Ed infatti, la comunicazione, secondo il principio della flessibilità
sociale, deve perseguire obiettivi mirati a controllare i lavoratori anche attraverso
sollecitazioni ed incentivi economici con il fine di concertare le decisioni
a partire dalla conoscenza delle opinioni dei lavoratori. Il principio della
flessibilità sociale e del lavoro viene ad essere applicato quindi come sistema
del controllo sociale [1].
5. Conclusioni
Così l’informazione, più spesso in forma digitale, è la materia
prima della “nuova economia”. L’energia indispensabile per trasformare questa
materia prima non è l’elettricità, ma l’elettronica, mentre le reti digitali
(tra le quali Internet svolge un ruolo determinante) costituiscono il mezzo
di trasporto per portare a destinazione l’informazione sotto tutte le sue forme,
ivi compresi il suono e l’immagine. La concorrenza diventa universale, in particolare
su Internet. La “nuova economia” è globale, privilegia gli oggetti immateriali,
come per esempio l’informazione, ed è strettamente interconnessa.
Che l’ideologia della new economy provenga dagli Stati Uniti
non deve stupire poichè gli Stati Uniti sono stati il fulcro ed il motore della
globalizzazione finanziaria che, nella società americana ha causato l’indebolimento
dell’apparato industriale e la sua subordinazione ai settori più strettamente
collegati ai processi finanziari. L’indebolimento dell’industria ha prodotto
una caduta nei posti di lavoro ben pagati in favore di occupazioni precarie.
Strutturalmente la new economy esiste da molto tempo, da almeno
trent’anni. I prodotti dell’information technology hanno costituito la componente
più dinamica degli investimenti dalla metà degli anni Sessanta.
Informatica, globalizzazione e flessibilità sarebbero quindi
al centro di una terza rivoluzione industriale: i sistemi in rete sono capaci
di produrre in funzione delle esigenze particolari di ogni cliente e moltiplicano
quindi il mercato potenziale.
Così facendo, però, si perde di vista che ciò che c’è di nuovo
nelle tecnologie dell’informazione non è la tecnologia digitale quanto la trasformazione
in merce di tutta una parte dell’attività umana: la comunicazione. L’affermazione
della telematica e dei mezzi di comunicazione sempre più sofisticati ha provocato
una decisa evoluzione del concetto di comunicazione: non più semplice processo
di trasmissione di informazioni a prevalente carattere commerciale, ma come
capacità organizzativa di acquisire consenso nel sociale (...) capace di finalizzare
le conoscenze e i comportamenti organizzativi al fine di trasmettere l’idea-azienda
nell’intera società [2].
Se è vero però che “ogni modello di impresa è il frutto delle
condizioni economiche della storia, delle tradizioni e della cultura del paese
nel quale agisce” [3], allora il modello
di impresa che si sta sempre più affermando nel nostro paese sta anche cercando
di smentire questa affermazione. Quello che infatti caratterizza sempre più
il sistema imprenditoriale emergente è una massiccia imitazione di modelli oltreoceano:
precarietà del lavoro subordinato, azionariato diffuso, prevalenza di attività
finanziaria speculativa a danno del fattore produttivo lavoro. Si afferma cioè
sempre più quel liberismo selvaggio proprio del modello capitalistico anglosassone,
in cui dominano l’aggressività, l’individualismo, e nel quale si vorrebbe far
prevalere sempre più la finanziarizzazione dell’economia, legata alle logiche
dei grossi potentati finanziari internazionali [4].
In questa situazione, fuori da ogni possibile controllo degli
stati, il capitale precisa la sua funzione matura e, dall’integrazione globale
semplice, dovuta a rapporti produttivi tradizionali meramente internazionalizzati,
passa ad una integrazione globale complessa, dove i sistemi produttivi, commerciali,
contabili e finanziari, si diffondono fino a quando l’azienda può essere definita
come virtuale. La società madre, in questo scenario, affidando la produzione
a filiali e subcontrattisti in diversi paesi, sfrutta razionalmente a proprio
vantaggio le differenze fra leggi e condizioni locali per l’investimento, la
produzione, i servizi. Si tratta, in sostanza, di quella divisione del lavoro
un tempo esistente all’interno della singola impresa e che oggi è invece proiettata
all’esterno. Tali dinamiche globali non rappresentano altro che la lotta del
capitale contro la caduta del saggio di profitto, causata da fattori quali l’aumento
del grado di sfruttamento della forza-lavoro attraverso la riduzione del salario
al di sotto del valore medio della forza-lavoro.
L’integrazione tra telecomunicazioni e informatica è, quindi,
alla base del processo di globalizzazione che caratterizza gli attuali scenari
economico-sociali. Idealmente questo processo viene descritto nel seguente modo:
le nuove tecnologie riducono il costo delle comunicazioni, favorendo la globalizzazione
della produzione e dei mercati finanziari. Quest’ultima, a sua volta, stimola
il progresso tecnologico, intensificando la concorrenza e accelerando la diffusione
delle nuove tecnologie attraverso investimenti esteri diretti [5].
Tale processo, anche se di modernizzazione, ha prodotto gerarchie
e diseguaglianze macroscopiche tra Nord e Sud del mondo. Resa possibile grazie
ai progressi nelle tecnologie della comunicazione, all’insegna di un capitalismo
divenuto un sistema mondiale privo di concorrenti, la globalizzazione tende
ad accrescere l’interdipendenza tra tutte le società, alterando i confini e
le distinzioni tra le società.
La contiguità spaziale viene, allora, meno come criterio di
regionalizzazione ed è sostituita da flussi finanziari e di informazioni tramite
reti computerizzate che accentuano la contiguità temporale degli eventi prefigurando
un sistema-mondo unitario. La globalizzazione che caratterizza l’economia mondiale
si lega alla rivoluzione nelle comunicazioni ed indica un processo di propagazione
di certe attività economiche e di certe imprese su scala globale, che non si
arresta di fronte a barriere territoriali o giuridiche. E tutto ciò significa
che le economie sono tutte intrecciate tra loro in un unico mercato competitivo [6].
Tale sistema non è però necessariamente omogeneo o privo di
conflitti.
Alla fine del XVIII secolo la macchina a vapore ha provocato
la rivoluzione industriale favorendo l’ascesa del capitalismo, la nascita della
classe operaia e l’espansione del colonialismo, così come oggi Internet e le
autostrade della comunicazione sono vigorosi fattori di impulso e intensificazione
degli scambi [7]. Tuttavia alla fine del Settecento se si affacciava un nuovo modo di
produrre ricchezza, il progresso che ne conseguiva non attenuava, anzi accresceva
i conflitti e le turbolenze sociali favorendo il totalitarismo e il socialismo
reale: così oggi l’unificazione del mercato mondiale può produrre disastri o
benefici a seconda di come viene interpretata e guidata [8].
Il sistema capitalistico globale ha creato un terreno di gioco
molto irregolare. Il divario tra ricchi e poveri è sempre maggiore.
Il capitalismo crea ricchezza ma non dà garanzie di rispetto
della libertà, della democrazia e dello stato di diritto. Il mondo degli affari
è motivato dal profitto, non è fatto per salvaguardare principi universali.
Gli interessi personali non sono sufficienti neppure alla protezione del mercato
stesso: i partecipanti sono in competizione per vincere e, se potessero, eliminerebbero
la concorrenza. Così la libertà, la democrazia e lo stato di diritto non possono
essere affidati alle forze di mercato, c’è bisogno di salvaguardie istituzionali [9].
Due sono gli aspetti più attuali della new economy:
1. La net-economy;
2. Il mercato delle telecomunicazioni
1) Net economy. Essa è tuttora in crescita ed ha trasformato
lo spazio virtuale del web da spazio libero e anarchico per la diffusione delle
conoscenze in piazza del mercato, anzi dei mercati, poiché molteplici sono le
configurazioni che il web assume e va assumendo. Abbiamo così il semplice spazio
di e-commerce, in cui si promuove la vendita di prodotti, ma anche vere e proprie
“aste Internet” in cui i prezzi sono predeterminati ma dinamici, ovvero contrattati
momento dopo momento.
Lo scambio di informazioni attraverso un mercato elettronico
centralizzato è differente dall’invio di un messaggio elettronico attraverso
Internet in quanto un mercato elettronico centralizzato permette di manipolare
le informazioni, catalogandole, verificandole, datandole, criptandole, insomma
utilizzandole nel modo più redditizio a chi lavora in questo tipo di mercato
e, molto probabilmente, a danno dei soggetti proprietari di queste informazioni.
La net economy è poi rappresentata da quelli che in America
si chiamano day trader, ovvero giocatori di borsa su Internet: professionisti
della compravendita di azioni tramite il web che stanno facendo proseliti anche
fra chi su azioni e fondi di investimento investe qualche risparmio in modo,
diciamo, amatoriale.
I numeri americani resi noti dalla Securities Industries Association
dicono che il 18 per cento, l’8 per cento in più rispetto al 1998, degli investitori
utilizza il web per fare affari mentre il 45 per cento utilizza i servizi web
di società di intermediazione finanziaria.
E in effetti il tempo reale che Internet assicura sembra nato
per i mercati finanziari dove il minuto è già un tempo infinito e può influire
in modo pesante su una transazione. D’altra parte sulla Rete si seguono le borse
di tutto il mondo, le news letter finanziarie inondano di notizie le mail box
ad una velocità che nessun broker o banca del mondo può garantire e soprattutto
si può comprare e vendere.
Un colpo di acceleratore alla velocità delle transazioni e
soprattutto alla velocità delle informazioni finanziarie che rischia però di
diventare incontrollabile e di portare fuori strada, perché si gioca e si scommette
su un terreno virtuale, ma se si perde si perdono soldi reali, un rischio che
davanti al terminale di un Pc spesso tende ad essere dimenticato [10].
E questo spiega la grossa ondata speculativa che ha caratterizzato
e continua a caratterizzare l’economia di questo terzo millennio: basti pensare
all’aumento dell’85,6% registrato nel 1999 dal solo Nasdaq, il mercato americano
in cui sono quotate la maggior parte delle società tecnologiche: tipicamente
quelle legate all’informatica ed alla comunicazione.
Sappiamo però che nell’economia finanziaria esiste un particolare
problema detto dell’asimmetria informativa, che si verifica quando i diversi
partecipanti presenti su un mercato non hanno, e in alcuni casi non possono
avere, le stesse informazioni. Il caso più importante di asimmetria informativa
è quello di una banca, o altro intermediario, che può fungere da filtro informativo
tra investitori e prenditori. Nelle imprese gli unici depositari di tutte le
informazioni sono i “managers”, mentre le principali vittime dell’asimmetria
informativa sono i titoli azionari: il relativo mercato sconta infatti l’opinione
che i managers non trasmettano tutte le informazioni a loro disposizione.
L’altra grande critica nei confronti della “nuova economia”
riguarda i rischi che fa correre all’economia reale. Dal 1997, si è formata
una vera e propria bolla speculativa in Borsa intorno alle società Internet.
Queste ultime, che lungi dall’essere redditizie a volte accumulano addirittura
perdite record, conoscono tuttavia dei livelli di valorizzazione notevoli in
Borsa.
“In generale la comunicazione finanziaria deviante assume una
forte valenza informativa a carattere sociale il cui obiettivo principale è
quello di coinvolgere gli strati popolari, i piccoli risparmiatori in qualità
di fondamentali operatori economici che incidono sulle evoluzioni e sui mutamenti
dell’assetto finanziario complessivo dell’impresa, agendo sull’andamento dei
titoli emessi e dei titoli acquisiti in portafoglio in chiave utile, così al
grande capitale in quella determinata fase economico-borsistica.(...) I flussi
comunicazionali sono orientati quasi esclusivamente non più alla conquista di
fette di mercato per la singola impresa ma ad un interesse di omologazione alla
cultura e al modo di essere della società competitiva del profitto.
Le aspettative borsistiche mantengono in vita la quasi totalità
del commercio e-mail. Megasocietà come Amazon.com continuano ad esistere grazie
a queste aspettative dato che non generano profitti dal volume delle transazioni
correnti. In realtà società del tipo Amazon operano strategicamente in perdita
vendendo a margini negativi o nulli. Gli ottimisti sostengono che una volta
affermata la propria reputazione simili aziende potranno ristabilire i margini
di profitto che, nel lungo periodo, saranno più elevati di quelli della old
economy. Tale tesi non sembra convincente perché una delle caratteristiche dell’e-commerce
è la mancanza di lealtà dalla parte dei clienti che possono spostarsi verso
il prezzo più basso utilizzando il Web. Inoltre il prezzo Web deve essere significamente
inferiore a quello dei punti fissi.
2) Mercato delle telecomunicazioni. È il mercato che
sta realizzando i maggiori profitti in questi ultimi tempi, grazie anche alle
prospettive del UMTS (Universal mobile telecommunications system), la terza
generazione di telefonia mobile (dopo TACS e GSM) che garantirebbe una velocità
di trasferimento dei dati 200 volte superiore a quella attuale. Attraverso l’applicazione
di questo nuovo sistema sarà possibile, attraverso i telefoni cellulari a banda
larga navigare in Internet e utilizzare la posta elettronica, collegarsi a un
computer, effettuare acquisti e pagare inserendo direttamente il bancomat nel
telefonino, accedere ad una serie di servizi, come tra gli altri, la visualizzazione
dell’estratto di conto corrente bancario o la possibilità di seguire l’andamento
delle quotazioni di borsa.
L’UMTS rappresenta l’offerta convergente tra Internet e telecomunicazioni
mobili, ma coinvolge investimenti molto elevati. Inoltre comporta per i Governi
la vendita delle frequenze con dei costi molto elevati per utente.
La tecnologia UMTS è considerata da molti strategica per l’incremento
della crescita economica, ma ciò non sembra tanto realistico se è vera l’ipotesi
che l’UMTS avrebbe un target di clientela definito e limitato, in quanto caratterizzato
da necessità sofisticate. Se poi pensiamo che l’UMTS è la diretta applicazione
di Internet alla telefonia mobile e a quanto sia ancora poco sviluppato l’utilizzo
di Internet da parte della popolazione nel suo complesso, questo farebbe pensare
che anche la tecnologia UMTS, a dispetto degli enormi investimenti che sta smuovendo,
non possa avere degli sviluppi considerevoli, o perlomeno non così incisivi
sulla crescita economica.
Forse il dibattito sulla nuova economia dovrebbe piuttosto
trasformarsi in un dibattito sullo scontro tra il Capitale ed il Lavoro. Nel
contesto delle nuove tecnologie, la riapertura della discussione dei rapporti
tra capitale e lavoro dovrebbe avvenire all’interno di un quadro analitico in
cui domina il concetto di immiserizing growth. Nel passato tale concetto veniva
applicato ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia l’evoluzione socio-economica
degli Stati Uniti mostra che l’immiserizing growth è al cuore dell’attuale dinamica
economica fondata sulla doppia flessibilità del lavoro imposta alla grande maggioranza
delle famiglie americane. Inoltre la velocità di propagazione della “Net economy”
è ben lungi dall’essere la stessa in tutto il mondo. Mentre i paesi del Nord
investono miliardi di dollari in infrastrutture (fibre ottiche, telefonia mobile,
generalizzazioni della strumentazione informatica nelle scuole e nelle amministrazioni
ecc.) quelli del Sud, per mancanza di soldi, restano al traino. Dopo aver mancato
la rivoluzione industriale, rischiano di perdere ogni possibilità di agganciarsi
all’economia mondiale.



Scriveva Owen più di un secolo fa: ”È opinione diffusa tra
i teorici dell’economia che l’uomo può provvedere a se stesso meglio e in modo
più vantaggioso quando tutto è lasciato alla sua iniziativa privata, quando
cioè è in concorrenza con i suoi simili (...). Tuttavia, quando finalmente conosceranno
se stessi e scopriranno i meravigliosi effetti che la cooperazione e l’unione
possono produrre, gli uomini riconosceranno che l’attuale organizzazione della
società è la più antisociale, la più impolitica e irrazionale che si possa immaginare”
[11].
[1] Martufi R., Vasapollo L., Comunicazione deviante. L’impero
del capitale sulla comunicazione, MediaPrint Edizioni, 2000.
[2] Martufi R., Vasapollo L., op. cit.
[3] Martufi R., Vasapollo L., op. cit.
[4] Martufi R., Vasapollo L., op.
cit.
[5] Woodell Pam,
“Economia Globale”, The Economist, settembre, 1996.
[6] Bonalumi
Gilberto, “Le incognite della democrazia globale”, Politica Internazionale,
n.3/1995.
[7] Ramonet Ignacio, “La nuova economia”, Le Monde Diplomatique, marzo
2000.
[8] Vertone Saverio, “Fine
della politica? Non se ne parla nemmeno”, Il Sole 24 Ore, 21/3/2000.
[9] George
Soros, “Se il capitalismo è contro la democrazia”, la Repubblica, 2 agosto 2000).
[10] Owen Robert,
“Rapporto alla Contea di Lanark”, 1820.
[11] Owen Robert, “Rapporto alla Contea di Lanark”, 1820.