Modelli teorici o descrizioni storico-sociologiche? Per una rilettura della sussunzione del lavoro sotto il capitale
Roberto Fineschi
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5. Per mostrare concretamente come le categorie formali
di cooperazione interna, di essere-parte ed essere-appendice fino alla
sostituzione con l’automa si delineino logicamente attraverso la produzione
capitalistica, Marx usa come esempio le configurazioni concrete in cui questi
processi si sono presentati storicamente, ossia la cooperazione semplice, la
manifattura e la grande industria. Attraverso queste figure storiche,
quelle forme teoriche hanno fatto il loro ingresso nella produzione
capitalistica. Significa questo che le figure coincidono con le forme che
rappresentano? Alla luce di quanto si è detto ciò appare una forzatura ed una
semplificazione: identificando figura e forma si finisce per sostituire la
seconda con la prima e si riduce la teoria del modo di produzione capitalistico
alla descrizione storico-sociologica di come funzionava il capitalismo della
rivoluzione industriale. Questo modo di procedere ha conseguenze decisive da un
punto di vista teorico ma anche politico:
1) considerare il “capitalismo odierno” qualcosa di
diverso da quello descritto da Marx. Se invece guardiamo alle determinazioni
di forma abbiamo immediatamente la percezione di come le categorie elaborate
da Marx non siano poi così estranee all’oggi, anzi di come esse indicassero
allora delle linee di tendenza che oggi molto più di allora si sono
realizzate su larga scala;
2) considerare lo “operaio massa” l’unico soggetto
storico possibile. Se resta vero alla luce di quanto detto che in una
configurazione particolare, in una fase della storia del capitalismo, l’operaio
massa sia stato effettivamente la figura più rappresentativa della forma,
ciò non significa che essa non possa avere altre figurazioni, anche più
sviluppate. Ciò che conta - e che vale la pena sottolineare ancora una volta
- è che col venir meno di una figura non necessariamente viene meno la forma.
In realtà Marx parla di “lavoratore complessivo” (Marx, 1890: 555ss.),
che è appunto cooperazione, parcellizzazione ed automazione progressiva del
lavoro necessario, sussunzione sotto uno scopo transindividuale; è questo il
nuovo “contenuto materiale” che si instaura grazie al modo di produzione
capitalistico e come tale non è legato alla “fabbrica” più di quanto non
lo sia qualunque altro tipo di attività che rispetti le determinazioni
formali indicate. Che invece di lavorare al tornio ci si trovi davanti ad un
monitor con una cuffia alla bocca non fa differenza da questo punto di vista.
6. Il lavoratore complessivo si delinea quindi come
categoria molto più ampia e complessa di quanto non fosse la figura dell’operaio
di fabbrica e può essere interpretato sia intensivamente che
estensivamente; se da una parte lo si può leggere come singola unità
produttiva, dall’altra, in senso estensivo, vi si può cogliere, nella misura
in cui la connessione capitalistica della produzione si realizza su scala sempre
più vasta, l’insorgere di un’umanità integrata, di un lavoratore
complessivo mondiale [1]. D’altronde è una delle tendenze di
fondo del capitale ridurre al minimo il lavoro necessario; il suo limite - che
nella crisi si manifesta - consiste nel vincolare comunque la riproduzione
sociale all’estrazione di plusvalore a dispetto della grande produttività
disponibile. Ma l’insorto contenuto materiale ha proprio nel superamento del
lavoro necessario - non nella sua scomparsa assoluta (si bloccherebbe altrimenti
la riproduzione sociale) ma nella scomparsa dal processo meccanico di uomini che
lo realizzino per recuperarli nel lavoro universale della scienza - uno dei suoi
punti di forza epocali; ciò inizia a realizzarsi in forme contraddittorie già
sotto il capitale. Stando così le cose la cosiddetta “scomparsa del lavoro”
non solo non contraddice la teoria marxiana, ma ne conferma la capacità di
previsione.
Se questa è la dinamica epocale in cui giocano le forme
individuate anche grazie all’analisi della sussunzione, resta uno dei compiti
dello studioso contemporaneo capire quali siano le nuove figure in cui tali
forme si realizzino, in che rapporto esse stiano con i capitalismi empirici
nazionali e transnazionali, con le circostanze particolari in cui sono calate.
Ma confondere le figure con le forme significa far torto alla capacità teorica
di Marx, oltre che privarsi di strumenti teorici fondamentali per la
comprensione dell’oggi e quindi per la sua trasformazione.
Bibliografia
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Untersuchungen zur Marxschen Ökonomiekritik, Friburgo, ça ira.
Badaloni, N., 1971. Per il comunismo. Questioni di
teoria, Torino, Einaudi.
- 1980. Dialettica del capitale, Roma, Editori
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Città del Sole - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
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- 1863. Manuskripte 1861-63. Teil 6, in: MEGA2
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- 1890. Il capitale, vol. I, Roma, Ed. Riuniti,
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- 2002. (a cura di) MEGA2: Marx ritrovato, Roma,
Mediaprint (Laboratorio per la Critica Sociale - Collana Sapere Critico n. 2).
Reichelt, H., 1970. La struttura logica del concetto
di capitale di Marx, Bari, De Donato, 1973.
[1] Fra gli anni settanta e ottanta verso quest’interpretazione
del “lavoratore complessivo” si sono mossi alcuni studiosi italiani
provenienti da diverse prospettive. Cfr. Badaloni, 1971: 185ss., Cazzaniga,
1981: 250ss., Mazzone, 1981:263.