Una nuova riforma costituzionale: Stato, Regioni, Devolution
Arturo Salerni
|
Stampa |
1. È oggi all’esame delle Camere la proposta di nuova
modifica dell’art.117 della Costituzione, ovvero della norma che riguarda la
ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. In buona sostanza,
sotto la spinta della Lega Nord, si vuole attribuire competenza legislativa
esclusiva alle Regioni in materia di polizia locale e di sanità, nonché
ulteriori competenze legislative regionali in materia di istruzione, in
particolare prevedendo anche programmi specificamente dedicati alle tradizioni
culturali regionali. Si tratta in parte di nuove competenze (come nel caso della
polizia locale), in parte della creazione di ulteriore confusione in materie
come la sanità e l’istruzione (dove il lascito della riforma approntata dal
centro-sinistra è fatto di pericolosa confusione ed incredibile incertezza,
come abbiamo più volte avuto modo di segnalare da questa rivista nel corso del
2001), in parte di pericolose suggestioni di natura etnica e potenzialmente
separatista (la costruzione di milizie regionali, il richiamo ad una mitica
tradizione culturale locale). Come è noto, il dibattito si è riaperto in modo
molto aspro, in presenza di una proposta di riforma certamente pericolosa (e
sicuramente da contrastare) ma dalla portata nettamente inferiore - per
profondità degli affondi e per quantità delle materie trattate - rispetto alla
riforma costituzionale del 2001. L’intervento del Capo dello Stato sulla
necessità di riforme costituzionali condivise (e non adottate a colpi di
maggioranza ad ogni variare della maggioranza politica) trova sulla sua strada
il ricordo di ciò che accadde al termine della precedente legislatura, quando
con uno scarto di pochissimi voti la maggioranza di centro-sinistra volle per
forza approvare una riforma pasticciata e pericolosa per l’unità del paese,
ma innanzitutto con riferimento al grado di tutela dei diritti dei cittadini. Ed
è forse ancora oggi il caso di tornare con uno sguardo a cosa quella riforma ha
lasciato nel nostro ordinamento costituzionale, oltre che sul piano del
trasferimento dei poteri amministrativi e dell’introduzione dei concetti di
sussidiarietà orizzontale e verticale che tanti conflitti istituzionali stanno
continuamente generando, con l’avvertenza che anche con riferimento alla
ripartizione del potere legislativo il percorso di attuazione della riforma
costituzionale del 2001 sarà ancora lungo e accidentato.
2. L’art.138 della Costituzione prevede - anche con
riguardo a quest’ulteriore riforma - una doppia lettura da parte dei due rami
del Parlamento, ovvero quattro votazioni da parte delle Camere, con un
intervallo minimo tra le deliberazioni di ciascuna Camera “non minore di tre
mesi” ed una approvazione “a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera nella seconda votazione”. Su richiesta di un quinto dei membri di una
Camera o di cinquecentomila elettori o di cinque Consigli regionali le leggi
costituzionali sono sottoposte a referendum popolare confermativo. E questa
ipotesi si è verificata con la riforma costituzionale del 2001. Il caso
previsto dall’ultimo comma dell’art.138 per evitare la possibilità stessa
del referendum confermativo è quella legata alla circostanza che la legge
costituzionale sia “approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere
a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”. Tale ultima ipotesi - in
relazione alla composizione delle Camere - appare assolutamente inverosimile,
perciò tutto lascia pensare, nell’ipotesi in cui il Parlamento completasse il
percorso di revisione costituzionale ad un esito referendario, in questo caso
ben più partecipato e combattuto di quello dell’ottobre 2001, nonostante - va
ribadito - la portata della riforma dell’intero titolo V fosse ben più ampia
e significativa della pericolosa riforma attualmente all’esame del Parlamento.
3. Con il referendum del 7 ottobre 2001 è stato approvato -
dopo l’approvazione in doppia lettura da parte dei due rami del Parlamento nel
corso della passata legislatura e per volontà dello schieramento di centro
sinistra - il disegno di legge costituzionale contenente “modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione”, con il quale si è attuato un
ribaltamento nelle attribuzioni del potere legislativo tra Stato e Regioni, per
cui allo Stato viene riservato uno spazio (sul piano della potestà legislativa
e sul piano della funzione amministrativa) assolutamente residuale, ed ancor
più ridotto se solo si pensa allo spostamento di attribuzioni che si è
verificato - precipitosamente nell’ultimo decennio - in ragione dell’intensificarsi
del progetto di integrazione europea. Si è passati dalla vecchia formulazione
dell’art.114 per cui “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”
alla individuazione dello Stato quale una delle diverse entità che compongono
la Repubblica (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle
Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, primo comma dell’art.114
Cost. nel testo in via di approvazione).
4. Il punto centrale della recente riforma era costituito
dall’articolo 117 della Costituzione. Nel testo abrogato si riconosceva alle
Regioni un potere legislativo (sia pur “nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in
contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”) in una
serie limitata - e dettagliata - di materie, mentre ai sensi del testo
costituzionale approvato con la riforma del 2001 “la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali”. Nel nuovo testo dell’art.117 si distingue quindi tra
materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, materie di cosiddetta
legislazione concorrente, e potestà legislativa delle Regioni. Nelle materie di
legislazione concorrente “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo
che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato”. Le materie su cui lo Stato mantiene la propria legislazione
esclusiva sono assolutamente limitate (la politica estera e i rapporti
internazionali dello Stato, i rapporti con l’Unione Europea, il diritto di
asilo e la condizione giuridica dello straniero non comunitario; l’immigrazione;
i rapporti con le confessioni religiose; la difesa e la sicurezza dello Stato,
le Forze armate e la legislazione sulle armi; la moneta, la tutela del risparmio
e dei mercati finanziari; la tutela della concorrenza; il sistema valutario ed
il sistema tributario e di contabilità dello Stato; la perequazione delle
risorse finanziarie; gli organi dello Stato e le relative leggi elettorali, i
referendum statali, l’elezione del Parlamento europeo; l’ordinamento e l’organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; l’ordine pubblico
e la sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; la
cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi; la giurisdizione e le norme
processuali, l’ordinamento civile e penale, la giustizia amministrativa; “la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”;
le norme generali sull’istruzione; la previdenza sociale; la legislazione
elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province
e Città metropolitane; le dogane, la protezione dei confini nazionali e la
profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo;
coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione
statale, regionale e locale; le opere dell’ingegno; la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali). Va però tenuto presente che - secondo
quanto previsto dal nuovo testo dell’art.116 - sono attribuibili con legge
dello Stato “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nei
confronti delle Regioni a statuto ordinario anche per ciò che concerne l’organizzazione
del giudice di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali. Per il terzo comma del nuovo art.117 “sono
materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e
con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e
sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale;
professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno dell’innovazione per
i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti
di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e
integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e
ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di
credito fondiario e agrario a carattere regionale”. Alle Regioni spetta “la
potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato”. L’organo cui è demandata la risoluzione dei
conflitti che intervengono tra Stato e Regioni, oppure tra diverse regioni, è -
e non potrebbe essere altrimenti - la Corte Costituzionale.
5. Alcune considerazioni vanno fatte sia con riferimento alla
riforma appena approvata sia con riguardo al passaggio ulteriore che oggi il
centro-destra vuole imporre. La prima è ovvia, ma non per questo meno
importante. Da un lato il trasferimento di funzioni che viene determinato dal
processo sempre più avanzato di costruzione europea, dall’altro il cammino a
tappe forzate verso l’aumento dei poteri da parte delle Regioni ed il
decentramento delle funzioni nei confronti degli enti locali, riducono
fortemente ruolo e poteri dello Stato centrale, dello Stato nazionale. Dall’altro
lato si assiste alla rincorsa spesso confusa delle istanze disgregative, del “decentrare
tutto” per “sburocratizzare tutto”: in questo quadro non si comprende cosa
leghi le diverse entità regionali nell’ambito di un quadro unitario, e
soprattutto dove finisca quel compito della Repubblica di “rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese” (principio fissato dall’art.3, capoverso, della
Costituzione)
6. In gran parte delle materie la competenza legislativa
passa, in via esclusiva o in via concorrente, alle Regioni. Lo Stato nella
riforma del 2001 - infatti - è solo una delle entità che compongono la
Repubblica (insieme a Comuni, Province, Regioni e Città metropolitane), ed i
suoi compiti sul piano legislativo sono limitati ed espressamente indicati,
senza alcuna funzione che lo collochi in posizione sovraordinata rispetto alle
altre entità che fanno parte della Repubblica.
Si è passati dalla prefigurazione alla realtà effettiva di
una serie costante di conflitti avanti la Corte Costituzionale, organo al quale
lo Stato può rivolgersi quando ritiene che una legge regionale ecceda la
competenza della Regione così come può rivolgersi la Regione “quando ritenga
che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra
Regione leda la sua sfera di competenza” (art.127 della Costituzione, nella
nuova formulazione).
Immaginiamo ora quanto questo clima conflittuale potrà
accrescersi con il nuovo caotico intervento costituzionale voluto dalla nuova
maggioranza di governo e soprattutto dalla sua componente leghista, e
soprattutto quanto questo agire irresponsabile e demagogico potrà produrre sul
terreno della coesione sociale e soprattutto della capacità della sfera
pubblica di poter agire a tutti i livelli con autorevolezza ed incisività per
il governo dei fenomeni economici e sociali, nonché le terribili ricadute che
si produrranno sul piano culturale, istituzionale e normative con riguardo all’affermazione
di diritti dei cittadini non comprimibili ed uniformi.