Lo scontro geoeconomico per il controllo dell’”ombelico del mondo”
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
La Russia e l’Eurasia al centro dei "giochi" internazionali sulle risorse energetiche strategiche
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In generale, comunque, chi trarrà maggiori vantaggi dall’integrazione
dei PECO nell’UE con l’abbattimento delle residue barriere saranno i paesi del
centro e del nord dell’Unione Europea, poiché la loro specializzazione commerciale
si concentra nei settori ad alta e media tecnologia e quindi di maggiore efficacia
per le politiche economiche degli stessi PECO al fine di quel completamento
del loro processo di transizione all’economia di mercato prescritta dalle regole
della "convivenza economica imposta" dei paesi a capitalismo avanzato,
e con minori costi di aggiustamento. I paesi del sud Europa, invece, avendo
una specializzazione nei settori tradizionali simile a quella dei PECO avranno
maggiori pressioni competitive.
Gli investimenti diretti esteri (IDE) costituiscono, in tali
dinamiche, una componente fondamentale nel processo di integrazione nell’economia
di mercato dell’Europa centro orientale, diventando al contempo strumento di
controllo, di diversificazione e delocalizzazione produttiva e di espansione
geoeconomica dei paesi UE.
I flussi degli IDE verso l’Europa centro orientale sono aumentati
sin dall’inizio degli anni novanta passando dall’1% degli IDE totali nel 1989
al 12% nel 1995; questo a dimostrazione di un particolare interesse da parte
delle multinazionali nello sfruttare le opportunità create dal processo di transizione.
Nel 1998, i paesi di quest’area (PECO) hanno registrato un’impennata
nell’afflusso di investimenti esteri (+26% rispetto al 1997). In generale l’Europa
centro-orientale è la regione che negli ultimi cinque anni ha registrato il
maggior aumento dei flussi di investimenti esteri in entrata.
In particolare dalla disaggregazione dei dati i flussi degli
IDE indicano la crescente integrazione economica tra l’occidente europeo e l’Europa
centro orientale. Circa il 76% delle iniziative è stato opera di paesi UE, che
hanno così favorito anche l’intenso programma di privatizzazione e di passaggio
in mano straniera delle ex imprese statali degli ex paesi socialisti. Le imprese
che hanno partecipato a questi progetti di investimento sono imprese provenienti
dalla Germania (27%), dall’Italia (18%), dall’Austria (13%) e dalla Francia
(10%). Per quanto riguarda, invece, i Paesi beneficiari, nel 1998, il 75% delle
iniziative è stato destinato in tre Paesi in particolare: Repubblica Ceca, Polonia
ed Ungheria (precisamente in tre paesi candidati tra i primi all’ingresso nella
NATO) e in Romania. (Cfr. Tab. 8)



Estonia, Slovacchia e Slovenia, invece hanno avuto meno possibilità
di attrarre gli investimenti esteri. Lettonia, Bulgaria, Lituania, Croazia e
Albania invece non sono ancora ritenuti paesi interessanti per flussi ingenti
di IDE in entrata, soprattutto a causa del ritardo nella loro fase di transizione
all’economia di mercato e presentano grossi rischi per gli investitori.
Il settore manifatturiero è quello che ha raccolto la maggior
parte (60%) delle iniziative europee seguito dal settore dei servizi (33%) ed
infine da quelli dell’agricoltura, della pesca e della estrazione di minerali.
Gli investimenti nei settori dove sono presenti grandi economie di scala hanno
avuto un peso maggiore nella Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia e Polonia.
Negli altri paesi la maggior parte degli investimenti sono stati indirizzati
nei settori tradizionali. Germania, Austria, Francia, Regno Unito e Svezia effettuano
il 50-59% dei loro progetti di investimento nei settori caratterizzati da forti
economie di scala, mentre il 33-46% delle loro iniziative è indirizzato verso
i settori tradizionali. Anche alcune multinazionali degli USA e del Giappone
hanno investito in Polonia, Estonia, Ungheria e Repubblica Ceca ma svolgendo
sicuramente un ruolo di secondo piano rispetto agli investimenti UE.
4. Alcune considerazioni conclusive
Alla luce di quanto esposto, risulta chiaro che dietro gli
interessi di natura economica-produttiva delle grandi potenze occidentali, che
con quest’area hanno ulteriormente rafforzato i loro rapporti collaborativi,
vi sono particolari “giochi” geopolitici tendenti alla "colonizzazione"
di un territorio di fondamentale importanza strategica; avendo comunque priorità
assoluta l’UE che con l’espansione in quest’area vuole caratterizzare definitivamente
un suo polo politico-economico che si pone come principale antagonista degli
Stati Uniti che dopo il crollo dell’Unione Sovietica vorrebbero invece imporsi
come unica superpotenza mondiale. Ma il processo in atto non può riportare verso
la globalizzazione, al modello unipolare. Si tratta di una vera e propria dura
e spietata competizione globale fra i principali blocchi economici; una competizione
globale fra poli geoeconomici e quindi a carattere politico-strategico.
Attualmente per il "superimperialismo" unipolare
statunitense non c’è spazio, non c’è il contesto economico adatto, esiste la
forte concorrenza di altri poli, e la potenza militare USA, per quanto predominante,
non è sufficiente né capace di imporsi, anzi evidenzia maggiormente le contraddizioni
interimperialistiche. Chiarificanti a riguardo sono le palesi difficoltà degli
USA in questi ultimi giorni, sia a carattere militare sia in senso diplomatico
e di dominio geopolitico e geoeconomico. A fronte di un ipotizzato "fronte
unico internazionale contro il terrorismo" sempre più emergono i dissapori,
le diversità, i conflitti tra poli (USA e UE in particolare) e anche con quei
grandi paesi cosiddetti emergenti (vedi Iran, Cina, Russia, Pakistan, India),
che al di là delle iniziali e strumentali posizioni di appoggio non potranno
certo accettare una presenza USA in Eurasia e Centro-Asia a lungo termine con
finalità di controllo geoeconomico e geopolitico.