Il “problema basco”. Storia dei movimenti sindacali nel paese basco spagnolo
Marco Santopadre
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Introduzione
Il Paese Basco rappresenta una porzione circoscritta del
territorio e della popolazione europea (21.000 Kmq e tre milioni di abitanti),
eppure la storia dei movimenti sociali baschi è assai interessante, soprattutto
per quanto riguarda i movimenti sindacali, protagonisti negli ultimi decenni di
importanti battaglie dal carattere spesso innovativo. La porzione del Paese
Basco interna ai confini spagnoli è oggi un territorio ad alta concentrazione
di associazioni e possiede uno dei più alti tassi di sindacalizzazione dei
lavoratori, nonostante il recente processo di deindustrializzazione. Oggi l’economia
basca è basata prevalentemente sui servizi anche se la quota del settore
primario rimane superiore alla media dell’Europa occidentale. Un altro
elemento interessante riguarda la presenza, in tutta la storia del movimento
sindacale, della componente nazionalista accanto a quelle socialiste, comuniste
e anarchiche. La contrapposizione ma anche la dialettica tra queste due correnti
hanno dato vita a un panorama sindacale assai complesso e originale, che da
questo numero di Proteo si cercherà di spiegare dal suo esordio nella seconda
metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, circoscrivendo l’analisi degli
eventi alle province basche all’interno dello Stato Spagnolo.
1) Dalle origini alla guerra civile
Le guerre carliste terminano nel 1876 con la vittoria dei
liberali e la sconfitta dei baschi che li avevano avversati in nome del
federalismo e della sovranità condivisa. Soppressi gli ostacoli posti dai
Fueros (codici legislativi alla base dell’autonomia e dell’autogoverno dei
territori baschi) al libero mercato e alla centralizzazione statale, il
capitalismo più selvaggio si sviluppa con tutto il suo orrore. Nel 1841 il
primo altoforno si installa a Santa Ana de Bolueta; la prima cartiera nel 1842 a
Tolosa. Dal 1876 al 1890 si avvia un forte sviluppo industriale che, assieme al
paesaggio naturale, trasforma bruscamente quello umano e sociale. La grande
accumulazione di capitale realizzata permette uno sviluppo vertiginoso dell’industria
e dei commerci, conducendo al trionfo definitivo del mondo moderno e mercantile
sulla società rurale, e portando all’apparizione di un nuovo conflitto di
classe.
L’applicazione del processo Bessemer alla produzione dell’acciaio
rende vantaggioso il ferro povero di fosforo di cui sono ricche le miniere
vicine a Bilbao. Dall’Inghilterra giungono capitali investiti nell’industria
siderurgica che aumenta vertiginosamente la produzione, favorita dal governo di
Madrid che concede una riduzione delle imposte. Le redini del potere economico e
politico passano nelle mani di una nuova alta borghesia basca che lega
indissolubilmente i propri interessi all’oligarchia spagnola. L’esclusione
dal potere degli sconfitti jaunchos (piccola nobiltà) sarà uno dei fattori
determinanti nel nascere dell’ideologia nazionalista. Dal 1870 al 1880 la
produzione di ferro passa da 250.000 a 2.683.000 tonnellate. Si ha uno sviluppo
delle vie di comunicazione ferroviarie e dei porti e il Paese Basco registra il
maggiore incremento demografico di tutto lo Stato, la massima densità di vie
ferrate, il massimo investimento e accumulazione di capitale. Ma i processi di
modernizzazione seguono diversi modelli nelle province basche.
La Bizkaia vive un radicale cambiamento che distorce le
relazioni sociali tradizionali. Il modello bizkaino si caratterizza per la
specializzazione nella produzione siderurgica, navale e metallurgica, per la
centralizzazione delle fabbriche nell’area di Bilbao, per l’egemonia della
grande industria, per l’affluenza massiccia di immigrati, per una forte
conflittualità operaia. Invece per molto tempo Araba e Navarra continuano a
essere territori essenzialmente rurali. La popolazione nativa comincia ad
emigrare mentre il settore minerario si sviluppa sfruttando la mano d’opera
proveniente da altre regioni dello Stato, in fuga da una miseria secolare. Con
intento dispregiativo gli immigrati sono chiamati maketos, perché mako è
chiamato in Biscaglia il fagotto nel quale portano i loro miseri averi. Tra il
1877 e il 1890 la popolazione della provincia cresce del 64%, mentre Barcellona,
seconda nello Stato per incremento demografico, aumenta “solo” del 24,2%.
Già nel 1900 un quarto dei residenti in Bizkaia è nato fuori dalla provincia.
La concentrazione operaia favorisce la conflittualità sociale organizzata
sindacalmente e la nascita di gruppi socialisti che mettono in discussione l’assetto
della società tradizionale, perturbando i sentimenti delle classi medie
cattoliche. Si forma un proletariato sradicato che si concentra in alcuni centri
creando due comunità: i baschi, rurali e abitatori dei piccoli centri, e gli
immigrati, operai e abitatori di Bilbao.
Nelle miniere basche si applicano brutali condizioni di
lavoro ed uno sfruttamento feroce. Oltre a sottostare a una durissima giornata
di lavoro, i lavoratori sono ammucchiati in baracche carenti delle minime
condizioni igieniche, e vengono pagati tramite dei tagliandi con i quali i
minatori sono obbligati a far acquisti negli spacci dell’impresa, originando
abusi e frodi di ogni tipo (truck-system). In un primo momento le
reazioni operaie contro lo sfruttamento si manifestano in lotte isolate; ma già
nel 1872 scioperano gli operai di una fabbrica a Baracaldo, mentre i panettieri
di Bilbao protestano nel 1884, sconfitti dall’uso dell’esercito in
sostituzione degli scioperanti.
Le mobilitazioni operaie contribuiscono a dare impulso allo
sviluppo in Biscaglia del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) raggruppato
intorno alla figura carismatica di Facundo Perezagua, trasferitosi a Bilbao da
Madrid con l’obiettivo di creare nuovi nuclei.
Il grande sciopero del 1890 è il primo episodio
rivendicativo di grande respiro in Biscaglia. Il movimento si origina
spontaneamente nelle miniere, chiedendo la chiusura delle baracche e del
truck-system, la riassunzione degli operai licenziati e la giornata di otto ore.
I minatori estendono lo sciopero ai centri metallurgici di Bilbao. Nella
fabbrica La Vizcaya le forze dell’ordine provocano un morto e vari
feriti. La risposta operaia si radicalizza: per la prima volta in Biscaglia
viene indetto lo sciopero generale in tutto il settore minerario e le fabbriche.
La mediazione dei socialisti induce il raggiungimento di un compromesso che si
mostra leggermente a favore dei lavoratori, anche se restano le odiate baracche.
L’ala ultrariformista del PSOE prende il sopravvento: «Il
partito socialista prima di tutto cerca la legalità e non la turbativa dell’ordine»
(José Aldaco ad un comizio a Bilbao il 14 giugno 1891). Presto questa sarà la
linea dominante del Partito, seguita anche da Perezagua fino alla sua rottura
volta a fondare il Partito Comunista di Spagna (1921). Ma Bilbao sta diventando
la capitale industriale del Nord della penisola, e quindi centro attivo d’un
movimento operaio poco controllato dal PSOE. I primi nuclei socialisti baschi si
estendono alla Gipuzkoa, ma lo scontro di classe non raggiunge la virulenza
registrata in Biscaglia, soprattutto per l’inesistenza di miniere e
baraccamenti in una struttura urbana che dà la possibilità agli operai di
origine contadina di continuare a conservare in parte il modo di vita
tradizionale. Nella provincia di Donostia (San Sebastian) l’espansione
industriale si caratterizza per la dispersione geografica e la diversificazione
settoriale non essendo né concentrata in un’area determinata né
specializzata in un solo ramo. Qui abbonda la piccola e media proprietà
familiare; le relazioni sociali e industriali sono più dirette e
paternalistiche, i gestori dei centri di produzione ne sono spesso gli unici
azionisti. Ciò genera un processo di urbanizzazione omogeneo e graduale in
tutta la provincia, basato su centri medi, dove i meccanismi di controllo e
pressione sociale diventano significativi. Da qui deriverebbe la facilità nel
mantenere la lingua, la cultura e le caratteristiche “etniche”, favorendo il
consolidamento del nazionalismo. Non si assiste a un’irruzione massiccia di
popolazioni estranee che concentrandosi in una certa area possano determinare
conflitti sociali come invece avviene in Bizkaia.
A Bilbao nel 1891 uno sciopero dei panificatori si conclude con l’occupazione
dei quartieri operai da parte della polizia. Nel 1892 gli appelli del PSOE alla
legalità e alla moderazione saranno apprezzati dalla stampa. “El Nerviòn”
scrive: «Si è modificato quell’atteggiamento semirivoltoso nel quale il PSOE
si colloca per chiedere l’approvazione delle riforme (...) Tali procedimenti
sono stati abbandonati».
I primi nuclei di nazionalisti si definiscono Bizkaitarras,
cioè abitanti della Biscaglia. Il rimpianto di un mondo rurale idilliaco marca
la prima tappa del nazionalismo basco e della produzione intellettuale e
artistica che lo accompagna. Una forte componente anticapitalista appare nei
primi anni, ma si tratta di un anticapitalismo contraddittorio, giacché se da
un lato le critiche all’industrialismo sono aspre, dall’altro, (non può
essere altrimenti trattandosi di borghesia media e piccola), vi è un’irresistibile
attrazione verso il mercato. Le critiche che i nazionalisti lanciano contro il
capitalismo evidenziano due cose: l’impotenza del settore
fuerista-nazionalista della borghesia scalzata dal potere dai grandi
industriali; un odio antiproletario che ricade sui proletari sfruttati giunti in
Euskadi.
Non stupisce che la xenofobia dei nazionalisti provochi negli
operai immigrati un sentimento di avversione verso tutto ciò che è basco.
Molti operai nativi sono meglio trattati dai padroni, ma questo fenomeno non ha
giustificazioni razziali o etniche. Una parte degli operai baschi, per lo più
di origine contadina e influenzati dal clero, si mostrano più docili. Il
partito socialista invece di condurre una politica di avvicinamento fra tutti i
lavoratori, cade nella trappola tesa dai grandi proprietari, e di fronte all’intento
di dividere la classe lavoratrice risponde con un’aperta opposizione a tutto
ciò che è basco, compresa la lingua. Sia il liberalismo che il socialismo sono
sempre stati avversari dell’euskera, considerato segno di arretratezza e
minaccia all’unità e al progresso civile ed economico dello Stato. La “Lotta
di classe”, il giornale del PSOE, era esplicito: «Vorremmo che il Governo
(...) non permettesse la letteratura regionalista e che mettesse fine a tutte le
lingue e a tutti i dialetti differenti da quella nazionale, causa del fatto che
gli uomini del paese si guardano come nemici invece che come fratelli».
Se il punto di vista dei socialisti pretende di evitare le
divisioni che i nazionalismi generano, in realtà ne causa di nuove, coincidendo
con le campagne dello sciovinismo spagnolo. Questo atteggiamento getta molti
operai baschi fra le braccia dei nazional-clericali. Il nazionalismo basco e il
socialismo spagnolo si sviluppano per decenni impermeabili tra di loro.
Bisognerà aspettare la seconda parte del periodo franchista affinché le due
popolazioni e le due ideologie (più che i due movimenti, troppo pieni di
ostilità reciproca) comincino a compenetrarsi. Intanto la crescita della classe
lavoratrice impone ai nazionalisti un cambiamento di strategia. Sabino Arana, il
fondatore del Partito Nazionalista Basco, incarica Tomas Meabe di studiare il
socialismo con l’obiettivo di conoscerlo meglio per meglio contrastarlo.
Alla fine del secolo Spagna e USA si scontrano per il
possesso di Cuba e delle Filippine, e Madrid reprime ogni tentativo
indipendentista: in Biscaglia il governo civile chiude il giornale ’Bizkaitarra’
e arresta molti capi nazionalisti, compreso Arana. Il PSOE contratta la pace
sociale col governo ma questa si rompe nel 1898 a seguito della crisi economica
provocata dalla sconfitta spagnola: un’ondata di scioperi scuote lo Stato fino
al 1903. Il rifiuto del PSOE di estendere uno sciopero generale indetto nel 1899
in Biscaglia si traduce in una diserzione dei lavoratori dall’organizzazione
sindacale socialista, la Unione Generale dei Lavoratori (UGT). Nell’ottobre
1903 uno sciopero nelle miniere è contrastato instaurando lo stato di guerra in
tutta la Biscaglia. Anche in Euskadi i lavoratori prendono di mira Chiese e
simboli religiosi. Gli scioperanti paralizzano completamente Bilbao e un
gigantesco picchetto impone lo sciopero ad “Altos Hornos”, nonostante l’impianto
sia custodito dai militari. Il generale Zappino è costretto a decretare l’abolizione
delle baracche dei minatori e il pagamento settimanale dei salari.
Nel frattempo Sabino Arana opera quella che alcuni
definiscono una “conversione allo spagnolismo”. Le concessioni ottenute da
Madrid fanno sì che una parte dei borghesi beneficiati, rappresentati da un
settore del PNV, perdano la loro iniziale retorica separatista. Cessano anche le
forti diatribe contro l’industrialismo, ora indicato come “il frutto del
genio basco”.
Per evitare una serie di sfratti, nel 1905 le donne
proletarie di Baracaldo si uniscono estendendo l’azione alle fabbriche di
Baracaldo e Sestao, nella cintura industriale di Bilbao. Viene di nuovo
decretato lo stato di guerra e ancora una volta la direzione del PSOE si tira in
disparte; a causa di tale scelta nella zona non ha alcun seguito lo sciopero
generale del 1905, il primo indetto dal PSOE in tutto lo Stato. Un seguito assai
maggiore ha lo sciopero generale del 1906 che, iniziato dapprima come atto di
solidarietà contro un licenziamento dalla ferrovia di proprietà della
Deputazione di Biscaglia, si converte in un gigantesco movimento a favore della
giornata di 9 ore e dell’aumento dei salari. Nel 1907 un decreto reale
proibisce il truck-system ma i padroni ricorrono a un sistema di credito tale
che nessuno può competere con loro, una nuova versione senza più la componente
coercitiva. Minatori e lavoratori portuali di nuovo reagiscono tramite un grande
sciopero generale (1910). Nonostante lo stato di guerra la tenacia dei minatori
ottiene una legge che riconosce la giornata di 9 ore nelle miniere.
Le continue agitazioni operaie convincono i nazionalisti a
creare, nel 1911, una organizzazione sindacale fondata su basi più
assistenziali che rivendicative e inspirata alla dottrina sociale della Chiesa.
Inizialmente Solidariedad de Obreros Vascos (SOV) opera come sindacato
giallo subalterno al padronato nazionale: «Si parla di formare un’associazione
di operai baschi che serva da unione fra gli operai di questo paese e da
strumento per conseguire per vie legali e procedimenti pacifici i miglioramenti
che la situazione reclama e, al contempo, opporre una diga al socialismo» (Bizkaitarra,
1910).
L’organizzazione riunisce per lo più impiegati di banca e
di commercio e nuclei di contadini baschi proletarizzati influenzati dall’azione
congiunta dei jaunchos e dei preti. Ma difficilmente la società polarizzata dai
conflitti di classe può essere attratta da un credo che predica la concordia
sociale. Ma già nel 1920 un affiliato di SOV viene ucciso a colpi di arma da
fuoco dalla Guardia Civil durante uno sciopero.
La neutralità spagnola nella Prima Guerra Mondiale permette
alla borghesia basca buoni affari. In Biscaglia le 58 S.p.A. del 1914 diventano
219 nel 1918. Ma alla fine del conflitto i cantieri vedono cadere i loro
guadagni in modo vertiginoso a causa del crollo del prezzo del carbone, delle
lotte dei lavoratori portuali e della concorrenza delle navi nordamericane. Il
governo centrale interviene in appoggio agli armatori baschi, ma ciò che induce
un avvicinamento sempre maggiore a Madrid di parte dei nazionalisti è l’effervescenza
proletaria ispirata alla Rivoluzione Russa. Il PNV adotta un nuovo nome, Comunion
Nacionalista Vasca, meno vincolato alle velleità separatiste delle origini.
Alcuni settori reagiscono conservando il vecchio nome del partito, guidati da
Luis Arana (fratello di Sabino, morto ormai da parecchi anni), mantenendo come
organo di stampa il settimanale Aberri, Patria, che nel 1923 diviene
quotidiano.
Pochi mesi dopo il generale Primo de Rivera attua un colpo di
Stato: si tratta di ristabilire la pace sociale e garantire lo sviluppo dell’economia,
turbata dalla crescente agitazione operaia attizzata dalla crisi e dalla guerra
in Marocco. Il regime adotta il protezionismo ad oltranza, richiesto
urgentemente da tutti i settori economici padronali, e la proibizione e
persecuzione delle organizzazioni operaie. Nel 1925 il dittatore ordina ai
sindacati di integrarsi nella Organizzazione Corporativa Nazionale, potendo
contare sulla complicità dell’UGT ma non di altri sindacati, tra i quali SOV,
che si oppone e viene quindi emarginato e represso. La borghesia accoglie Primo
de Rivera come salvatore della patria; in Spagna si moltiplicano scioperi e
sommosse anche armate di nuclei operai di inclinazione anarcosindacalista che
reagiscono alla repressione e agli attentati terroristici di sicari al soldo
padronale, soprattutto a Barcellona. Anche nel Paese Basco il golpe gode della
benedizione dei settori padronali, eccettuata una piccola borghesia che trascina
il suo scontento da decenni. Dopo il golpe Aberri viene sospeso, e per ingannare
la censura deve apparire col nuovo nome El Diario Vasco, omettendo ogni
riferimento al PNV. Mentre le attività di Comunione Nazionalista, centrate
sugli aspetti meramente culturali e linguistici sono tollerate, 34 sedi del PNV
sono chiuse e il suo maggior dirigente, Gallastegi, deve esiliarsi. La politica
economica della dittatura consente alle banche e alle imprese basche i migliori
risultati fino allora mai conosciuti. In un famoso discorso di F. de Echevarrìa
a Bilbao, nel 1926, la Lega dei Produttori di Biscaglia ringrazia il regime per
le direttive economiche adottate, che essa stessa ha ispirato. Dal 1920 al 1930
la produzione di acciaio aumenta del 235%! Ciò spiega la relativa pace sociale
che regna in tutto lo Stato. Fino agli anni ’30 SOV fatica a strutturarsi come
sindacato confederale intercategoriale, rimanendo geograficamente circoscritto a
Bizkaia e Gipuzkoa, le province più industrializzate. La crisi dei mercati
internazionali del 1930-31 obbliga a nuove impostazioni nel campo economico e
politico e i capitalisti faranno cadere senza troppo strepito la dittatura di
Primo de Rivera.
Nel Paese Basco la crisi economica colpisce soprattutto
siderurgia e cantieristica, riattizzando le rivendicazioni operaie e
autonomiste, mentre il governo impone come lingua ufficiale solo il castigliano.
Alla proclamazione della Repubblica nel 1931 (la località basca di Eibar è la
prima a farlo), sale al potere la coalizione repubblicano-socialista formatasi
col Patto di Donostia del 1930. I nazionalisti baschi non si sono integrati nel
patto, sia per il suo carattere laico sia perché non soddisfa le richieste di
autonomia. Nel novembre del 1930 Comunione Nazionalista e Partito Nazionalista
si erano riunificati col nome di sempre. Come è successo nel 1910 con Aberri
eta Askatasuna, Patria e libertà, una parte della piccola borghesia laica e
urbana fonda Eusko Abertzale Ekintza, Azione Nazionalista Basca. Le iniziative
di carattere autonomista non riescono a prosperare, come lo Statuto di Estella
del 1931, e le frizioni fra governo centrale repubblicano e nazional-clericali
baschi assumono a volte carattere violento.
Nel 1929 si è celebrato ad Eibar (Gipuzkoa) il primo
congresso di SOV, all’epoca forte di 8000 affiliati: tra le rivendicazioni
approvate la parità salariale tra uomini e donne e la scarcerazione dei
militanti sindacali detenuti. Il 2° Congresso si tiene a Gasteiz nel 1933: il
sindacato è rapidamente cresciuto anche nelle due province del Sud, arrivando a
40.000 iscritti. L’assise decide l’unione con i lavoratori dell’amministrazione,
così che il nome dell’Organizzazione cambia in Eusko Langileen Alkartasuna, Solidarietà
dei Lavoratori Baschi (ELA-STV). Da ora in poi il sindacato nazionalista
assume un carattere più battagliero, radicalizzandosi in senso
social-cristiano. Durante lo sciopero generale dell’ottobre 1934, che nelle
Asturie ha caratteristiche insurrezionali, la posizione del PNV è di non
adesione, ma diverso è il comportamento dei suoi militanti e soprattutto di
ELA. Intanto fa la sua comparsa il Partido Comunista de Euskadi.
Domata l’insurrezione operaia l’esercito occupa la
Biscaglia e reprime le ultime sacche di resistenza nei centri più
industrializzati della Gipuzkoa. Nel 1936 la forza di ELA supera per la prima
volta quella del sindacato socialista, raggiungendo i 52.000 affiliati contro i
43.000 dell’UGT.
Le elezioni del 1936 danno la vittoria al Fronte Popolare ma
il PNV mantiene la sua neutralità. Il centralismo della destra convince il PNV
a cercare interlocutori tra repubblicani e socialisti, che alla fine accolgono
le aspirazioni autonomiste di una gran parte della società. A poco servono le
pressioni del Vaticano perché i nazionalisti si alleino con la Confederazione
Spagnola Destre Autonome. Si assiste a una forte polarizzazione sociale. In
Araba e Navarra il carlismo, in nome dell’anticomunismo, appoggia le destre.
Dopo il Pronunciamiento dei generali, in Navarra vengono assassinati
6.000 antifascisti, compresi sacerdoti e membri del PNV, mentre in Biscaglia e
in Gipuzkoa il golpe fallisce grazie alla decisa opposizione popolare. Madrid
approva lo Statuto d’Autonomia in tutta fretta il 1° ottobre 1936, in piena
guerra, e pochi giorni più tardi si costituisce il primo Governo Basco
presieduto dal nazionalista Agirre, con la partecipazione di comunisti,
socialisti e repubblicani. I militanti nazionalisti si uniscono alle unità
combattenti, tra le quali quella formata da ELA, il Battaglione San Andrès.
Ma i ribelli si sono già impossessati di Navarra e Araba, mentre Bilbao cade il
19 Giugno del 1937. Dal Paese Basco partono centinaia di migliaia di profughi
alla volta di Francia, URSS e America. Mentre migliaia di baschi vengono
fucilati dalle truppe occupanti, il governo “nazionale” abolisce i Conciertos
Economicos (statuto fiscale speciale concesso dopo la cancellazione dei
Fueros) e dichiara Bizkaia e Gipuzkoa “province traditrici”.
Nel prossimo numero di Proteo si parlerà degli anni della
dittatura franchista, durante i quali il movimento sindacale si riorganizza
nella clandestinità e si ristruttura adattandosi alle nuove condizioni
economiche, politiche e sociali, dando vita a una corrente sindacale
nazionalista ma al contempo di sinistra.
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NOTE