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Antonio Di Stasi
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Ricercatore, Università di Ancona

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Globalizzazione per chi e contro chi

Antonio Di Stasi

Il recepimento della direttiva europea sul contratto a termine può essere l’occasione per modificare l’attuale e permissiva disciplina legislativa e riaffermare fondamentali tutele del lavoratore

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Diventa chiaro, quindi, che non è una strada obbligata quella che sposa la c.d. flessibilità esterna e cioè una flessibilità che tende a privilegiare il mercato del lavoro esterno, una flessibilità meramente numerica in quanto punta a variare i livelli occupazionali in relazione alle fluttuazioni economiche. La questione può anzi meglio, anche da un punto di vista aziendalistico, essere affrontata ricorrendo alla c. d. flessibilità interna e cioè attraverso una organizzazione del lavoro basata su forme di polivalenza, di intercambiabilità delle mansioni e soprattutto attraverso regimi flessibili di orario prevedendo orari variabili e costituendo rapporti di lavoro part time (STREECK, 1986).

 

 

4. La preminenza del diritto alla stabilità del posto di lavoro

 

Il massiccio ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato negli anni della ricostruzione post guerra fece emergere l’ineffettività dell’art. 2097 cod. civ. che pur prevedendo l’eccezionalità del contratto a termine, si rivelava, però, insufficiente e lacunoso nella traduzione in precisi termini normativi dei principi stessi (CALABRO’, 1962).

La situazione venne focalizzata a metà anni ’50 grazie ad una indagine svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia, la quale nella relazione conclusiva evidenziò cause “obiettive” derivanti da esigenze di organizzazione produttiva e cause “soggettive” derivanti da scopi generalmente elusivi di disposizioni contrattuali o legislative. La Commissione aveva potuto accertare come il contratto a termine fosse spesso adottato non già per motivi inerenti alla organizzazione produttiva e funzionale dell’azienda, ma al solo scopo di sottrarre l’impresa agli oneri derivanti dal contratto a tempo indeterminato.

Secondo la Commissione parlamentare non sarebbe stato sufficiente limitare le ipotesi di legittima stipulazione del contratto a termine per garantire una concreta ed effettiva riduzione del fenomeno. Per quanto possibile il trattamento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato avrebbe dovuto estendersi a quelli assunti a termine, al fine di ridurre o eliminare i vantaggi che tale tipo di contratto comportava al datore, così da indurlo a ricorrere a quest’ultimo soltanto in caso d’effettiva necessità. La Commissione sottolineava anche la necessità di regolamentare il sistema dei rinnovi, avanzando la proposta di consentire un solo rinnovo con l’adozione di misure atte ad evitare che gli stessi si susseguissero in intervalli più o meno lunghi. Queste conclusioni della Commissione di inchiesta furono la base per la formulazione di diverse proposte di legge poi confluite nella ricordata legge n. 230 del 1962.

Il legislatore rinnovando completamente la precedente disciplina intendeva stroncare definitivamente gli abusi che “le esitazioni giurisprudenziali” consentirono vigente l’art. 2097 cod. civ. e si poneva l’obiettivo di porre fine ad una prassi degenerativa dell’istituto che aveva portato alla nascita di una categoria di lavoratori di seconda classe, in uno stato di vera e propria “soggezione psicologica” (MONTUSCHI, 1962).

Ho ricordato le ragioni che portarono alla emanazione della disciplina restrittiva per rendere evidente come oggi, dopo 40 anni, anche a causa delle previsioni contenute nei contratti collettivi, sono presenti nel mondo del lavoro le medesime contraddizioni e disparità non giustificabili se non attraverso l’ottica di concedere all’impresa un maggior potere sulla persona del lavoratore precario.

Va però segnalato un elemento che rende ancor più inammissibile ed inaccettabile la previsione generalizzata del ricorso al contratto a termine e che discende dalla diversa normativa sui licenziamenti e dalla condizione del mercato del lavoro.

Negli anni ’50 lo sviluppo industriale dava prospettive di piena occupazione ed anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato potevano essere licenziati senza giusta causa ma con il solo obbligo del preavviso (come noto gli accordi interconfederali non garantivano tutti i lavoratori e soprattutto non garantivano una tutela reale contro il licenziamento illegittimo). Oggi invece praticamente tutti i lavoratori godono di una tutela contro il licenziamento illegittimo, anche se diversificato a seconda della grandezza dell’impresa, e quindi diventa ancor più forte la disparità di trattamento tra i lavoratori stabili e quelli precari, così come risulta aggravato la subordinazione psicologica di questi ultimi. Il termine del contratto, oggi ancor più di ieri, pende come una “spada di Damocle” sui prestatori di lavoro i quali, nel timore della prossima scadenza, e nella speranza di una rinnovazione del contratto, sono privati della stabilità con l’ovvio intento di ottenere da loro il massimo rendimento.

L’effettività dei diritti dei lavoratori (indirettamente anche per quelli a tempo indeterminato) passa, of course, attraverso la riduzione dei contratti di lavoro a termine limitando, nuovamente e per via legislativa, i casi in cui è giustificato il ricorso a tale tipo contrattuale per esigenze veramente straordinarie dell’impresa. In questo senso l’occasione della direttiva europea e della prospettiva del suo recepimento deve essere una occasione per rafforzare l’effettività del diritto del lavoro.

 

 

 

BibliografiA

 

BALLESTRERO, La flessibilità nel diritto del lavoro. Troppi consensi?, in LD, 1987, 289

BENEDETTI, Le realtà lavorative precarie e marginali: una chiave di lettura per il lavoro che cambia, in Lavoro scelto o lavoro probabile, Milano, 1987

CALABRO’, Contratto di lavoro a tempo indeterminato e contratto di lavoro a termine stabilito, in Dir. Lav., 1962, I, 165

CAMUFFO e COSTA, Strategic human resource management: italian style, in Sloon Management Review, 1993,4

CARRETTA, Dalle risorse umane alle competenze, Milano, 1993

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MARESCA, Part time, in Il diritto del lavoro negli anni ’80, vol. II, 1987, 187

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MONTUSCHI, In merito alla nuova disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, in RTDPC, 1962, 918

RENDINA, La direttiva europea sul contratto a termine, in Guida al lavoro, n.44, p.12 e s.

ROCCELLA, Mutamento tecnologico, flessibilità, diversificazione dei rapporti di lavoro, in Il diritto del lavoro dopo l’emergenza, Milano, 1988, 8

STREEK, The management of uncertainty and the uncertainty of management: employers, labour relations and industrial adjustment in the crisis, in PS, 1986, n.59