Dal PCB al PT: continuità e rotture della sinistra brasiliana
Alvaro Bianchi
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1. Per un’introduzione critica
Nella città di Porto Alegre esisteva una casa molto vecchia
che sembrava abbandonata. Sul cancello di ferro c’era una scritta “il morto
governa sul vivo”. Se la memoria ancora mi assiste, si trovava nella Avenida
Joao Pessoa, subito dopo il Parco della Redenzione. Ma il luogo non è
importante. Ciò che vorrei evidenziare è la sensazione di inquietudine che
produceva sui passanti. La frase che richiamava in sé una sorta di maledizione,
era in realtà un antico motto positivista e si trova lì inciso in quanto la
casa molti anni prima era stata un ritrovo dei sostenitori di Augusto Comte.
Se la sinistra brasiliana meritasse un motto sul cancello di
una casa, probabilmente sarebbe lo stesso. Perseguitata da una antica
maledizione, è impostata in funzione della figura di Stalin, dalla
sopravvivenza della strategia del Fronte Popolare approvata al Settimo Congresso
dell’Internazionale Comunista. Questa sopravvivenza ha limitato la costruzione
di una alternativa di classe, impedito l’attecchimento di una propria
concezione del mondo e, nei fatti, facilitato l’ideologia neoliberale, come
dimostreremo qui. Parlare della maledizione di Stalin può sorprendere.
Dopotutto, mai fin dal rapporto Churushczov, nessuna figura venne tanto esecrata
dalla sinistra internazionale, e ad oggi sono solo pochi i gruppi, alcuni
presenti in questo paese, che associano il loro nome al suo. Ma se le malefatte
di Stalin e il suo culto della personalità sono stati criticati, non è stato
così per le linee politiche formulate in un periodo in cui la malefatte
divennero ancora più dure e il culto ancora più insano. Separato dalla
politica, la rottura con lo Stalinismo prende la forma di un criticismo etico.
Effettivamente furono molti coloro che presero le distanze dallo Stalinismo
sulle questioni etiche e morali ma senza coinvolgere la controparte politica.
Ritorniamo quindi al 1935, a Mosca. Il Congresso dell’Internazionale
Comunista di quell’anno sta per votare un importante scritto politico. Le tesi
di sinistra degli anni precedenti stanno per essere abbandonate insieme all’idea
che la socialdemocrazia si potesse caratterizzare come un fascismo sociale, il
che poteva diventare di aiuto all’arroganza di Hitler. In alternativa, viene
approvata una tesi che non soltanto accetta la creazione di un fronte unitario
dei lavoratori, ma propone altresì la costituzione di un ampio fronte unitario
con i movimenti e i partiti non sempre così lontani dai
fascisti [1].
La stessa risoluzione approvava i rapporti dei partiti
Comunisti con possibili governi del fronte antifascista.
“quanto più un governo del fronte unito prenda misure
decisive contro i magnati finanziari controrivoluzionari e i loro agenti
fascisti, e non limiti in alcun modo l’attività del Partito Comunista o la
lotta di classe dei lavoratori, tanto più il Partito Comunista sosterrà
pienamente quel governo. La partecipazione dei Comunisti nel governo del fronte
unito verrà decisa caso per caso secondo i cambiamenti nella situazione
concreta” [2].
Nascosta dietro questo linguaggio classista c’era la
proposta di costituire fronti e governi che estrapolassero i limiti di classe. L’applicazione
di queste risoluzioni, laddove i fronti popolari divennero governi, dimostrò
chiaramente che - quando messe in pratica - esse significavano subordinare il
movimento dei lavoratori ai propri nuovi alleati. In Francia, il Partito
Comunista (PCF) non risparmiò alcuno sforzo per costituire il Fronte Popolare
con la Sezione Francese dell’Internazionale dei Lavoratori, il partito
socialdemocratico guidato da Leon Blum e il decadente Partito Radicale dell’ex
presidente Daladier.
La vittoria elettorale del Fronte Popolare fu seguita da un’enorme
ondata di scioperi e da una crescita eccezionale del PCF. La situazione divenne
ancora più radicale e la sinistra rivoluzionaria annunciò, attraverso il suo
leader, Marceau Pivert, che “tutto era possibile”. Ma il giornale dei
Comunisti “L’ Humanité” prese la posizione opposta. “Esiste
semplicemente un programma del Fronte Popolare nel quale il presidente Deladier
afferma che questo non contiene niente di rivoluzionario e che non è naturale
spaventare coloro che lo sostengono. In tale programma, tutte le parti e le
organizzazioni raggruppate nel Fronte Popolare ne accettano l’esecuzione
tranquillamente, pacificamente e senza inutile fretta (...) No! Non tutto è
possibile!” [3]
Al fine di non spaventare i propri alleati, il PCF si
schierò contro gli scioperi. Maurice Thorez, leader del PCF, si fece conoscere
attraverso lo slogan “Anche se è importante sapere guidare bene un movimento
di rivendicazioni, è anche necessario saperlo fermare. Non si tratta di
impadronirsi del potere proprio ora.” [4]
La crescente subordinazione del PCF ai propri alleati e,
principalmente, al Partito Radicale, alfine corrose la sua stessa base di
supporto. Lungi dall’espandere la propria base, l’alleanza aveva schiacciato
i lavoratori. A meno di un anno dalla vittoria alle elezioni, il presidente Leon
Blum venne espulso dalla sua carica senza alcuna resistenza
extra-parlamentare [5].
La Tesi del Settimo Congresso dell’Internazionale Comunista
ha una lunga storia in Brasile. La Conferenza di Mantiqueira, organizzata dal
Partito Comunista Braziliano (PCB) nel 1949 sosteneva la politica di
unificazione nazionale a favore del governo di Getulio Vargas e contro il
nazifascismo. La politica degli accordi del PCB non fu un movimento episodico
determinato dallo sviluppo della II Guerra Mondiale. Dopo che la guerra era
terminata, durante il governo del General Eurico Gaspar Dutra, il PCB cercò di
mantenersi all’altezza del suo profilo di partito dell’ordine e della
pacificazione, opponendosi perfino ai movimenti di sciopero al fine di “evitare
le provocazioni”. Nei suo discorsi, Prestes dichiarava “lottiamo,
innanzitutto, per l’ordine e la pacificazione. Non ci stanchiamo di spiegare
alla gente che nel periodo storico di cui siamo testimoni, un periodo di
sviluppo pacifico, soltanto i fascisti e i reazionari possono essere interessati
al disordine. Ecco perché noi difendiamo ostinatamente la posizione del
candidato eletto e riconosciuto dal Tribunale, in particolare per il modo in cui
la competizione è stata condotta in una atmosfera di libertà. Riguardo al
governo del generale Dutra la nostra politica sarà la stessa adottata per le
amministrazioni dei Signori Vargas e Linhares: pieno sostegno alle misure
democratiche, contro gli agitatori, i demagoghi e i salvatori che vogliono
disturbare la pace e fermare il processo democratico con nuovi colpi di stato
armati.” [6]
Dichiarato illegale nel 1946, il PCB deviò a sinistra. Nel
Manifesto del Gennaio 1948 si esprimeva una autocritica riguardo alla posizione
difesa fino a quel momento e al rispetto delle “illusioni riformiste”. Ma la
politica del Fronte Popolare rimane immutata nelle sue caratteristiche
fondamentali. E’ chiaro che le alleanze non raggiungono il governo, ma il
partito continua a sognare degli “elementi antimperialisti che sempre esistono
in una borghesia nazionale, specialmente nei suoi settori medi e progressisti”,
né la costruzione di un Fronte Democratico di Liberazione Nazionale [7]. Lo spostamento a sinistra venne consolidato nel Manifesto
dell’agosto 1950 che propugnava la necessità per il proletariato di guidare
il Fronte Democratico di Liberazione Nazionale. [8]
Ma questo spostamento a sinistra ebbe vita breve. [9] Dopo il suo Quarto Congresso,
tenutosi nel 1954, il PCB iniziò a prendere le distanze dal Manifesto dell’Agosto
e ritornò in gran parte alle posizioni precedenti. Il carattere delle
rivoluzioni brasiliane si affermava ancora una volta come antimperialista e
antifeudale e la borghesia nazionale veniva presentata come un alleato. [10]
L’affermazione conosciuta come la dichiarazione del Marzo
1958 riafferma ancora una volta questa politica e punta sull’esistenza di una
fondamentale contraddizione tra la borghesia “nazionale e progressista” e l’imperialismo
americano e i suoi alleati. La dichiarazione sostiene che:
“Il proletariato e la borghesia si muovono intorno a un
obiettivo comune che consiste nel combattere per uno sviluppo indipendente e
progressivo contro l’imperialismo americano. Anche se sfruttato dalla
borghesia, il proletariato ha interesse a entrare in alleanza con questa perché
il paese emerga dall’arretratezza e dallo sfruttamento imperialista piuttosto
che dallo sviluppo capitalista. Nel frattempo, marciando insieme verso un
obiettivo comune, la borghesia e il proletariato hanno anche interessi
contraddittori”. [11]
Una volta annunciata la contraddizione, la politica fu quella
della costruzione di un Fronte Nazionale costituito dai “patrioti della
borghesia nazionale”, la piccola borghesia e il proletariato urbano e rurale.
Questo fronte è in grado di sviluppare le sue forze pacificamente fino a
costruire, attraverso questi mezzi, un governo nazionale e condurre “attraverso
forme e mezzi pacifici” la rivoluzione antifeudale e antimperialista.
Il V Congresso, tenutosi nel 1960, ratificò le principali
linee guida annunciate dalla Dichiarazione di Marzo. Il sostegno fornito alla
candidatura del maresciallo Lott nel 1961 e l’appoggio garantito dal partito
al governo di Joao Goulart erano gli esempi pratici di queste tesi. La politica
del partito era in gran parte legata a quella del governo e le sue iniziative
erano subordinate a quelle dell’amministrazione. Questa subordinazione divenne
evidente nell’intervento di Prestes, il 17 marzo 1964, quando consegnò la
gente e il partito alla guida di Joao Goulart [12].
“La gente uscì in strada (...) per chiedere al Presidente
della Repubblica se volesse condurre il processo rivoluzionario in corso. E quel
giorno le masse affaticate dal lavoro conobbero alcuni azioni del Presidente,
alcune parole nel suo intervento che furono, senza alcun dubbio, memorabili.
Poiché quel giorno, il Presidente Joao Goulart, con le azioni che compì e le
parole che utilizzò, disse al popolo brasiliano di voler divenire il leader del
processo democratico in corso nel paese.” [13]
Il golpe militare del 1964 svelò le contraddizioni della
politica del PCB. Il partito non soltanto non era preparato a resistere alla
reazione ma assistette a tutto passivamente. Secondo la descrizione fatta da
Jacob Gorender della riunione della dirigenza nazionale del PCB la mattina del
31 marzo, quando già si avevano alcune vaghe informazioni dell’ammutinamento
militare nel Minas Gerais, l’unica decisione presa fu quella di mettersi in
contatto con il presidente Golart. Successivamente, quella sera, quando il
Comando Generale dei Lavoratori indisse uno Sciopero Generale, Prestes telefonò
alla Confederazione Nazionale dei Lavoratori Industriali, influenzata dal
partito, per proporre un ritiro della indizione. [14]
Il 1 aprile i giornali scrivevano che il partito rimproverava
pubblicamente gli scioperanti. “Ieri, il Partito Comunista del Brasile ha
biasimato i gruppi radicali per aver fatto precipitare la crisi e ha definito
imprudente la tattica usata dai leader estremisti. Il PCB ritiene che tale
attitudine porterà l’unione centrista contro la destra, neutralizzando l’azione
dei settori più moderati della sinistra e ciò, nella sua opinione, porterà
alla caduta del Presidente della Repubblica facendo pressione sull’opinione
pubblica.” [15]
La paralisi della leadership del PCB aprì un processo di
lotte interne e spaccature politiche che, in un certo senso, erano state
annunciate dall’espulsione di Joao Amazonas, Pedro Pomar e altri. La prima
tornata di riorganizzazione della sinistra brasiliana era cominciata.
2. Parte I: La vendetta
Il bilancio del golpe e la mancata resistenza da parte della
gente era anche una critica al PCB. Durante gli anni ’60 un gran numero di
militanti si staccò dal partito e cominciò una revisione delle tesi che
avevano condotto alla paralisi. Ispirati dalla rivoluzione cubana, molti di loro
optarono per la strada della guerriglia. L’arma della critica venne sostituita
dalla critica delle armi alla strategia del PCB.
Tra le scissioni, le più importanti portarono alla
costituzione della Alleanza di Liberazione Nazionale (ALN) e al Partito
Comunista Brasiliano Rivoluzionario (PCBR). L’ALN nasce dalla fuoriuscita di
Carlos Margie e Joaquin Camara Ferreira dalla dirigenza del partito nel 1967,
dopo che Margie - all’epoca leader del PCB dello stato di San Paolo -
partecipò, non autorizzato, alla Conferenza dell’Organizzazione Latino
Americana di Solidarietà (OLAS), tenutasi nel 1967 a La Havana. A quell’epoca
Margie non era particolarmente duro nella sua critica del PCB, ma il suo
disaccordo divenne evidente nel 1965, nel suo lavoro “Perché ho resistito
alla prigione” [16].
In questo, egli era allora un leader del PCB, esprime il suo
accordo con la definizione del partito dei compiti della rivoluzione brasiliana
ma critica esplicitamente il ruolo di guida attribuito alla borghesia nazionale
e anche i mezzi pacifici utilizzati per realizzare questi compiti. La sua
critica, tuttavia, non escludeva la possibilità di una alleanza con la
borghesia nazionale.
“Le premesse per stabilire il futuro del paese sono il suo
destino democratico condizionato soltanto dalla natura del fronte unitario di
lotta contro la dittatura. E’, dal punto di vista dei contenuti, un fronte
unito anti-dittatura.
E’ un fronte unitario di larghe masse. A causa della sua
composizione di classe, richiede la presenza della borghesia nazionale e della
piccola borghesia a fianco dei lavoratori e dei contadini e di qualsiasi altro
settore di classe possidente che si opponga alla dittatura” [17]
Più avanti, concludendo: “E’ ancora vero che una
alleanza con la borghesia nazionale è una necessità del momento storico in
Brasile. Comunque sia, è diventato un requisito il combattere per l’egemonia
senza condizionare il futuro delle masse affaticate dal lavoro.” [18]
Dopo la scissione dal PCB, la critica si fece più acuta
anche se questo non implicava né una ridefinizione del carattere della
rivoluzione né delle relazione con la borghesia nazionale. La critica era
centrata sull’immobilismo del PCB e il proprio burocratismo e attivismo
radicale, organizzato in gruppi armati semi-autonomi, veniva presentato come un’alternativa.
Nel suo famoso “Piccolo manuale della guerriglia urbana”, pubblicato nel
1969, tale prospettiva veniva riassunta come segue: l’organizzazione è una
rete indistruttibile di gruppi di fuoco in coordinamento tra loro che funziona
in maniera semplice e pratica, con un comando generale che partecipa anche agli
assalti. L’organizzazione ha un solo obiettivo puro e semplice: l’azione
rivoluzionaria. [19]
[1] "Extracts from the resolutions of the Seventh Comintern Congress
on Fascism, Working Class Unity and the Tasks of the Comintern.” Da Degras,
Jane, (ed) The Communist International 1919-1943 Documenti. Londra: Frank Cass,
1971, vol. 3, pag. 364.
[2] Idem, vol. 3 pag. 365.
[3] Guitton, Marcel, “Tout n’est pas possible L’Humanite, 29
mai1936” Da: Rioux, Jean Pierre (org) Revolutionaires du Front populaires.
Selezione di Documenti. 1935-1938. Parigi: Union Generale d’Editions, 1973,
pag. 160.
[4] Apud Moreno, Hugo. Tudo é possível.
Francia 1936. Desafio. 3 /4 luglio 1993, pag. 40.
[5] Mazzeo, Antonio Carlos. Sinfonia inacabada. A política dos
comunistas no Brasil. Marilia/ São Paulo Unesp-Marilia/ Boitempo, 1999, pag.
73.
[6] Pretes faz novo apelo pela União Nacional e para defesa da ordem.
Tribuna popular. 12 Dic. 1945 Da Moraes, Denis, de (Org). Prestes com a palavra.
Uma seleção das principais entrevistas do líder comunista. Campo Grande:
Letra Livre, 1997, pag. 73.
[7] PCB. “Informe
política de maio de 1949”. Da Carone, Edgar. O PCB São Paulo: Difel, 1982,
vol. 2 pag. 101.
[8] Prestes, Luiz Carlos (Pelo
Comitê Nacional de Partido Comunista Brasileiro). “Manifesto de agosto de
1950” Da Vinhas, Moisés. O Partidão. A luta por um partido de massas
1922-1974. São Paulo: Hucitec, 1982, pagg. 152 - 153.
[9] See
Mazzeo, Antonio Carlos. Op. cit., pagg. 74-83.
[10] ”Per
quanto riguarda le relazioni con la borghesia nazionale,il Programma del Partito
non soltanto non ne minaccia gli interessi, ma difende le rivendicazioni
progressiste, in particolare lo sviluppo dell’industria nazionale. Questo
punto fermo è corretto in quanto deriva da una giusta comprensione del
carattere della rivoluzione brasiliana nella sua prima fase, quando gli ormai
maturi bisogni dello sviluppo richiedono una soluzione immediata, sono di
carattere esclusivamente antimperialista e antifeudale. La borghesia nazionale
non è perciò il nemico; per un certo periodo di tempo può sostenere il
movimento rivoluzionario contro l’imperialismo e contro la grande proprietà
terriera e i resti del feudalesimo.” PCB. “4th Congress of PCB. Problems,
64, Dic. 1954 - Feb. 1955” Da : Carone, Edgar. O PCB (1943-1964). São Pulo:
Difel, 1982 vol. 2, pag. 132.
[11] PCB. “Declaracão sobre a politica do PCB. Voz Operaria,
22 mar. 1958” Da Carone Edgar. O PCB (1943-1964.) Sao Paulo: Difel, 1982, vol.
2, pag. 187.
[12] Idem.
[13] Gorender, Jacob. Combate nas
trevas. São Pulo: Ática, 1998, pag. 68.
[14] Idem, pag. 71.
[15] Jornal do Brasil, 1º apr. 1964.
[16] Marighella, Carlos. Por que resisti a prisão. São
Paulo/Salvador. Brasilense /Oludum-Ufba, 1995.
[17] Idem, pag.
137.
[18] Idem, pag.
147.
[19] Marighela Carlos. “Mini-manual del guerrillero urbano”
Marxist Internet 2000. Disponibile su: http://www.marxists.org/archive/noneng/
espanol/maringh/obras/mensaj.htm