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TRASFORMAZIONI SOCIALI E DIRITTI

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La divisione sessuale del lavoro: una breve Riflessione

CLAUDIA MAZZEI NOGUEIRA

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Traduzione di Graciano Piacentini

Nell’antichità, secondo Perrot, filosofi, teologi, giuristi, medici, moralisti, pedagoghi ecc. affermavano che, prima di tutto, le donne erano destinate al loro luogo1 e ai loro doveri. In questo momento storico abbiamo già le prime constatazioni delle disuguaglianze nella divisione sessuale del lavoro esistenti nelle relazioni di classe e di genere (1994, tomo. l: 8). La divisione sociale e sessuale del lavoro già si trova presente nei secoli che precedono l’Era Cristiana. Tanto la donna libera quanto la donna schiava avevano il loro spazio di lavoro appartenente alla sfera domestica, poi erano responsabili per la manutenzione della sussistenza, i cui campi includevano il vitto e l’igiene di uomini e bambini (Menicucci, 1999: 59). Marx e Engels presentavano già alcuni elementi in relazione alla presenza della divisione sessuale del lavoro nello spazio domestico:

“(...) nella divisione naturale del lavoro in famiglia e nella separazione della società in distinte famiglie opposte le une alle altre, si da allo stesso tempo la distribuzione e, con effetto, la distribuzione distinta, tanto quantitativa come qualitativamente, del lavoro e dei suoi ricavi; ossia, la proprietà, che già ha un suo nucleo, una sua prima forma, nella famiglia, dove la donna e i suoi figli sono schiavi del marito. La schiavitù nella famiglia, benché ancora grossolana e latente, è la prima proprietà (...) (Marx e Engels, 1977: 46)”.

L’enfasi nella storia delle relazioni sociali ci permette di comprendere che la famiglia è un fenomeno sociale, e che la divisione sociale del lavoro genera una forma di divisione sessuale tra le dette funzioni femminili e maschili (Nogueira, 2004: 4). Al trattare particolarmente di questa questione, Engels aggiunge:

“(...) la prima divisione del lavoro è quella che si è fatta tra l’uomo e la donna per la procreazione dei figli. Oggi posso aggiungere: il primo antagonismo di classi che è apparso nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra l’uomo e la donna nella monogamia; e la prima oppressione di classi, con l’oppressione del sesso feminile per quello maschile. La monogamia è stato un grande progresso storico, ma, allo stesso tempo, è cominciato, insieme con la schiavitù e le ricchezze private, quel periodo, che dura fino ai nostri giorni, nel quale ogni progresso è simultaneamente una retrocessione relativa, e il benessere e lo sviluppo di alcuni si verificano alle spalle del dolore e della repressione di altri. È la forma cellulare della società civilizzata, nella quale possiamo già studiare la natura delle contradizioni e degli antagonismi che colpiscono il suo pieno sviluppo in questa società. (1977: 70-71)”.

Così, la famiglia monogamica è, in grande misura, uno spazio palese di conflitto tra l’uomo e la donna in conseguenza dell’oppressione maschile, giacché in questa sfera domestica c’è un chiaro dominio patriarcale. Ancora secondo Engels:

“D’accordo con la concezione materialista, il fattore decisivo nella storia è, in ultimo caso, la produzione e la riproduzione della vita immediata. Ma questa produzione e questa riproduzione sono di due tipi: da un lato, la produzione di mezzi di esistenza, di prodotti alimentari, confezioni, abitazione e strumenti necessari per tutto questo; dall’altro lato, la produzione dell’uomo stesso, la continuazione della specie. L’ordine sociale in cui vivono gli uomini di determinata epoca o di determinato paese, è condizionato da questi due generi di produzione: dal grado di sviluppo del lavoro, da un lato, e dalla famiglia, dall’altro (...). [Oltre ad essere] una società in cui il regime familiare è completamente sottomesso alle relazioni di proprietà e nella quale hanno libero corso le contradizioni di classe e la lotta di classi, che costituiscono il contenuto di tutta la storia scritta, fino ai giorni nostri (1977: 2-3)”.

Già nel Medioevo, nel lavoro sviluppato per le donne c’era una divisione per categorie. Le nubili erano responsabili per lavare e tessere; le madri si occupavano di accudire i bambini piccoli e le donne di mezza età si intrattenevano con i compiti relativi agli adolescenti e con la cucina, fra le altre attività riproduttive. In questa divisione sessuale del lavoro esisteva ancora uno sdoppiamento sociale pertinente alle attività tra le stesse donne: erano le donne dei contadini e servi quelle che lavoravano di più. Oltre a operare con i loro mariti nelle attività dell’agricoltura, erano responsabili anche dei compiti domestici (Menicucci, 1999: 59). Nell’Età Moderna, tra il XV e il XVIII secolo, la divisione sessuale e sociale del lavoro continua ad essere presente. Secondo Scott, le donne sposate e soprattutto le donne nubili vendevano prodotti nei mercati e guadagnavano soldi come barattiere o con un piccolo commercio; si impiegavano anche in attività temporanee come balie e lavandaie. Nel settore industriale, lavoravano nel ramo della seta - merletti, vestiti, tessuti e “chitas”(?) - dei fissaggi, delle mattonaie e degli oggetti di metallo. E se il lavoro conflittuasse con le attenzioni riguardanti i figli e dipendendo dalle circostanze economiche familiari, le madri preferivano affidarli alle balie, o ad oltre persone che gli badassero, piuttosto che lasciare l’impiego (Scott, 1994: 447-448). Alla fine di questo periodo ci incontriamo con la migrazione campagna-città, processo che si accentua a partire dal consolidamento della borghesia e dall’inizio della Rivoluzione Industriale, il che si manifesta con l’apparizione del proletariato femminile. Tuttavia, alcune donne, nei loro tentativi d’ingresso nelle fabbriche, vengono ancora rifiutate dagli uomini in virtù del preconcetto, facendo sì che ritornassero allo spazio di lavoro domestico, lavorando soprattutto nelle case di altre donne appartenenti alla borghesia (Nogueira, 2004: 7-8). Nel XIX secolo, con lo sviluppo della Rivoluzione Industriale, il cammino della produzione sociale si aprì nuovamente al contingente proletario. Ma lo fece in modo escludente, una volta che la donna, ristretta ai suoi doveri famigliari, restava esclusa dal lavoro sociale e dalla condizione di assalariamento. E, se avesse voluto partecipare al lavoro industriale, come lavoratrice salariata, avrebbe dovuto abbandonare gli incarichi domestici, una vece che la “famiglia individuale moderna si basa nella schiavitù domestica, franca o dissimulata, della donna, e la società moderna è una massa le cui molecole sono le famiglie individuali” (Engels, 1977: 80). Di questa forma, ricordando ancora Engels, “il predominio dell’uomo sulla donna nella famiglia moderna, così come la necessità e il modo di stabilire una uguaglianza sociale effettiva tra ambedue, non si manifesteranno con tutta la nitidezza se non quando uomo e donna avranno, per legge, diritti assolutamente uguali” (Ivi: 81). Quindi, con lo sviluppo industriale, si verificò un’enfasi nel trasferimento della produzione della donna dallo spazio del focolare alla fabbrica. Però, non c’è stata quasi nessuna possibilità di combinazione tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, giacché le donne potevano inserirsi nel mondo del lavoro soltanto durante brevi periodi della loro vita, poiché dopo il matrimonio e la maternità dovrebbero abbandonare i loro impieghi e ritornarci soltanto qualora i loro mariti non avessero la capacità di sostenere la famiglia (Nogueira, 2004: 15). In questo senso, anche dopo il periodo della Rivoluzione Industriale, il quale ha permesso un accentuato inserimento femminile nello spazio produttivo industriale, i compiti domestici continuavano ad essere riservati esclusivamente alle donne, ossia, a poco a poco, si stava organizzando la famiglia operaia patriarcale: marito fornitore e moglie fornitrice complementare e padrona di casa, confermando la divisione sessuale del lavoro che si mantiene fino al presente. Quindi, storicamente le donne sono sempre state in una situazione di disugualianza. Le relazioni sociali capitaliste hanno legittimato una relazione di subordinazione delle donne in rapporto agli uomini, imprimendo una connotazione considerata naturale alla donna, destinata alla subordinazione. In verità, nonostante la lotta femminile veda la riduzione delle differenze esistenti nella divisone sessuale del lavoro, tanto nello spazio produttivo quanto in quello riproduttivo, con il trascorrere degli anni la logica dominante per mantenere la struttura della famiglia patriarcale, riservando alle donne le responsabiltità domestiche, contribuisce alla persistenza delle differenze nella divisione sessuale del lavoro ancora all’inizio del XXI secolo. È vero, anche, che assistiamo a nuovi assestamenti famigliari nelle ultime decadi, alterando significativamente il modello idealizato per la conformazione della famiglia. Non possiamo tralasciare di riconoscere che esistono una pluralità di possibilità che si riferiscono alle relazioni coniugali e famigliari, principalmente in ciò che riguarda le relazioni omosessuali e la posizione di molte donne divorziate (o non) come capi-famiglia. Nel Brasile, secondo il censimento del 2000, il numero di donne responsabili per i domicili è aumentato del 38% nell’ultima decade. Per esempio, nel 1991, il 18,1% dei capi-famiglia erano donne. La percentuale è passata a 24,9% nel 2000, i quanto la maggior proporzione di donne che gestiscono la casa sono della regione Nordest, con il 25,9%, (2.951.995) e Sudest, con il 25,6% (5.174.868). Il minor indice si trova nella regione Sud del paese, con 22,6% di donne che gestiscono la famiglia (1.628.105). Ancora, secondo l’IBGE, le donne che stanno assumendo questo ruolo sono ogni volta più giovani, mentre gli uomini responsabili per i domicili stanno invecchiando. Tra il totale di 11,2 milioni di donne capi-famiglia, soltanto 3,4 milioni hanno più di 60 anni. Tuttavia, nonostante constatiamo questo nuovo profilo delle donne nella famiglia contemporanea, i ruoli gerarchici si trovano ancora intatti nella maggioranza delle case. Non sono poche le volte in cui assistiamo alla conversazione di donne che si trovano in questa nuova funzione, ed esercitano simultaneamente i ruoli di padre e madre nelle loro famiglie, legittimando, in grande misura, il fatto di essere responsabili per i compiti femminili, specifici della donna e madre, così come responsabili per i compiti maschili di padre e fornitore del focalare. Insomma, la divisione sessuale del lavoro è un fenomeno storico e sociale, che si trasforma e si riforma d’accordo con la società della quale fa parte in un determinato periodo. Così, nella società capitalista, secondo questa divisione, il lavoro domestico resta sotto la responsabilità delle donne, indipendentemente dal fatto che loro abbiano o no un impiego nel mercato del lavoro. È rilevante aggiungere che anche l’attività domestica non salariata, realizzata nella sfera riproduttiva, è una forma evidente di lavoro, nonostante sia molto distinta dalla forma assunta dal lavoro salariato nel mondo della produzione. In questo modo, possiamo affermare che la divisione sessuale del lavoro non suggerisce nessuna neutralità: tanto il lavoro femminile quanto il lavoro maschile sono categorie d’importanza centrale, però questa determinazione di importanza non si dà in funzione della natura pratica delle loro attività, ma in funzione degli interessi e prioritariamente delle relazioni di dominio e delle loro tensioni.

ENGELS, F. (1977). L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Rio de Janeiro: Civiltà Brasiliana. MARX, K. e ENGELS, F. (1977). L’ ideologia tedesca. São Paulo: Grijalbo. MENICUCCI, E. (1999). La donna, la sessualità e il lavoro. São Paulo: Hucitec. NOGUEIRA, C.M. (2004). La femminilizzazione nel mondo del lavoro. Campinas: Autores Associados.(Autori Associati) PERROT, M. (1994). Storia delle donne in occidente, vol. I/II/III/IV. Porto: Edições Afrontamento.(Edizioni “Affrontamento”) SCOTT, J.W. (1994). “La donna lavoratrice”. In: PERROT, M. Storia delle donne in occidente, vol. IV. Porto: Edições Afrontamento (Edizioni “Affrontamento”).

Dottoressa in Servizio Sociale e professoressa Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC)

In questa epoca, sebbene la polis fosse la culla della democrazia, le donne e gli schiavi non erano considerati cittadini, soltanto l’uomo libero aveva questo status.