2. Sviluppo delle Piccole e Medie Imprese in Europa
1. Le piccole e medie imprese svolgono all’interno
dell’Europa un ruolo fondamentale nell’offerta di prima occupazione in quanto
sono molto importanti sia nella formazione sia nell’assorbimento di manodopera
meno qualificata e più debole (donne, giovani, ecc.). Le PMI infatti assorbono
il 70% circa dell’occupazione comunitaria (di cui 30% per imprese con meno di
10 addetti) e il 70% circa del fatturato dell’UE; inoltre forniscono un valore
aggiunto tra il 65 e l’85% (calcolato per i paesi di cui si hanno a disposizione
i dati). Per questo motivo la tendenza alla diminuzione sempre più accentuata
del numero delle PMI in Europa è un altro tra i fattori che incidono nell’aumento
della disoccupazione totale.
2. Va ricordato che non essendovi un criterio univoco
di identificazione delle PMI per i paesi europei si è giunti ad accettare i
canoni adottati dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI). In particolare
vengono considerate Piccole e Medie Imprese le strutture che abbiano un numero
di addetti inferiore a 500, una partecipazione al proprio capitale da parte
di una grande impresa non superiore a un terzo ed infine un immobilizzo netto
di capitale non superiore a 75 milioni di ECU.
Con questi criteri però si può giungere ad analisi errate in
quanto i criteri per qualificare le PMI sono forse eccessivi. Ne è prova il
fatto che con queste definizioni le PMI costituiscono il 95% circa del totale
delle imprese nell’UE con un’occupazione pari al 75% nei servizi e al 60% nell’industria.
Nel 1991 si è cercato di rimediare a questa situazione con
il “Documento di lavoro” sugli aiuti di Stato alle Piccole e Medie Industrie
(stabilito dalla Comunità): in base a questo documento infatti per avere un
aiuto le PMI devono soddisfare a questi criteri:
a) un fatturato non superiore a 20 milioni di ECU
b) un numero di addetti non superiore a 250
c) una partecipazione al proprio capitale non superiore ad
un terzo da parte di una impresa di grandi dimensioni.
Ed ancora: per distinguere tra piccole e medie imprese si definisce
piccola l’impresa che:
a) ha un fatturato non superiore a 5 milioni di ECU
b) ha meno di 50 addetti
c) è di proprietà di una grande impresa per non più di un terzo.
Va ricordato comunque che le PMI, pur riscontrando problemi
nella complessità degli adempimenti amministrativi e giuridici e dalla difficoltà
di ottenere finanziamenti, sono presenti in attività meno sensibili alla concorrenza
internazionale, nel settore dei servizi e presentano un accentuato sviluppo
in tecnologie innovative. Inoltre godono anche di una maggiore flessibilità,
offrendo lavoro spesso ad alto contenuto di precarizzazione, grazie alla maggiore
occupazione di giovani e donne e ad una migliore organizzazione interna.
Già dalle delibere in materia della Comunità Europea si è data
una notevole importanza allo sviluppo delle piccole e medie imprese; il Consiglio
dei Ministri della Comunità già sosteneva, infatti, che “Le piccole e medie
imprese siano in grado di contribuire notevolmente al processo innovativo e
che esse dovrebbero svolgere una funzione importante nell’attuazione delle azioni
comunitarie di ricerca e sviluppo tecnologico, contribuendo così a migliorare
la competitività dell’industria su basi più vaste; che pertanto si deve riservare
una maggiore attenzione alle specifiche esigenze di tali imprese” [1].
Dal momento che le PMI rispetto alle grandi imprese incontrano
problemi nella difficoltà di riconversione e modifica dei processi produttivi,
difficoltà nell’accesso ai finanziamenti e limitate capacità imprenditoriali
e manageriali, la Comunità Europea ha sempre previsto alcune agevolazioni per
promuovere lo sviluppo delle PMI.
Tra gli strumenti finanziari più importanti, vi è il Fondo
Sociale Europeo, che ha come scopo istituzionale quello di combattere la disoccupazione,
promuovere le pari opportunità nel mercato del lavoro, favorire la creazione
di nuovi posti di lavoro e rafforzare la formazione dei lavoratori. Vi è anche
la Banca Europea per gli Investimenti che, nata nel 1958, è un ente finanziario
che concede prestiti a lungo termine per promuovere lo sviluppo delle regioni
meno favorite dell’Europa e lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria, del
commercio, dell’ambiente. La BEI concede, ad esempio, prestiti individuali di
alto importo finanziario destinati a coprire fino a metà dell’importo dell’investimento,
oppure prestiti globali con i quali ottengono il finanziamento le piccole e
medie imprese.
Va inoltre ricordato che nel 1984 il Consiglio della Comunità
ha stimolato i paesi membri ad adottare delle politiche attive per promuovere
l’occupazione femminile nelle PMI. A questo proposito il Belgio nel 1987 ha
promulgato una legge atta a favorire la parità di condizioni di occupazione
fra i sessi nel settore privato e nel 1990 queste misure sono divenute obbligatorie
anche nel settore pubblico. In Francia la legge del 1983 sull’uguaglianza professionale
ha obbligato le imprese con più di 50 lavoratori di preparare un rapporto annuale
sull’occupazione maschile e femminile in cui sia dichiarato lo stato di fatto
in tema di assunzioni, formazione, carriera, lavoro, retribuzione del personale
sia maschile sia femminile. In Spagna negli anni 1988-90 è stato approvato un
piano di azione per le pari opportunità tra uomo e donna mentre in Germania
è entrata in vigore da poco tempo la legge del 1994 sull’uguaglianza di partenza
fra uomo e donna; lo scopo è quello di garantire un incremento della presenza
femminile in tutti i gradi e in tutte le mansioni.
La legge sulle “Azioni positive per la realizzazione delle
parità uomo-donna nel lavoro” (del 1991) ha raccolto nel nostro Paese la raccomandazione
della Comunità del 1984; nel 1992 è stata approvata una nuova legge “Azioni
positive per l’imprenditoria femminile” che ha lo scopo di realizzare le pari
opportunità uomo-donna nell’imprenditoria.
3. Studi sulla presenza e la diffusione dell’imprenditorialità
in Europa, in particolare per le PMI, evidenziano che il terziario risulta essere
il settore nel quale si concentrano la maggior parte degli investimenti. Il
tasso di investimento, ottenuto dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi
ai prezzi correnti e il Valore Aggiunto lordo ai prezzi di mercato, evidenzia
che la percentuale del tasso di investimento più alto si trova nella branca
dei prodotti energetici seguita dal settore agrario. I dati dell’occupazione
mostrano che in media il terziario offre lavoro a circa il 60% dei lavoratori
dell’UE; in Grecia e Portogallo invece a fronte di più bassi valori nel terziario
vi è un’alta percentuale di lavoratori nel settore agricolo.
4. La Tabella seguente mostra la dimensione delle imprese
(i dati si riferiscono al 31 dicembre 1996) ed evidenzia il fatto che i servizi
rivestono un ruolo sempre maggiore nel sistema produttivo italiano.


3. Le tendenze della “demografia” d’impresa in Europa e i confronti con
l’Italia
Dall’analisi precedente e da un’attenta lettura della realtà
odierna, sia sociale sia aziendale, si individuano un nuovo ruolo e una diversa
funzione delle dinamiche dello sviluppo che vanno relazionate alle connotazioni
del soggetto imprenditoriale. La gestione dell’azienda in particolare in
Europa, sempre avvenuta nell’interesse di pochi soggetti economici, sta portando
sicuramente a forti processi di ridefinizione.
Il capitalismo europeo, nelle sue diverse componenti, spesso
non è stato in grado di realizzare imprese con caratteristiche nuove, dotate
di dinamismo, di autonomia, con facile accesso ai finanziamenti e soprattutto
tali che non siano guidate da vertici ristretti, ma piuttosto da una varietà
di soggetti economici.
Si può parlare di conseguenza di condizioni di omogeneità fra
tipologia imprenditoriale e modello di capitalismo di tipo renano-europeo e
quelli dell’assetto anglosassone.
I rapporti fra lavoratori e impresa stanno sempre più riguardando
solo la responsabilità e la contrattazione aumentando ritmi, produttività e
quindi lo sfruttamento dei lavoratori, continuamente utilizzati in funzione
di forme diversificate di conflitto orizzontale finalizzato alle motivazioni,
aspirazioni e compatibilità con gli obiettivi aziendali.
Tra le condizioni di omogeneità che comunque favoriscono la
diffusione di un nuovo modello europeo sempre più vicino a quello
statunitense-anglosassone va allora evidenziato il forzato incremento di
produttività del lavoro dovuto al ruolo delle nuove tecnologie non più incorporate
in grandi impianti (diffusione orizzontale), la crisi provocata dei mercati
di prodotti standardizzati nonché l’abbassamento delle barriere all’entrata
di nuove imprese.
L’impresa europea ormai si diffonde socialmente nel tessuto
territoriale attraverso modalità innovative del ciclo produttivo e dell’accumulazione,
quindi dello sfruttamento del lavoro, realizzando risultati economici e sociali
positivi, come capacità di governo-controllo delle risorse e di tutte le variabili
interne ed esterne.
2. Di seguito si riportano alcuni dati demografici dell’assetto d’impresa
in Europa [2].
Nell’UE, sono presenti circa 17 milioni di imprese industriali
e servizi [3], con circa 102 milioni d’addetti.
I cinque più grandi paesi in termini di popolazione e di prodotto nazionale
lordo [4]
riuniscono intorno a loro l’80%, sia delle imprese sia degli addetti; l’Italia
contribuisce con circa 3,5 milioni d’imprese, che occupano poco meno di 14 milioni
d’addetti [5]. Il nostro Paese ha circa il 21%
delle imprese e il 13% degli addetti nell’area comunitaria, con una dimensione
aziendale nettamente più ridotta di quella prevalente dell’UE. In Italia è presente
circa il 27% delle imprese industriali, il 18% di quelle delle costruzioni e
il 21% delle imprese dei servizi dell’Unione; questi tre macrosettori, in termini
d’addetti, costituiscono rispettivamente circa il 15%, il 13% e il 12% del totale
dell’occupazione dell’area UE. La dimensione media delle imprese italiane è
pari a circa quattro addetti e si confronta con valori pari a 11 per l’Olanda
e l’Austria, 10 per il Lussemburgo e l’Irlanda, 9 per la Germania e la Svezia,
7 per la Francia, 6 per la Gran Bretagna, circa 5 per Spagna e Portogallo (la
dimensione media per l’UE è di 6 addetti per impresa).
La dimensione media [6]delle imprese è più bassa nei paesi dell’Europa meridionale;
per esempio la Grecia evidenzia un valore inferiore a quello italiano, con poco
più di due addetti per impresa. Belgio, Danimarca, Francia, Finlandia e Regno
Unito presentano una dimensione media delle imprese prossima alla media EUR-15,
anche se le rispettive strutture economiche sono significativamente diverse
tra loro.
Il sottodimensionamento relativo delle imprese industriali
e dei servizi in Italia dipendono solo in parte dalla diversità tra le strutture
produttive, essendo sistematicamente verificato in tutti i principali comparti
d’attività economica. Ad esempio, la dimensione media dell’industria italiana
pari a 9 addetti e quella dei servizi a quasi 3 addetti, contro rispettivamente,
circa 16 e 5 addetti nella media dell’Unione Europea. Anche ad un livello settoriale
più dettagliato, si verifica un netto sottodimensionamento delle imprese italiane
nei confronti dell’area UE: in particolare, nelle imprese del comparto del legno
e della carta, nella categoria delle altre industrie manifatturiere, nel commercio
all’ingrosso e nei servizi alle imprese, la dimensione media delle imprese italiane
è pari alla metà di quella UE. D’altra parte, la dimensione media delle imprese
italiane è superiore a quella comunitaria nel caso dei prodotti energetici,
nella fabbricazione d’autoveicoli, nella produzione e distribuzione d’energia
elettrica, gas e acqua, nei trasporti e nei servizi postali e telecomunicazioni.




Il dato relativo alla concentrazione sintetizza le proporzioni
esistenti, in ciascun settore, tra piccole e grandi imprese in termini d’assorbimento
occupazionale. Analizzando la distribuzione degli addetti per classe dimensionale
delle imprese, si registra una netta prevalenza occupazionale delle piccole
imprese, ossia quelle con meno di 50 addetti.
[1] CEE, Filosofia
comunitaria e prospettive, Bruxelles, 1995.
[2] Vi sono diversi tipi di indicatori che definiscono la “demografia”
delle imprese come ad esempio il tasso di natalità, quello di mortalità, il
tasso di sviluppo. Il tasso di natalità è dato dal rapporto tra le nuove imprese
e lo stock di imprese esistenti, mentre il tasso di mortalità è dato dal rapporto
tra il numero delle imprese morte e il totale delle imprese; il tasso di sviluppo
delle imprese invece, è dato dalla differenza tra il tasso di natalità e il
tasso di mortalità; vi sono poi gli indici di densità, di dimensione e la struttura
sociale. L’indice di densità d’impresa è dato dal rapporto tra il numero di
imprese e i chilometri quadrati dell’area geografica considerata; l’indice di
dimensione è dato dal rapporto tra il numero di addetti e il numero delle imprese
sempre riferiti ad una determinata area geografica o settore; infine la struttura
sociale è data dal rapporto tra il numero delle imprese per area geografica
e settore e la popolazione residente. Per questi indicatori cfr. Salvatori F.
(a cura di), “Impresa e territorio, contributi ad una geografia dell’impresa
italiana”; PATRON, Bologna, 1993.
Con il coefficiente di localizzazione imprenditoriale (Per
il coefficiente di localizzazione cfr. Vasapollo L., “Sulla localizzazione della
funzione imprenditoriale”, in Temi di attualità n.2 del Dipartimento di Contabilità
Nazionale ed Analisi dei Processi Sociali, Università degli Studi “La Sapienza”,
Roma, 1996.) si arriva poi alla misurazione, in un determinato tempo t, delle
intensità della dotazione imprenditoriale di una determinata unità di territorio
T. Attraverso questo coefficiente si può arrivare alla costruzione di “mappe”
delle ripartizioni territoriali dell’Italia dotate più o meno di imprenditorialità.
In questo modo è possibile distinguere i diversi bacini o aree in grado di generare
o diffondere imprenditorialità.
[3] Dati omogenei relativi al 1998.
[4] Ci si riferisce a Germania, Spagna, Francia, Italia e Regno Unito.
[5] Dati omogenei relativi al 1996.
[6] Dimensione media = (numero di addetti
/ numero di imprese).