4. Una risposta, una proposta: il “reddito sociale minimo
di cittadinanza”
È possibile lavorare per invertire questa linea di tendenza
che distrugge ogni prospettiva di unità dei lavoratori, che permette agli imprenditori
di spremere senza regole chi lavora, che impedisce ogni stabilitàe prospettiva
per chi si trova in posizione subalterna?
In questo numero zero vogliamo soltanto sollevare una questione,
iniziare ad intravedere un obiettivo, che già si pone alla riflessione collettiva,
per contribuire porre un freno al liberismo dilagante e per affermare un diritto
da cui nessun cittadino può essere escluso.
Si tratta della questione del reddito di cittadinanza,
o comunque - al di là dei termini - di un reddito garantito in presenza di una
situazione di disoccupazione o di sottoccupazione.
Nel porre questo obiettivo - e, prima ancora, nell’ individuare
un possibile percorso di lotta - si sollevano tre questioni:
a) alla logica del primato dell’impresa - così fallimentare
dal punto di vista dell’ interesse generale, quantomeno sul terreno della “lotta
alla disoccupazione” - si contrappone la idea-necessità che il soggetto
che si affaccia sul mercato del lavoro non sia un soggetto precipitato in uno
stato assoluto di disperazione, la cui stessa esistenza si contrappone a quella
del già occupato, disponibile ad accettare di tutto per fronteggiare l’ inedia
e la miseria, usato come strumento di ricatto nei confronti degli altri lavoratori
per spingerli ad accettare inferiori condizioni retributive e normative;
b) l’ affermazione di un principio di democrazia, di civiltà
e di solidarietà sociale, che ha antiche radici e che va attualizzato al livello
dello sviluppo raggiunto dalle forze produttive e dal modo di produrre (come
afferma Darhendorf in Per un nuovo liberalismo, 1988, “se fra i diritti fondamentali
non figura quello per cui viene garantita la base materiale della vita, in pratica
crolla la società dei cittadini”);
c) la contrapposizione all’ ideologia ed alla pratica dello
smantellamento del “welfare state” nella riscoperta della politica anche
come strumento per fronteggiare gli stati di bisogno collettivi e per governare
lo sviluppo e l’ economia, tenendo ben presente che la disoccupazione è un dato
strutturale delle società capitalistiche più avanzate.
Nel saggio di Bronzini e Bascetta, “Il reddito universale
nella crisi della società del lavoro” (in AA.VV., La democrazia del reddito
universale, Manifestolibri, pagg. 7 e segg.), si afferma, tralaltro, che la
proposta di introdurre un reddito universale “è un primo tassello nella definizione
di uno Statuto dei diritti del lavoratore post-fordista, che unifichi sotto
il suo scudo protettivo ogni forma di prestazione lavorativa”.
Anche al di là dell’ analisi, che occorre necessariamente fare,
sulla trasformazione del lavoro, e quindi su come gli istituti giuridici a tale
trasformazione si rapportano, su quali garanzie si determinano - o si dovrebbero
determinare - per i lavoratori nella nuova situazione (si pensi, solo per fare
un esempio, al telelavoro), appare con evidenza che l’ istituto del reddito
di cittadinanza (o del reddito garantito o universale) può diventare uno strumento
imprescindibile di unificazione degli interessi (oggi spesso apparentemente
contrapposti) di occupati, semioccupati, temporaneamente disoccupati, occupati
in forme di lavoro inquadrate come autonome.
Si tratta di individuare forme dell’ erogazione del reddito,
condizioni e requisiti, entità, costi: anche su questo punto intendiamo nel
corso del tempo soffermare la riflessione, per individuare - accanto all’ opportunità
ed alla insostituibilità dell’ obiettivo - la praticabilità e la quantificazione
dello stesso.
Si tratterà di una ricerca da condurre a più livelli: possibile
strutturazione normativa, costi economici, individuazione delle risorse necessarie
per fronteggiare i costi, percezione sociale della parola d’ ordine, forze sociali
disponibili ad affrontare una vertenza che incontrerà non pochi ostacoli.
E sicuramente sul punto il conflitto sarà aspro proprio perchè
si pone al centro di uno scontro più ampio tra l’ ideologia galoppante della
piena libertà di impresa (e gli interessi economici e politici sottostanti a
tale “visione del mondo”) e la necessità di costruire una prospettiva “altra”
rispetto ad un futuro fatto di lavoratori “usa e getta” e di contrazione della
spesa pubblica, a partire appunto dalla creazione di una sicurezza economica
minimale.
Il Centro Studi Cestes Proteo intende contribuire, unitamente
alle forze che ritengono utile impegnarsi per questa soluzione, alla ricerca
ed alla definizione delle concrete articolazioni della proposta.