2. La legislazione attuale
In questo contesto è necessario analizzare le recenti leggi
in Italia in materia di lavoro. Per quanto riguarda il cosiddetto Pacchetto
Treu (Legge 24 giugno 1997, n.196 -“Norme in materia di promozione dell’occupazione”)
si ricorda che con questa legge sono introdotti nuovi istituti come il contratto
di lavoro temporaneo, comunemente chiamato interinale, le borse di lavoro, i
tirocini in azienda e sono cambiati altri già esistenti; il part-time, il
contratto di formazione lavoro, il contratto di apprendistato, i Lavori
Socialmente Utili, la formazione professionale.
Infatti: “Il pacchetto Treu ha sviluppato delle misure a
favore dell’occupazione sulla base di una flessibilità maggiore. La legge del
18 giugno ‘97 introduce alcuni istituti nuovi; il contratto di lavoro
temporaneo, comunemente chiamato interinale, le borse di lavoro, i tirocini in
azienda. Ne modifica altri già esistenti; il part-time, il contratto di
formazione lavoro, il contratto di apprendistato, i lavori socialmente utili, la
formazione professionale.
Il lavoro interinale
Si tratta di una forma di lavoro temporaneo gestito da
agenzie autorizzate.
Il caso più classico in cui un’azienda può aver bisogno
di personale temporaneo è per la sostituzione di lavoratori in malattia, o
comunque assenti. Un’industria può però aver bisogno di fornitura di
personale anche per far fronte a picchi produttivi.
Le agenzie
Le agenzie di lavoro interinale hanno la funzione di reperire, selezionare,
formare ed assumere personale per le aziende-clienti.
Il contratto di formazione lavoro
Il contratto di formazione lavoro viene introdotto dalla
legge n. 863/84, e successivamente modificato dalla legge n. 451/1994.
L’obiettivo è di agevolare l’ingresso dei giovani nel
mercato del lavoro attraverso la concessione di particolari benefici alle
aziende che assumono.
La legge 451 ha introdotto diversi tipi di contratto:
- contratti di formazione mirati all’acquisizione di
professionalità intermedie ed elevate.
- contratti di formazione lavoro che agevolino l’inserimento
professionale attraverso un’esperienza lavorativa che consenta di adeguare
le capacità professionali al contesto produttivo.
Riduzione degli orari di lavoro e lavoro a tempo parziale
Incentivare la riduzione degli orari di lavoro è uno degli
obiettivi del ‘pacchetto Treu’, per consentire un allargamento dell’occupazione
e dare maggiore flessibilità al mercato.
I lavori socialmente utili
I lavori socialmente utili (LSU), attivati dal legislatore
come formula di impiego per i lavoratori in cassa integrazione straordinaria e
in mobilità, hanno incontrato un largo successo come strumento di reinserimento
o inserimento nel mercato del lavoro. Lo scopo:
- fornire un sostegno, anche se parziale, al reddito di
alcune fasce di disoccupati;
- contribuire alla creazione di nuova occupazione rivolta a
chi è uscito dal mondo del lavoro, attraverso la realizzazione di progetti
validi;
- dare un contributo per il miglioramento o la creazione di
servizi per la comunità.
Le borse di lavoro
Uno strumento a favore dei giovani inoccupati del
mezzogiorno, garantito da un piano straordinario di investimento rivolto in
particolare alle piccole e medie imprese.
Il piano finanzia due strumenti: oltre alle borse lavoro,
anche i lavori di pubblica utilità, che hanno come scopo la nascita di società
miste a maggioranza privata a partire dalle pubbliche amministrazioni.
Aree di intervento:
Territori delle regioni Sardegna, Sicilia, Calabria,
Campania, Basilicata, puglia, Abruzzo e Molise.
L’apprendistato
Il contratto di apprendistato è una delle più antiche
formule di avviamento al lavoro. Il suo obiettivo è fare in modo che i giovani
possano imparare un mestiere attraverso la pratica.
I contratti a termine
In passato, in caso di prosecuzione di un rapporto a termine
oltre il limite stabilito, il contratto si trasformava automaticamente in
contratto a tempo indeterminato.
La nuova disciplina è più elastica, ma le sanzioni
economiche sono più pesanti. Non c’è più la trasformazione automatica in
contratto a tempo indeterminato, ma è previsto un periodo di tolleranza,
durante il quale vengono applicati aggravi retributivi a carico del datore di
lavoro [1].
Vi è poi la legge 848, approvata definitivamente nel
febbraio 2003 i cui contenuti principali si possono così riassumere:
“Collocamento
Il disegno di legge 848 sul mercato dà delega al Governo per
il riordino del collocamento. È previsto in particolare che soggetti privati,
comprese le agenzie di lavoro interinale, possano svolgere servizi di
collocamento e orientamento al mercato del lavoro.
Outsourcing
È modificata la disciplina del trasferimento del ramo d’azienda.
Si elimina il requisito dell’autonomia funzionale per autorizzare l’outsourcing.
Quando la norma sarà esecutiva, singoli uffici o reparti, persino singoli
macchinari, naturalmente con i lavoratori annessi, potranno essere
esternalizzati. Potranno nascere, all’interno dello stesso perimetro
aziendale, tante singole imprese sotto i quindici dipendenti, i cui lavoratori
non saranno coperti dallo Statuto e, in generale, avranno meno tutele.
Staff leasing
La legge 1369/60, che vietava la somministrazione di
manodopera, è abolita e si introduce il cosiddetto “staff leasing”. Un
istituto che prevede che agenzie specializzate possano fornire manodopera a
carattere continuativo e a tempo indeterminato, e dunque non solo a termine come
nel caso del lavoro in affitto.In futuro tutti i lavoratori di un’azienda
potrebbero essere dipendenti di un’agenzia di lavoro interinale.
Tipologie di lavoro
Si introducono:
a) Il lavoro a chiamata. Il lavoratore, in cambio di un’indennità
di disponibilità, deve dichiararsi pronto ad effettuare una prestazione
lavorativa in qualsiasi momento l’azienda lo chiami.
b) Il lavoro accessorio. Il lavoratore svolge prestazioni
per lo più assistenziali a vantaggio di famiglie o enti senza fini di lucro.
c) Il lavoro a prestazioni ripartite o job-sharing. Una
prestazione lavorativa può essere svolta da due lavoratori.
Part time
Le modifiche introdotte nella delega rendono più facile il
ricorso al lavoro supplementare (straordinario) e spostano l’equilibrio a
vantaggio del datore di lavoro.
Contratti di formazione
È previsto il mantenimento dei due contratti, apprendistato
e contratto di formazione lavoro, pur in presenza della bocciatura di quest’ultimo
da parte dell’Unione Europea.
Certificazione dei rapporti di lavoro
La certificazione dei rapporti di lavoro viene affidata agli
Enti bilaterali.
Più in generale, il governo dichiara esplicitamente di voler
assegnare agli Enti bilaterali una serie di competenze in materia di
collocamento, di ammortizzatori sociali, di formazione, attraverso anche forme
di incentivazione economica” [2].
Vi è poi “La legge di delega sul mercato del lavoro (n.
30/2003)”
Va in primo luogo segnalato che, in connessione col “Patto
per l’Italia” siglato nel luglio del 2002, il progetto di legge inizialmente
presentato dal Governo, è stato sdoppiato con lo stralcio degli articoli
riguardanti la riforma degli incentivi all’occupazione, quella degli
ammortizzatori sociali, la sperimentazione sull’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, che sono divenuti parte di un nuovo progetto di legge delega (AS 848
bis).
“La legge definitivamente approvata contiene all’articolo
1 una delega per una nuova disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego,
nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella
somministrazione di lavoro... Si prefigura, in primo luogo, una convergenza tra
i mercati (finora separati) della fornitura di lavoro temporaneo e dell’intermediazione
privata ed un raccordo di quest’ultima con quella pubblica (che a sua volta
può essere esercitata da operatori pubblici o, su convenzione, da operatori
privati)... L’articolo 2 contiene una delega per il riordino dei contratti a
contenuto formativo e di tirocinio, che prende atto da un lato dell’incompleta
transizione del contratto di apprendistato verso modelli mitteleuropei di
integrazione con il sistema di istruzione e formazione, dall’altra delle
difficoltà insorte a seguito della dichiarazione di contrarietà di gran parte
degli sgravi legati ai contratti di formazione e lavoro in relazione alle norme
comunitarie sugli aiuti di Stato. Il percorso tracciato dal legislatore prevede
quindi la necessità di declinare diversamente i due strumenti, con l’apprendistato
connesso col sistema di istruzione/formazione e destinato ai più giovani, ed il
contratto di formazione e lavoro destinato ad evolversi in un contratto di
inserimento e reinserimento mirato del lavoratore in azienda, nel rispetto della
normativa comunitaria. ...Una ulteriore delega è prevista, dall’art. 3, in
relazione al lavoro a tempo parziale, la cui diffusione nel nostro Paese è
ancora caratterizzata da alcune difficoltà strutturali, ma la cui espansione
assume una rilevanza notevole (come afferma la medesima legge) per l’innalzamento
del tasso di partecipazione delle donne e dei lavoratori anziani al mercato del
lavoro. La delega contiene fra i criteri alcuni elementi volti da una parte ad
aumentare i margini di flessibilità nei tempi e modi di prestazione dell’attività
lavorativa a tempo parziale, dall’altra ad incentivarne l’utilizzo... La
delega contenuta nell’art. 4 è volta a prevedere una nuova disciplina in
relazione a contratti ancora non regolati (o non adeguatamente regolati) dalla
nostra normativa. È il caso in primo luogo dei contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, in relazione ai quali permane il problema di trovare
un discrimine più netto nei confronti da una parte del lavoro subordinato e
dall’altro dell’attività di lavoro autonomo in senso proprio... La legge
definitivamente approvata contiene all’articolo 1 una delega per una nuova
disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di
intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro. ...Sempre
in tema di lavoro temporaneo va inoltre citata la prevista piena estensione dell’istituto
al settore agricolo” [3].
3. La situazione attuale del mercato del lavoro
Per comprendere il fenomeno è necessario dapprima stabilire
le principali caratteristiche del lavoro standard, cioè:
• l’orario previsto è a tempo pieno;
• l’assunzione per i lavoratori dipendenti, e l’inizio
dell’attività autonoma per gli indipendenti, hanno tempo e luogo
determinati;
• vi è una marcata diversità di posizione e di ruolo
tra chi lavora come dipendente e chi invece lavora come indipendente.
Nel lavoro atipico spariscono l’una, l’altra o tutte e
tre questi aspetti.
Facendo ricorso alla letteratura sul lavoro atipico si
possono trovare diverse definizioni, come ad esempio, il lavoro atipico si
caratterizza:
1. per diversità dal lavoro standard, come un rapporto d’impiego
in cui manca una o più caratteristiche del rapporto subordinato a tempo
pieno, l’integrazione organizzativa nell’azienda, l’obbligazione al
tempo indeterminato, il regime costante della prestazione, l’esclusività
del rapporto e l’offerta della disponibilità temporale;
2. come una prestazione di lavoro, la cui caratteristica
fondamentale è la mancanza o la insufficienza di tutela normativa e
contrattuale. Nell’area del lavoro atipico rientrerebbero, cioè, tutte
quelle forme di lavoro con modalità di prestazione del lavoro diverse da un
modello standard, cioè alle dipendenze, con garanzie normative e
contrattuali, a tempo indeterminato e full-time.
Quasi il 25% dell’occupazione italiana è a carattere
indipendente, contro una media europea del 15%; ciò a conferma di un modello
mediterraneo, rappresentato da Spagna ed Italia, nel quale la percentuale del
lavoro indipendente sull’occupazione complessiva è maggiore del 20%.
Forme di lavoro autonomo sono presenti soprattutto nei
settori del terziario, da quello povero a quello medio-basso e nelle attività
precario stagionali in agricoltura e turismo, nei trasporti e telecomunicazioni.
È poi presente una forma tutta italiana di esternalizzazione
dei servizi: il subappalto a cooperative.
La diminuzione dei posti fissi e stabili si collega non solo
ad una maggiore precarizzazione, ma anche all’affermarsi di attività che non
dipendono più dell’organizzazione aziendale.
Negli ultimi due o tre anni è emersa la crescita dei
lavoratori coordinati e continuativi. Ad esempio a gennaio ‘97
risultavano iscritti al fondo 822,892 collaboratori mentre già a febbraio 1998
si è registrato un incremento del 35,5%. Il numero di maschi iscritti è
superiore a quello di femmine (attualmente circa il 63% contro il 37%) e la
percentuale cresce più si va verso il centro-sud.
È difficile quantificare il lavoro sommerso proprio per la
particolarità di questo fenomeno.
Le indagini dell’Istat quantificano il lavoro ‘sommerso’,
ossia il lavoro impiegato in violazione della legge, con valori pari al 15,1 per
cento del totale nazionale, con una punta del 22,6 per cento nel Mezzogiorno.
Nelle regioni centrali la percentuale di ‘sommerso’
corrisponde al 15,2 per cento, nel Nordovest è dell’11,1 per cento e nel
Nordest del 10,9 per cento. La regione con il maggiore tasso di irregolarità è
la Calabria (27,8 per cento) e quella con il livello più basso l’
Emilia-Romagna (10,4) [4].
I dati presentati di seguito mostrano il mercato del lavoro
nel nostro Paese, dati che ci permetteranno di esaminare se le nuove norme siano
realmente “efficaci”.
Segue uno schema che indica gli occupati suddivisi per
settori di attività economica negli anni tra il 1997 e il 2002.

È interessante ora mostrare i dati rilevati dall’ISTAT
sulla situazione occupazionale in Italia con riferimento a gennaio 2003
suddivisi per tipo di occupazione (dipendenti e indipendenti).
L’indagine trimestrale delle forze di lavoro di gennaio
2003 ha evidenziato un rallentamento dell’aumento dell’occupazione rispetto
alla rilevazione precedente. L’aumento, infatti, è risultato, rispetto ai
dodici mesi precedenti, pari a un +0,8%.
Sul piano settoriale e su base annua, si registra una
riduzione nell’agricoltura (-2,3%) così come una diminuzione dello sviluppo
dell’industria in senso stretto (+0,2%). Anche il settore dei servizi hanno un
leggero rallentamento (+0,9%) effetto della riduzione avuta nel commercio
(-0,2%).

Tra le componenti dell’occupazione, va è una minima
crescita dell’occupazione indipendente (0,3%), rispetto ai dodici mesi prima,
e di pari passo vi è una diminuzione dell’occupazione dipendente, che aumenta
solo dell’1%. Va evidenziato poi che vi è un aumento dell’occupazione
atipica (a termine e/o a tempo parziale) (+2,4%), anche se molto rallentata
rispetto all’ottobre 2002, a fronte di un aumento dell’occupazione standard
dello +0,8%
Sul piano territoriale nel sud d’Italia diminuisce l’occupazione
(-0,6% rispetto a gennaio 2002) ed anche l’offerta di lavoro (0,9%) [5].
In ultima analisi continua la tendenza dell’assetto
produttivo alla terziarizzazione, accompagnata oltre che da un evidente
diminuito peso dell’agricoltura anche da più o meno evidenti processi di
deindustrializzazione.
La trasformazione della geografia dello sviluppo, in
Italia, avvenuta in particolare negli ultimi due decenni, è dovuta,
oltre che ad un intenso processo di terziarizzazione, anche ad una diversa
connotazione sia quantitativa sia, soprattutto, qualitativa delle attività
produttive di una fabbrica sociale generalizzata che
attraverso la flessibilità aziendale determina forti processi di
ridefinizione, specializzazione e diversificazione, attuando così un’imposizione
ad un adattamento attivo dei nuovi soggetti del lavoro e del non lavoro alla sua
tipologia e cultura organizzativa.
Gli stessi incrementi di imprenditorialità che emergono dai
dati ufficiali sono causati soprattutto dallo spropositato aumento, ad esempio
in Italia, di “partite IVA”. Queste nuove figure del mondo del lavoro ormai
superano ampiamente i sette milioni di iscrizioni, e altro non sono che “ditte
individuali”, le quali rappresentano il cosiddetto lavoro autonomo di ultima
generazione. Si tratta nella maggior parte dei casi di ex lavoratori dipendenti
di fatto precarizzati, non più garantiti nella continuità del lavoro, espulsi
dall’impresa madre e assoggettati a una nuova forma di lavoro a cottimo, fuori
dalle garanzie normative e retribuite del lavoro dipendente. Dietro l’illusione
del “fai da te”, dell’”autoimprenditorialità”, della libertà
economico-sociale derivante dell’autocelebrazione del farsi “imprenditori di
se stessi”, troviamo sempre una nuova forma di lavoro subordinato, privo di
normativa, un supersfruttamento a cottimo, con la mancanza assoluta di garanzie
sociali a causa della mancanza di coperture assicurative (sanità, pensione,
infortunistica, assistenza varia).
Ma dietro il tanto decantato sviluppo dell’imprenditorialità
locale, l’esplosione del “popolo degli imprenditori”, che è semplicemente
lavoro parasubordinato, cioè lavoro autonomo di seconda generazione, altro non
c’è che un capitalismo selvaggio che crea falsi miti al fine di nascondere le
proprie contraddizioni. Si provocano, così, incrementi notevoli di
disoccupazione palese e invisibile, precarizzazione del lavoro, negazione delle
garanzie sociali e delle regole elementari del diritto del lavoro, in un
territorio che si fa fabbrica sociale, in quanto luogo di sperimentazione e
affermazione delle compatibilità d’impresa.
La tabella 1 evidenzia per il 1998 l’incidenza del lavoro
atipico sull’occupazione; è interessante sottolineare come i valori
percentuali siano sempre molto alti per le donne rispetto agli uomini; in
particolare si veda ad esempio il lavoro part-time (a fronte di un 3,4% per gli
uomini vi è un 14% per le donne).

Nel corso degli ultimi anni, la composizione occupazionale ha
visto una diminuzione del lavoro standard; infatti tra il 1994 e il 1999 i
lavoratori a tempo indeterminato sono diminuiti dell’1,5%, costituendo, nel
1999, quasi i due terzi (61,1%) dei lavoratori; vi è stata poi una forte
crescita del lavoro dipendente atipico (tra il 1994 e 1999 è cresciuto del
43,9%, anche per l’aumento del part time (+42,6%) e del lavoro temporaneo
(+44,6%). (cfr. Tab. 2)

Nel 1999 si è avuta una crescita del numero dei lavoratori
regolari dell’1,3%, del 9,4% per il part time, del 12,9% per il lavoro
temporaneo e del 13,9% del lavoro parasubordinato (cfr. Tab. 3)

La tendenza avuta nel 1998 si conferma anche per il 1999: il
lavoro part time femminile raggiunge il 15,6%; il parasubordinato il 10,5%,
mentre quello a tempo determinato sempre femminile l’8,9%.

Nel 2000 gli occupati flessibili hanno rappresentato
il 13.7% delle forze lavoro. Il tasso di crescita annuale dei lavoratori
part-time è stato del 13,5%, con un aumento dell’occupazione complessiva dell’1,5%
e dello 0,5% per il lavoro a tempo pieno. I lavoratori a termine nell’aprile
2000 erano più di un milione e mezzo, ossia circa il 10% degli occupati.
Nel 2001 il peso del lavoro a tempo parziale per le donne è
stato del 16,6 per cento, con una crescita di 5,4 punti rispetto al ‘93. Per
gli uomini, invece, il lavoro part-time è stato del 3,5 per cento con una
incidenza doppia al Sud.
Negli anni che vanno dal 1997 al 2002 gli occupati part-time
alle dipendenze aumentano in percentuale del 36%. Tale forma ha interessato in
maggioranza le donne, infatti su 1.870.000 unità di lavoratori part -time nel
2002, il 75% è rappresentato da donne.
Sempre negli anni tra 1997 e il 2002, il lavoro standard, è
diminuito dall’87,7% al 83,9%. (cfr. Tab.)



[1] Cfr. http://www.myline.it/cgilkr/testi/pacchettotreu.htm
[2] Cfr.
http://www.rassegna.it/2002/lavoro/articoli/848/scheda.htm
[3] Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, Rapporto 2003, Monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro,
aprile 2003.
[4] Cfr.www.istat.it; Istat, “Lavoro flessibile e meno
tutelato”, 24 maggio 2002.
[5] Cfr.
Ministero del Lavoro 26 marzo 2003.