APOCALYPSE now.La bufera della crisi in Grecia

RAFFAELE DE CHIARA

«Ridaremo il sorriso alla Grecia»: è radioso come poche altre volte George Papandreu, leader del “Pasok”, il partito socialista ellenico. Ha appena vinto le elezioni battendo Kostas Karamanlis leader del partito conservatore “Nuova Democrazia”. È il quattro ottobre del 2009 e i dieci punti percentuali di vantaggio sul suo principale avversario, sembrano fungere da efficacie panacea a tutti i mali del Paese. Sono ancora sufficientemente lontane le sirene catastrofiste di chi vorrebbe la Grecia sull’orlo di una crisi economica e finanziaria senza precedenti e il rampollo dei Papandreu felice si gode il successo ribadendo il suo programma politico: «Lotta durissima alla corruzione che ha intralciato la crescita del Paese annebbiando la trasparenza e alterando le regole; garanzia di lavoro ai giovani, aiuto ai disoccupati, contrasto al nero sommerso, creazione di una più equa politica fiscale; appoggio a un’economia verde». Sette mesi dopo, quello stesso volto che prima appariva suadente ed entusiasta muta in una maschera di sconforto e di imbarazzo: «Il Paese è chiamato a fare grandi sacrifici per evitare la bancarotta» chiosa il leader ellenico in evidente difficoltà. Nel mezzo una crisi economica e finanziaria con pochi precedenti e il salvataggio da parte dell’Unione Europea e dell’intera comunità internazionale pagato a un prezzo altissimo.

1. Le origini della crisi greca Le origini della crisi sono lontane e risalgono a circa un decennio fa. È l’inizio del 2000 e al governo c’è sempre il “Pasok”, guidato però da Costa Simitis il quale, al fine di abbellire i conti pubblici e facilitare l’entrata nell’euro della Grecia, pare acquisti titoli derivati dalla “Goldman Sachs”, una banca d’affari americana che gestisce prodotti finanziari. L’operazione, sempre secondo indiscrezioni, consiste in uno swap, ossia uno “scambio” di debiti che la sanità greca aveva in dollari con altri in euro, che non davano luogo al pagamento degli interessi nell’immediato ma nel futuro e con un onere maggiore. Con il passare del tempo lo Stato greco, non essendo più in grado di tener testa ai debiti contratti, procede alla cartolarizzazione dei proventi derivanti dai beni pubblici. Ossia lo Stato cede al suo principale creditore, la “Goldman Sachs”, sue probabili entrate future derivanti dai beni demaniali. Se a ciò poi si aggiunge una diffusa corruttela e un’allegra gestione delle entrate nazionali, è facile capire come si giunge ai dati della catastrofe: un rapporto deficit-Pil che balza dal 6% previsto al 12,7 e una previsione della salita del debito statale al 120%.

2. Le misure draconiane anticrisi È il novembre del 2009 quando il leader Papandreu annunciando in parlamento un bilancio di austerità per salvare il Paese dal fallimento dichiara: «La Grecia non è Dubai». Di lì a poco però seguiranno drastiche manovre correttive dei conti pubblici: taglio del 10% delle spese del welfare, abolizione dei bonus per i manager delle banche pubbliche e un’imposta del 90% per quelli privati. Ancora la riforma del fisco e delle pensioni, con l’obiettivo di riportare il rapporto deficit-Pil sotto il 3% in quattro anni. Misure però mal digerite dal popolo greco, che già nei primi mesi di quest’anno scende in piazza, dapprima pacificamente e poi con sempre maggiore veemenza fino a dare luogo a veri e propri saccheggi delle principali città elleniche, che culminano poi con l’assalto alla banca Marfin Einaxha, di proprietà dell’imprenditore Andreas Vgenopoulos, proprietario dell’Olympic Airlines e azionista di maggioranza del Panathinaikos, una delle squadre di calcio di Atene. Nell’assalto muoiono per asfissia tre dipendenti, due donne e un uomo, colpevoli semplicemente di lavorare in una giornata di sciopero nazionale. I tre rimangono intrappolati nella banca mentre alcuni manifestanti incendiano l’edificio con bottiglie molotov. La commissione dell’Unione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, che fino a ora hanno temporeggiato, decidono finalmente di prendere una posizione e di intervenire. Oltre cento miliardi di euro, 110 per l’esattezza, in tre anni, di cui 80 a carico dei partner della Grecia nell’area euro in cambio di una più severa politica di austerity, questo l’accordo tra gli organismi internazionali e il governo greco. «Siamo a un bivio della nostra strada - afferma con voce stentorea la cancelliera tedesca Angela Merkel al Bundestag, il parlamento tedesco - da questa crisi dipenderà niente di meno che il futuro dell’Europa e della Germania». Ancora è sempre Merkel a dissipare le ultime ritrosie a un intervento in sostegno della disastrata economia ellenica: «Non c’è nessuna alternativa all’aiuto che abbiamo deciso per la Grecia se vogliamo assicurare la stabilità finanziaria dell’area euro. Dobbiamo evitare - sottolinea - una reazione a catena nel sistema finanziario europeo e internazionale e un rischio di contagio verso altri paesi membri dell’Eurozona. Ma quali sono gli interventi strutturali richiesti alla Grecia? Tagli alla spesa pubblica da 30 miliardi di euro entro il 2012 e rientro del deficit pubblico al 3% entro il 2014. Più nel dettaglio, la manovra straordinaria nel settore pubblico comprende una riduzione delle tredicesime e delle quattordicesime per tutti coloro che presentano un reddito mensile fino a 3000 euro lordi, che fa da contraltare alla totale abolizione delle stesse per tutti coloro che percepiscono redditi superiori. In ogni caso le due mensilità straordinarie sommate non potranno mai superare i 1000 euro. Complessivamente quindi al netto di altri piccoli tagli le retribuzioni dei dipendenti pubblici greci saranno ridotti di circa il 20%. Tagli anche per i pensionati, abolite la tredicesima e la quattordicesima per le pensioni sopra i 2500 euro lordi mensili e ridotte invece sotto questa soglia. A partire dal 2011 eguaglianza nell’età pensionabile tra uomini e donne. A tutto questo poi, secondo il quotidiano inglese “Guardian”, andrebbe aggiunta la messa sul mercato di alcune delle più belle isole della Grecia, affitti a lungo termine o vere e proprie cessioni del patrimonio demaniale ellenico sarebbero date in garanzia all’Unione Europea e al Fondo Monetario Internazionale per la restituzione dei finanziamenti da quest’ultimi erogati. Immediata la smentita del premier Papandreu, che rispondendo in Parlamento a un’interrogazione del leader dell’estrema sinistra Alexis Tsipras, fa sapere tra il corrucciato e l’ironico che: «Non saranno pignorati né il Partenone né le isole, né le spiagge e neppure gli ospedali greci».

3. Dietro la crisi, un sistema in panne Politiche interne di rigore ma anche panico nei mercati dei singoli paesi dell’Unione e in quelli internazionali, tutti preoccupati da un possibile contagio. Mentre, infatti, gli organismi europei e la comunità internazionale si attivano per approntare dei piani di salvataggio nei mercati azionari fanno capolino la paura e il rischio speculazione. “Crisi: Moody’s , banche a rischio in Italia e in altri quattro Paesi”: questo è il titolo di un’agenzia di stampa del sei maggio di quest’anno, seguito da un altro del sette maggio che afferma: “Crisi: Moody’s, Italia non è tra i Paesi più a rischio”. Nel giro di ventiquattro ore, il comparto dei titoli bancari del mercato italiano perde il 7,13% con cali superiori al 10% nei momenti di maggior panico. Cosa sia realmente successo in quelle ore e cosa abbia potuto spingere l’agenzia di rating Moody’s a diffondere un simile allarmismo rimane ancora una questione irrisolta, le uniche certezze a distanza ormai di mesi rimangono le rassicurazioni degli esperti che nell’immediatezza del fatto dichiarano: «Dalla lettura del rapporto di Moody’s emerge una situazione positiva e quindi opposta rispetto a quella che è sembrata emergere oggi dopo le prime notizie sul report - a dirlo dopo la diffusione del primo lancio di agenzia è Corrado Faissola, il presidente dell’Associazione Bancaria Italia che tiene anche a precisare come letta attentamente - l’analisi evidenzia una maggiore forza e robustezza del settore bancario italiano rispetto agli altri». Diversi, altresì, i toni adoperati dall’ex presidente del consiglio italiano Romano Prodi, il quale fa notare che «Moody’s aveva anche detto che la Lehman Brothers meritava dieci e lode» e dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che parla di rapporto «assolutamente infondato». Ventiquattro ore dopo il secondo lancio che sembra smentire in toto il precedente e i titoli del comparto dei bancari che tornano nuovamente a salire, nel mezzo il sospetto di mosse speculative. Ma quali sono le cause della crisi che, partita dagli Stati Uniti nel 2008, influenza in maniera così sostanziale l’economia di tutto il vecchio continente? Secondo il presidente della Pontificia accademia Mary Ann Glendon essa ha origine nella “finanziarizzazione” dell’economia. Glendon che illustra il risultato dei lavori dell’assemblea “Crisis in a Global Economy. Re-planning the Journey” svoltasi a maggio su indicazione del Pontefice Benedetto XVI in persona dice che: «L’attuale crisi economica non può che essere ricondotta al settore finanziario. Uno dei nostri oratori Luca Cordero di Montezemolo, già presidente di Confindustria - prosegue Glendon - ha illustrato lo spostamento da un’economia basata sulla reale produzione di beni a un’economia dominata dalle attività speculative guidate dall’avidità. La fragilità del sistema economico è parzialmente conseguenza di una eccessiva fiducia sulle attività speculative finanziarie, separate dall’attività produttiva di economia reale». La soluzione quindi starebbe secondo Glandon in un maggiore intervento pubblico per «assicurare più trasparenza negli strumenti finanziari». Non totalmente dissimile l’analisi dell’economista Felice Roberto Pizzuti che, sebbene faccia uno studio più a largo raggio della crisi economica greca, sembra in qualche modo ricollegarsi alla necessità di un maggiore controllo da parte degli organismi di governo nel settore economico e finanziario. «Il progetto dell’Unione Europea, fondato essenzialmente sui mercati e la moneta, è una contraddizione in termini e la crisi attuale lo evidenzia. Fin dall’inizio del dibattito sulla creazione dell’euro si evidenziò la difficoltà insita nel creare un’entità sovranazionale - l’Unione Europea - dotata della politica monetaria ma non della politica fiscale è degli altri strumenti della politica economica che rimanevano in capo alle autorità nazionali di Paesi con strutture economiche-sociali anche molto diverse tra loro» Diversità che, venuta meno la facoltà per i singoli Paesi membri di variare i tassi di cambio interni, si sarebbe compensata con l’unificazione della moneta e della conseguente politica monetaria gestita dalla Banca Centrale Europea. Tale impianto, frutto di una concezione dell’economia di tipo neoliberista, secondo Pizzuti starebbe alla base della crisi della Grecia. La “tragedia greca”, così come definita dall’economista, «conferma un’ovvietà: un’area economica unita solo dalla moneta, ma con tutti gli altri strumenti della politica economica e della politica tout court divisi e scoordinati, ha capacità molto minori d’interagire con i mercati e più facilmente diventa preda delle forze speculative». Certamente non votati all’ottimismo i possibili futuri scenari che potrebbero derivare dalla crisi: «L’esito dipenderà anche dalla capacità della politica. Non si può proporre l’Europa come nuova entità istituzionale unificante e lasciarla indifesa dalle scorribande speculative che minano la coesione sociale». Dall’altra parte, però, l’economista non ignora che «Non si può affidare a chi crede nella “mano invisibile” - ossia nel neoliberismo - il compito di creare una grande istituzione della collettività che abbia poteri efficaci verso i mercati». Decisamente più polemico il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, il quale riferendosi alla gestione della crisi da parte dei paesi dell’Unione si chiede polemicamente: «Possibile che la politica, gli stati non abbiano mai la capacità di prevenire, non sappiano costruire delle istituzioni europee, un’agenzia di rating, un fondo monetario, un bond europeo che consentano all’Europa di fronteggiare gli attacchi speculativi e non di correre sempre quando il tetto si è sfondato e la pioggia sta allagando casa?» Ancora riguardo ai presunti ritardi dei Paesi dell’Unione negli interventi di sostegno: «L’Unione si è riunita in tutta fretta quando ha capito che stava arrivando una tempesta, ma possiamo andare avanti sempre in questo modo? Perché non hanno fatto prima le cose di cui c’era bisogno? Il cancelliere tedesco ha traccheggiato per due settimane, quando era chiaro che sarebbe arrivata la speculazione finanziaria. Come è possibile che le agenzie di rating siano ancora considerate le vestali della verità?». Dopo tanti interrogativi, però, anche una certezza: «La crisi di sistema non va lasciata a se stessa. Non ci si può rinchiudere nei propri Stati nazione». Più duro altresì il giudizio della Cub (Confederazione Unitaria di Base) la quale, in una nota, evidenzia come: «Gli istituti finanziari internazionali, gli stessi che hanno inondato il mondo con fondi spazzatura determinando la più grave crisi economica mai conosciuta, che sono stati salvati dal fallimento con l’aiuto generosissimo dei governi occidentali a spese dei contribuenti, hanno determinato il collasso della Grecia. Ora a pagare saranno i soliti di sempre: lavoratori pubblici, pensionati e dipendenti privati». Dotte disquisizioni sulle cause della crisi, solidarietà più o meno manifestata e tanta indignazione. Sullo sfondo, però, il popolo greco affamato e con poche prospettive di miglioramento attende ancora il proprio riscatto.

* Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di Cestes-Proteo.