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TEORIA E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

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Economia tra scienza e “non scienza”

Luciano Vasapollo

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1. Questo lavoro ha un oggetto delimitato nel tempo e nello spazio. Non è un’esposizione della cosiddetta “economia pura” (ammesso che essa abbia statuto scientifico non solo in senso formale, ma di esplicazione della realtà); neppure è una teoria del modo di produzione capitalistico (MPC) nelle sue forme di movimento, legge e tendenze epocali (è questo l’altissimo livello di astrazione della concezione marxiana nel Capitale). Si vuole offrire qui, come indica il sottotitolo, un guida alla comprensione della fase attuale di mondializzazione della produzione e riproduzione sociale in forma capitalistica, riferendoci però alla teoria del modo capitalistico di produzione come processo complessivo. In questo senso si tratta di economia applicata e non nella dizione accademica che individua le varie economie applicate: per esempio, all’ambiente, all’ingegneria, alla sociologia, ecc. Presentare una critica complessiva, ma non esaustiva, naturalmente, vuol dire anche indicare possibili linee di indagine ulteriore, vuoi affrontando il materiale empirico, vuoi esaminando aspetti qui per necessità soltanto accennati, e sviluppando le determinazioni concettuali qui proposte, talora con qualche semplificazione per l’uso anche didattico e pedagogico del testo.

2. La critica marxista dell’economa politica riguarda le leggi e le categorie che regolano il modo di produzione capitalistico e la dinamica delle sue contraddizioni intrinseche; e l’economia politica non riguarda “la produzione”, ma i rapporti degli uomini nella produzione. Nessuna comunità umana è pensabile senza che essa operi, lavorando, sulla natura esterna, poiché la produzione è sempre riproduzione di una comunità che se smettesse di lavorare e produrre si estinguerebbe immediatamente (anche il contadino autosufficiente basa i suoi rapporti di lavoro sull’entità familiare). L’errore di ridurre l’economia politica solo alla produzione senza i rapporti di produzione dà luogo non solo alle “robinsonate” che già Marx evidenziava ma soprattutto alla “naturalizzazione” dell’economia, come avviene nel grandissimo Ricardo che considera naturali ed eterni i rapporti che concettualizza (come capitale, lavoro, terra). Ma gli economisti borghesi considerano le categorie economiche come categorie naturali della produzione e quindi non modificabili. La critica marxista dell’economia politica si occupa di analizzare i fenomeni della società capitalista svelando dietro ad essi le leggi e le categorie del modo di produzione capitalistico come riflesso dei rapporti sociali di produzione, quindi dei rapporti di classe della società capitalistica. Dunque: l’oggetto dell’economia politica, i “rapporti degli uomini nella produzione”, è la produzione e riproduzione di uomini, sempre, ma di volta in volta in rapporti e condizioni determinate. Il modo specifico in cui il lavoro vivo e il cosiddetto “lavoro morto”, i mezzi cioè di lavoro e in genere i “mezzi di produzione” in cui lavoro vivo antecedente è depositato, definisce le figure fondamentali, epocali, della produzione e riproduzione di uomini, cioè i modi di produzione. Nel MPC il lavoro vivo ha forma di forza-lavoro salariata, il “lavoro morto” ha forma di capitale, e la produzione avviene solo e in quanto il capitale, nel suo processo, incorpora il lavoro vivo, come si spiegherà più avanti.

3. Ciò premesso, la mondializzazione è globalizzazione finanziaria (movimento istantaneo dei capitali, concorrenza monetaria e guerra tra aree valutarie). Inoltre, soltanto parzialmente realizzata è la globalizzazione dei movimenti di merci. Completamente diverso è l’aspetto del lavoro che si presenta innanzitutto empiricamente come entrata di centinaia di milioni di individui che diventano lavoratori salariati, in forme dirette o più o meno mascherate. Poiché queste masse di individui sono compresenti per il capitale e lo sono sia a livello mondiale sia a livello dei singoli paesi, o zone e territori dei singoli paesi, questo aspetto si presenta in atto come segmentazione della classe lavoratrice in fasce a diverso grado di sfruttamento, poste sistematicamente in concorrenza fra loro (ne sono esempio le esternalizzazioni, le delocalizzazioni, la precarizzazione, la disoccupazione fluttuante, la disoccupazione stagnante, tutto all’interno dei processi della fabbrica sociale generalizzata). Ma questo vuol dire, (a) continuità della produzione, cioè produzione e riproduzione (se il lavoro dell’ipotetica comunità, piccola o grande, si fermasse del tutto, anche solo per un mese, tutti sarebbero morti, ecc.); e vuol dire, perciò, (b) lavoro, e dunque produzione, sempre entro rapporti determinati, che si chiamano perciò rapporti di produzione. Ancora, ciò significa, (c) che le forze produttive della comunità, soggettive o oggettivate (macchine, “tecnologia” ecc.), esistono, si modificano, si sviluppano o anche deperiscono, sempre entro determinati rapporti di produzione. Infatti, “forze produttive” immobilizzate nella loro astrazione, cioè senza i rapporti in cui si sviluppano e operano, non possono esistere, oppure sono fuori dal processo produttivo, ferrivecchi, che la ruggine farà rientrare nel ciclo naturale.

4. In questo processo ormai pluridecennale1 (basta leggere i dati statistici dalle fonti ufficiali come ISTAT, Eurostat, Banca Mondiale, ecc.) si modifica e si rafforza il triplice comando sul lavoro salariato. Primo comando: di fronte alla massa segmentata, stratificata, disponibile dei venditori di forza-lavoro, il capitale tende a scegliere in ogni momento quali e quanti lavoratori mettere in produzione oppure scartare, cioè precarizzare, o semplicemente invitare a considerarsi inutili (come dice Mazzone, invitati a morire)2. Secondo aspetto del comando del capitale è quello esercitato sul produrre medesimo. Poiché si deve realizzare un prodotto o un servizio è il capitale che tende ad assumere e fa apparire come forza produttiva sua l’uso delle tecniche, l’organizzazione del lavoro, le innovazioni di processo e di prodotto, che rendono possibile la realizzazione di quel dato prodotto o gamma di prodotti in un tempo determinato. Il terzo aspetto del comando del capitale consiste nel fatto che il prodotto (bene o servizio) è merce e quindi deve essere venduto e soltanto con questa vendita si attua la valorizzazione del capitale. Quindi l’intero processo produttivo di merci è regolato dalle ferree leggi del processo di valorizzazione. In un mercato capitalistico sviluppato, determinati settori merceologici (ed in prospettiva l’intero mercato) entrano in crisi di sovrapproduzione nel momento in cui la tecnologia data, la forza-lavoro operante, l’organizzazione del processo di lavoro, consentono la produzione di merci in una quantità così elevata da non essere assorbita dal mercato (se non a prezzi talmente bassi da non giungere alla valorizzazione): si ha eccesso di offerta contro una domanda striminzita o quanto meno inferiore. Si badi che ciò non significa che quelle merci non siano “volute”, desiderate da alcun consumatore, dato che spesso le crisi di sovrapproduzione convivono con larghi strati di povertà diffusa nei paesi a capitalismo avanzato e in tutto il mondo, bensì significa soltanto che quelle merci non sono vendibili che a determinati prezzi, i quali non consentirebbero la valorizzazione (chiusura positiva del ciclo di valorizzazione) del capitale investito nella loro produzione. Ciò vuol dire che il capitale speso per produrle va bruciato, perso, non si valorizza, non solo non torna indietro accresciuto, ma non torna per nulla. Quindi non è un problema di quantità di merci prodotte eccessivamente rispetto ai bisogni reali della popolazione è invece un problema di merci che non possono essere vendute al “loro valore”. Per questo i prodotti, le tecniche, le linee di prodotto saranno adottate o scartate in funzione della valorizzazione e soltanto della valorizzazione. Ma con ciò, dunque, non solo il singolo lavoratore ma anche il lavoratore complessivo è di nuovo sottoposto nel suo stesso lavoro, non allo scopo di aumentare la ricchezza della società ma a quello della valorizzazione, senza la realizzazione della quale l’unità di produzione (azienda) perde il suo scopo fondante.

5. Se si esula da tutto quanto sopra non si può intendere il processo di mondializzazione capitalista in corso. È per questo che, nei diversi tentativi di costruire una scienza economica ma anche una critica all’economia, una scarsa conoscenza del capitalismo porta a sbagliare rotta ed a finire per “acchiappare formiche credendo di cacciare elefanti”. Una parte sostanziale del problema consiste nella mancanza di comprensione delle regole del gioco di una società nella quale il potere si distribuisce in funzione del denaro che si possiede, generando nello stesso tempo un’ideologia secondo la quale il potere si distribuisce in funzione delle capacità innate di ognuno. Il capitalismo è una forma di organizzazione della società il cui interno dinamismo e capacità di mutamento hanno una profonda unità nelle leggi di moto del MPC stesso. Ma questa unità sfugge all’analisi teorica degli economisti e degli altri scienziati sociali che colgono soltanto aspetti parziali del processo o fenomeni riportati a modelli matematici o statistici elaborati ma isolati dal contesto in cui insorgono3. In questo Trattato non si pretende di svelare nessun segreto, né di presentare le chiavi di interpretazione definitiva di un sistema tanto complesso come quello capitalista. Si tenta piuttosto di riflettere su alcuni dei principali elementi teorici dello studio del capitalismo, la cui comprensione è basilare per potere sviluppare in seguito proposte di azione nella realtà in cui gli individui si trovano concretamente a vivere: l’ambiente di lavoro, lo spazio di consumo, le relazioni internazionali, il contesto della famiglia e dei rapporti personali, sociali e culturali, le determinanti del conflitto sociale con al centro il conflitto capitale-lavoro, ormai affiancato dalle altre contraddizioni capitaleambiente, capitale-Stato di diritto.

6. Dopo aver discusso in precedenti lavori scientifici il ruolo e lo sviluppo dei processi economico-produttivi, comprese le dinamiche del cosiddetto capitale informativo e dei modelli capitalisti dal punto di vista delle moderne scienze aziendali, e dopo aver trattato gli stessi temi in una lettura dal carattere più direttamente politico-economico (vedi alcuni miei libri pubblicati con Jaca Book dal 2003, in collaborazione con autori stranieri come J. Arriola, H. Jaffe, J. Petras), è infatti utile, ai fini di una migliore comprensione dell’attuale fase della competizione globale, trasferire con questo testo tali tematiche sul piano di una critica dell’economia applicata, in una spiegazione e determinazione delle tendenze in atto nel mondo capitalistico. Un’impostazione di questo genere è diversa, spesso addirittura opposta rispetto ad alcune analisi di autori citati in varie parti del testo. Tali riferimenti, che a volte non sono condivisi nel contenuto, servono per dare una panoramica sintetica dei diversi punti di vista “contro”, cioè di quelle prospettive che non hanno la nostra visione marxista dei problemi economico-sociali, ma condividono l’analisi di controtendenza rispetto ai progetti del capitale.

7. Se l’analisi proposta nel testo fa riferimento alla teoria marxiana, precisamente alla critica dell’economia politica di Marx, non si sceglie certo questo percorso per una sorta di proselitismo ideologico o di settarismo politicoculturale: il fatto è che, a tutt’oggi, è solo grazie all’analisi di Marx che si riescono a capire e a valutare criticamente funzionamento e contraddizioni del sistema capitalista e quindi del suo modo di produzione4. Se è vero che negli ultimi anni in Italia sembra si stia recuperando un po’ di terreno perso nei decenni passati in materia di studi su Marx e le teorie marxiste, con la diffusione di una letteratura rinnovata in vari ambiti disciplinari5, è pur vero che, in ambito accademico, persiste un radicale ostracismo, soprattutto quando essa è sviluppata come critica dell’economia politica e applicata. La marginalizzazione, o meglio l’espulsione dal campo accademico, ma soprattutto dal generale ambito scientifico, della critica di Marx all’economia politica e dell’economia politica marxista, ci inducono oggi con forza a sviluppare una visione aggiornata dalla funzione metodologica, concettuale ed ideologica della critica dei marxisti all’economia politica e all’economia applicata.

8. Nel Trattato si propone una critica all’economia applicata. Infatti la teoria economica dominante contempla e diffonde essenzialmente modelli di riduzione dei costi di produzione, grazie a licenziamenti e a precarizzazione di un numero sempre maggiore di lavoratori, inutili in un mondo produttivo sempre più meccanizzato. È questa la regola di un non meglio chiamato mondo postfordista dell’accumulazione flessibile, che non ha bisogno di reinserire nuovamente l’espulso nel ciclo produttivo. Si tende così, ad esempio, a considerare il tempo della disoccupazione una condanna, una condizione di impotenza e di inutilità e non invece un momento in cui poter vivere e fornire arricchimento formativo, superando così l’alienazione causata dalla disoccupazione e da un lavoro, nella maggior parte dei casi, impersonale, schiavizzante, ma produttivo. Da questo deriva anche il luogo comune di considerare il disoccupato un peso per la società, qualcosa di profondamente inutile; non si utilizza quella condizione per prepararsi ad una nuova funzione occupazionale che richieda un migliore iter formativo, per garantire reddito e permettere al disoccupato di scegliere le forme del vivere sociale in funzione anche di un tempo liberato dal lavoro. La condizione di disoccupato deve essere asservita al capitale completamente, senza conflittualità, al limite perfino con l’emarginazione, la disperazione, il suicidio sociale.

Durante lunghi periodi di disoccupazione, i potenziali lavoratori vivono in condizioni da ghetto - chiusi a chiave in una situazione di disperazione economica. Come potrebbe essere diversamente, visto che nessuno sta producendo? Se non ci sarà nessun boom o emergenza, alcuni lavoratori di riserva si adatteranno nei bassifondi del mondo del lavoro, ma per tutti gli altri sarà la rovina. Mancanza di assistenza medica, diete inadeguate e competizione violenta per risorse limitate sono i mezzi del sacrificio. Come l’insieme dei sacrificandi per il lavoro nei campi, negli Stati Uniti l’esercito industriale di riserva è composto principalmente (di più: sproporzionatamente) da appartenenti a minoranze. Questo macabro raccolto va oltre i meccanismi della rimozione - non basta la reclusione spaziale (i ghetti). Dal punto di vista dei conservatori, si è reso necessario installare nuovi segnali per rendere meno vago il confine tra sottoeconomia ed economia di superficie. Ad esempio, i richiami alla restaurazione dei valori della famiglia funzionano come appelli eufemistici affinché l’orrore del sacrificio per l’eccesso venga respinto nell’oscurità. I valori della famiglia sono un eufemismo per la rioccupazione militante del visibile da parte delle forze dell’ordine sociale, e non vanno in alcun modo interpretate come richieste di abolizione della sottoeconomia - al contrario, questa rappresentazione è solo un altro modo spettacolare di rintracciare e sorvegliare l’oscuro confine tra le due economie (Critical Art Ensemble 1998: 89).

La contraddizione più assurda dell’impero del capitale sta proprio nel disprezzare il tempo libero e l’arricchimento intellettuale e pratico del tempo libero fuori dalle logiche del capitale. La disoccupazione e la sempre crescente precarizzazione del lavoro e del vivere, nelle società occidentali, è lo specchio del limite storico cui sta giungendo la produzione capitalista. Di fronte a questo limite la comunicazione deviante viene utilizzata per rendere compatibili con il sistema persino le sue vittime più evidenti, i disoccupati, i precari, distruggendo a monte ogni volontà e possibilità di ribellione.

9. Nel testo si pone attenzione alle modalità attuative del progetto dell’impero del capitale nell’odierno processo di mondializzazione e si guarda, quindi, alla gestione del capitale sotto il profilo soggettivo, in modo da individuare come si decidono, si comunicano, si eseguono e si controllano l’insieme delle operazioni gestionali finalizzate al dominio della logica di mercato su tutte le entità valoriali che si liberano nella sfera sociale. Ci si accorge così che, per raggiungere questi scopi, il capitale assume una forma-impresa, che è la fabbrica sociale generalizzata, e una forma-istituzione, che è il Profit State (lo Stato del profitto), strutture di rappresentazione del modello capitalista con modalità diverse e articolate di essere e di agire, le quali, però, rispondono tutte alle scelte del modello neoliberista cosiddetto postfordista, fortemente caratterizzate dalle risorse immateriali dell’informazione e della comunicazione. Si tratta di un modello incentrato, in maniera sempre più accentuata, sulla ricerca di forme di accumulazione flessibile, basate cioè su criteri di flessibilità produttiva, di precarietà del lavoro e dell’intero vivere sociale, a partire dalla valorizzazione dei nuovi modelli comunicazionali devianti, capaci di imporre nel territorio il dogma culturale del mercato, del profitto, del vivere secondo i principi d’impresa. Nasce, così, una forma di vero e proprio totalitarismo culturale, che utilizza per la propria affermazione un capitale umano intellettuale omologato: l’intellettuale si fa funzione organica della classe dominante del Profit State, asservita e funzionale esclusivamente alle esigenze, ai valori, alle logiche del profitto, del mercato, dell’impresa, tentando in tutti i modi la distruzione sociale e culturale dei “ribelli”, dei non omologati.

10. A tutto ciò nel Trattato si oppone un modo semplice per affrontare un mondo complesso; più che l’appartenenza ad una scuola una scelta di vita, cioè l’unione indissolubile tra teoria e prassi nel tentativo di contribuire alla critica per il superamento del modo di produzione capitalistico. Uno “stile” di vita che è stato quello di grandi rivoluzionari, come Che Guevara. Il 7 ottobre 1959 Fidel annuncia la nomina del Che alla carica di Capo del Dipartimento dell’Industria dell’Istituto Nazionale di Riforma Agraria. È in questo periodo che il sistema budgetario viene concepito e applicato solo nel settore industriale dell’economia cubana. Questo sistema è stato il modo in cui si è organizzata l’economia statale di Cuba nel settore industriale, con la centralizzazione in un fondo unico di tutte le entrate delle imprese appartenenti a tale Dipartimento; dallo stesso fondo venivano estratte le risorse per la gestione secondo un preventivo e secondo programmi di esecuzione che a loro volta rispondevano ad un piano annuale. Tra il 1961 e il 1962 inizia l’applicazione del sistema budgetario per eliminare l’anarchia ereditata e per rafforzare lo Stato rivoluzionario, utilizzando forme avanzate di controllo, contabilità e programmazione della produzione in vigore in alcune imprese straniere radicate nel paese il cui sistema, generalmente, era centralizzato. Si partiva dal principio che le forme di gestione economica, dal punto di vista tecnico, dovessero prendersi dove sono più sviluppate per poi adattarle alla nuova società. La conformazione del sistema si basava su:
  tecniche contabili avanzate che permettessero un maggiore controllo ed un’efficiente direzione centralizzata;
  tecniche di calcolo applicate all’economia e alla direzione, come i metodi matematici applicati all’economia;
  tecniche di programmazione e controllo della produzione;
  tecniche del budget come strumento di pianificazione e controllo per mezzo delle finanze;
  tecniche di controllo economico per via amministrativa;
  esperienze dei paesi socialisti. In questo sistema l’impresa non ha disponibilità liquide in un conto proprio, consegna tutto al budget nazionale e spende anche secondo un piano, ricevendo tutte le risorse necessarie per cui non serve l’utilizzo del credito. Lo stesso Che è stato anche critico deciso del sistema budgetario soprattutto per quanto riguarda l’aspetto collegato al ruolo dei quadri per le manchevolezze nel meccanismo di amministrazione, del controllo della qualità, per la mancanza di rifornimenti e con inventari inefficaci, per i problemi sull’ampiezza ottimale delle fabbriche, ecc. Fissati i sistemi di organizzazione del lavoro, le norme di lavoro, remunerazione e stimoli, un controllo rigoroso dei processi e dei costi a partire dal Ministero e fino al più piccolo stabilimento, per organizzare la salvaguardia delle risorse nazionali e prendere decisioni per correggere i processi a Cuba, si esigeva la disciplina finanziaria, il rispetto della disciplina contrattuale e il rispetto degli standard qualitativi, concependo in questi processi la partecipazione ampia dei lavoratori e del sindacato. La costruzione del socialismo e del comunismo è per il Che un fenomeno di produzione, organizzazione e coscienza, non è soltanto un compito amministrativo-tecnico-economico, ma piuttosto ideologico-tecnico-politicoeconomico. Ecco la sintesi tra teoria e prassi! Ad esempio Che Guevara nel suo scritto La pianificazione socialista: il suo significato (in L’Economia, Baldini & Castoldi, Milano 1996, pp. 139-140) evidenzia la grande differenza tra calcolo economico mercantile ed etica del sistema sociale dei valori:

Man mano che sviluppiamo pragmatisticamente il nostro sistema arriviamo a individuare certi problemi già esaminati e cerchiamo di risolverli, attendendoci il più possibile - nella misura in cui la nostra preparazione ce lo permette - alle grandi idee espresse da Marx e da Lenin. Ciò ci ha portato portati a trovare una soluzione alla contraddizione esistente nell’economia politica marxista del periodo di transizione. Nel cercare di superare queste contraddizioni, che possono essere soltanto dei freni temporanei allo sviluppo del socialismo, perché di fatto la società socialista esiste, abbiamo analizzato i metodi organizzativi più adeguati alla pratica e alla teoria, che ci permettessero di dare il massimo impulso, mediante lo sviluppo della coscienza e della produzione, alla nuova società; è questo il capitolo in cui siamo impegnati oggi... 5) Per noi, la “pianificazione centralizzata è il modo d’essere della società socialista”, ecc., e, pertanto, le attribuiamo un potere di decisione cosciente molto maggiore di quello che le attribuisce Bettelheim. 6) Riteniamo di grande importanza teorica l’esame delle incoerenze fra il metodo classico dell’analisi marxista e la sopravvivenza delle categorie mercantili nel settore socialista, aspetto che dev’essere approfondito di più. 7) Ai difensori del “calcolo economico” si adatta, a proposito di questo articolo, il famoso detto “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”.

11. Ci sono, dunque, essenzialmente due modi per capire la realtà economica. Una è quella che considera esclusivamente le realtà che si misurano in merci, in prezzi. Secondo questo punto di vista, la competenza dell’economista non concerne l’economia del vivere, del lavoro e della convivenza civile ma è soltanto quella di studiare gli aspetti della realtà che hanno un’espressione monetaria (per esempio, secondo questa concezione, il compito dell’economia applicata è esclusivamente quello di riuscire a stabilire gli equilibri contabili fondamentali: offerta e domanda, importazioni ed esportazioni, spesa ed entrate nazionali, quantità di denaro e quantità di produzione, ecc.). Tale concezione, assolutamente dominante nel moderno paradigma neoliberista, si basa sull’idea che nei fatti esistano soltanto individui programmati per agire, in maniera pressoché univoca, in funzione della ricerca razionale e sistematica dell’interesse personale. Qualsiasi altra spinta, di natura relazionale, etica, valoriale, ideologica, è considerata non pertinente alla prassi dell’analisi economica (Ormerod 1994, 1998: 44). L’altra prospettiva prende atto del fatto che, oltre alla realtà delle merci, dei prezzi, si può considerare un quadro economico più ampio, meglio sarebbe dire un quadro largamente e socialmente economico includente, ad esempio, il mondo dei prezzi come uno dei tanti sottoinsiemi: esso corrisponde alla realtà dei valori. Secondo questa concezione, i fenomeni strettamente monetari interagiscono coi fenomeni economici che non si esprimono in forma di prezzi, e che derivano essenzialmente dal lavoro. Tali fenomeni acquistano ai nostri occhi connotazioni di natura sociale, relazionale, comportamentale, integrando e ampliando la nostra considerazione dei fatti monetari. Per esempio, questa concezione considera come un fenomeno economico di prima grandezza lo sfruttamento del lavoro salariato, ed argomenta che un trattamento esclusivamente contabile dei problemi economici non permette di trovare soluzioni a lungo termine. Le pagine che seguono trattano gli argomenti economici secondo questo punto di vista.

12. Nel testo si vuole analizzare in primo luogo la differenza qualitativa del capitalismo in relazione ai precedenti sistemi economici, poiché si tratta di un sistema che si incentra sul ruolo del denaro nel processo di accumulazione ed il carattere di merce del denaro e della forza-lavoro. Quindi, si introducono alcune nozioni di base di teoria economica, sugli investimenti, sull’occupazione, sul commercio, nelle relazioni internazionali, sul ruolo economico dello Stato, per vedere come questi concetti si traducono nella dinamica storica del capitalismo. Perciò si affronta, nelle pagine che seguono, il concetto di crescita quantitativa nell’economia, di rivoluzione tecnologica, di globalizzazione neoliberista, il ruolo delle trasnazionali e multinazionali6 senza trascurare l’analisi degli squilibri territoriali e geografici che si stanno producendo e del modo in cui colpiscono le periferie del mondo capitalista. Per realizzare tale indagine, si introduce la nozione basilare di “crisi economica” e le teorie della crisi. Si sottolinea il ruolo del commercio internazionale ed il carattere mondiale del capitale produttivo, sempre più condizionato dalle scelte del capitale finanziario, fornendo un’attualizzata descrizione delle principali relazioni internazionali che operano nel campo dell’economia. Si cerca, inoltre, di approfondire la conoscenza delle dimensioni strutturali delle politiche economiche che si applicano attualmente in tutto il mondo, mediante la presentazione della concezione che sta alla base dei programmi di aggiustamento strutturale e le proposte neoliberiste essenziali in materia di istruzione, mercato del lavoro, sistema finanziario, politiche settoriali e riforma del settore pubblico.

13. È soltanto nello svolgimento complessivo dei temi toccati nei vari capitoli del Trattato che il lettore potrà trovare gli aspetti specifici del processo di mondializzazione capitalista nella sua fase attuale e le argomentazioni che ne spiegano i nessi. Quanto affermato sopra però indica a grandissime linee l’oggetto del presente lavoro e le categorie che vengono utilizzate per portare a espressione concettuale masse di dati, altrimenti di per sé poco significanti e rappresentazioni parziali del processo fortemente diffuse (“cultura d’impresa”, “del sociale”), ma che proprio perché parziali ostacolano piuttosto che facilitare la comprensione del tutto. Si tratta di unilateralismi che pretendono di presentarsi come totali assumendo momenti del processo come verità unica (finanziarizzazione, cultura, progresso tecnologico, uso della scienza, fino alla “cultura delle tre I”, impresa, inglese, informatica). Per questo motivo, gli economisti del “fenomeno parziale” sono esperti nello spiegare quello che è già successo, incontrano maggiori difficoltà a spiegare quello che succede e sono incapaci di prevedere quello che accadrà nel futuro.

14. L’inquadramento crescente degli organismi strutturati specificamente per potenziare la generazione di conoscenza (università e centri di ricerca) fa già parte integrante delle relazioni industriali e trasforma i propri lavoratori pensanti in salariati sottomessi direttamente ad una relazione capitalista, obbligati ad orientare il proprio pensiero e la propria coscienza alla produzione di sapere suscettibile di rapida mercificazione o, se fanno parte di istituzioni pubbliche, eredi dell’istituzione medievale della libertà di cattedra, sottomessi ad una serie di pressioni e condizionamenti (finanziari, politici, mediatici, di carriera) affinché il lavoro di produzione di conoscenza si adatti alle necessità dell’accumulazione del capitale. Anche per questo motivo l’economia politica e i suoi annessi e connessi (economia applicata, politica economica, ecc. fino a discipline inventate in Italia spesso al fine clientelare di occupare cattedre) non sono da ritenersi scienze. In generale, nei paesi a capitalismo maturo, la sconfitta dei paesi del blocco socialista europeo ha continuato a giustificare l’idea del capitalismo come unico e ultimo orizzonte dell’umanità e con questo all’affermazione, nell’ambito degli studi economici e quindi anche in quelli universitari, del predominio assoluto del pensiero neoclassico nell’analisi e studio della macro e microeconomia e delle altre discipline più individuabili nell’area dell’economia applicata. Mai come oggi, invece si sente la necessità della critica all’economia politica di Marx e di un’analisi aggiornata della critica marxista all’economia applicata per affermarne l’attualità e la sua capacità scientifica di analisi interdisciplinare nelle nuove condizioni. Ecco perché ritornare alla critica dell’economia politica. Ecco perché questo Trattato vuole tentare di rappresentare una critica dell’economia applicata a partire da Marx e dalla determinazione reale dell’economia politica marxista, riconoscendone anche limiti ed errori.

15. La possibile instaurazione di un’autentica democrazia partecipativa di base è l’idea di fondo che percorre tutte queste pagine; ma perché la cittadinanza universale sia anche un diritto oltre che una rappresentazione, molta strada è da percorrere. Alla reale cittadinanza universale si oppone il sistema perverso del capitalismo che dà a chi ha già molto e toglie a chi non ha, e che concede il potere del denaro solo a chi l’ha già, affinché l’usi con l’obiettivo di fare più denaro che gli permetta di ottenere più potere. Nel sistema della cosiddetta “società di mercato ” si subordina in realtà la società al mercato, e il mercato capitalista è mezzo per dominare la maggioranza dei cittadini. La storia ci insegna a diffidare delle mode politiche, sociali, economiche, accademiche che hanno una durata effimera. Non pochi testi neoliberisti, e anche quelli afferenti a correnti di pensiero della sinistra liberale progressista che oggigiorno fanno “furore” esprimono la condizione e l’illusione dei paesi più ricchi del mondo nel momento presente e fuggente. I veri capisaldi letterari dedicati alla costruzione della conoscenza sociale, invece, possono essere per un certo tempo posti in oblio ma resistono. Non fanno furore né scalpore. Danno un contributo di altro tipo, più sedimentato, più lento, meno spettacolare, meno scenico. Perfino, molte volte, circolano di mano in mano quasi in forma clandestina. Quando un’opera possiede autentica capacità di spiegazione e comprensione dei processi sociali, continua a brillare nonostante gli anni, con una persistenza che non si spegne. Resiste alle onde e alle mode e diventa strumento di formazione culturale e politico-sociale. A questo proposito Fidel Castro sostiene (Discorso pronunciato da Fidel Castro Ruz, Presidente della Repubblica di Cuba, all’Aula Magna dell’Università dell’Avana il 17 novembre 2005 in occasione del 60º anniversario della sua entrata all’Università):

... quando conobbi il comunismo utopico, scoprii che ero un comunista utopico, perché tutte le mie idee partivano da: “Questo non è buono, questo è cattivo, questo è uno sproposito. Com’è possibile che ci sia fame e crisi di sovrapproduzione, e più freddo e disoccupati quando, proprio la capacità di creare risorse, ricchezze è maggiore? Non sarebbe più semplice produrle e distribuirle?”. Allora sembrava, così come sembrava a Carlo Marx all’epoca del Programma di Gotha, che il limite all’abbondanza si trovava nel sistema sociale; sembrava che man mano che si sviluppavano le forze produttive si poteva produrre, quasi senza limiti, ciò di cui aveva bisogno l’essere umano per soddisfare i propri bisogni essenziali di tipo materiale, culturale, ecc. Tutti voi avete letto il Programma..., ed è, ovviamente, molto rispettabile. Stabiliva chiaramente, secondo il concetto di Marx, la differenza tra la distribuzione socialista e quella comunista, e a Marx non piaceva profetizzare o dipingere il futuro, era molto serio, non fece mai una cosa del genere. Scrisse libri politici come Il 18 Brumario, Le lotte civili in Francia, ed era un genio, scrivendo, aveva un’interpretazione chiarissima della realtà. Il suo Manifesto Comunista è un’opera classica. Si può analizzarla, si può essere più o meno soddisfatti con alcune cose e non tanto con altre. Passai, così, dal comunismo utopico ad un comunismo basato su teorie serie dello sviluppo sociale come il materialismo storico. Nell’aspetto filosofico, si basava sul materialismo dialettico. C’era molta filosofia, tanti scontri e dispute. Ovviamente, bisogna sempre prestare la debita attenzione alle diverse correnti filosofiche. E così, in questo mondo reale, che deve essere cambiato, ogni stratega e tattico rivoluzionario ha il dovere di studiare per concepire una strategia e una tattica che porti all’obiettivo fondamentale di cambiare quel mondo reale. Nessuna tattica o strategia di divisione è utile.

È in tale contesto che si tenta, con trepidazione, di inserire questo libro. Si tratta di una riflessione sul quadro economico nazionale, regionale e mondiale nel quale si sviluppa l’attività culturale militante. Non si offrono ricette, ma piuttostoindicazioni ed orientamenti affinché si realizzi con la lucidità più ampia e profonda possibile il lavoro del lettore del libro, nelle rispettive dimensioni socio-culturali (studenti, ricercatori, studiosi, sindacati, partiti, associazioni di cittadini di carattere culturale, di solidarietà internazionale, ecc.). L’augurio è che la lettura di questo Trattato diventi uno studio che possa far crescere l’idea della necessità e della possibilità reale di costruire nella cultura e nella fatica il superamento del modo di produzione capitalistico. Ecco tornare l’esempio di Che Guevara che ne Le discussioni sono collettive, le decisioni e le responsabilità di uno solo, in L’Economia, Baldini & Castoldi, Milano 1996, p. 26, scrive:

Teoria e pratica, decisione e discussione, direzione e orientamento, analisi e sintesi, sono le contrapposizioni dialettiche, che devono guidare l’amministrazione rivoluzionario.

Rafforzare questa convinzione, dando un ampio respiro di scientificità a tale affermazione, è l’obiettivo ultimo di queste pagine. Tutto ciò vuole anche significare che l’interdisciplinarietà e la multidisciplinarietà, intese come cultura di base che sappia sconfiggere una certa visione economica appiattita sull’univocità mercatocentrica, costituiscono un imperativo inevitabile per l’avanzamento della scienza della trasformazione sociale che è obiettivamente in atto, e che può avere sbocchi catastrofici o invece positivi. Assumerla come un principio della nostra funzione docente, del nostro ruolo di ricercatori e di intellettuali organici al movimento internazionale dei lavoratori, è la nostra maggiore sfida. Il Che aveva chiaro che in una società nata dal capitalismo non si può rinunciare a nuovi meccanismi economici, intesi però come meccanismi di sostegno al lavoro politico e rivoluzionario; aveva inoltre chiaro che la strada da percorrere sarebbe stata lunga e a questo riguardo dichiarava nei suoi scritti politici che l’obiettivo da perseguire, per costruire il socialismo del XXI secolo, era quello di creare finalmente un uomo nuovo, capace di farsi carico delle esperienze, delle sconfitte e delle speranze dell’epoca presente, per trasformarle nel seme della società nuova.

Su questo sentiero siamo oggi in cammino.

N.B.: Per tutti i riferimenti bibliografici si veda direttamente il testo “Trattato di Economia Applicata” di L. Vasapollo, Jaka Book 2007, pag. 465 e segg.

Univ. “La Sapienza”; Direttore Scientifico CESTES e della rivista PROTEO. Sull’analisi di tali processi si vedano le varie analisi-inchiesta presentate su PROTEO, rivista quadrimestrale a carattere scientifico di analisi delle dinamiche economico-produttive e di politiche del lavoro, curata dal Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES- PROTEO) e dalla Federazione Nazionale delle Rappresentanze Sindacali di Base (RdB), anni vari, 1997-2006

Sugli argomenti trattati in questa introduzione come impostazione di fondo generale, fondamentali sono stati i suggerimenti critici di A. Mazzone e i riferimenti a molti suoi lavori

“Gli economisti, in particolare, hanno notevoli responsabilità per il bene o per il male: le azioni di politici saranno tanto più efficaci quanto più rigorose e realistiche sono le analisi che debbono prepararle. E qui ci troviamo di fronte al problema delle condizioni in cui si trova la teoria economica. Come ho cercato di argomentare in questo libro, tali condizioni sono assai infelici: la struttura fondamentale della teoria dominante è statica proprio in un’epoca in cui le innovazioni giocano un ruolo di grande rilievo, trasformando e a volte sconvolgendo la vita economica, anzi l’intera vita sociale. Nella teoria dominante l’analisi dinamica è preclusa o introdotta per mezzo di espedienti come quello di assumere spostamenti delle curve che sono statiche, cioè ipotetiche e fuori del tempo; ma le assunzioni non sono spiegazioni. Nella teoria dominante si fa largo uso di metodi matematici, che di norma, forniscono garanzie di rigore; ma il rigore è solo uno dei due requisiti delle proposizioni scientifiche, l’altro essendo la rilevanza. Quando entrambi i requisiti sono presenti una proposizione ha efficacia interpretativa, che dopo tutto è ciò che conta in qualsiasi scienza”. Cfr. Sylos Labini (2004: 114-115)

È difficile riprendere le fila di un discorso sulla teoria e l’analisi marxiana nei tempi attuali, caratterizzati spesso dall’oscurantismo culturale, dal “liquidazionismo” della storia del movimento operaio e della teoria marxiana e marxista, cioè di una parte fondamentale dell’analisi scientifica della società realizzata nel XIX e XX secolo. Sembra di vivere in un periodo in cui si sta realizzando con metodica tenacia un vero e proprio apartheid politico-culturale contro il pensiero marxista, arrivando addirittura al punto di escludere le teorie marxiane dalla “cittadinanza” scientifica ed accademica. Siamo in presenza del tentativo di attuare un progetto di annientamento dell’identità scientifica nella diversità degli approcci culturali; e l’omologazione ad una sorta di “pensiero unico” neoliberista, nelle sue diverse varianti e articolazioni anche di “sinistra”, colpisce gli studiosi che ad esse fanno riferimento, escludendoli dall’enclave dalla scienza ufficiale Si pensi, solo per citarne alcuni di diversi orientamenti, ai libri di Fineschi (2001), Carandini (2005), Gattei (a cura di, 2002), Mazzone (a cura di, 2002), Mazzone (sui Quaderni di Contropiano, Lavoro e produzione, 2005), Musto (2005), Vasapollo (a cura di, 2002; 2003; 2005), Vasapollo, Petras, Casadio (2004) Vasapollo, Jaffe, Galarza (2005)

Anche se di seguito nel testo si utilizzerà maggiormente il termine impresa multinazionale va chiarito che in questa la società madre ha un ruolo predominante nel processo decisionale strategico, mentre nell’impresa trasnazionale si uniscono le esigenze di coordinamento con quelle capaci di favorire l’autonomia nell’insieme di esperienze da parte delle filiali, indirizzate alla dinamica di integrazione e finalizzate allo scambio di conoscenze, di prodotti, di servizi. L’impresa trasnazionale lascia alle unità all’estero la facoltà di decidere sulle funzioni aziendali critiche, che sono diverse da paese a paese. L’impresa multinazionale classica, invece, non esporta solo un prodotto, ma anche un sistema culturale e comportamentale, che viene imposto rigidamente a differenza dell’impresa trasnazionale che segue una strategia di adattamento ed integrazione nel contesto d