘900, ovvero fatto di rentes in cerca della mano dello Stato. L’impulso proveniente dall’Italia ai mercati globali ed ai nuovi processi di ristrutturazione capitalista provengono innanzitutto dalle organizzazioni criminali. La spesa pubblica di un governo centrale che ha deciso di lasciare ad altri in termini politici ed economici una fetta del proprio territorio di governo, subisce ovviamente un meccanismo di distribuzione anomalo, anche e soprattutto nella misura in cui anche la spesa pubblica diventa funzionale alla gestione delle organizzazioni criminali del potere politico ed economico del Sud. I fondi europei 2000-2006, e le nuove misure Por 2006-2013, le grandi opere, i fondi della Sanità pubblica gestita da organizzazioni criminali e politici del territorio, rappresentano come la spesa sulle politiche sociali verso il Sud sia stata regalata alle organizzazioni criminali. Mentre la bilancia della spesa sociale pendeva verso Sud a discapito del Nord, nel Sud nessuno giovava di questo flusso di spesa. Ma quello che oggi rappresenta un potere economico enorme nel nostro paese ha contribuito in maniera essenziale allo sviluppo dei vettori produttivi del Nord. Non solo attraverso il compito di pionieri dei nuovi mercati, ma anche svolgendo un ruolo attivo nelle economie del Nord. Il meccanismo di smaltimento illegale dei rifiuti industriali da Nord verso Sud che ha portato all’avvelenamento della Campania, ne è un esempio, così come il ruolo di primissimo piano che sullo stesso settore le organizzazioni criminali si stanno ritagliando a Nord. Questo è il vero scenario che abbiamo davanti! Il bisogno di autonomia politica ed autogoverno è senza dubbio uno degli insegnamenti che le lotte in difesa dei beni comuni degli ultimi anni ci hanno dato. La strutturazione stessa dei comitati territoriali, appunto, la capacità di incidere sul bisogno di riprendere in mano il futuro della propria terra, decidere in autonomia sulle scelte da compiere sul proprio territorio, ci raccontano della capacità da sinistra di declinare la voglia di autonomia politica. E lo straordinario risultato della Lista Vicenza Libera del Movimento No Dal Molin alle amministrative della città berica ci raccontano, tra l’altro, anche questo. Appare evidente che il bisogno di autonomia territoriale, non solo in termini fiscali come ce lo racconta la Lega, ma in termini politici e di vero decentramento del potere come ci insegna il solco delle lotte in tutto il mondo per l’autodeterminazione, e per lo sviluppo di meccanismi di autogoverno e di autogestione, deve fare i conti con l’ennesima anomalia della mediocre Italia. Parlare oggi di autonomia politica senza affrontare la questione meridionale risulta quanto mai complicato, nella misura in cui le organizzazioni criminali a cui è stata lasciata l’amministrazione economica del territorio hanno costruito la loro internità nel quadro della rappresentanza istituzionale in maniera assolutamente trasversale. Proprio qui il “fattore L” si incontra con il “fattore R”. La straordinaria resistenza messa in campo in Campania dai comitati in difesa della salute e dell’ambiente rispetto al piano rifiuti, la irriducibilità alla mediazione politica dei partiti, la straordinaria capacità anche grazie alla resistenza vera di Pianura e di Chiaiano, di sfondare anche sui media main stream raccontando la nostra terra oggi, tra inquinamento e veleni dovuti alla subalternità del nostro territorio alle economie del Nord grazie al supporto della camorra, è stato un evento sociale e politico assolutamente importante. Ma la crisi Campana, come più volte raccontato, non è semplicemente una crisi sui rifiuti, ma è una crisi della rappresentanza, una crisi di legittimità sociale, una crisi politica, una crisi etica e morale. Grazie alle lotte sulla questione rifiuti il comitato d’affari fatto da politici, camorra ed imprenditori del nord è venuto fuori in maniera palese. Il “fattore R” ha pesato su queste elezioni in termini di voti. Il “cambio di colore” della Campania è stato evidente, ma i dati sull’astensionismo ci raccontano anche di un territorio alla ricerca di alternative rispetto al quadro della rappresentanza. Meno 10 % rispetto all’affluenza alle urne nazionale solo a Napoli dove ci sono stati dei picchi anche del meno 17 % come a Pianura o del 15% come a Gianturco ed in altri luoghi toccati dalle lotte in difesa della salute e dell’ambiente. Ha pesato però, in termini di voti, e non di consenso. Oggi il consenso a Sud ed in Campania non è di nessuno, ma i voti si, espressione di una crisi della rappresentanza acuita che si misura con l’ inesistenza di un meccanismo di ridistribuzione della ricchezza sul territorio, ed in cui le clientele politiche e camorristiche risultano trovare terreno facile comprando la fame della gente. Ma è proprio su questi vuoti che si costruisce uno spazio ulteriore dei movimenti. Mentre a Nord è il modello organizzativo e la dinamicità sociale che fa della Lega il boia della sinistra istituzionale, in Campania ed a Sud è l’incapacità di smarcarsi da questo meccanismo politico, sociale ed economico. Inanzitutto perché gestiscono il potere da 14 anni insieme a quello che oggi è il Partito Democartico, ed hanno costruito clientele esattamente come gli altri funzionali ai voti e non al consenso. Davanti all’acuirsi dei conflitti, all’affermazione dell’autonomia dei movimenti, ad alla rottura di quel muro che vedeva la “questione morale” riguardare solo la destra, sono stati completamente travolti dalla delegittimazione sociale. Ciò che il movimento campano nato in difesa della salute e dell’ambiente non è riuscito a fare per ora è aggredire la crisi su tutti i suoi aspetti, costruendo spazio politico in cui andare a sperimentare la declinazione dei bisogni in forme conflittuale e dicotomica rispetto al quadro della rappresentanza istituzionale, puntando a quello spazio politico, che così come a Nord, esiste, ma che ha bisogno di una forza sociale e di movimento per essere occupato. Oggi la “questione meridionale” è assolutamente centrale, se si riesce a svilupparla in termini diversi dagli altri. Diversa dall’approccio ultra sviluppista di Pd e Pdl che parlano del rilancio del Sud attraverso le grandi opere ed un presunta industrializzazione dal sapore novecentesco, e diversa dai termini ancor più vetusti con cui l’ha affrontata fino ad ora la sinistra istituzionale infarcita di assistenzialismo.

La fine della sinistra istituzionale è un fatto ineluttabile su cui è sbagliato disperarsi. L’inadeguatezza dell’impostazione novecentesca di Rifondazione Comunista e degli altri pezzi della Sinistra Arcobaleno, il loro immobilismo rispetto ai conflitti sociali, l’incapacità di affrontare i bisogni del territorio, hanno fatto di quella forza politica un qualcosa di superato. È finalmente finito il novecento! I movimenti questo l’avevano già capito, affermando la loro autonomia da quel quadro della rappresentanza istituzionale e ragionando piuttosto di nuove forme dei conflitti e nuove chiavi di interpretazione dei bisogni, a partire proprio dai territori. Ma sta oggi proprio ai movimenti rilanciare il terreno dello scontro sociale a cominciare da quelle che sono state le cause ed i fattori della fine del blocco monolitico della sinistra istituzionale. Da questo bisogna ripartire per essere in grado di costruire un terreno di lavoro politico e sindacale a partire, prioritariamente, dai territori. Un lavoro che deve trovare come prassi il dinamismo sociale, il radicamento vero, e tra le sue ragioni costituenti l’autonomia e l’autogoverno.

Laboratorio Occupato Insurgencia