Rubrica
IDEE A CONFRONTO

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

SANDRO SAVOLDELLI
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Argomenti correlati

Nella stessa rubrica

Il processo di liberalizzazione dei sistemi a rete, con particolare riguardo ai trasporti
SANDRO SAVOLDELLI

La metropoli tra insostenibilità del vivere e mobilità sostenibile
ALFONSO ESPOSITO


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Il processo di liberalizzazione dei sistemi a rete, con particolare riguardo ai trasporti

SANDRO SAVOLDELLI

Formato per la stampa
Stampa

1. Il trasporto delle persone tra servizio sociale e opportunità di business

Il processo di deregulation che ha interessato il trasporto delle persone in Italia e in Europa è partito dalla necessità di risanare la finanza pubblica, tra flebili speranze e pericolose illusioni. L’illusione che il trasporto di persone, compreso il trasporto pubblico locale (di seguito TPL) che ne costituisce la fetta più rappresentativa, potesse divenire un prodotto da mercato ha alimentato e alimenta tuttora dibattiti e discussioni. Ma quello che interessa ai fini di questo intervento non è dirimere la questione se il trasporto di persone possa o no essere soggetto alle logiche dell’economia capitalista, bensì se ciò sia eticamente e socialmente auspicabile. Per farlo, è utile analizzare il problema con la logica della sostituzione e dei beni succedanei, ovvero: ogni bene che possa essere sostituito o da un bene che svolge funzioni simili o da un bene che soddisfa i medesimi bisogni può essere in qualche misura considerato non indispensabile. Viceversa, lo è un bene che non possa essere sostituito. Ebbene, cosa succederebbe se la popolazione italiane ed europea fosse improvvisamente privata dei servizi di TPL? Essa potrebbe ricorrere in massa a un’altra forma di trasporto (quello privato), oppure potrebbe soddisfare il medesimo bisogno (spostarsi da un punto all’altro del territorio), con un altro servizio? La risposta è in entrambi i casi: NO. Il TPL ha una natura essenzialmente pubblica. Infatti, esso è innanzitutto un servizio sociale. In quanto tale esso deve garantire il diritto di muoversi in buona parte del territorio abitato e con una adeguata continuità temporale a tutti gli individui, di qualsiasi ceto sociale e gruppo di appartenenza. Non possiamo pertanto rinunciare all’erogazione di servizi di elevato contenuto sociale, quali:
  Corse/treni al servizio delle tratte a domanda debole
  Corse/treni notturni
  Accessibilità per le persone diversamente abili e per le persone a basso reddito. Un secondo aspetto che definisce la natura sociale è la presenza di consistenti esternalità positive, connesse alla riduzione della congestione veicolare e dell’inquinamento atmosferico. In effetti, l’incapacità del trasporto pubblico a soddisfare le esigenze dell’utenza ed il conseguente uso prevalente di veicoli individuali negli spostamenti quotidiani, ha generato esternalità assai preoccupanti in termini di incidentalità (la diffusione dei veicoli a 2 ruote ha ulteriormente aggravato i tassi di mortalità degli incidenti in città), di sostenibilità ambientale, di congestione. Il problema è stato aggravato da una politica del territorio che ha assunto acriticamente l’auto privata come strumento per l’affermazione di strategie di delocalizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi. A questi elementi di natura prettamente sociale, si possono aggiungere elementi che derivano da una analisi economica del mercato del trasporto, che dimostrano come non potrebbe esistere un TPL come noi lo concepiamo oggi in una economia totalmente liberalizzata. In primis, la necessità di forti investimenti iniziali per la costruzione di infrastrutture stradali e ferroviarie, ma anche per l’acquisto dei mezzi e del materiale rotabile. In seconda battuta, ma intrinsecamente legata alla precedente osservazione, possiamo aggiungere la constatazione che nel breve periodo il TPL non costituisce una ghiotta opportunità commerciale. Come conseguenza a questa sua natura, il TPL è stato interessato per decenni da ingenti interventi pubblici, in base a un modello di finanziamento che non prevedeva il controllo della spesa e dei livelli di qualità/efficienza del servizio e della sua amministrazione. Si è pertanto instaurato un circolo vizioso, caratterizzato da:
  Tariffe al pubblico basse
  Finanziamento pubblico del TPL
  Disavanzi crescenti, come effetto combinato dei due elementi già citati, oltre che del basso livello di attenzione alla spesa e al controllo di gestione
  Scarsa attenzione alla qualità.

2. Liberalizzazione e privatizzazione

Tutto ciò ha portato il sistema del TPL all’orlo del collasso finanziario, rendendo improcrastinabile una profonda riforma del settore. Tale riforma si è sviluppata in Europa avendo a riferimento i due concetti della “liberalizzazione” e della “privatizzazione”. Con il termine “liberalizzazione” si fa riferimento a quell’insieme di politiche e interventi volti a eliminare ogni ostacolo all’iniziativa spontanea degli attori del mercato. La liberalizzazione implicava pertanto una revisione del modo di programmare, di erogare e di controllare il TPL. Con “privatizzazione” si intende invece il trasferimento della proprietà delle imprese da soggetti pubblici a soggetti privati. La privatizzazione è considerata in generale positiva soprattutto per l’efficientamento che deriverebbe da una gestione privata, ritenuta più oculata e pertinente rispetto a quella pubblica. La riforma avviata in Europa ha perseguito in realtà un terzo criterio, oltre ai due enunciati: il principio della regionalizzazione. Ciò in ragione del principio di sussidiarità, che prevede che i compiti di gestione amministrativa siano trasferiti alla struttura più vicina al cittadino. Le strutture centrali, di interesse nazionale, dovrebbero occuparsi, in base a tale principio, solo delle funzioni che non possono essere svolte a livello locale.

3. I capisaldi della riforma

Il processo di riforma del TPL in Europa è stato avviato dal Regolamento 1191/69, al quale è seguito il Regolamento 1893/91. I regolamenti citati avevano l’obiettivo di introdurre i primi elementi di definizione del settore, precisando i concetti di obbligo di servizio e le relative tipologie (esercizio, trasporto, tariffe). In quella sede è stato anche specificato l’obbligo di separazione contabile tra le attività soggette ad obblighi di servizio e attività non soggette a detti obblighi. All’inizio degli anni Novanta sono state poi emanate le Direttive 92/13 e 93/38, aventi per oggetto la definizione delle procedure di affidamento, l’individuazione dei soggetti aggiudicatari, l’introduzione di sistemi di monitoraggio. In Italia è stato il processo di risanamento della finanza pubblica, unitamente alla necessità di adeguamento alla normativa europea, a dare impulso alla riforma del settore. La Legge Bassanini ha avviato di fatto la riforma solo nel 1997. In base alla legge le competenze decisionali e amministrative al riguardo del TPL sono state affidate alle Regioni e agli Enti Locali. In più, la Bassanini ha sancito il superamento degli assetti monopolistici del settore, prevedendo l’affidamento dei servizi di TPL tramite gara, l’espletamento sulla base della sigla di un Contratto di Servizio tra Ente Affidante e Affidatario e il controllo della copertura di bilancio attraverso il controllo del parametro del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi (al netto dei costi di infrastruttura). La legge Bassanini è stata poi seguita da vari passaggi attuativi, il più significativo dei quali è il decreto Burlando (D.Lgs. 422/97 e successive modificazioni). Esso prevedeva:
  La trasformazione delle aziende speciali in società di capitali partecipate dagli Enti Pubblici
  L’introduzione dei criteri per la definizione dei servizi minimi, i cui costi sono a carico delle Regioni
  La definizione di quantità dei servizi di TPL e dei relativi standard di qualità
  La costituzione di un fondo regionale per i trasporti
  La definizione dei compiti di programmazione e regolamentazione delle Regioni
  Il trasferimento a Province e Comuni delle funzioni di programmazione e amministrazione non espressamente riservate alle Regioni
  Lo strumento del Contratto di Servizio Pubblico
  Il mantenimento temporaneo degli affidamenti diretti e il successivo affidamento dei servizi mediante gare ad evidenza pubblica. La scadenza del periodo provvisorio è stata via via prorogata più volte. A tutt’oggi, tuttavia, il monopolio non sembra essere stato intaccato, soprattutto nel trasporto ferroviario (Trenitalia è largamente dominante). Anche i flebili tentativi di liberalizzare il trasporto di persone di lunga distanza è fallito, tanto è vero che Trenitalia ha recentemente riunificato le Divisioni del Trasporto Regionale e Passeggeri (media-lunga percorrenza), create in vista di un possibile scorporo societario. 4. Il contesto italiano In Italia, le politiche urbanistiche e dei trasporti attuate a partire dagli anni Sessanta hanno prodotto forti disequilibri tra il trend della domanda di trasporto privata e la componente collettiva. Infatti, negli ultimi 15 anni il trend storico della domanda soddisfatta dai diversi vettori ha visto penalizzata la ferrovia che ha fatto registrare una domanda pressoché costante, in controtendenza con il trend ascendente delle altre modalità, che si è evoluto in stretta correlazione con la crescita del PIL. In particolare occorre registrare l’incremento costante della domanda soddisfatta con mezzi privati, aumentata del 34% nel periodo 1990-2002. Molto rilevante sotto il profilo qualitativo, benché ancora poco consistente numericamente, è la crescita del trasporto aereo, con un incremento che nello stesso periodo è stato pari al 60,3%. Il tasso di motorizzazione in Italia è tra i più elevati dell’EU, secondo solo al Lussemburgo, 591 auto ogni 1000 abitanti contro 491 media EU15. Di conseguenza i costi esterni complessivi del settore sono tra i più elevati (95.278 milioni di Euro 2000), secondi solo a Germania e Regno Unito. In base a un esercizio di stima, compiuto da Trenitalia1, la dimensione della domanda extraurbana attribuibile ai mezzi privati è valutabile in circa 366 milioni di passeggeri/km. La sua distribuzione per modo sarebbe la seguente (tabella 1): La quota di mercato detenuta da Ferrovie dello Stato è pertanto valutabile nell’8,9% del totale della domanda extraurbana, espressa in viaggiatori/km. La parte del leone è svolta dalla autovettura privata, con il 71,2% del mercato. I bus extraurbani si attestano invece al 16,6%, (57,5% sul subtotale della domanda collettiva). In merito alla componente della mobilità sistematica per motivi di studio/lavoro si registrano squilibri ugualmente evidenti, che però assumono localmente un carattere meno marcato. È interessante, ad esempio, verificare ciò che succede a ridosso delle principali metropoli del Paese, dove il problema della congestione è più grave e dove per necessità si è in alcuni casi avviato un percorso di riscoperta del trasporto collettivo. Dagli ultimi dati Istat disponibili sulla mobilità sistematica extracomunale, si evidenzia che gli spostamenti per motivi di studio o lavoro diretti fuori dal proprio comune di residenza sono circa 8.700.000, e interessano oltre il 15% della popolazione residente. Inoltre:
  l’incidenza della ferrovia come vettore utilizzato in prevalenza nello spostamento2 è pari all’11,4% del totale degli spostamenti; in assoluto si tratta di quasi un milione di persone al giorno, alle quali si aggiungono evidentemente i clienti che viaggiano per motivi diversi da quelli di studio o lavoro;
  la quota di spostamenti sistematici extracomunali soddisfatti dall’autovettura o da altri mezzi motorizzati privati è pari al 65% del totale, mentre la gomma pubblica incide sul 18% dei viaggi;
  nei comuni con meno di 20.000 abitanti è nettamente dominante il mezzo privato su strada, soprattutto per gli spostamenti attratti (77,5%). La quota di mercato dell’automobile si riduce di più di dieci punti percentuali quando si passa all’esame degli spostamenti generati (65,4%). È sempre in questa fascia di comuni che la ferrovia registra il valore più basso di quota di mercato (2,9% per gli spostamenti attratti e 8,3% per quelli generati. Più in generale è l’intero comparto del TPL che si posiziona in modo migliore, relativamente ai comuni di questa dimensione, nelle generazioni piuttosto che nelle attrazioni;
  nei comuni delle principali aree metropolitane si ha un andamento quasi opposto, con una riduzione della quota modale della gomma privata e una maggiore incidenza del TPL. Negli spostamenti attratti la ferrovia detiene, come mezzo principale utilizzato nello spostamento, il 21,3% del mercato contro il 17,9% della gomma pubblica;
  la quota di spostamenti soddisfatti con il mezzo privato decresce con il crescere della popolazione dei comuni. La quota del ferro è invece correlata negativamente con la gomma privata, cosicché lo “share” ferroviario cresce al crescere della dimensione dei comuni. A livello territoriale si osserva che quasi il 60% degli spostamenti sistematici extracomunali è concentrato nelle regioni del nord Italia. Ciò avviene, probabilmente, sia per una maggiore articolazione del tessuto produttivo e sociale (sviluppo economico e mobilità sono correlate positivamente nel tempo), che per la presenza di una maglia più fitta di amministrazioni locali, mediamente di dimensioni minori rispetto al resto del Paese. A questo si aggiunge la presenza di una rete stradale notevolmente estesa e qualificata e un numero relativo più alto di autovetture circolanti, cosicché nei comuni minori del nord il mezzo privato raggiunge quote modali significativamente superiori rispetto alle altre ripartizioni geografiche. Al Sud si registra invece la più bassa incidenza della gomma privata, con una quota di mercato che è inferiore di circa 10 punti percentuali a quella media nazionale. Di tale situazione si avvantaggia il trasporto pubblico su gomma, sia per gli spostamenti attratti che per quelli generati. Nelle aree metropolitane con una popolazione complessiva superiore al milione di persone, lo split modale risulta più favorevole alla ferrovia in quattro casi su otto, in corrispondenza delle aree metropolitane (più popolate) di Roma, Milano e Napoli, oltre che Bari. Nell’area metropolitana di Roma gli spostamenti sistematici risolti per ferrovia sono infatti il 17% del totale, contro il 25% di Milano e il 23% di Napoli. A Bari, invece, lo share del treno si attesta al 21%. Tra le Regioni, quelle dove il trasporto ferroviario gode di una situazione di maggiore competitività sono: Liguria, Lazio, Campania e Lombardia. Includendo nell’analisi anche il TPL su gomma, la situazione di maggiore utilizzazione del TPL diviene, dopo la Liguria, quella della provincia autonoma di Bolzano.

note

* Centro studi Mewa.

1 “Analisi della domanda di trasporto locale e regionale”, Trenitalia - Divisione Trasporto Regionale - Divisione Sviluppo, ottobre 2004.

2 Prevalenza in termini di distanza percorsa e non di tempo di impiego.