Convegno del Partito dei Comunisti Italiani
Difendiamo il servizio elettrico nazionale contro la distruzione dell’ENEL
Luciano Vasapollo
Del ruolo dell’economia
pubblica nel nostro Paese, del suo smantellamento in favore dei processi di
privatizzazione, compreso quello dell’ENEL, il Centro Studi Trasformazioni
Economico-Sociali se ne è ampiamente occupato anche attraverso le pagine
della rivista PROTEO |
Stampa |
E’ noto che l’obiettivo delle aziende pubbliche non va ricercato
nella massimizzazione del profitto ma in una diversa serie di traguardi
che devono essere raggiunti in nome dell’interesse della collettività.
Infatti pur essendo fondamentale per questo tipo di aziende raggiungere dei
risultati di gestione positivi, d’altro canto è necessario anche tenere in seria
considerazione tutti i fattori collegati all’economia nazionale e all’interesse
economico e sociale generale. In questo senso si può dire che un’impresa
pubblica ha tra i suoi obiettivi principali il raggiungimento dell’efficienza
allocativa, redistributiva e sociale che permettano di rendere massima la
soddisfazione dei consumatori, di assicurare la maggiore trasparenza
possibile e di correggere i fallimenti del mercato.
La necessità di intervenire in settori economici nei quali
l’iniziativa privata era in difficoltà ha portato in Italia alla nascita delle
partecipazioni statali, e ci sembra che questo sistema abbia dato in
passato notevoli risultati positivi, nonostante le sue contraddizioni e i meccanismi
e i legami a volte perversi fra mondo partitico e gestione economica. Basti
ricordare, ad esempio, l’impulso dato allo sviluppo economico italiano negli
anni dal dopoguerra agli inizi degli anni ‘70, anche se la crescita economica
si è realizzata provocando squilibri settoriali e territoriali, oltre a quelli
economico-redistributivi. A conferma di quanto detto basti ricordare, ad esempio,
quanto sia stato importante in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno l’intervento
dello Stato nella delicata fase della ricostruzione post-bellica. E’ importante
ricordare che gli obiettivi di un’impresa pubblica devono essere in grado di
giustificare la presenza pubblica nei settori strategici per lo
sviluppo dell’economia nazionale, dando sostegno alle imprese presenti nei settori
caratterizzati da redditività di lungo periodo e da investimenti altamente
rischiosi e poter nel contempo permettere il perseguimento di politiche
strutturali dell’occupazione (e il settore dell’energia elettrica e l’ENEL
rispondono sicuramente a questi requisiti).
Si tratta di obiettivi che richiedono quindi una valutazione
critica del confine Stato-mercato e una forte riflessione politico-economica
e sociale nella realizzazione di un qualsiasi programma di privatizzazione,
in particolare poi in un settore ed un mercato come quello energetico.
Ci sembra giusto ricordare che l’articolo 42 della nostra
Costituzione prevede due forme di proprietà: quella pubblica e quella
privata ed è previsto che quest’ultima sia espropriata per motivi di pubblico
interesse. Non è menzionato in alcun articolo della nostra Costituzione
il fatto che sia la proprietà pubblica ad essere abolita. Seguendo proprio l’impostazione
della nostra Costituzione ne risulta il ruolo che deve avere un’appropriata,
articolata e indirizzata economia pubblica, anche a carattere locale,
la quale può far sì che il Paese si possa dotare di un modello economico su
cui finalmente innescare uno sviluppo compatibile socialmente e dal punto
di vista ambientale.
Ed è questo che si è cercato di fare nel nostro Paese attraverso
l’economia pubblica, nonostante i limiti e le distorsioni, e perseguire
tali obiettivi sarebbe ancora più valido economicamente e socialmente in
questa fase dello sviluppo italiano in cui si assiste ad intensi processi
di deindustrializzazione e forte concorrenza internazionale. Inoltre,
se da sempre vi sono degli specifici settori dell’economia che sono soggetti
a controllo da parte dello Stato, in quanto forniscono dei servizi strategici
ed essenziali ai cittadini e alle altre imprese (ci si riferisce alle imprese
operanti nel campo dell’energia, dell’acqua, telecomunicazioni
ecc., senza poi considerare i consumi collettivi, pubblici per eccellenza, come
quelli dell’assistenza, sanità, difesa, previdenza ecc., cioè la “produzione
di welfare”), oggi, proprio in questi settori l’intervento dello Stato sarebbe
ancor più una garanzia per tutti di un accesso paritetico alla qualità dei
beni e servizi prodotti.
Per realizzare tali obiettivi, però, bisogna saper identificare
sempre, nei diversi contesti politici e periodi storico-economici, la forma
che possono assumere le imprese pubbliche e come si deve contraddistinguere
una diversa, complessiva ed efficiente economia pubblica a valenza sociale.
Oggi più che mai si dovrebbe procedere ad un allargamento della
base delle grandi imprese ed un rafforzamento del tessuto di PMI, accompagnato
da una equilibrata ed efficiente economia pubblica, in modo da
far sì che l’industria italiana abbia adeguata forza per rimettersi in corsa
e recuperare quei margini di competitività di cui tanto necessita. E’ importante
il recupero tecnologico in settori per il nostro Paese tradizionali e lo sfruttamento
della adattabilità alle esigenze ed alternative che si presentano di volta in
volta, che sono possibili solo con un serio governo di indirizzo dello sviluppo
che non può prescindere dal fondamentale ed efficiente ruolo pubblico nei servizi
essenziali e nei settori strategici dell’economia. Si assiste, invece, alla
mancanza assoluta di una proposta seria e alternativa di sviluppo incentrata
anche sul ruolo di un’efficiente impresa pubblica e, dopo aver eliminato
l’anomalia rappresentata dal Ministero delle Partecipazioni Statali, si è commesso
l’errore di sdoppiare nuovamente la politica industriale tra due Ministeri:
quello dell’Industria e quello del Tesoro che si è fatto carico
di indirizzare il modello di sviluppo tutto incentrato su un intenso processo
di privatizzazione.
Al rilancio ed alla ridefinizione del ruolo dell’impresa pubblica,
certamente non contribuisce, come si è già detto, la mancata chiarezza del
Governo Prodi e anche di questo Governo sulle linee di indirizzo complessive
dell’economia che sembrano esclusivamente incentrate sul tema delle privatizzazioni.
Ciò spiega ancor meglio i connotati anche qualitativi, oltre
che quantitativi, della ristrutturazione del capitale e la voluta ridefinizione
dell’economia mista, anzi la sua sostituzione con un’univoca politica
di privatizzazioni e come essa assuma sempre più un ruolo fondamentale per cancellare
anche ciò che di buono l’economia pubblica aveva realizzato.
Nel febbraio 1998, in una relazione fatta in Parlamento, il
Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, elencava i principali compiti
delle privatizzazioni nel nostro Paese ed in specifico:
1) permettere una dismissione selettiva del patrimonio statale
i cui ricavi influenzino il contenimento del debito pubblico; [1]) distogliere lo Stato da quei settori nei quali non è più
comprensibile un suo ruolo da imprenditore; 3) contribuire al rafforzamento
dei mercati finanziari. “Risanare sotto ogni profilo l’industria pubblica,
creare un mercato dei capitali, ristabilire una linea di demarcazione tra la
proprietà pubblica e privata; al tempo stesso diminuire la crescita del debito
pubblico. E’ il caso dell’ENI, per il quale si è seguita la linea di concentrare
l’attività industriale sulle <attività chiave> e di dismettere le attività
non strategiche...... Si, il Tesoro vuole valorizzare prima di vendere.......
In conclusione, la valorizzazione non è in contraddizione con la privatizzazione.
Anzi, lo ripeto, ne è una doverosa fase preparatoria......”.
[/b]
Quello che si sta perseguendo è proprio l’obiettivo di valorizzare
le imprese pubbliche per poi venderle. E questo è il caso emblematico
dell’ENEL, che come azienda S.p.A. è attiva da sei anni costando 300mila
miliardi agli italiani. L’esigenza di un’azienda privatizzata è quella di creare
massimi profitti per i propri azionisti e questo obiettivo
mal si accorda con la strategicità di un settore come quello dell’energia elettrica.
In che modo in termini di semplice redditività, ad esempio, sarebbe giustificabile
un intervento di potenziamento elettrico in una zona poco popolata o rurale?
O ancora: come sarebbe pensabile giustificare investimenti innovativi ad alto
potenziale tecnologico nelle centrali elettriche più vecchie situate in zone
a basso sviluppo economico, misurato esclusivamente in termini di realizzazioni
di profitti? Invece andrebbe assunta come prioritaria la prima parte del discorso
di Ciampi. Infatti le imprese del panorama industriale italiano che necessitano
oggi più che mai di un riassetto , di un risanamento e di un rilancio
sono proprio quelle appartenenti alla sfera pubblica, e tra queste certamente
vi è l’ENEL.
L’impresa pubblica italiana, e l’ENEL è un caso emblematico,
si trova oggi ad operare in condizioni di assoluta incertezza, che sicuramente
non agevolano il già difficile recupero che in alcuni comparti sembra addirittura
impossibile. A generare incertezza vi è sicuramente, insieme alla mancanza
di una articolata politica di sviluppo, l’accelerazione vertiginosa impressa
al processo di privatizzazione, con tutte le sue conseguenze economiche,
politiche e sociali. Il venire meno del controllo politico, che certamente
rappresenta un fatto positivo, paradossalmente spiazza il sistema delle imprese
pubbliche che si trovano improvvisamente di fronte ad una ridefinizione
della loro funzione obiettivo. Operare sul mercato senza più alcun tipo
di protezione, rappresenta per l’impresa pubblica italiana un passaggio che,
con drammaticità, mette in evidenza la sua strutturale debolezza. La più evidente
si riscontra nella incapacità di saper anticipare e rispondere al mercato governando
i processi di trasformazione; anche l’incapacità di riposizionarsi sul mercato
e di internazionalizzare le proprie attività sono un chiaro esempio di questa
debolezza.
2. Il ruolo dell’ENEL nello sviluppo del Paese
Proprio questi limiti precedentemente enunciati per l’impresa
pubblica, sono stati e sono i limiti dell’ENEL, che ha bisogno si di un risanamento
e rilancio ma come impresa pubblica, perché in tale veste ha conseguito
anche successi, buoni risultati e obiettivi di socialità.
Va ricordato che l’ENEL in qualità di ente pubblico nasce giusto
36 anni or sono attraverso la nazionalizzazione di quasi 1.300 aziende elettriche
di natura privata. Il fine istituzionale è quello di operare in regime di monopolio
e concessione con lo specifico mandato istituzionale di garantire una disponibilità
di energia elettrica che debba essere sempre adeguata per quantità e prezzo
alle modalità di uno sviluppo economico equilibrato dell’Italia, mantenendo
nel contempo minimi costi di gestione, elettrificando la totalità del Paese
e assicurando un servizio pubblico, cioè a costi contenuti e differenziati
anche attraverso la tariffazione sociale.
In ogni caso anche se con alcune disfunzioni ed inefficienze
e con condizioni di lavoro spesso non pienamente soddisfacenti, né in termini
salariali né in termini qualitativi, l’ENEL in questi 36 anni ha comunque rappresentato
un punto di riferimento per l’intero sviluppo economico e sociale italiano,
favorendo, attraverso un servizio elettrico tra i migliori nel mondo, la crescita
dell’intero sistema economico e un significativo miglioramento delle condizioni
di vita dell’intera popolazione. Basti pensare che si è ampiamente superato
il milione di Km di linee esistenti, più che triplicando le linee
esistenti nel 1962; la riserva di potenza è quasi il 30% della domanda
di picco, livello di percentuale tra i primi nel mondo; in 36 anni la popolazione
non servita è passata da circa il 3,5% a neppure lo 0,1%. Non si può
quindi sostenere che l’ENEL è uno dei tanti “baracconi pubblici” che
non ha funzionato “succhiando e dissipando” denaro pubblico.
Nonostante tali lusinghieri ed economicamente validi risultati,
anche in termini di efficienza e di efficacia gestionale, la legge n. 359
dell’agosto 1992 ha disposto la trasformazione dell’ENEL in società per
azioni suggerendo per la collocazione sul mercato il modello della public
company in quanto questo schema è considerato il più adatto a consentire
un avvicinamento dei piccoli risparmiatori (orientati da sempre verso i titoli
di Stato) alla proprietà azionaria. Tale legge, inoltre, ha conferito al Ministero
del Tesoro l’incarico di elaborare un programma di riordino anche in merito
al collocamento della proprietà azionaria sul mercato, ponendo così le basi
per lo smantellamento dell’ENEL pubblica e per lo “spezzatino privatistico”
con la scusa che non si può passare da un monopolio pubblico a uno privato.
3. Liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e privatizzazione
dell’ENEL. I dettami comunitari
Il riordino del settore elettrico si sta svolgendo secondo
due processi separati che però si intrecciano intimamente: la liberalizzazione
del mercato dell’energia elettrica e la privatizzazione dell’ENEL.
Per quanto concerne l’operazione di privatizzazione
in senso stretto dell’ENEL, si è già detto che il settore elettrico è altamente
strategico in tutte le strutture economiche e in particolare per il nostro
Paese che è fortemente dipendente dall’estero per quanto attiene le materie
prime e i prodotti energetici. E’, quindi, chiaro che fin da subito il principale
problema che bisogna porsi è quello di verificare se è possibile conciliare
l’esigenza di un buon livello di economicità con quella di pubblico servizio.
La privatizzazione, infatti, imponendo una logica che persegue esclusivamente
gli obiettivi reddituali e valoriali d’impresa tende a privilegiare nettamente
l’economicità a scapito dell’utilità del servizio pubblico. Una completa
dismissione porterebbe senza dubbio all’insorgere di problemi gravissimi
e non risolvibili per l’intera economia nazionale.
Le prime ristrutturazioni avvenute in vista della privatizzazione
hanno confermato i dubbi esposti. Il processo di privatizzazione comporta necessariamente
dinamiche di concentrazione aziendale che fanno sì che i presidi nelle
zone a “bassa convenienza” devono essere eliminati per esigenze puramente
finanziarie, affossando la logica del sistema a rete. Basti pensare che mentre
prima anche le città piccole avevano comunque sedi operative, amministrative
e commerciali dell’ENEL, si è ora avviato un processo di smantellamento. Un
esempio: in Basilicata e in Molise la struttura locale dell’ENEL in pratica
non esiste più; i processi di concentrazione della presenza aziendale ha chiaramente
penalizzato oltre ai lavoratori anche i cittadini, come si può notare in gran
parte nel Meridione.
Altro esempio. Come si vede dal Graf.1, nel 1996 l’ENEL
impiegava 93.879 addetti; è interessante rilevare che il dato se confrontato
con quello dell’anno precedente mostra un decremento di oltre 2.400 unità (circa
il 2,5%).

E’ importante anche mostrare (Tab.1) la ripartizione
del personale tra le varie fasce professionali per consentire un rapido confronto
tra i due anni ed evidenziare i mutamenti nella struttura occupazionale che
si sono segnalati.
La Tab.1 mostra che sono soprattutto gli operai
e poi gli impiegati che subiscono la forte riduzione tra i due anni, mentre
l’organico dei quadri e dirigenti è addirittura in aumento. Per non
parlare delle condizioni e i ritmi di lavoro che continuano a
peggiorare, anche perché non si fa assolutamente ricorso a riduzione di orario
di lavoro per compensare l’eventuale eccedenza di manodopera, continuando invece
a proporre piani costosi di incentivazioni delle uscite.

[1] Il 21 gennaio
1999, alle ore 16 (in Via Appia n.96, 00183, Roma) si è tenuto un Convegno dibattito
in cui è stato presentato il dossier sulle privatizzazioni pubblicato nei numeri
1 e 2 di PROTEO.
[/b] Cfr C.A.Ciampi , Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione
economica, nel IL Sole 24 ORE, del 7 Agosto 1998 pagg.1 e 2.