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Joseph Halevi
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Joseph Halevi è docente di economia all’Università di Sydney in Australia e, periodicamente, insegna in Francia alle università di Grenoble (Pierre Mendès France) e di Nizza

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Sinistra plurale e ricompattamento del capitale in Francia: 1997- 2000

Joseph Halevi

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I fattori che hanno contribuito al ricompattamento del capitalismo francese possono essere elencati come segue. In primo luogo il capitalismo francese ha beneficiato della svolta nella politica della Bundesbank. Non sono state soltanto le imprese tedesche a dover ristrutturare durante la fase degli alti tassi di interesse e dell’alto valore del marco ma anche quelle degli altri paesi e della Francia in particolare visto che Parigi intendeva mantenere la parità col marco indipendentemente dalle forze al governo del paese. Contemporanemente la Germania non è uscita dalle sue difficoltà come dimostra il persistente deficit nei conti correnti con l’estero. Dalla nuova situazione la Francia ha pertanto tratto maggior vantaggio sfruttando inoltre la rivalutazione del dollaro in un’economia americana in crescita fino al terzo trimestre del 2000. Così fino all’anno scorso e specialmente nel 1999 la Francia otteneva delle eccedenze nelle tre poste che formano la bilancia dei pagamenti corrente: negli introiti delle esportazioni di merci, dalle vendite sull’estero dei servizi, dai flussi di reddito provenienti da investimenti effettuatati all’estero. Ciò significa che le operazioni sull’estero effettuate dal territorio francese erano attive (generavano profitti) sia globalmente che per poste di attività. Il tutto avveniva in una situazione di stasi sociale, grazie al silenzio sindacale, in un contesto di privatizzazione accelerata rafforzata dalla stasi sociale.

5. 35 ore e privatizzazioni

Intese come specchio per le allodole e come strumento per governare la flessibilità del lavoro in vista di nuove privatizzazioni le 35 ore e le connesse privatizzazioni sono invece diventate la buccia di banana su cui è scivolato il governo Jospin. Nelle condizioni di stagnazione salariale e di incertezza occupazionale in cui si trovava e si trova la Francia, come del resto l’Europa intera, il programma delle 35 ore diventava di complicata accettazione. Inoltre molti lavoratori sapevano che le 35 ore non avrebbero inciso molto sulla dinamica occupazionale. Sapevano invece che questa conquista di civiltà avrebbe comportato un prezzo in termini di flessibilità del lavoro. Ed in effetti il risultato positivo scaturito dalla legge sulle 35 ore non è tanto quello sperato dal governo quanto la riapertura dello scontro sociale in materia di flessibilità ed intensita del lavoro soprattutto nei settori di punta di recente o prossima privatizzazione: Telecom, Poste, ecc. In termini più generali la lotta sulla flessibilita ha messo in evidenza la strategia della direzione delle società facendo anche emergere alla luce del sole la natura privatizzante e ristrutturante delle scelte delle direzioni aziendali.

In termini molto semplici il problema è stato esemplificato dallo sciopero sulle 35 ore proclamato da tutti i sindacati dei 38000 impiegati del Ministero dell’Agricoltura il 15 giugno scorso. I dipendenti temono che alla riduzione del 10% dell’orario di lavoro prevista per il 2002 non corrisponda un aumento dell’occupazione con la conseguente intensificazione del loro lavoro in ufficio. La contropartita della flessibilità richiede maggiore disponibilità sul lavoro e permette alla direzione di non contare i tempi morti nell’ambito dell’orario lavorativo. Come riportato da Le monde diplomatique del settembre 1999 la Renault aveva proposto di contabilizzare le ore per la formazione e qualificazione profesionale come vacanza, nonchè di includere il sabato come normale giornata lavorativa nell’ambito degli accordi di flessibilità, eliminando quindi le tariffe straordinarie. Nell’attuazione degli accordi sulla flessibilità il governo si è schierato dal lato dell’interpretazione padronale gia anticipata dalla ministra del lavoro Martine Aubry in un’intervista a Libération il 1 dicembre 1997: “È necessaria una maggiore flessibilità. Questa riduzione del tempo di lavoro deve essere l’occasione di riorganizzare il lavoro, di ritrovare la flessibilità”. France Telecom è stata un fiore alla occhiello nel programma di privatizzazione lanciato da Jospin. La crescita dei valori borsistici nelle telecomunicazioni e nella telefonia prometteva una costante e ripida ascesa nella capitalizzazione della società. Questo settore è in agitazione da oltre due anni, cioè dal momento in cui è passata la legge sulle 35 ore. Il 2 gennaio 2000 tre organizzaioni sindacali rappresentanti appena il 20% del personale firmavano un accordo con la direzione che accettava la soppressione di posti di lavoro e la contabilizzazione delle 35 ore su base annuale [1]. I sindacati maggioritari, CGT, CFDT e SUD continuano ancor oggi nelle agitazioni.

La posta, che funge anche da cassa di risparmio, è, come già lo fu Telecom, un’azienda molto ambita dalle società finanziarie. Secondo dettagliate denunce del sindacato Sud le 35 ore sono servite a ristrutturare piuttosto che ad allargare l’organico. La direzione e le direzioni regionali hanno utilizzato la riduzione di lavoro per ridurre le ore di apertura delle agenzie o per trasformale in sportelli di prossimità, una specie di subappalto fuori dalla definizione giuridica di servizio pubblico. Per i sindacalisti di SUD queste operazioni, appoggiate dal Governo, hanno il sapore classico di taglio di costi per aumentare il valore azionario a privatizzazione avvenuta.

Sulla questione della flessibilità, contropartita delle 35 ore, si è scatenata l’offensiva privatizzante voluta dal governo Jospin. Alla fine dell’anno scorso la SNCF ha lanciato il piano clientela nelle ferrovie avendo come obiettivo quello di scorporare il settore passeggeri da quello del materiale rotabile ecc. Forse il piano ha costituito la goccia che ha fatto traboccare il vaso proprio mentre erano in corso altre lotte, come quello delle infermiere per il riconoscimento professionale e contro la flessibilità selvaggia. Resta comunque il fatto che contro il piano clientela, per ora abbandonato dalla direzione delle ferrovie, si è svolta una lotta durissima grazie alla mobilitazione del sindacato SUD mostrando che il governo non poteva più delegare ai sindacati ufficiali il controllo della base sociale. Le lotte di primavera hanno segnato la crisi di Jospin e della sinistra plurale che, pur di rimanere al potere e perseverare nelle politiche di privatizzazione e flessibilità, ora scrive lettere ai trotzkisti al fine di cooptarli.


[1] Se le 35 ore sono calcolate su base annua, cioè dividendo il monte ore annuo per il numero di settimane lavorative la direzione ottiene discrezionalità assoluta nelle politiche di flessibilità.