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Il punto sulla campagna per il Reddito Sociale Minimo

Unire disoccupati e precari contro le compatibilità

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Davanti agli uffici di collocamento e nei quartieri è iniziata la raccolta delle firme per la Legge di iniziativa popolare per il Reddito Sociale Minimo ai disoccupati, ai precari, ai sottopagati. Crescono le adesioni e l’interesse per una proposta concreta di lotta contro la logica della compatibilità.

 

Dalla metà di ottobre è iniziata la campagna e la raccolta di firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Reddito Sociale Minimo. Solo a Roma sono attivi quattro banchetti ogni giorno - completi di tavolino, volantini, moduli per le firme, cassetta amplificata - davanti agli uffici di collocamento centrale e periferici (Cinecittà, Tiburtino, Acilia, Boccea) propongono e spiegano la necessità della battaglia per il Reddito Sociale Minimo, costruendo una rete di rapporti e sollecitando l’organizzazione concreta contro la realtà della disoccupazione e della crescente precarizzazione del lavoro.

 

 

Una indagine sul campo sulla realtà della disoccupazione e del precariato

 

Nei precedenti numeri di “Proteo” sono già stati ospitati interventi ed articoli che hanno spiegato l’analisi e i passaggi che hanno portato all’elaborazione della proposta del Reddito Sociale Minimo. Vorremmo dunque evidenziare in questo contributo alcuni atteggiamenti, comportamenti, reazioni che abbiamo registrato queste settimane discutendo con migliaia di disoccupati e lavoratori precari. Questa iniziativa - tra l’altro
 si sta rivelando anche come una interessante “inchiesta sul campo” degli umori, delle aspettative, della in/coscienza di sé di un ben preciso ed individuato - per quanto frammentato - settore sociale.

Oltre che davanti agli uffici di collocamento, abbiamo portato i banchetti anche nei mercati rionali, in alcune piazze del centro e della periferia, davanti ai supermercati, all’università e in piazza in occasione di concerti musicali e manifestazioni pubbliche. Abbiamo così dovuto registrare una prima verifica della realtà: mentre davanti agli uffici di collocamento l’adesione è alta e le firme numerose, negli altri luoghi le difficoltà aumentano e...le firme diminuiscono.

Tenendo conto del tema, la risposta a questa differenziazione potrebbe apparire scontata. In realtà non ci aspettavamo una differenziazione così marcata sulla base di due fattori che pure sembravano abbastanza generalizzati:

1) l’impressionante fenomeno del lavoro nero, sommerso, irregolare che l’Istat quantifica sul territorio nazionale in circa 10 milioni di persone;

2) le sempre maggiori difficoltà - descritte in una recente analisi del Censis - della “istituzione-famiglia” nell’ammortizzare i costi dei propri figli disoccupati.

Paradossalmente, quindi, nella attuale fase di attacco alle condizioni di vita della classe e di forte polarizzazione dei redditi, la lotta per il salario sociale sembra una battaglia politicamente “troppo avanzata” e non ancora compresa pienamente dal corpo sociale di riferimento. Ma, come ormai abbiamo compreso, nell’epoca della centralità dell’impresa e della cultura dell’autoimprenditorialità, occorre avere necessariamente pazienza e fiducia. Occorre però rilevare e riconoscere la differenza tra questa campagna e la precedente esperienza del referendum contro la privatizzazione dell’Acea e della Centrale del Latte di Roma, in cui proprio nei mercati e nelle piazze dei quartieri popolari si era espresso il maggior appoggio alla battaglia contro la svendita ai privati delle due aziende comunali.

Agli uffici di collocamento, le persone tra i trenta e i quaranta anni che hanno già perso un lavoro, sono i più disponibili al confronto, mentre i più giovani manifestano scetticismo e sfiducia sulla possibilità che lo Stato decida per l’istituzione di un reddito anche se sono a conoscenza che in altri paesi europei è previsto “il sussidio di disoccupazione”.

E’ nei mercati e nelle piazze che invece si sono incontrate resistenze e dubbi. Le argomentazioni più ricorrenti: il pericolo dell’assistenzialismo, dell’adeguarsi-adagiarsi ad un reddito assicurato e del dove eventualmente prendere i soldi per finanziare il Reddito Sociale Minimo. Un interrogativo - quest’ultimo - in gran parte legittimato dalla percezione sulle scelte dei governi dell’Ulivo che tagliano pensioni e salari ai lavoratori dipendenti e lo stato sociale per incentivare le imprese nella competizione internazionale.

 

 

Reddito Sociale Minimo: non solo una raccolta di firme

 

Dopo i primi due mesi di campagna, solo a Roma abbiamo raccolto circa 10.000 firme e questo nonostante l’oscuramento e il boicottaggio della stampa. Non ci piace denunciare e lamentare il disinteresse dei mass media e quindi non ci ha sorpreso e sconvolto più di tanto tale oscuramento sulla nostra proposta, ma dobbiamo ammettere che non abbiamo trovato ascolto neanche tra i giornalisti del Manifesto e di Liberazione e, fino ad oggi, siamo stati più volte costretti a ricorrere agli annunci pubblicitari a pagamento.

La scelta che abbiamo fatto è stata quella di accompagnare la campagna e la raccolta di firme con delle iniziative tese a mettere in risalto alcune cause che provocano la mancanza di lavoro e di reddito ed alcune contraddizioni della attuale fase dell’economia capitalista. Per citarne due tra le più significative segnaliamo l’occupazione del grande “megastore” nel centro di Roma dell’imprenditore “illuminato” Benetton all’indomani della denuncia dello sfruttamento del lavoro minorile in Turchia dove Benetton ha delocalizzato marchio e investimenti e la manifestazione davanti ai cancelli della Fiat di Pomigliano insieme ai disoccupati e ai compagni napoletani per denunciare i profitti fatti da Agnelli con la rottamazione e poi, finiti gli incentivi dello Stato, la messa in cassa integrazione ed i licenziamenti di migliaia di operai.

 

 

Sono cresciute in tutta Italia adesioni e contatti

 

Dal punto di vista politico, dobbiamo registrare un consenso ed una partecipazione veramente sorprendenti, al di là delle nostre aspettative. Possiamo ormai parlare di una rete nazionale di associazioni di disoccupati, di centri sociali, di circoli di Rifondazione Comunista, impegnati nel sostegno alla proposta del Reddito Sociale Minimo e nella raccolta di firme.

All’iniziale comitato promotore - Unione Popolare, Centro Studi Cestes-Proteo, Associazione Progetto-Diritti, Centro sociale Intifada (Roma), Centro Sociale Icaro (Terni), Alternativa Popolare per il Lavoro (Napoli) - si sono via via aggiunti altri organismi come l’Osservatorio Meridionale su lavoro e lotte sociali; il Collettivo Rosa Luxemburg (Aversa); Ciro Annunziata e il Comitato di sostegno del RSM (Nocera Inferiore); il consigliere comunale Giovanni Zungrone e il Comitato di sostegno del RSM (Torino); il gruppo consiliare della regione Emilia-Romagna di Azione Popolare; l’Associazione “Solidarietà, Promozione e Sviluppo” (Catanzaro); l’Associazione “Centogiovani” (Roma); il “CHE”ntro sociale Tor Bella Monaca di Roma; il Comitato Metropolitano per il RSM (Napoli); i circoli di Rifondazione Comunista di Lucera; Cassino e ”L. Libertini” di Napoli; il Collettivo “Le radici e le ali” di Udine; il Comitato di Lotta per il Lavoro LSU-LPU e il Comitato Ya Basta di Cassino; i Giovani Comunisti di Gioia del Colle (BA); i Comitati di sostegno al RSM di Torregrotta (ME), di Augusta (SR), Piacenza, Padova, Bergamo, Rimini, La Spezia, Taranto, Empoli, Vibo Valentia, Pisa, Ravenna, Pesaro; Circolo Rifondazione Comunista (Capua); Associazione Culturale La Strada (NA).

Poichè questa ci sembra l’unica proposta concreta sul tappeto, siamo sicuri che altri contatti ed altre adesioni si aggiungeranno nelle prossime settimane.

Sottrarsi alla logica delle compatibilità con il “governo amico”

 

Infine, ci sembra che il governo D’Alema incontri delle serie difficoltà ad avviare quella fase di sviluppo e nuova occupazione di cui già si parlava durante il governo Prodi. I vertici ed i summit europei non producono granchè in questa direzione. Mentre in Italia i padroni rispondono picche all’incitazione del governo verso nuovi investimenti privati, il Centro Studi della Confindustria prevede stagnazione economica e nessuna ripresa nonostante che, come affermato dall’eurocommissario italiano a Bruxelles Mario Monti, negli ultimi 15 anni ci sia stato un calo di 10 punti percentuali della pressione fiscale sui redditi da capitale.

Gli investimenti pubblici sono vietati dall’Europa di Maastricht e i consumi difficilmente riprenderanno con la politica di bassi salari e disoccupazione. In questo contesto ci sembra che aumentino le possibilità e lo spazio sociale-politico per la proposta del Reddito Sociale Minimo.

Spetta ora all’Assemblea Nazionale degli organismi aderenti alla campagna il compito di definire i passaggi e le scandenze di lotta

 

* Comitato Promotore

della campagna per il Reddito Sociale Minimo

 

 

 

Appello per l’istituzione del reddito sociale minimo

 

Il primo comma dell’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui si è da poco celebrato il cinquantesimo anno, prevede che “ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione”.

 

Noi sosteniamo questa proposta, perché riteniamo che i livelli ormai strutturali e crescenti di disoccupazione - prodotti anche dall’innovazione tecnologica - rendano ineludibile un intervento pubblico a sostegno di chi si trova privo di reddito e di chi svolge occupazioni precarie e sottopagate: ciò a fronte degli enormi incrementi nella produzione di ricchezza verificatisi negli ultimi anni.

 

Tale intervento va attuato attraverso nuove scelte di politica fiscale, che colpiscano innanzitutto le tante aree esistenti di elusione ed evasione.

 

Peraltro riteniamo che l’ingresso del nostro paese nell’Unione Europea e nell’area della moneta unica deve comportare l’introduzione in Italia di istituti di sicurezza sociale già operanti in altre parti del nostro continente.

 

La proposta non mira ad inserire elementi di “assistenzialismo”, ma si muove nell’ambito delle diverse battaglie per il lavoro, a partire dalla constatazione che le scelte politiche adottate negli ultimi venti anni, e tendenti alla flessibilizzazione e alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, non hanno portato ad un incremento nei livelli occupazionali, ma ad un impoverimento complessivo della classe lavoratrice.

 

A tale deriva intendiamo contrapporre - attraverso l’istituzione del Reddito Sociale Minimo - alcuni limiti: il lavoratore disoccupato che si affaccia sul mercato del lavoro non deve essere “disponibile a tutto”, assolutamente ricattabile, ma deve essere un soggetto titolare di diritti e di una base reddituale dignitosa (costituita sia da una attribuzione diretta di reddito che dall’accesso a tariffe sociali per la fruizione dei servizi essenziali); la sua mancanza di lavoro non deve costituire un elemento di contrapposizione nei confronti di chi è occupato, in una spirale permanente al ribasso, e tutta a favore dei soggetti economicamente più potenti.

 

Una battaglia civile europea, in armonia con la previsione della Carta Sociale comunitaria, per il lavoro, per la dignità di ogni cittadino: noi firmatari - provenienti da diverse aree di impegno professionale, politico, culturale e sociale - auspichiamo che attraverso l’approvazione della legge si avvii una nuova stagione di riforme.

Comitato Promotore Nazionale della campagna per il Reddito Sociale Minimo

 

Per adesioni: Cestes o.n.l.u.s. Progetto Diritti

tel. e fax 06/70491956 fax 06/3723198