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TRASFORMAZIONI SOCIALI E DIRITTI

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Rémy Herrera
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Prof. al CNRS, France. Rapporto per la Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’O.N.U., Ginevra e inviato dall’Autore a PROTEO per la pubblicazione in italiano, gennaio 2004

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La difesa del diritto all’istruzione passa per quella del servizio pubblico
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La difesa del diritto all’istruzione passa per quella del servizio pubblico

Rémy Herrera

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Questo articolo che si basa sul diritto all’istruzione è all’origine di una dichiarazione scritta, presentata dal Centro Europa Terzo Mondo (CETIM) in occasione della 4° sessione di marzo 2007 del Consiglio dei Diritti dell’Uomo dell’ONU (punto 2: applicazione della risoluzione 60/251 dell’Assemblea Generale del 15.03.06, valutazione ONU: A/HRC747NGO718). L’istruzione è una delle strategie vincenti di sviluppo e un mezzo per realizzare gli obiettivi di socializzazione e di espansione dell’essere umano e dell’uguaglianza. I principi che devono essere alla base di queste politiche sono: carattere pubblico, universalità e gratuità. Si tratta di costruire un mondo fondato sul riconoscimento del carattere non commerciale dell’istruzione, del sapere scientifico e dei prodotti culturali.

1. Privatizzazione dell’istruzione o privazione dell’istruzione?

Il diritto all’istruzione è universalmente riconosciuto sia dalle organizzazioni internazionali specializzate, che dai governi dei paesi membri. Tuttavia nella maggior parte dei paesi non è messo in pratica, soprattutto per quanto concerne la scolarizzazione delle ragazze. L’istruzione primaria universale è prevista dal Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali1 e insieme all’uguaglianza tra ragazzi e ragazze, rappresenta uno degli Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo, formulati dall’ONU2. Ciò nonostante, i mezzi impiegati per tentare di raggiungere questi obiettivi restano limitati, cosicché le parole resteranno a lungo voci pietose, come le politiche neoliberali, che impongono ai paesi del Sud riduzioni di budget e di personale nel settore dell’istruzione pubblica. Tale riduzione comporta una serie di conseguenze nefaste (rigore salariale, flessibilità dei contratti di lavoro, vetustà delle infrastrutture, sovraccarico delle classi etc.), che metteranno in pericolo in questi paesi il diritto all’istruzione e, più in generale, il diritto allo sviluppo nei suoi aspetti economici, sociali e culturali. Molto spesso la promozione dell’istruzione viene proclamata come necessaria, solo nella misura in cui conduce alla privatizzazione. Per quanto fallimentare e contestato l’aspetto educativo delle politiche neoliberali continua ad essere applicato, nelle sue diverse varianti. Uno degli aspetti più sorprendenti di queste politiche è nella priorità concessa ai finanziamenti statali per l’istruzione privata. Fondi pubblici sono massicciamente utilizzati per distribuire dei “vouchers” (assegni per la formazione) destinati ad aiutare gli studenti per pagare i loro studi nelle scuole private, per finanziare l’esternalizzazione dei servizi presso i fornitori privati o per sostenere, attraverso la scappatoia delle sovvenzioni e della riduzione delle tasse, le università private che accrescono le loro capacità di accoglienza. Nell’era della globalizzazione neoliberale lo Stato è mobilitato, per quanto riguarda l’istruzione, soprattutto a profitto del settore privato. Il totale delle spese per l’istruzione nel mondo supera attualmente 2000 miliardi di dollari statunitensi3. I profitti raggiunti dalle imprese transnazionali della mercificazione più spinta nel settore sono gigantesche. Nella maggior parte dei paesi del Nord, i sistemi educativi sono stati segmentati e funzionano sempre più “a due velocità”. Nei paesi del Sud, sottomessi al piano di aggiustamento strutturale, la crescita del tasso di scolarizzazione dei bambini della scuola primaria e secondaria è spesso accompagnata, fin dalle primarie, da quella del tasso di abbandono tra gli alunni più poveri. L’istruzione di massa non ha portato alla “democratizzazione” della scuola, che resta inegualitaria. Gli effetti della privatizzazione dell’istruzione sono più negativi per i poveri, che vengono esclusi dal sistema. Il mercato privato priva i poveri di un accesso reale ai servizi educativi, così come del soddisfacimento di altri bisogni essenziali quali, l’acqua, l’alimentazione, la sanità etc.. Una discriminazione nei confronti del settore dell’istruzione pubblica rischia, non solo di disincentivare i giovani a proseguire gli studi, ma anche di incoraggiare le suddivisioni degli alunni secondo i criteri socioeconomici e/o determinati particolarismi, come l’origine, il colore o il credo.

2. L’appoggio della teoria economica dominante al neoliberismo

Questa tendenza alla privatizzazione dell’istruzione si fonda nella teoria attualmente dominante, l’economia neoclassica, sull’idea che l’istruzione sarebbe un bene privato e dovrebbe farsene carico l’individuo. Ricordiamo che l’ambizione dei neoclassici è di comprendere i fatti socioeconomici a partire dai comportamenti massimizzatori dell’homo oeconomicus. Nucleo di tale paradigma, la teoria dell’equilibrio generale dei mercati, ha lo scopo di determinare la maniera in cui possono essere coordinate le scelte, supposte libere, razionali e mosse dagli interessi personali, dei numerosi agenti che effettuano gli scambi. Contrariamente ai beni prodotti dal mercato, ad uso privato e agli scambi, dei quali sono mediati i prezzi, un certo numero di beni, definiti beni pubblici, hanno la specificità di essere oggetto di un consumo collettivo. Per natura, non possono essere prodotti né concessi ai mercati. La loro produzione deve essere affidata allo Stato; la conoscenza rientra in questa categoria. L’istruzione è considerata piuttosto come generatore di esternalizzazioni positive per la collettività. Il concetto di esternalità indica un’interdipendenza diretta tra agenti, senza compensazione monetaria, a prezzi di mercato. In caso di esternalità, la teoria neoclassica accetta l’intervento dello Stato per delle ragioni simili a quelle avanzate per i beni pubblici. Assimilabili a beni senza prezzo (o a costo zero), e dunque in abbondanza, le esternalità provocano un eccesso di domanda e un’insufficienza dell’offerta, che richiede una presa in carico da parte dello Stato, poiché gli aggiustamenti attraverso i prezzi non funzionano più. Malgrado questa tolleranza dell’intervento pubblico nella teoria, la maggior parte degli economisti neoclassici si pronunciano in generale, in maniera assolutamente ideologica, a favore dell’istruzione privata. Milton Friedman (premio Nobel 1976) aprì la strada sostenendo che l’intervento dello Stato, al di là dei servizi educativi spontaneamente offerti dal mercato, “non è necessario”. Diffusa a partire dagli anni ’60 dall’economista neoclassico Gary Becker (premio Nobel 1992), la teoria del capitale umano è un’analisi microeconomica del comportamento della formazione. Considera l’istruzione come un investimento e un reddito: tale formazione porterà in futuro un aumento della produttività del suo lavoro. Questa teoria è molto criticabile. In primis, assimila l’istruzione ad una merce, suscettibile di essere accumulata in funzione di meccanismi di prezzo di mercato. Questa analisi fu utilizzata per combattere la gratuità dell’istruzione, per il fatto che l’assenza di vendita a prezzi redditizi non poteva che portare a delle perdite nel settore pubblico; inoltre postula una serie di relazioni di causalità tra formazione, produttività e reddito. Queste relazioni però sono ben lontane da una verifica nella realtà, a causa di disfunzioni nel mercato del lavoro (disoccupazione, discriminazione etc.), di evoluzioni divergenti tra produttività e remunerazione e di possibili scarti tra salari a livelli simili di produttività. Infine, questa teoria si perde nella finzione della libertà di scelta individuale degli agenti, che tacita i rapporti sociali di dominazione. Essa legittima le disuguaglianze di reddito, giustificandole con le differenze di produttività del lavoro, spiegate a loro volta con le differenze di livello di qualificazione e, dunque, dalle “preferenze” più o meno sostanziali degli individui per l’istruzione. I ricchi meriterebbero di esserlo per aver scelto di studiare, senza essere remunerati durante gli studi. Il problema è che i poveri non solo non hanno i mezzi di finanziare i propri studi, ma non hanno neanche altra scelta che vendere la loro forza lavoro per sopravvivere. Il concetto microeconomico del capitale umano è utilizzato dai neoclassici anche nella loro teoria della crescita, per spiegare il motore del progresso tecnico. Questa teoria macroeconomica spiega la crescita in maniera endogena, senza fattori esogeni, in particolare grazie all’accumulazione delle conoscenze o del capitale umano da parte di agenti privati, che reagiscono ai prezzi di mercato e che sono motivati dal solo profitto. Tale visione dell’istruzione corrisponde a quella del progetto neoliberale4. Riconosce certamente il ruolo guida del sapere nella crescita economica, ma nega tuttavia la sua natura di bene pubblico o di patrimonio comune dell’umanità, come pure la sua dimensione collettiva e sociale di condivisione, per ridurlo ad una merce appropriata e remunerata privatamente. Questa è la contraddizione nella quale si incunea Robert Lucas (premio Nobel 1995), conosciuto per il suo lavoro sul ruolo del capitale umano nella crescita. Secondo lui, lo Stato dovrebbe mobilitarsi esclusivamente per appoggiare la regolamentazione del mercato dell’istruzione da parte del capitale dominante e per stimolare l’accumulazione privata del sapere in una logica di profitto5.

3. Sapere ed istruzione secondo la Banca Mondiale

Queste analisi micro e macroeconomiche sono servite come basi teoriche per le raccomandazioni della Banca Mondiale in materia di istruzione e di sapere6. Secondo questa istituzione, il “benessere economico e sociale” passerebbe per l’apertura al “libero scambio” e, all’interno di ciascuna economia, per la “libera concorrenza”. Nell’ambito che ci interessa, la sua strategia comprende tre assi principali: a) Privatizzare i settori dell’informazione e delle telecomunicazioni: “l’accesso a questi servizi urta contro monopoli di Stato inefficaci e contro regimi di regolazione che frenano l’offerta. (....) E’ possibile sopprimere questo blocco. (....). Per questo, bisogna adottare un regime di regolamentazione che favorisca la concorrenza [l’allargamento del quale, dovrà] precedere la privatizzazione” b) Smantellare la ricerca pubblica per sottometterla alle leggi del mercato: “per incoraggiare i laboratori pubblici a rispondere ai bisogni del settore produttivo, [conviene] trasformare gli istituti di ricerca in società per azioni”. C) Promuovere l’istruzione privata: “Si ha modo di incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione (....), il modo migliore di procedere è sostenere l’azione del settore privato, (....) di incitare il settore privato ad investire massicciamente nell’insegnamento” porta ad “aiutare i poveri a pagare i loro studi”. La Banca Mondiale realizza il successo di tenere insieme l’obiettivo di espansione del “mercato del sapere” e quello di “ridurre le disuguaglianze rispetto al sapere” senza neanche sfiorare l’idea di una lotta contro le sperequazioni di ricchezza tra classi e nazioni passando per le politiche redistributive. La raccomandazione per l’accesso all’istruzione di base formulata dalla Banca Mondiale si spiega fondamentalmente con il concetto, che si tratti secondo i suoi esperti, dell’obiettivo privilegiato di investimento nel capitale umano e, quindi anche attraverso i suoi effetti di produttività e di reddito, di uno dei più potenti vettori di riduzione della povertà e di maggiore equità. Quest’ultima è definita con l’”uguaglianza delle opportunità”, cioè non come medesimo investimento, ma come medesima opportunità di investire7. Sulla base di questa argomentazione la Banca Mondiale spara contro l’intervento dello Stato, giudicato autoritario e uniformante, ma anche contro le organizzazioni che rappresentano gli insegnanti. Queste critiche la conducono a esaltare la realizzazione di accordi di interazione pubblico-privato, per le quali il perimetro di settore privato è esteso ben aldilà delle famiglie, delle comunità e delle organizzazioni non governative, integrando anche le imprese transnazionali, che dispongono di mezzi di costrizione delle scelte nazionali e di rafforzamento del neoliberismo. Secondo la Banca Mondiale, i principi che devono orientare tali partners sono la partecipazione, l’individuazione del target e il decentramento8. Tali principi devono, tuttavia, essere oggetto di una riformulazione, poiché il concetto di “capitale umano” può essere interpretato diversamente dalla teoria neoclassica o dalla concezione che ne ha la Banca Mondiale, non nel senso di ridurre il lavoro qualificato alla stregua di capitale, ma rivalutare lo sviluppo integrale della persona. Distruggere la macchina da guerra neoliberale della privatizzazione dell’istruzione non è sufficiente, bisogna determinare i fondamenti delle politiche educative alternative.

4. Per un diritto all’istruzione che solo il servizio pubblico può realizzare

La partecipazione deve riguardare, in primo luogo i docenti, invitati a valutare il lavoro finito, a individuare i problemi più urgenti, a riflettere sui modi per risolverli e a formulare delle proposte collettive alle autorità di tutela. Informazione e suggerimenti devono essere diffusi e discussi largamente. Il coinvolgimento degli alunni e delle loro famiglie dovrà essere più attivo possibile per migliorare la qualità del sistema educativo. Non ci sarà una reale partecipazione se non sarà organizzata a livello di base. Il trattamento preferenziale delle popolazioni più povere deve respingere il concetto di target e preferire l’assistenza personalizzata che rafforzi la sicurezza sociale, resa già universale. Bisogna trovare l’equilibrio tra un necessario decentramento, nel rispetto delle differenze culturali e l’indispensabile accentramento del sistema educativo e delle politiche sociali adottate dallo Stato, che è la condizione per un’effettiva riduzione delle disuguaglianze e per un equo sviluppo. Quest’ultimo non avrà un senso e una dimensione se non inscrivendosi nella ricerca di un obiettivo di uguaglianza. L’uguaglianza delle opportunità deve essere il mezzo per realizzare l’uguaglianza delle condizioni e non un fine in sé9. Tutti gli allievi devono beneficiare di trattamenti educativi identici attraverso un livello omogeneo di preparazione in tutte le scuole alle quali accedono, e questo indipendentemente dalla loro origine, confessione religiosa, luogo di residenza, situazione familiare o dalla condizione di lavoro dei loro genitori. L’istruzione è una delle chiavi strategiche di successo per lo sviluppo ed un mezzo per la realizzazione degli obiettivi di socializzazione, di realizzazione dell’essere umano e di uguaglianza. I principi che devono essere di fondamento alle politiche educative democratiche sono il carattere pubblico, l’universalità e la gratuità a tutti i livelli di insegnamento. È necessario costruire non solo migliori sistemi educativi in termini di accesso e qualità, ma anche un mondo fondato sul riconoscimento del carattere non commerciale dell’istruzione, del sapere scientifico e della produzione culturale. Nonostante la scarsità delle risorse, i problemi devono essere superati senza ricorrere alla privatizzazione, né mettere in discussione il carattere pubblico, universale e gratuito dell’istruzione. La difesa del diritto all’istruzione passa per quella del servizio pubblico.

CNRS, Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne, Francia

Articolo 13 del Patto.

ONU (2005), Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo - Rapporto 2005, New York.

Vedi: Alternative Sud (2004), L’Offensiva dei mercati sull’università, CETRI e L’Harmattan.

Herrera, R. (2006) “The Hidden Face of Endogenous Growth Theory”, Review of Radical Political Economics, vol. 38, n. 2, pp. 243-257, New York.

Nel 2000, Lucas figurava, con Becker e Friedman, tra coloro che “sostenevano con entusiasmo il programma economico di G.W.Bush”, nella quale l’aspetto educativo è all’opposto del sistema pubblico.

World Bank (1999), World Development Report, Washington D.C.

World Bank (1999), Education Sector Strategy, Washington D.C.

Leggi: Mulot, E. (2001), “Dalla compensazione alla riforma sociale”, Revue Tiers Monde, n. 168, Parigi.

Bayart, P., R. Herrera e E. Mulot (2006), “L’Educazione nella rivoluzione” Quaderni della Casa delle Scienze economiche dell’Università di Parigi I, Serie rossa del MATISSE, n. 33, 21 p., giugno.