L’articolo è stato scritto dai compagni della USI/RdB Ricerca, sezione ISTAT
Quindici anni di controriforme
Dal taglio della scala mobile all’accordo sul costo del lavoro - dallo smantellamento dello Stato sociale ai contratti week-end. Dipendenti pubblici sempre di meno e sempre più mal retribuiti, impazzano schiere di consulenti super-pagati
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1. Riforme istituzionali
I processi di trasformazione in atto, in particolare la riforma
della P.A, il nuovo rapporto tra Stato ed autonomie locali, il rapporto tra
pubblico e privato, i processi di precarizzazione che hanno cambiato il mercato
del lavoro e che richiedono figure sempre più professionalizzate e immigrati
da sfruttare, obbligano i lavoratori e le lavoratrici e l’insieme dei movimenti
sindacali di base a confrontarsi su questi temi.
La politica delle “riforme”, introdotta nell’ultimo decennio,
ha decisamente ridimensionato i ceti medio-bassi peggiorando le loro condizioni
di vita.
Continuano ad essere falcidiate, a favore di una parte minoritaria
della società, le conquiste ottenute negli anni sessanta e settanta - istruzione
obbligatoria, assistenza sanitaria per tutti, previdenza pubblica - che costituivano
il così detto “stato sociale”.
Lo “spettacolo” delle politiche in atto, concertate e studiate
prioritariamente con la CONFINDUSTRIA, a cui le forze storiche del movimento
operaio (ovvero i sindacati Confederali) si adattano sistematicamente, hanno
prodotto gravissimi danni alle classi sociali medio-basse.
Assistiamo impotenti alla ridistribuzione della ricchezza pubblica
al privato, che è causa di forti erosioni del potere d’acquisto delle buste
paga dei dipendenti pubblici e privati, dei pensionati e di tutte quelle categorie
di lavoratori così detti “atipici” che non hanno nessuna forza contrattuale
e garanzie per il futuro.
Per porre in atto una valida difesa da quest’attacco sconsiderato,
l’obiettivo prioritario deve essere l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici,
fatta salva la possibilità di sviluppare percorsi autonomi che, lontani dalle
concertazioni politico-sindacali, riescano a modificare i rapporti di forza
e rilanciare una nuova prospettiva di distribuzione della ricchezza.
2. L’Unione Europea
L’assetto economico disegnato con l’accordo di Maastricht ha
determinato per i paesi membri il rispetto di parametri monetari che hanno imposto
il taglio della spesa pubblica, con conseguente e progressivo smantellamento
dello Stato sociale, spazzando via, tra l’altro il ruolo dei governi nazionali
nelle scelte di politica economica.
La riforma dello Stato sociale è in sintonia con l’attuale
orientamento neoliberista che sostiene le rendite finanziarie, a vantaggio delle
quali vanno i drastici tagli della spesa pubblica.
3. Attacco al salario e all’occupazione attraverso processi di riforme
Nel nostro paese questo processo di “riforma” ha colpito esclusivamente
i ceti medio-bassi. Esso ha avuto inizio negli anni ‘80 con lo smantellamento
della “scala mobile” (strumento che, com’è noto, evitava in parte che la busta
paga dei lavoratori fosse erosa dall’inflazione), e nonostante le promesse dei
governi di centro-sinistra dell’epoca di favorire l’occupazione e diminuire
i tassi di inflazione, si è assistito ad un aumento sia della disoccupazione
che dell’inflazione e, parallelamente dei profitti.
I benefici economici, realizzatisi con la sterilizzazione della
“scala mobile” sono andati, infatti, a vantaggio esclusivo del capitale.
Le azioni speculative che hanno interessato i mercati finanziari
sono state in parte finanziate con il salario scippato dalle buste paghe.
Sono così state confermate le previsioni di chi strenuamente
e vanamente si era opposto alla “grande riforma”, ritenendo del tutto inaffidabili
gli appelli lanciati dalla classe politica capeggiata da Craxi e appoggiata
delle confederazioni Sindacali UIL, CISL, dalla parte filosocialista della CGIL
e dalla CONFINDUSTRIA.
Si preannunciava subdolamente a un nuovo sviluppo industriale
in grado di creare più posti di lavoro ricavati dai tagli di salario delle buste
paga.
A distanza di un decennio la storia si è ripetuta: le dissennate
concertazioni tra governi di centrosinistra e confederali avrebbero dovuto
produrre occupazione, ma in realtà hanno ulteriormente eroso la busta paga dei
lavoratori ed irrobustito ancora di più gli utili delle aziende, destinati ad
alimentare sempre più il mercato azionario speculativo internazionale. Del tanto
pubblicizzato boom occupazionale, nemmeno l’ombra!
In compenso, grazie a recenti, ulteriori, accordi concertati
tra i soliti noti, si è giunti all’istituzionalizzazione della figura professionale
del lavoratore supersfruttato, attraverso la creazione del lavoro interinale,
dei contratti atipici, del part-time, dei contratti week-end dei
lavoratori socialmente utili e di quelli di pubblica utilità, col risultato,
davvero scandaloso, di sottopagare lavoratori che svolgono mansioni del tutto
analoghe a quelle di altri maggiormente retribuiti e garantiti!
4. Le Riforme nel Pubblico Impiego a vantaggio del privato
La “riforma” della Pubblica Amministrazione, concertata con
i sindacati confederali e sancita dal decreto.legislativo n. 29/93 e le successive
numerose modificazioni ed integrazioni, ha introdotto la cosiddetta privatizzazione
del pubblico impiego, ritenuto, a torto, dalla Confindustria e dai tanti governi
succedutisi fino ad oggi a Palazzo Chigi, la causa principale del massiccio
debito pubblico italiano. Nulla di più mistificatorio.
La realtà che si vuole da sempre nascondere è che la pubblica
amministrazione è oggetto di una disorganizzazione organizzata, nel senso
che solo grazie al malfunzionamento voluto della macchina statale possono prosperare
strutture private che, in avversa ipotesi, non esisterebbero o, quantomeno,
non avrebbero le dimensioni ed il peso che oggi le caratterizza. Si pensi, solo
per fare qualche esempio, alla scuola, alla sanità o ai trasporti.
Ma si pensi anche a quella pletora di personaggi superpagati,
con contratti di tipo privatistico (leggasi: mercato libero), che da qualche
anno si annidano all’interno della pubblica amministrazione e che vanno sotto
il nome di consulenti. Si tratta, quasi sempre, di soggetti mediocri,
assunti intuitu personae, grazie all’appartenenza a questo o a quel partito
politico o perché legati a questo o a quel boiardo di Stato. Questa patologia,
manifestatasi a causa della “riforma”, ha infestato ministeri, enti pubblici,
asl, regioni, province, comunità montane, senza risparmiare neppure il più sperduto
degli enti locali! Si tratta, senza dubbio, di un fenomeno tipicamente clientelare
che quasi sempre mortifica professionalità interne all’ente ingiustamente sacrificate
per far posto al consulente.
Tra i meriti della “riforma” vi è, poi, l’introduzione
del salario accessorio, di una parte di salario legato appunto al merito.
Si tratta di un meccanismo privo di strumenti concreti di applicazione e,
quindi, alla mercé del dirigente di turno che si trova ad esercitare un consistente
potere ad libitum, grazie alla miopia se non alla complicità dei confederali
che esercitano così la loro forma di potere clientelare.
Per converso, di turn over nemmeno a parlarne, come
pure di formazione professionale, per cui non può che rafforzarsi l’obiettivo
disorganizzativo della “riforma” a tutto vantaggio del capitale privato.
5. Analisi temporali sugli stipendi dei pubblici dipendenti