Il probabile perché di Heider

Maurizio De Santis

In questi giorni s’è detto un po’ di tutto sull’austriaco Heider. La gran parte del mondo non lo vuole. I partiti destrorsi non sanno come barcamenarsi e che pesci prendere. L’ambasciatore israeliano vola in patria.

Qualcuno, più amenamente, disquisisce sul suo cognome che comincia per H e finisce per R come quel suo predecessore con i baffetti di origine anch’esso austriaca e che nel 1933 fondò il nazismo.

Qualcun altro, il buon Berlusca con il suo sorrisone alla Joker di Batman, ancor più amenamente (o demenzialmente, chissà?) ha detto che, se viene condannato un governo che è composto da simpatizzanti “nazisti”, è giusto che l’Europa condanni anche il governo D’Alema perché ha l’appoggio di un partito che ha “intrattenuto rapporti con una potenza straniera nemica”! (il riferimento è a Cossutta e all’URSS), ma il povero Berlusconi è vittima di quelli che l’hanno messo a fare il tribuno senza insegnargli prima un po’ di storia e un po’ di politica del Novecento.

Non stiamo a dire se è giusto o meno condannare un governo di cui faccia parte Heider, perché se si accettano le regole della democrazia, ci dobbiamo tenere anche questo esponente politico votato da quel 27% di elettori austriaci che l’hanno voluto; ed inoltre, in questo momento, non ci interessa particolarmente questo problema.

Quello che più ci preme, ma che nessuno ha osato chiedersi è il perché del fenomeno di Heider.

Nell’era della globalizzazione, il capitale mondiale sta portando avanti una politica di accorpamenti di grosse holdings facendoci raccontare dalle marionette dei mass media, impegnate a enfatizzare e a far da cassa di risonanza, che questo o quell’accorpamento daranno vita ad una struttura con bilanci superiori a quelli di uno stato o di un altro. Forse, le marionette ed i loro spettatori acefali pensano che tutto ciò significhi potenziamento dell’industria e riduzione della disoccupazione.

Esattamente il contrario.

Le grosse fusioni determinano essenzialmente riduzione degli occupati perché, quasi sempre vi è una ristrutturazione “produttiva” che porta ad una riorganizzazione della forza lavoro a danno del numero di personale impiegato.

Quando si parla delle guerre moderne, si punta il dito sulla brutalità con cui vengono condotte. Gli storici spiegano questo aspetto con il fatto che non ci sono più i “duelli all’arma bianca”, ma eccidi di esseri umani lontani da chi li sta colpendo. Ovverosia, l’americano che uccise 100.000 persone con la bomba atomica su Hiroshima certamente non ha avuto la possibilità di vederle in faccia, per lui non erano esseri umani, ma un “obiettivo militare”.

Così, oggi, le grosse aziende, proprio per la loro natura globale, sovrannazionale ed avulsa dal territorio in cui operano, conducono una politica esasperata di profitto a colpi di licenziamenti senza che chi preme il pulsante dell’eliminazione dei posti di lavoro si debba interessare di pensare cosa ciò comporta sulla gente. Per i capitalisti si tratta solo di “obiettivi economici”.

L’intento, naturalmente, è quello di aumentare il profitto di pochi a scapito degli altri ed è sintomo di una guerra all’ultimo sangue tra le holdings e tra Europa, Stati Uniti e Giappone. Tutto ciò inoltre e, qui ci rivolgiamo ai fanatici del capitalismo, comporta anche il detrimento della iniziativa privata delle piccole e medie aziende che fino a qualche tempo fa costituivano l’embrione dei grossi gruppi aziendali con la funzione positiva della creazione di posti di lavoro. Qualcuno potrebbe confutare quanto sopra affermando che, ad esempio in Italia, aumenta vertiginosamente il numero di partite IVA che vengono aperte, disonestamente significando un ritorno dell’attività della piccola imprenditoria. Sappiamo bene che questo significa solo meno occupati fissi e più posti di lavoro con contratti “libero-professionali” a tempo determinato. L’assurdità del capitalismo moderno è anche in questo aspetto: spara a zero contro tutti, anche contro se stesso.

D’altro canto, i partiti comunisti, per lo più, si sono trasformati in partiti socialdemocratici, appena appena rosati, con mire governative che comportano un’abiura dei loro princìpi e l’occupazione di spazi propri della politica di centrodestra.

In effetti e, purtroppo, la lotta politica, allo stato attuale, verte solo sull’occupazione di quegli spazi e non su un confronto di ideologie.

L’abiura del marxismo, ci sembra, che derivi essenzialmente dalla miope valutazione delle sinistre sui crolli dell’impero sovietico. Non ci si può vergognare di essere comunisti perché ancora il comunismo di Marx non è crollato, in quanto mai sperimentato appieno.

Pertanto, tra l’esasperazione del capitalismo globale e l’occultamento delle forze della sinistra vera, si sono creati dei vuoti ideologici e politici che stanno creando disoccupazione, distruzione del welfare state e quant’altro. L’individuo, privo di un futuro lavorativo, pensionistico e sanitario diventa facile preda di aquile populiste alla Heider.

Ecco per quale motivo riteniamo che nessuno si sia posto il problema del perché di Heider.

Un’analisi onesta di questo perché imporrebbe la distruzione del sistema capitalistico che, per sua natura, deve arrivare alle esasperazioni a cui oggi assistiamo e, d’altra parte, tale analisi spingerebbe i partiti di sinistra a riappropriarsi dei loro connotati di partiti di opposizione.

Ovviamente queste scelte sono dure e impegnative, ma i perché della storia non devono essere solo opera della critica storica postuma, bensì dell’oculatezza dei politici contemporanei. Non chiedersi, o evitare di chiedersi, il perché degli avvenimenti odierni in Austria è una miopia politica che ci potrebbe rendere complici di una ulteriore futura barbarie.

Questa breve analisi degli ultimi avvenimenti austriaci, ovviamente non tiene conto della realtà culturale in cui si stanno verificando, ma vuole contribuire ad una discussione più profonda, lontana dalle isterie che hanno portato all’isolamento della nazione austriaca che, alla lunga, potrebbe dare più forza e legittimazione a Heider.

Benché esistano i presupposti di una nuova era di sviluppo delle ideologie fasciste ciò non deve significare l’ineluttabilità del fenomeno. I democratici devono impegnarsi, appunto, a capire il perché di ciò che sta accadendo e devono vigilare, perché l’isolamento chiesto da Bruxelles equivale ad isolamento dell’Austria in toto. Ciò potrebbe anche favorire un ulteriore radicamento di Heider tra le masse austriache il quale forse, perché no, sta sicuramente facendo leva sui sentimenti di castrazione di una popolazione che non appartiene più ad un impero ma deve “adattarsi” a vivere la condizione di un paese all’interno del sistema europeo. I democratici inoltre, di fronte alle situazioni di cui si parlava, debbono creare un cordone di solidarietà nei confronti della nazione austriaca che, nonostante tutto e per il 73% non si identifica con Heider.