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CONTINENTE REBELDE E TRASFORMAZIONI SOCIO-ECONOMICHE

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Ricardo Antunes
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Professore Titolare di Sociologia, UNICAMP/Brasil. “Visiting Research Fellow”, Università del Sussex (Inghilterra) e autore di Os Sentidos do Trabalho (Boitempo Editorial) e Addio al Lavoro? (Biblioteca Franco Serrantini e pubblicato anche in Brasile, Spagna, Argentina, Venezuela e Colombia). È membro di redazione delle riviste Margem Esquerda (Brasil), Herramienta (Argentina), Latin American Perspectives (EUA) e Asian Journal of Latin American Studies (Korea)

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La desertificazione sociale liberale in Brasile e il secondo governo Lula

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1. Lula contro i lavoratori pubblici

Le recenti elezioni in Brasile hanno conferito a Lula un secondo mandato. Nel 2002, quando ci fu la prima vittoria elettorale nazionale del Partito dei Lavoratori, essa segnalava in qualche modo l’inizio della demolizione del neo-liberismo in Brasile. Ora, concluso il primo mandato presidenziale di Lula, si può constatare che gli elementi di continuità hanno soppiantato completamente quelli di discontinuità, negando ogni possibilità di cambiamento aperto con la vittoria del 2002. Il Brasile confermava così una tesi proposta in molti paesi: molte forze di sinistra che si propongono di smantellare il neoliberismo, quando arrivano al potere, frequentemente diventano prigioniere dell’ingranaggio neoliberista. Per coloro che speravano in un significativo cambiamento della politica economica, ponendo un freno agli interessi del FMI; che speravano in un contenimento del flusso di capitali che migrano verso il sistema finanziario internazionale, riducendo le nostre ricchezze nazionali, che immaginavano che potesse avvenire un aumento sostanziale del salario minimo nazionale contro la politica di contenimento salariale; che si opponevano alla produzione di prodotti transgenici che tanti rischi provocano alla nostra salute; che lottavano per la realizzazione di una riforma agraria, imprescindibile per diminuire la miseria; che speravano in un recupero della res publica contro la politica di privatizzazione degli anni ‘90, nell’inizio di un programma effettivo di cambiamenti, con scadenze effettive e un programma chiaro costruite a partire da una forte mobilitazione popolare e sociale, é imperioso constatare che la prima “riforma” del governo Lula, nel 2003, è stata la (contro)riforma della previdenza pubblica e la sua privatizzazione, rispondendo senza resistenze alle imposizioni del FMI, destrutturando un settore importante della classe lavoratrice brasiliana, composta dai funzionari pubblici, e che era stato fino ad allora uno dei pilastri del PT, particolarmente nel difficilissimo periodo della dittatura militare. E, facendo questo, il Governo Lula ha dovuto sconfiggere in maniera esemplare l’azione dei lavoratori pubblici indicati dall’esecutivo come i responsabili della tragica situazione brasiliana. La sua forza non si è rivolta contro il capitale finanziario, il capitale transnazionale, i latifondisti, contro le privatizzazioni che hanno distrutto il sistema produttivo statale e i servizi pubblici, ma contro i lavoratori del sistema pubblico, uno dei pochi settori in cui veniva preservata la dignità dei lavoratori salariati. E, inoltre, la politica di surplus fiscale si è accentuata, seguendo le ricette del FMI, che non smette di citare il governo Lula come esempio da seguire per tutta l’America Latina; la produzione del paese essenzialmente diretta alle rendite del capitale nazionale e internazionale, più che di quello produttivo. Perché si è prodotto questo fenomeno? Perché invece che all’inizio di una discontinuità o di una rottura col neoliberismo, il Governo Lula ci ha fatto assistere a una forte continuità? Le motivazioni sono, certamente, complesse, ma risalgono in buona misura al contesto degli anni ’90, quando abbiamo potuto assistere a movimenti di grande ampiezza: 1) la proliferazione del neoliberismo in America Latina; 2) la caduta del campo socialista con la conseguente quanto erronea tesi della “fine del socialismo”; 3) la socialdemocratizzazione di settori ampi della sinistra con l’adozione del cosiddetto liberalsocialismo, eufemismo che la “sinistra” usa quando pratica il neoliberismo. Come ha subito questo processo il PT? Rispondere a questa domanda è la condizione per capire cosa sta succedendo alla sinistra dominante brasiliana.

2. La parabola del PT

Il PT sembra completare il suo ciclo e conquistare la maggioranza politica: nato nel seno delle lotte sociali, sindacali e di sinistra alla fine degli anni ‘70, il giovane partito sorgeva allora sotto il segno della critica sia al “socialismo reale”, sia alla socialdemocrazia, senza scegliere il capitalismo. La sua vitalità derivava dal forte vincolo con le forze sociali e del lavoro. La decade degli ‘80, che in molti considerano il “decennio perduto” in Brasile, per il mondo del lavoro è stato un periodo di avanzamenti e conquiste. Basterebbe ricordare che in quel periodo sono fioriti, oltre al PT, alla CUT e all’MST, molti movimenti sociali e sindacali, contadini e urbani, che si creavano a partire dalla base sociale, mettendo in discussione la traiettoria quasi prussiana e autocratica, i cui strati superiori esprimevano un universo borghese al tempo stesso aggressivo e elitario, insensibile. Negli anni ‘90, il decennio della desertificazione neoliberista, una tormenta si è abbattuta sul nostro paese. Abbiamo assistito ad una privatizzazione accelerata, ad una precarizzazione senza limiti, ad una deindustrializzazione selvaggia e a una smisurata finanziarizzazione. Se il governo Collor è stato caratterizzato da una specie di bonapartismo avventurista, fonte di irrazionalità, con Fernando Henrique Cardoso e la sua “razionalità accentuata” il paese ha deragliato dai binari del liberalsocialismo per finire in quelli del neoliberismo, distinzione diventata più nominale che reale. Il PT ha sofferto questa tempesta, negli anni ‘90, oscillando tra la resistenza e l’accettazione della politica di moderazione. Lottava contro le ricette neoliberiste ma aumentava la sua soggezione nei confronti dell’elemento elettorale, agendo sempre più nell’ambito esclusivamente istituzionale. Da partito contro lo status quo il PT si è trasformato in partito d’ordine. Le ripetute sconfitte elettorali di Lula nel 1994 e nel 1998 hanno intensificato il suo trasformismo, mentre anche il Brasile si modificava profondamente. Nell’apogeo della fase della finanziarizzazione del capitale, degli avanzamenti tecnico-scientifici, dell’universo digitale e quasi spettrale, all’interno del quale il tempo e lo spazio si confondono, il Brasile assisteva a una mutazione del lavoro che alterava la sua morfologia, con l’aumento della precarizzazione e della disoccupazione, divenuti dati strutturali. Facevamo il nostro ingresso nella simbiosi tra l’informalizzazione del lavoro e la informatizzazione del capitale. Quando Lula vinse le elezioni nel 2002, al contrario della potenza creatrice delle lotte sociali degli anni ‘80, lo scenario era quello di uno stallo in mezzo a tanta destrutturazione. La sua elezione fu, per questo, una vittoria politica tardiva. Né il PT, né il paese erano gli stessi. Il Brasile era ormai desertificato mentre il PT si era già disarticolato. La Lettera ai Brasiliani, inviata dal PT in piena campagna elettorale, era una chiara dimostrazione che il governo del PT sarebbe stato fedele agli interessi del grande capitale finanziario, sotto la guida del FMI. Per questo quel documento è stato ribattezzato dai suoi critici “Lettera ai banchieri”... Per questo, la politica che il governo del PT cominciò a implementare dal suo primo mandato (2002-6), è stata espressione del suo trasformismo (Gramsci) e del suo conseguente adattamento allo status quo. Ma l’intensità della subordinazione alla finanza, al pragmatismo e al programma neoliberista, hanno lasciati stupefatti anche i suoi critici: il governo del PT ha mantenuto per quattro anni una politica economica che preserva disoccupazione e precarietà, con poche oscillazioni, accentuando una politica esclusivamente assistenzialista, denominata Borsa-Famiglia, che offre un piccolo sussidio, tra gli 8 e i 40 dollari al mese, alle famiglie poverissime. La sua posizione rispetto ai prodotti transgenici si è adattata alla volontà delle multinazionali e la sua azione contro la previdenza pubblica è stata di viscerale negazione di tutte le battaglie condotte in passato, appoggiando i gestori dei nuovi fondi previdenziali privati che hanno potuto così godere del sostegno al mondo finanziario da parte del sindacalismo concertativi. Nessuno tra gli elementi strutturali che sostengono la strutturale miseria brasiliana, nessuno degli aspetti della realtà diseguale, nessun interesse del capitale (finanziario o industriale o dei servizi) è stato minimamente intaccato. Al contrario, il governo Lula ha mostrato una enorme competenza nel saper dividere i lavoratori del settore privato da quelli del settore pubblico. Se non fosse stato tragico, si potrebbe dire che un partito nato dalla lotta di classe (PT) si è convertito in un partito che incentiva la lotta all’interno della classe. Naturalmente il PT ha dovuto eliminare le scorie del passato attraverso un periodo di “processi ed epurazioni” che hanno portato il partito ad abbandonare la coerenza per preservare la subalternità, con l’espulsione di alcuni parlamentari, la senatrice Heloísa Helena e i deputati Luciana Genro, Babá e João Fontes. Il partito maggioritario della sinistra, che tante speranze aveva suscitato in Brasile e in tante altre parti del mondo, assomiglia oggi al New Labour della vecchia Inghilterra. E’ finito col convertirsi in un partito d’ordine, esaurendo la sua identità di sinistra capace di trasformare la società, per candidarsi alla gestione degli interessi dominanti nel paese. Si è convertito in un partito che sogna di poter umanizzare il nostro capitalismo, implementando una politica di privatizzazione dei fondi pubblici in funzione sia degli interessi del sindacalismo concertativo, sia dei poteri dominanti a livello del sistema finanziario nazionale e internazionale. .

3. Nessuna illusione sul secondo governo Lula

Che ci possiamo aspettare, allora, dal secondo governo Lula? La politica di alleanze senza discriminanti, con tutti i settori di centro, di destra e addirittura di estrema destra, mostra che qualsiasi illusione sul secondo mandato del governo Lula, o è in mala fede oppure completa disinformazione. Si consolida invece ancora di più il triste processo di cooptazione della parte migliore della classe operaia degli ultimi decenni. La politica economica, ad esempio, a beneficio del capitale finanziario e del grande capitale produttivo, continua a privilegiare i diktat del FMI. Si mantiene la concentrazione delle terre in poche mani. Il carattere pubblico e sociale dello Stato viene via via smantellato. La maggior Il governo del PT si è prodotto in un duro attacco mirante allo smantellamento della previdenza pubblica e alla sua privatizzazione. La politica sugli OGM è ancora più dipendente dalle esigenze della Monsanto. La politica estera, soprattutto rispetto agli Stati Uniti e al governo Bush, che dovrebbe essere di frontale opposizione, è invece di conciliazione, quando non addirittura di alleanza. Il tentativo è quello di un impossibile equilibrio tra la sinistra - Chavez, Morales e Fidel Castro - e i peggiori rappresentanti della destra come quelli al governo in Colombia, Messico e Stati Uniti. Se ciò non bastasse, Lula ha tentato anche, durante il primo mandato, di difendere la flessibilizzazione delle leggi che regolano il mercato del lavoro, rispondendo alle richieste del capitale transnazionale. Se non è riuscito a portare avanti questo suo progetto è stato per l’esplosione di un enorme scandalo per corruzione che ha investito i suoi ministri. Rendere più flessibile la legislazione del mercato del lavoro significa, non ci possono essere dubbi, aumentare ancora di più la precarizzazione e la distruzione dei diritti sociali conquistati con dure lotte dalla classe lavoratrice dall’inizio della Rivoluzione Industriale in Inghilterra e specialmente a partire dal 1930, per quanto riguarda il caso specifico brasiliano. Siccome la logica capitalista si dimostra sempre più aggressiva, i governi nazionali vengono obbligati ad adattare le loro legislazioni sociali alle esigenze del sistema globale del capitale, agli imperativi del mercato, distruggendo ogni garanzia per i lavoratori. E’ questo scenario che, dopo innumerevoli tentativi fatti durante il governo di FHC, è stato imposto dal FMI al secondo governo Lula per completare il progetto di flessibilizzazione della legislazione sindacale e del lavoro in Brasile. Se durante gli anni ’90 c’è stata una forte opposizione dei sindacati, soprattutto di quelli legati alla CUT e al PT, contro questi progetti, adesso assistiamo al fenomeno inverso: controllati dal governo, i settori dominanti della CUT e del PT sono i maggiori sostenitori delle proposte di Lula, qualsiasi esse siano. E tutto in nome della “governabilità”. Con il secondo mandato di Lula si tratta di distruggere la colonna vertebrale della legislazione sociale brasiliana, cancellando ciò che essa ha di positivo per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. Per questo la riforma del lavoro, elaborata dal Fórum Nacional do Trabalho, con la presenza di rappresentanti dei lavoratori, delle imprese e del governo, tutti scelti dall’esecutivo del PT, è antitetica a quanto la CUT e lo stesso PT hanno chiesto in tutte le battaglie condotte negli anni ‘80. In sintesi, è la negazione dell’autonomia, della libertà e dell’indipendenza sindacali. La riforma del mercato del lavoro ha almeno tre punti veramente nefasti. Primo: è estremamente accentratrice, trasferendo alle direzioni sindacali il potere di negoziazione dei diritti dei lavoratori, restringendo così la partecipazione dei sindacali di settore e delle assemblee di base. Secondo: le confederazioni verranno considerate a partire dalla loro rappresentatività, il che renderà impossibile l’espressione dell’autonomia e della libertà sindacali, stabilendo limiti minimi di rappresentatività per poter accedere ai negoziati. Terzo: le trattenute sindacali e i contributi assistenziali sono sostituiti dal cosiddetto Contributo al Negoziato Collettivo, violando il diritto dei sindacati indipendenti a raccogliere finanziamenti attraverso la libera e volontaria contribuzione dei lavoratori. Si tratta di scambiare il gatto con la lepre, per mantenere la vecchia (e anche la nuova) burocrazia sindacale. Si tratta quindi di una “riforma” che preserva e intensifica il verticalismo, l’accentramento, il burocratismo delle centrali sindacali, contrastando la nascita di nuovi organismi di base e riducendo la possibilità di una azione autonoma dei lavoratori.

4. Creare un polo conflittuale sociale e del lavoro

Ma la crisi politica del governo Lula, manifestatasi con una intensa corruzione della cupola del PT e dell’esecutivo, è stata ancora più profonda. Una crisi che quasi ha portato il governo ad una fine prematura evitata solo grazie ad un intervento diretto degli interessi economici e politici dominanti che pretendono stabilità per non interrompere gli aggiustamenti in atto. Ma la riedizione, in questo secondo mandato, della politica di alleanza di classe con tutti i settori, è la riproduzione esatta del quadro precedente. In termini elettorali la popolazione, votando Lula, ha votato contro un ritorno al potere del PSDB e del PFL, partiti della destra che hanno sempre portato avanti una politica di elite e socialmente insensibile. La politica assistenzialista del governo Lula, unita alla protezione integrale dei grandi interessi dominanti preservati, garantiti e spesso amplificati, hanno reso possibile la sua rielezione. Ma la crisi, é evidente, rischia di aggravarsi, sia sul piano interno che esterno, soprattutto nel caso in cui la crisi economica degli USA dovesse accentuarsi. Il primo governo Lula è stato tra l’altro favorito da uno scenario economico internazionale tra i migliori, cosa che non si ripeterà nel secondo mandato. Ed è anche visibile che i movimenti sociali, come quello dei senza terra, degli operai, del sindacalismo di sinistra, dei senza tetto, tra gli altri, cominciano ad esigere al governo Lula ciò che esso non è disponibile a concedere. Il che ci permette di prevedere un rafforzamento delle lotte sociali e politiche. In conclusione possiamo affermare che il più dinamico partito della sinistra in Brasile alla fine ha ceduto ai dettami e alle suggestioni dell’ordine dominante. Non ha offerto neanche una opzione alternativa o contraria rispetto alla pragmática dominante, che ad esempio riducesse il surplus destinato al pagamento del debito estero, o che si opponesse agli aggiustamenti fiscali, alla difesa delle banche e della finanzia globale, all’incentivazione dei capitali volatili ecc. La Borsa-Famiglia, che ha portato tanti voti a Lula nelle elezioni del 2006, é una forma di pure assistenzialismo che è stata criticata anche da settori centristi dello schieramento politico tanto è insufficiente e incapace di erodere la struttura economica che genera la miseria e la barbarie. Nel contesto politico marcato dal neoliberismo, dalla finanziarizzazione e dalla mondializzazione del capitale, dalla deregolamentazione e dalla precarizzazione del lavoro, il secondo governo Lula cerca di sostenere una politica di “alleanza” con i settori tradizionali della destra brasiliana che sono stati - e ancora sono- responsabili della perpetuazione della dominazione borghese in Brasile, per non parlare della corruzione nel privato e nel politico che serve a mantenere intatti gli interessi dominanti. Se questo è il quadro politico brasiliano, diventa chiara la sfida per la sinistra: la creazione di un polo sociale e politico di base, che non abbia timore di indicare al paese le cause reali, profonde, storiche e strutturali delle nostre tragedie sociali e politiche. E, in questo modo, che si radichi nelle lotte sociali e politiche dell’America Latina aiutando a recuperare la questione del secolo XXI, quella del socialismo. Un tema che il governo Lula e il PT dominante hanno abbandonato da molto tempo.

Professore di Sociologia del IFCH/UNICAMP (Brasile).