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SUD: l’ora dell’ombra più breve

MICHELE FRANCO

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SUD: l’ora dell’ombra più breve

Ritorna, sospinto - prepotentemente - dalle dinamiche sociali e dalle allarmate segnalazioni, provenienti dai vari indicatori statistici, il tema del Meridione d’Italia e dalle sue croniche emergenze. Tutto lo schieramento politico ed istituzionale, particolarmente alcune “teste d’uovo” della Fabbrica del Programma di Romano Prodi, rilanciano l’attenzione a quanto avviene nel Sud e si propongono come alternativa di governo possibile a fronte dei plateali insuccessi registrati delle politiche economiche e sociali del governo del Cavaliere. Assistiamo, quindi, allo sbandieramento di mielose ed accattivanti ricette risolutive - al solito squadernamento del libro dei sogni - le quali, magicamente, dovrebbero invertire i diversi trend negativi raggiunti ed innestare il tanto decantato ed auspicato virtuosismo socio/economico con la conseguente Rinascita del Mezzogiorno.

1. Per chi suona la campana

Basta conoscere o percorre questo sud Italia per verificare la stridente differenza tra la rappresentazione materiale di una quotidianità lontana dagli stereotipi di una ipocrita propaganda che ha descritto le terre meridionali come un museo a cielo aperto o una nuova Florida in tinta mediterranea. Basta attraversare le città meridionali, osservare la loro crisi urbana e sociale per registrare il male di vivere che si percepisce e confrontarlo con la rituale evocazione dell’ abusata retorica su una presunta funzione innata del Sud come ponte/interscambio con i popoli del Vicino e Medio Oriente. La realtà è ben diversa. Molto ma molto diversa!! Siamo arrivati ad un punto critico in cui persino gli esponenti del berlusconismo, di alcuni pezzi di cosiddetta destra sociale e dei circoli politici aderenti alle filosofie liberiste più sfrenate sono costretti a prendere atto di questa situazione ed iniziano a correre - in maniera convulsa e disordinata - ai ripari. Del resto lo svolgimento delle recenti elezioni regionali ed ancora di più quelle svolte in una importante città siciliana (Catania) hanno evidenziato i mugugni, il disagio ed il trasformismo di un ceto politico il quale, a fronte del palesarsi delle prime crepe nel blocco di potere, sotto l’incalzare degli effetti della crisi economica e sociale, è pronto a cambiare casacca e a prestarsi ad ogni sorta di rinnovato gattopardismo. Ma questa storia riguarda essenzialmente i gruppi politici dominanti e l’affronteremo prossimamente!! Fortunatamente, ed è questa una inesauribile risorsa, le dinamiche conflittuali non sono, almeno nelle fasi d’innesto ed iniziali delle lotte, anticipabili ed annullabili dall’iniziativa preventiva ed ammortizzante del capitale, dalle sue variegate forme di governance/amministrazione e da quanti auspicano l’ulteriore frammentazione e disgregazione di un corpo sociale già pesantemente investito dai precedenti processi di ristrutturazione e di manomissione socio/economica. Da questo punto di vista le mobilitazioni popolari non sono mancate anzi, se comparate ad alcune fasi del recente passato, possiamo, tranquillamente, affermare che, nel Mezzogiorno d’Italia, si sono prodotti una serie di conflitti e di vertenze che hanno, positivamente, segnato le vicende di questo ultimo scorcio temporale attraverso un interessante ciclo di proteste il quale si è riprodotto ed amplificato su un ampio arco di tematiche attinenti la generalità delle condizioni di vita ed il loro rapporto con il territorio. La “sinistra”, quella a cui piace definirsi d’alternativa ma anche quella che ama accreditarsi in chiave più immediatamente governista, sta utilizzando questo refrain, l’esaltazione del Vento del Sud, per trovare una nuova legittimazione alle ultime alchimie politiciste. Come al solito questo dato, questa novità vengono lette ed interpretate in vari modi con esiti consequenziali ed immediati tra i più disparati e divergenti tra loro. Naturalmente, lo ribadiamo a costo di apparire banali, tutto ciò non è indifferente o ininfluente ai fini dello sviluppo della lotta di classe, del conflitto capitale/lavoro e di ogni ipotesi di mutamento e di trasformazione della società. Anzi, la costante permanenza di questi fattori di conflittualità è un fattore di stimolo per l’avanzamento della ricerca militante, della discussione collettiva e per l’azione politica ed organizzativa delle forze che si richiamano agli interessi storici ed immediati dei ceti subalterni. Tutta la pubblicistica di movimento1 si è ampiamente occupata di queste impennate di lotta anche se, spesso, ad un buon inquadramento analitico delle varie vicende sono seguite considerazioni ed indicazioni politiche che - secondo noi - non corrispondono né alle necessità di espansione delle ragioni sociali di queste proteste né all’indispensabile soluzione degli snodi teorici e di prospettiva che continuano a restare, in gran parte, problematici ed insoluti2. Lo stesso sindacato indipendente (e di classe), nella fattispecie l’RdB/CUB, pur avendo preso atto di molte di queste questioni non solo sul piano delle acquisizioni teoriche ma anche sul concreto terreno dell’iniziativa sindacale, è chiamato ad una rimessa a punto di alcuni suoi strumenti e modalità d’intervento allo scopo di meglio assolvere alle dichiarate aspirazioni di organizzazione e di rappresentanza del conflitto e ad una domanda sociale di orientamento e di tendenziale nuova ricomposizione che si evidenzia nelle pieghe della società meridionale. Queste note vogliono contribuire alla socializzazione di elementi di riflessione e di spunti analitici per delineare alcune pratiche d’intervento politico/sindacale che definiamo, senza alcun timore di sminuirle, prove tecniche di trasmissione verso una necessaria condivisione ed un agire collettivo capace di porsi all’altezza delle intervenute novità e delle sfide che il Quadrante-Meridionale pone a tutti noi.

2. Di nuovo: la contraddizione meridionale

Superata, da più parti, dopo decenni di paralizzante e fuorviante mistificazione, la concezione della “questione meridionale” e riaffermata la immanente importanza della contraddizione meridionale, intesa come riverbero nel ridotto italico (ma anche in quello dell’area Euro/Mediterranea...) della generale contraddizione dell’imperialismo a scala globale tra Nord e Sud è utile ribadire - a fronte dei vari apologeti delle virtù salvifiche del libero mercato - che il capitalismo maturo riproduce ed allarga, anche in forme fortemente divaricanti, la palese contrapposizione fra aree cosiddette sviluppate ed aree definite marginali. Tale fenomenologia, storica e sociale, è il prodotto di una serie di fattori che, sinteticamente, riassumiamo:
  il rafforzarsi della tendenza alla concentrazione ed alla centralizzazione del capitale;
  la piena internazionalizzazione/mondializzazione del capitale che ha bisogno di zone economicamente attive principalmente come mercato di consumo e come riproduttrici della forza-lavoro alle migliori condizioni possibili; Del resto queste “aree marginali o periferiche” presentano, in Italia ma anche in altri paesi Euro/Mediterranei, alcune caratteristiche comuni sulle quali vale la pena di soffermarsi:
  una particolare composizione stratificata del mercato del lavoro con una permanenza di un forte dato di disoccupazione di massa di tipo strutturale;
  una larga e diffusa presenza di attività economiche classificate come “marginali” molte delle quali sono intrecciate con alcuni comparti che compongono il complesso puzzle dell’economia cosiddetta illegale e/o criminale;
  una generalizzata condizione di bassi redditi pro capite, di forte precarizzazione normativa e salariale con conseguenti limitati consumi3; Queste peculiarità non vanno identificate immediatamente con i caratteri del sottosviluppo anzi, al contrario, esse sono connesse alle specifiche forme di dominio e di sviluppo dipendente del Sud realizzate dal corso storico del capitalismo tricolore e rafforzatesi, in maniera rilevante, almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi. Diventa, quindi, evidente come questi fattori, nell’arco delle loro molteplici esemplificazioni e nelle relazioni con le dinamiche sociali, funzionino da poderoso moltiplicatore di tutti gli squilibri e delle anomalie tipiche del Sud/Italia. Non è un caso - quindi - che il riaffiorare, in forme più vistose, della contraddizione meridionale sia intimamente legato alle nuove difficoltà che il capitalismo sconta sia negli scenari globali che in quelli italici. Molti osservatori riconducono, esclusivamente, queste recenti sofferenze ed il loro riverbero agli effetti antisociali dei diktat dei tecnocrati di Maastrict, al varo e alla circolazione dell’Euro e all’intensificarsi dei processi d’integrazione politico/istituzionale a scala continentale (l’approvazione della Costituzione dell’Unione Europea). Queste vicende, alcune delle quali ancora in via di completa realizzazione con tutti gli ostacoli del caso, come dimostra l’esito del Referendum francese con la vittoria dei NO, sono soltanto una conseguenza e una registrazione a livello di capitale europeo, e di conseguenza anche nel ridotto italico, delle necessità di adeguamento e riposizionamento dei vari soggetti impegnati nella feroce lotta a coltello (la Competizione Globale) che si va combattendo in tutto il pianeta.

3. Sud: do you remember....

Gli anni ’80 e ’90 sono stati l’arco di tempo in cui la ristrutturazione dell’intervento statale è intervenuta per adeguare il Sud alle urgenti necessità di questa fase del capitalismo, caratterizzata dal ritorno della crisi e dal dispiegarsi ulteriore della mondializzazione finanziaria e produttiva. Una ristrutturazione, beninteso, che non si è limitata al dato puramente economico ma ha coinvolto tutti gli aspetti: dall’istituzionale al politico, dal giuridico/amministrativo al militare. Cosa è stato il Sud in questi ultimi anni - prioritariamente - se non un campo di sperimentazione di deroghe e strappi alle norme contrattuali, con il consenso sindacale, da esportare poi metodicamente al Nord? Un Sud dove non solo la tradizionale filiera produttiva ma l’intera struttura societaria è stata investita da una gigantesca manomissione mirante alla destabilizzazione, destrutturazione e passivizzazione coatta di ogni possibile insorgenza e ribellione. Dalle novità rappresentate, simbolicamente, all’inizio degli anni ’90, con l’insediamento della Fiat a Melfi alla generalizzazione dei Contratti e dei Patti d’Area, dal Pacchetto Treu alle prime applicazioni della famigerata Legge 30 fino al meticoloso smantellamento, in chiave privatistica, di ciò che residua del vecchio stato sociale il Sud è stato travolto dall’azione antisociale del capitale, dei suoi governi (quelli “amici” Amato, D’Alema e Prodi e quelli di Berlusconi) e dall’opera di collaborazione e di sabotaggio di ogni episodio di lotte e di resistenza sociale da parte di CGIL-CISL-UIL. Fanno sorridere, amaramente, quanti tornano ad agitare - strumentalmente - le insegne del Meridionalismo inteso come strategia da seguire per risolvere l’accumularsi e l’addensarsi dei problemi sociali di questo periodo4. Certo, anche in questi ambienti, nessuno più sogna di ricercare le cause delle difficoltà del Sud nel permanere di residui feudali o in altri, indimostrabili, luoghi comuni del passato. Infatti continuare ad insistere su concetti obsoleti quali lo sviluppo distorto, la mancanza di investimenti statali o la presenza della criminalità organizzata significa riproporre - magari in salsa sociale molto edulcorata - l’interclassismo, il federalismo ed una suggestione tardo-localista che hanno già provocato guasti enormi. In definitiva, oltre ogni fronzolo formalistico ed ideologico, da queste forze, pur nella loro diversità, arriva l’invito e l’esortazione ai ceti popolari a dismettere ogni comportamento teso alla costruzione di movimenti di lotta e la prospettazione di un nuovo dispotico regime di gabbie (salariali, securitarie e neo-pauperistiche). Queste politiche, le quali sono la filosofia concreta su cui poggia l’iniziativa di CGIL-CISL-UIL nel sud Italia rappresentano la volontà politica di operare per l’adeguamento delle esigenze e dei bisogni proletari alle priorità della modernizzazione capitalistica. Fino a qualche tempo fa il riformismo meridionale (in tutte le sue versioni) rivendicava, pure con forme di lotta radicali, investimenti statali ed una sorta di rinnovato keynesismo all’interno di un più vasto compromesso sociale tra i diversi poteri, il ceto di comando e le classi. Oggi, in una congiuntura politica dove i margini di manovra per tali equilibrismi vanno restringendosi, questi pompieri delle lotte puntano ad appaltarsi direttamente le esigenze e le compatibilità del mercato offrendo al capitale, ed ai suoi governi (nei posti di lavoro, nei territori ed in tutta la società), i prati verdi su cui scorazzare.

4. Alcuni temi all’ordine del giorno

In uno scenario simile, interessato e segnato da profonde trasformazioni, anche il ruolo e l’azione del Sindacato di classe deve tenere, necessariamente, conto di questi fattori per produrre le opportune ed utili controindicazioni. Per quanto generosa e testarda, nelle forme e nella determinazione espressa finora, il vecchio impianto e le tradizionali modalità di funzionamento della prassi sindacale devono riconnettersi a queste novità. Non si tratta, come teme qualche compagno, di abbandonare o sminuire il radicamento nei tradizionali luoghi d’intervento (in primis nel Pubblico Impiego) dove, faticosamente, negli anni che stanno alle nostre spalle si è sedimentata la paziente costruzione dell’RdB/CUB e, quindi, l’opportunità di poter investire oggi questo importante coefficiente politico-organizzativo accumulato nel corso degli anni. Anzi, a partire dai moderni processi di ristrutturazione che investono il Pubblico Impiego ed i suoi addentellati territoriali, è possibile inaugurare un percorso di mobilitazione, di lotta e di organizzazione che può ripercorrere conflittualmente l’intera galassia della precarizzazione del lavoro, dei lavori e dei servizi sociali ridotti, dall’azione manomissoria degli apprendisti stregoni del capitale, al rango di “...prestazioni aziendali con logica d’impresa e con un ritorno economico basato sull’alta profittabilità”5. Dove, se non nel sud Italia, i costi sociali delle ristrutturazioni dei servizi pubblici mordono con durezza aggravando le generali condizioni di sopravvivenza delle popolazioni. Dove, se non nelle aree urbane del Sud, il taglio dei trasferimenti statali agli Enti Locali pesa sui redditi, sulla mole e la qualità dei servizi disegnando, nel corpo sociale, nuove povertà, nuove sofferenze e nuove disgregazioni. E dove, se non nel Meridione d’Italia, le lotte di questi ultimi anni6, hanno offerto una vasta ed articolata gamma di questioni e di contraddizioni che hanno coinvolto strati di popolazione che, fino ad ora, non erano mai stati attratti dal protagonismo collettivo e dalle forme di protesta del movimento operaio e sindacale. Il Sindacato di classe ed indipendente può e deve svolgere un ruolo positivo, e soprattutto agente, in questa particolare situazione superando timidezze e conservatorismi vari. Da più parti - anche nel recente Congresso Nazionale dell’RdB/CUB a Fiuggi - alcuni compagni si sono interrogati sulla attuale significanza del Sindacato Metropolitano e sui percorsi adatti alla definizione e costruzione di una esperienza che alluda ad un compito pratico di questo tipo. Non è un problema nominalistico o di astratte formule organizzativistiche su cui, autisticamente, spaccarci la testa. In nessun momento o luogo del conflitto, particolarmente in situazioni come quelle del Meridione d’Italia, le lotte e le mobilitazioni si determinano a tavolino o con modellistiche fredde e precostituite. Il problema, il rompicapo collettivo è - come sempre - di contenuti e questioni politiche!! C’è bisogno, quindi, di sperimentare forme e strumenti d’intervento capaci di dialogare, coinvolgere attivamente ed organizzare l’intero universo della contraddizione sociale. Il Sud, dalle aree a forte concentrazione urbana a quelle più provinciali, è, sempre più, ridotto e dimensionato come un enorme magazzino di forza/lavoro duttile e malleabile. Da questo dato materiale occorre ripartire nelle discussioni e nell’azione organizzata e di massa che vogliamo far emergere. La variegata azione del capitale nella composizione di classe (sviluppo del terziario e quello che viene definito lavoro immateriale speculare alla crescita del lavoro servile, riduzione drastica del numero degli addetti nell’industria classica, crescente emarginazione e depauperizzazione di alcuni ceti) affida alla nostra azione un crescente ruolo ed una responsabilità finalizzata all’organizzazione ed alla sindacalizzazione di questi complicati comparti sociali. Necessariamente attorno ad alcuni punti di crisi occorrerà inserire la nostra iniziativa per tessere quella trama di relazioni, di conflitti e di organizzazione durevole per lo sviluppo e l’affermazione del Sindacato di Classe.
  Salario diretto ed indiretto restano punti fermi. Il tema del Reddito/Salario, dentro e fuori i posti di lavoro, è un nervo scoperto della condizione popolare e proletaria. La flessibilità e la precarizzazione dilagante ci consegnano un campo d’intervento, in tutti gli interstizi societari. Dall’opposizione ai Contratti/Bidone, come quello del Pubblico Impiego, all’organizzazione delle infinite figure sociali penalizzate dalla costante decurtazione del Salario e della perdita del suo potere d’acquisto. Per l’RdB/CUB si dispiega un ampio ventaglio di iniziative, con strumenti e caratteristiche d’impatto diversamente modulati e modulabili, nei confronti delle varie sfaccettature con cui si evidenzia la richiesta ed il diritto al Reddito/Salario garantito.
  La questione delle abitazioni ed il tema del diritto alla casa, alla luce della vergognosa bolla speculativa che sta affasciando l’intero mercato immobiliare e dell’esaurirsi delle cosiddette politiche per la casa, da parte del governo e delle regioni, riaccendono l’attenzione su tale problema. Si tratta, per l’RdB/CUB di riattivare un circuito di lotte in grado di attualizzare, dal punto di vista degli interessi popolari questo spaccato sociale. Dagli aspetti riguardanti l’assistenza legale al contrasto agli sfratti fino alla partecipazione attiva ad eventuali occupazioni, particolarmente nelle aree metropolitane dove i lavoratori/migranti mostrano una predisposizione a tali forme di lotta, non deve mancare il nostro contributo di orientamento politico e di sostegno fattivo.
  Il grande tema dell’accesso ai saperi e l’opposizione ad ogni appropriazione privatistica della proprietà intellettuale sono un dato avvertito dalle mobilitazioni giovanili e dei lavoratori del precariato intellettuale. Anche negli atenei meridionali l’agitazione contro i provvedimenti della Moratti ha evidenziato una partecipazione significativa che deve coinvolgere, per strappare significativi risultati per tutti, tutti i lavoratori del comparto. Proprio le recenti elezioni delle RSU nelle Università hanno mostrato una crescita ed un insediamento dell’RdB. Bisogna consolidare ed estendere questo risultato coinvolgendo nell’azione sindacale tutto l’arco di questioni riconducibili al mondo della scuola, dell’istruzione e del crescente connubio tra sistema delle imprese e finalizzazione affaristica e speculativa della ricerca tecnico-scientifica.
  Tutte le variegate politiche di deregolamentazione di ciò che residuava delle norme e tutele collettive, specie nel Meridione, hanno causato ulteriore frammentazione ed incomunicabilità tra i diversi settori sociali. Spesso, anche in presenza di una non trascurabile conflittualità, le singole Vertenze rimangono circoscritte nei propri angusti ambiti settoriali, categoriali e territoriali. Una battaglia generale che mettesse all’ordine del giorno una riscrittura di una Carta dei Diritti e delle Tutele per il “nuovo” e “vecchio” proletariato, in grado di coinvolgere le moderne forme dello sfruttamento, potrebbe essere un orizzonte programmatico a cui puntare per sottrarsi alla perdurante azione di demolizione autoritaria degli strumenti, formali e sostanziali, del precedente compromesso sociale. Tutti i temi ed i terreni elencati nel nostro ragionamento possono vivere e contribuire alla costruzione di un vasto movimento di massa se entrano in sintonia con la palpabile insoddisfazione ed il vero e proprio mugugno diffuso tra la popolazione per i nefasti effetti dell’aumento dei prezzi e del generale carovita. Il territorio meridionale, stando anche ai dati ufficiali diffusi, è quello con una soglia di sofferenza e di disagio tra le più alte. Nel Sud la lievitazione dei prezzi, delle tariffe ed il processo di privatizzazione dei servizi stanno rendendo più difficile le condizioni di vita e di lavoro. Di fronte a questi mutamenti l’RdB/CUB, in sinergia con quanti dichiarano di voler contribuire all’affermazione di un vasto e composito schieramento di mobilitazione contro il carovita, può implementare una vicenda politica ben al di là delle singole proteste tentando di coinvolgere ampi settori di popolazione investiti, anche a scala differenziata, dal complesso dei provvedimenti economici e delle politiche del capitale e dei suoi esecutivi. In alcune città movimenti di lotta, centri sociali, associazioni dei consumatori, sezioni di partito e dell’arcipelago dell’associazionismo hanno proposto la costituzione dei “Comitati della 4° Settimana” simboleggiando, efficacemente, l’urgenza di una vertenza generale contro l’aumento dei prezzi, per il reddito garantito e per nuove forme di tutela collettiva e di rivalutazione di stipendi e salari. Inoltre, per dare forza e rappresentatività a questa campagna di lotta, l’RdB/CUB parteciperà all’Assemblea Nazionale contro il Carovita prevista, a Roma, per la fine di ottobre che sancirà il dispiegamento delle diverse iniziative di mobilitazione in tutte le regioni. Al Sud questa proposta può maturare e crescere in una dimensione in cui, almeno in prima battuta, l’effervescenza sociale presenta caratteristiche storiche permanenti e dove il rigenerante clima di lotte globali del post-Seattle ha sedimentato una continua sequenza di importanti momenti di conflittualità che hanno saputo coniugarsi ed intrecciare con alcune peculiarità locali favorendo una diffusa partecipazione. Insomma, sconfiggendo ogni nefasta tentazione alla compilazione dell’elenco della spesa, prassi, questa, che ha tradizionalmente ingessato l’iniziativa di lotta, il Sindacato di classe deve volgere uno sguardo più attento a tutte le patologie antisociali che suscitano il cosiddetto male di vivere e l’insieme le attuali forme di desolidarizzazione presenti nella società. Su questo versante, all’inizio del secolo scorso, le Camere del Lavoro, le Associazioni Operaie, le organizzazioni sociali che promuovevano lo Sport e la fruizione condivisa del tempo libero seppero offrire una prima risposta collettiva alle esigenze di unità, di socializzazione e di difesa delle proprie condizioni. Oggi una attività simile, a fronte del mastodontico processo di americanizzazione della società (e, nel Sud, anche per la pervasiva presenza della criminalità organizzata) non potrebbe essere riproposta tout-court. C’è bisogno, però, di avviare alcuni primi esperimenti che vadano oltre la consumata stagione dei Centri Sociali Autogestiti e l’assoluta incapacità del sindacato tradizionale ad attraversare queste contraddizioni. Un percorso facile ...e scontato? Non proprio!! Molti sono i problemi - strutturali ed oggettivi - che rendono arduo questo cammino. Nel contempo la stessa esiguità della rete soggettiva militante del Sindacato di Classe ci ricorda l’abissale difficoltà e divaricazione tra i nostri proponimenti e le attuali forze disponibili. La scommessa però - almeno sul piano programmatico e dell’attitudine politica quotidiana - è quella di un convinto posizionamento7 in direzione di una organizzazione (a rete!!), metropolitana ed in tutto il territorio, all’altezza dei compiti che si pongono e che, tutti assieme, l’RdB/CUB deve (ed intende) affrontare.

Note

* Federazione RdB/CUB di Napoli.

1 Anche Proteo, negli ultimi suoi numeri, attraverso le riflessioni dei suoi collaboratori si è cimentato con tale novità. Segnaliamo, anche per l’utile cronologia riportata, alcuni articoli contenuti nella sezione “Osservatorio Meridionale” nei numeri 1 e 2 del 2005.

2 Per chi scrive, ma anche per molti altri compagni e militanti, la “questione meridionale” non nasce per cause “particolari” attinenti le caratteristiche territoriali/etniche proprie dell’area e, nemmeno, come lascito storico di un precedente sistema sociale al nascente capitalismo. Essa è il prodotto - non fortuito - delle modalità con cui si è costituito e consolidato il capitalismo in Italia, del processo che ha portato la borghesia a realizzare il proprio dominio e la costruzione dello Stato unitario nazionale (leva decisiva per garantire la continuità e la stabilizzazione dell’accumulazione capitalistica).

3 È evidente che il termine limitato, riferito alla mole dei consumi nel Meridione, va adeguatamente rapportato e comparato alle dimensioni economiche e generali di un paese come l’Italia il quale, pur attraversando una accertata fase di declino finanziario ed industriale, è pur sempre una nazione tra il novero delle potenze imperialistiche mondiali.

4 Dai settori populisti legati alla destra ad alcune personalità della Chiesa, dai Sindaci “senza portafoglio” alla nuova agitazione e protagonismo dei neo-centristi alla Mastella, De Mita, Cuffaro, Loiero fino ai “rinnovatori” alla Bassolino o Vendola si consolida - in forme spurie e trasversali - un rivendicazionismo meridionalista di cui diffidare.

5 Dal Documento di Indirizzo Economico/ Programmatico della Regione Campania (2005) per le Aziende in cui è presente una quota proprietaria dell’ Ente-Regione.

6 Lotte - si badi bene - che ad una prima ricognizione analitica risultano non essere nate nei luoghi tradizionali della contraddizione capitale/lavoro ma a ridosso di snodi sociali, apparentemente, sovrastrutturali e/o spuri.

7 Lo stesso Documento del 4 Congresso Nazionale dell’RdB/CUB è proiettato verso questa impostazione politica e d’azione sindacale. Anche i vari congressi delle categorie, assumendo alcune proprie specificità, si sono assunte questo compito di lavoro e di riqualificazione politica.