Risorse energetiche e controllo geopolitico.Il Grande Gioco nell’Asia centrale
Sergio Cararo
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7. La competizione energetica e geopolitica in Asia Centrale
Quali sono i problemi che fino ad oggi hanno ostacolato il
progetto di penetrazione e controllo statunitense degli snodi strategici
euroasiatici? E come si stanno modificando i rapporti di forza nella regione a
seguito della guerra?
1) I rapporti tra Stati Uniti e Russia. Alla fine del
’99 veniva pensionato Eltsin e saliva al potere Putin. Con lui è tornata al
potere anche una nuova forma di percezione degli interessi
"strategici" russi. Sostenuto dai boss delle società petrolifere e
del gas, Putin ha avviato una politica più "aggressiva" sulle
repubbliche ex sovietiche tesa ad impedire che la Russia venga tagliata fuori
dalle rotte del petrolio che continua a rappresentare il 70% dell’export russo.
Indicativa è la recente notizia dell’inaugurazione della pipeline tra
Kazachistan e il terminale russo di Novorossik e quella di una joint venture tra
Russia e Kazachistan per la fornitura di gas kazaco alla Russia che sarebbe in
dirittura d’arrivo. La sua commercializzazione verrebbe quindi affidata alle
infrastrutture russe capaci di arrivare anche sui terminali di sbocco. In questi
mesi le relazioni tra Stati Uniti e Russia sembrano essere migliorate. Se su
alcuni temi dell’agenda bilaterale come lo Scudo antimissili e l’estensione
della NATo alle repubbliche baltiche non c’è ancora intesa, alcuni osservatori
sostengono che sul business petrolifero stiano invece crescendo accordi e
cooperazione strategica. Il segretario americano all’energia Spencer Abraham ha
partecipato all’inaugurazione della pipeline kazaco-russa che, secondo il Sole
24 Ore, "rappresenta una vittoria della Russia" dopo aver
rappresentato negli anni novanta una sfida contro il tentativo degli USA e della
Turchia di togliergli il controllo dei flussi petroliferi e di gas dell’area. In
cambio di questa sconfitta della strategia politico-energetica seguita deagli
USA, la Russia ha ignorato le richieste dell’OPEC di tagliare la produzione per
far risalire i prezzi del petrolio. L’amministrazione statunitense ha dichiarato
di aver "molto apprezzato" la scelta russa [1].
2) Le relazioni tra Stati Uniti e Cina. A luglio 2001,
Russia e Cina avevano raggiunto un importante trattato della durata di 20 anni.
Era il "Trattato di buon vicinato, amicizia e cooperazione tra la
Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese". Il trattato parla di
"partnership strategica per far fronte alla crescente egemonia
americana".Quasi contemporaneamente anche l’India ha siglato un accordo
militare-commerciale con la Russia per 10 miliardi di dollari. È abbastanza
chiaro come queste iniziative nuocessero profondamente agli interessi strategici
americani in Asia Centrale. Cogliendo l’occasione della guerra in Afganistan,
tra Stati Uniti e Cina è iniziato un linkage a più facce.
A ottobre, al vertice dell’APEC di Shangai, la Cina aveva
fatto gli onori di casa consentendo agli Stati Uniti di "incassare" un
documento politico (contro il terrorismo) in una sede dove storicamente si parla
solo di problemi economici. La Cina si è schierata con la coalizione
internazionale contro il terrorismo architettata da Washington per legittimare
la "guerra infinita" e l’aggressione all’Afganistan. In compenso ha
ottenuto due risultati: uno è molto simile a quello portato a casa dalla Russia
sulla Cecenia ossia il placet americano ed occidentale per le
soluzioni di forza contro i secessionisti musulmani nello Xinkiang (i cinesi lo
definiscono Turkestan orientale). "Anche la Cina è vittima del
terrorismo" ha detto il ministro degli esteri cinese Tang Jiaxuan "il
gruppo del Turkestan orientale è certamente un’organizzazione terroristica e
colpirla è parte della lotta contro il terrorismo".
L’altro risultato, forse ancora più ambìto, è che Bush ha
fatto propria - almeno in questa fase - la dottrina de "Una sola
Cina", dottrina con cui la Repubblica Popolare Cinese nega da sempre
l’esistenza della Repubblica Cinese di Taiwan. Alla luce di quanto avvenuto nei
mesi scorsi tra Cina e Stati Uniti, questo non è certamente un
dettaglio [2].
3) Competizione a tutto campo tra le multinazionali
petrolifere.
Nella competizione senza esclusioni di colpi in corso da anni
nell’Asia centrale, anche l’Italia, tramite l’ENI, ha cominciato a manifestare
ambizioni di grandezza nell’area.
L’ENI, ha recentemente soffiato alle compagnie USA
(Exxon-Mobil) il contratto sugli immensi giacimenti di Kachagan, in Kazachistan.
Ha inoltre siglato un supercontratto con la Russia sul giacimento di Astrakan.
L’ENI ha avviato il gasdotto sottomarino Bluestream in collaborazione con la
Russia. Questo gasdotto, che porterà dalla Russia il gas in Turchia, rimette in
gioco Mosca e, nei fatti, rende obsoleto il progetto Baku-Ceyhan sul quale
l’amministrazione USA aveva riposto molte aspettative. Nel 1998 gli USA avevano
dichiarato apertamente la loro opposizione al progetto Blue Stream e nel corso
del 2000 hanno fatto pressione sui parlamentari turchi affinchè non
approvassero il progetto, ma il pressing si è rivelato inutile.
Infine, ENI e TotalFinaElf stanno "dilagando" in
Iran firmando contratti e concessioni miliardarie sui giacimenti di South Pars
approfittando dell’assenza USA dovuta all’embargo contro Teheran. Emergono
indiscrezioni su telefonate di fuoco tra l’Albright prima e Powell poi verso le
autorità italiane. Contatti e preparativi fervono anche con l’Iraq suscitando
anche qui l’ira degli Stati Uniti. "Le divergenze con l’Europa in merito
all’Iran e all’Iraq sono state considerate dagli Stati Uniti non come una
questione tra pari, bensì come una manifestazione di insubordinazione"
è stato il commento perentorio di Brzezinski. Le vecchie ingerenze di una volta
dunque non avevano funzionato.
Lo scontro per il controllo delle riserve energetiche è
ormai decisivo e frontale. In gioco ci sono le prospettive di tenuta e sviluppo
delle principali economie capitaliste ed innanzitutto di quella statunitense,
che dell’energia a basso costo ha fatto uno dei suoi pilastri. Ma la partita per
le risorse energetiche è ancora più complessa e vitale per gli interessi
strategici. Su questo ci sono in circolazione analisi tecniche, economiche e
politiche molto dettagliate [3].
4)Alleanza e rottura con i taliban e i sauditi.
In questi anni, più di qualche osservatore ha documentato
gli stretti rapporti tra gli Stati Uniti, i sauditi e il regime dei taliban in
Afganistan. L’interesse comune era rappresentato dal progetto di
oleodotto/gasdotto dal Turkmenistan a Gwandar in Pakistan attarverso
l’Afganistan. Su questo progetto convergevano la compagnia americana Unocal e
quella saudita Delta Oil. "Nonostanti si ostini a negarlo, Washington
appoggia completamente questo progetto... Non appena la città (Kabul, NdR) è
caduta in mano ai talebani, il Dipartimento di Stato ha pubblicato un documento
in cui giudica "positiva" la loro vittoria e annuncia l’invio di una
delegazione ufficiale a Kabul" scriveva cinque anni fa Le Monde
Diplomatique [4].
Ma l’accordo tra la compagnia statunitense Unocal, quella
saudita Delta Oil e il regime dei Taliban per la pipelines attraverso
l’Afganistan, è poi saltato. Alcuni dicono perché non è stato raggiunto
l’accordo per le royalties sull’oledotto-gasdotto. Altri perché i sauditi
avrebbero voluto gestire interamente l’operazione (è questo lo zampino di Bin
Laden che ha fatto imbufalire definitivamente gli americani?).
Nell’agosto del 1998 gli USA lanciarono dei missili
sull’Afganistan come rappresaglia per gli attentati alle ambasciate in Kenya e
Tanzania. Ma l’Unocal abbandonerà il progetto e l’Afganistan solo quattro mesi
dopo, nel dicembre 1998. In compenso, il "neo-presidente" afgano
Kirzai, un pashtun nominato come nuovo leader del paese dalla recente conferenza
di Bonn, era ed è ancora un consigliere sul libro paga della Unocal.
8. L’Afganistan nel "Grande Gioco" euroasiatico
L’Afganistan, pur essendo un paese povero e inospitale, è
collocato geopoliticamente al posto giusto per consentire agli Stati Uniti di
entrare di forza e direttamente nel "Grande Gioco sull’Eurasia".
"In virtù della sua ubicazione geografica,
l’Afganistan ha sempre giocato un ruolo importante nella stabilità regionale ed
è stato frequentemente al centro dell’attenzione delle grandi potenze" sostiene
il Ten. Col. Lester W. Grau uno dei maggiori esperti militari americani della
regione. [5]
La campagna contro il terrorismo islamico si rivela a tale
scopo pienamente calzante.
"Anche una possibile sfida del fondamentalismo islamico
al primato americano potrebbe essere parte del problema in una regione
contrassegnata dall’instabilità. Facendo leva su una condanna religiosa dello
stile di vita americano e approfittando del conflitto arabo-israliano potrebbe
provocare in Medio Oriente la crisi di più di un governo filo-occidentale, in
definitiva compromettere gli interessi dell’America in quella regione,
soprattutto nel Golfo Persico.
Fermo restando che, senza coesione politica e in assenza di
uno Stato islamico, forte nel vero senso della parola, una sfida da parte del
fondamentalismo islamico sarebbe priva di un centro geopolitico e rischierebbe,
pertanto, di esprimersi soprattutto attraverso una violenza diffusa"
scriveva quattro anni fa in modo sospettosamente "profetico"
Brzezinski.
Poteva essere l’Afganistan lo Stato islamico
"forte" in grado di rappresentare il centro geopolitico capace di
compromettere gli interessi degli USA? Alla luce di quanto conosciamo e di
quanto abbiamo visto di questo paese inospitale, povero e devastato da venti
anni di guerre, appare difficile crederci. Eppure la maggiore potenza militare
del mondo si è accanita su di esso in nome della lotta contro il terrorismo e
la minaccia islamica. È evidente come quest’ultima sia talmente indefinibile da
potersi prestare a molte operazioni.
La Russia e la Cina, ad esempio, hanno lo stesso problema in
Cecenia e nel Xinkiang, l’India ce l’ha nel Kashmir, l’Iran aveva persino
minacciato di invadere la parte occidentale dell’Afganistan per proteggere gli
sciiti filo-iraniani sconfitti e decimati dai Taliban. Tutte queste potenze
regionali eurasiatiche non nascondono affatto di sostenere politicamente e
militarmente i mojaheddin dell’Alleanza del Nord contro il regime dei Taliban e
le ambizioni del Pakistan, sostenuti entrambi fino a pochi mesi fa dagli Stati
Uniti.
Per una fase non certo lunga, gli interessi di questi
"competitori" eurasiatici potranno essere cooptati dagli americani.
Per questi ultimi occorre però uscire velocemente e in maniera definitiva dal
rischio di impantanarsi in un lungo conflitto in Afganistan. In tal senso,
occorre concordare con due potenze come Russia e Cina i limiti e gli interessi
comuni nell’area (vedi il vertice APEC di Shangai, ottobre 2001) ma per
Washington diventa urgente e necessario consolidare al più presto la presenza
militare nella regione in un quadro di relativa stabilità.
Installarsi stabilmente in Afganistan e Pakistan, inserirsi
in Uzbekistan e nel gigante eurasiatico del Kazachistan, testare le relazioni
con Turkmenistan e Tagikistan, coronerebbe il progetto strategico degli Stati
Uniti sull’Eurasia.
9. Obiettivo Kazachistan
Il giornale del business russo "Argumenty e fakti",
riporta il 5 dicembre del 2000 che gli Stati Uniti hanno in progetto di
costruire basi militari in Kazachistan, Georgia e Azerbaijan. La prima di queste
tre repubbliche della ex URSS, è la "gallina dalle uova d’oro"
dell’area. Le sue riserve di idrocarburi (petrolio e gas) sono le più grandi di
tutta la regione e le uniche in grado di rendere economicamente vantaggiosi gli
oleodotti.
Sul Kazachistan è già in corso una guerra per
l’accaparramento dei giacimenti che sta mettendo in duro contrasto Stati Uniti,
Russia, Cina e ...Italia.
Alla fine dello scorso anno, la Shell ha perso il ruolo di
"operatore" per il giacimento di Kashagan. Su questo giacimento tra il
dicembre 2000 e il gennaio 2001 rimangono in campo solo l’italiana ENI (già
presente nei giacimenti di Tengiz e Karachaganan) e la francese ELF/TotalFina.
Resta invece tagliata fuori l’americana Exxon/Mobil. Un’altra compagnia
americana - la Chevron/Texaco - è invece presente a Tengiz. Ma la
Chevron/Texaco, di cui è consigliere anche Condoleeza Rice, è anche una rivale
della Exxon/Mobil. Quest’ultima ha finanziato la campagna elettorale di Al Gore,
la sua rivale quella di Bush.
Il 12 febbraio di quest’anno, il governo del Kazachistan ha
firmato la concessione all’ENI per il giacimento di Kashagan e la Exxon/Mobil ha
fatto fuoco e fiamme chiedendo ed ottenendo anche le pressioni sull’Italia da
parte del nuovo Segretario di Stato Colin Powell.
Non solo, il governo del Kazachistan, annunciava che entro il
2001 sarebbe entrata in funzione la pipelines tra Tengiz e Novorossik ossia
quella preferita dalla Russia e sabotata dai secessionisti ceceni. I progetti
statunitensi subiscono così un altro duro colpo.
Chi metterà le mani sul Kazachistan, metterà le mani sulle
riserve energetiche, sulla seconda repubblica della ex URSS, su una regione che
confina direttamente con la Russia e la Cina... stringerà in pugno il cuore
dell’Eurasia.

10. Nell’area del Mar Caspio la guerra già c’era
La zona del Caspio, negli anni novanta è costellata da
conflitti. All’interno delle singole repubbliche e nelle relazioni tra le varie
repubbliche, esistono da tempo tensioni e conflitti fino ad oggi valutati come
di "bassa intensità".
Il 23 luglio di quest’anno, alcune navi della marina militare
iraniana nel Mar Caspio, hanno minacciati e fatto allontanare due navi per le
prospezioni petrolifere dell’Azerbaijan con a bordo tecnici della compagni
Anglo-americana BP/Amoco.
Qualche giorno dopo, il governo del Turkmenistan ha accusato
l’Azerbaijan di sfruttare giacimenti nel Mar Caspio di cui il Turkmenistan
rivendica la sovranità.
La questione irrisolta dello status delle acque Mar Caspio,
sta alimentando una’aspra conflittualità tra le repubbliche che vi si
affacciano.
Secondo alcuni osservatori la Chevron/Texaco intenderebbe
ritirarsi dall’Azerbaijan perché non sarebbe più conveniente ed anche l’ENI
avrebbe sospeso le trivellazioni.
Come abbiamo visto sembra per ora in liquidazione il progetto
di pipeline tra Baku (Azerbaijan) e Ceyhan (Turchia) fortemente voluta
dall’amministrazione USA ed a cui molte compagnie anglo-americane avevano
aderito con grande riluttanza. I costi di questa pipeline sarebbero già
lievitati da 2 a 3 miliardi di dollari. Se, a quanto pare, non si riuscirà ad
agganciare a questo progetto di olodeotto il petrolio del Kazachistan, la
pipeline Baku-Ceyhan dovrà essere definitivamente abbandonata perché
diseconomica e il progetto azero-statunitense subirebbe la sconfitta strategica
di cui parlavamo in precedenza.
L’Uzbekistan da almeno sei anni si è apertamente schierato
con gli Stati Uniti. Il Turkmenistan si barcamena e si è detto neutrale nella
campagna contro l’Afganistan. Ma entrambi questi paesi hanno il problema di come
far arrivare ai mercati di sbocco le loro riserve di gas e petrolio. Sul piano
economico resterebbe più vantaggiosa l’opzione russa, su quello politico per
ora è fallita la "via afgana" sostenuta dagli Stati Uniti e imposta
con il controllo sul territorio dei Talebani.
L’amministrazione USA ha deciso dunque di dare una
"spallata" per entrare decisamente in campo nella regione.
L’Afganistan è la prima sperimentazione diretta degli USA
per arrivare ad inserirsi in modo permamente nel "cuore" dell’Eurasia.
L’ ammissione del segretario alla Difesa Rumsfeld sull’obiettivo della
costruzione di una base militare in Afganistan conferma tale chiave di lettura.
Anche alla fine della guerra del Golfo, una volta diradata la polvere della
guerra, sono rimaste nell’area - dove prima non c’erano - tre grandi basi
militari: in Arabia Saudita, in Kuwait e in Oman.
Camp Bondsteel in Kossovo e Camp Rhino in Afganistan
vorrebbero rappresentare le due "fortezze" estreme per il controllo
del Grande Corridoio nr.8, un corridoio che corre da Est a Ovest seguendo la
"Via della Seta". In mezzo ci sono paesi alleati come Turchia,
Georgia, Azerbajian, Uzbekistan, c’è il cuore dell’Eurasia e, secondo i
geopolitici... c’è il dominio del mondo.
È evidente come gli Stati Uniti se intendono mantenere e
rafforzare la loro egemonia mondiale non possono che intervenire stabilmente in
Eurasia. Tutti i rischi indicati dal Rapporto Wolfowitz nel 1992 e più
recentemente da Brzezinski, si stavano presentando tutti: emersione di potenze
rivali in competizione con gli USA, perdurante assenza dallo scacchiere
eurasiatico, fallimento del progetto di tagliare fuori dalle rotte strategiche
Russia, Iran ma anche la Cina. Un quadro aggravato dalla possibilità che alcuni
dei più importanti paesi petroliferi del Medio Oriente comincino tra pochi mesi
ad adottare l’euro piuttosto che il dollaro per le loro transazioni
internazionali. Impedire tutto questo è probabilmente una parte della vera
posta in gioco di questa guerra.
[1] Piero Sinatti: "E nel
gioco del petrolio Russia e USA sono alleati", Sole 24 Ore del 4 dicembre
2001.
[2] Intervista del ministro degli esteri cinese Tang Jiaxuan su "La
Stampa" del 24 novembre.
[3] Tra le altre, segnaliamo i preziosi e allarmanti
contributi di Alberto Di Fazio su "Contro le nuove guerre", edizioni
Odradek che raccoglie le relazioni al convegno degli Scienziati e scienziate
contro la guerra tenutosi al Politecnico di Torino nel giugno del 2000. Una
sintesi della relazione di Di Fazio è disponibile anche sull’inserto di
Contropiano del febbraio 2001.
[4] Olivier Roy: "Sharia e gasdotto, la ricetta dei
talebani" in Le Monde Diplomatique, novembre 1996.
[5] Military Review, US Army, settembre 2001.