“Allerta che cammina”: economia, politiche educative e sviluppo locale per un primo programma d’alternativa

GRAZIA ORSATI (A CURA DI)

Luciano perché un’altro libro sulle economie locali? (Luciano Vasapollo) A livello internazionale si sono lanciate proposte di integrazione tra principi di economia globale ed esigenza dell’economia locale, per processi di politiche educative e di cooperazione che siano in grado di accelerare lo sviluppo dei paesi poveri attraverso la costruzione di una sociale più giusta, adottando politiche macroeconomiche favorevoli all’ambiente, al sociale, anche attraverso un sistema commerciale aperto, regolato e più equo. I processi di integrazione economica devono portare ad un nuovo dinamismo in cui siano attori principali anche i paesi non sviluppati, ma la attuale logica ovviamente rimane quella delle compatibilità capitalistiche che, attraverso le leggi del loro modo di produzione, non possono assolutamente rispondere positivamente alle domande di uno sviluppo, meglio di progresso sostenibile con reali principi di equità, solidarietà, autodeterminazione.

Domenico perché Natura Avventura Edizioni ha deciso di pubblicare questo libro? (Domenico Vasapollo) Dopo “L’AMBIENTE CAPITALE” che abbiamo pubblicato lo scorso anno e che riguardava le tematiche legate allo sviluppo sostenibile a Cuba, abbiamo deciso, come del resto avevamo già preannunciato, di dare continuità a quella esperienza editoriale. Un libro questo, “ALLERTA CHE CAMMINA...”, che nasce dall’esigenza di analizzare i numerosi e interessanti processi di cambiamento che stanno avvenendo in America Latina. Il tema di questo lavoro è incentrato sulle economie locali, partendo dalla critica stessa di questo concetto così come concepito dall’organizzazione politica, sociale ed economica del capitalismo, per darne invece una interpretazione alternativa e sopratutto mostrare ciò che già si sta compiendo in questa direzione.

Perché questo “strano” titolo al libro? (D. V.) “Allerta che cammina...” è parte di uno degli slogan più urlati nelle piazze, nelle strade, nelle campagne, nelle montagne del Sud America: “Alerta, alerta, alerta que camina la espada de Bolivar por la America Latina”. Ma è anche, è per questo che lo amiamo e con Luciano abbiamo deciso di usarlo, l’immagine figurativa del processo in movimento in quel continente, e che speriamo coinvolga presto, con un superbo volo transoceanico, l’Europa e il resto del Mondo.

Quale è il nesso tra economie locali e sviluppo sostenibile? (L. V.) La relazione tra sviluppo sostenibile ed economie locali è stata evidenziata anche in Agenda 21 quando si sostiene che, riprendendo un concetto già elaborato nel 1991 dall’International Council for Local Environment Initiatives (ICLEI), l’Agenda 21 introduce (nel capitolo 28 dedicato alle autorità locali) per la prima volta l’esplicito riferimento alla dimensione locale come forza propulsiva in direzione degli obiettivi di sostenibilità: “dal momento che molti dei problemi e delle strategie delineate in Agenda 21 hanno origine dalle attività locali, la partecipazione e la cooperazione delle autorità locali sarà un fattore determinante nel perseguimento degli obiettivi di Agenda 21”. In sostanza è dalla realtà locale che si deve partire, per riaffermare il valore della persona, del necessario equilibrio fra l’uomo, le altre specie e l’ambiente nella sua complessità. Quindi l’obiettivo fondamentale che pone teoricamente all’ordine del giorno Agenda 21 e tutto lo sviluppo sostenibile, anche attraverso l’economia locale, riguarda la salvaguardia della natura, dell’ambiente, per riuscire a garantire a tutti una migliore qualità della vita. Seguendo Agenda 21 e in tal modo, tale auspicato miglioramento deve avvenire però senza porre il problema del superamento dell’attuale modello politico-sociale, certamente in una forma più attenta all’impatto socio-ambientale, ma sempre nell’unico contenuto dell’essere del modo di produzione capitalistico, sempre basato sulla legge del valore e del plusvalore, quindi sull’accumulazione quantitativa e valoriale, incentrato perciò sullo sfruttamento a fini di profitto del lavoro e della natura. In Italia, l’esigenza di concepire l’organizzazione del territorio sulla base della configurazione produttiva locale, decisamente avviata verso un sistema distrettuale, innesca negli anni settanta numerose riflessioni attorno all’individuazione di aree amministrative adatte a stimolare e seguire lo sviluppo. La crescita delle economie locali ha portato alla nascita dei cosiddetti “Distretti industriali”; questo passaggio dalla grande industria alla media piccola impresa si è sviluppato soprattutto nel decennio 1971-1981; in questi anni si è avuta la nascita del cosiddetto “made in Italy”, conosciuto in tutto il mondo come il marchio che raccoglie un ampio numero di eccellenze produttive. Ciò è stato imposto, già a quei tempi, da molti teorici legati all’allora Partito Comunista Italiano e al sindacato, in particolare la CGIL, che rispondevano con il loro riformismo sviluppista all’impostazione produttivista del capitalismo familiare italiano, incentrato maggiormente sulla grande industria e le fabbriche dell’indotto e della lunga filiera. Uno scontro, in pratica, di interessi, sempre funzionali e interni al modo di produzione capitalista, ma con forme diversificate di capitalismo più o meno conservatore e aggressivo, o riformista e temperato guidato dalle formazioni di massa storiche del movimento operaio che, nei loro vertici, avevano già abbandonato il terreno dell’interesse del movimento di classe per approdare alle compatibilità del capitalismo sociale. Ecco il vero volto delle economie dello sviluppo locale, che rimangono strategicamente funzionali ai processi di accumulazione del capitale, in una dimensione di produzione sociale, e allo stesso tempo evidenziano in maniera più diretta e con più scarse possibilità di mediazione le caratteristiche e le condizioni in cui si esplicita attualmente il conflitto capitale-lavoro e le contraddizioni capitale-ambiente e capitale-diritti, in una conflittualità sociale complessiva. Un aspetto, se si vuole, della moderna questione dello sviluppo sostenibile, locale, interno alle dinamiche di un capitalismo, che per quanto temperato, riformista e sociale, è comunque determinato dalla legge dello sfruttamento di uno stesso modo di produzione capitalista. Lo sviluppo locale pianificato concepito come alternativo allo sviluppo capitalista invece, deve potenziare al massimo le risorse dei territori, avanzando decisamente sul terreno del progresso sociale. I progetti di sviluppo locale devono rendere sempre migliore lo stretto vincolo esistente tra l’amministrazione nazionale e quella locale cercando di dare il maggior risalto possibile alle amministrazioni locali e alle risoluzioni dei problemi di piena compatibilità sociale soddisfacendo prioritariamente e universalmente e gratuitamente i bisogni sociali dell’intera popolazione locale.

La vostra casa editrice è fortemente impegnata in un lavoro editoriale che riguarda le tematiche socio-ambientali. Come si inserisce questo nelle tematiche dello sviluppo sostenibile e delle economie locali? (D. V.) Come è per lo sviluppo sostenibile, del quale l’economia locale fa parte, anche questa può essere soggetta a interpretazioni diverse in funzione di quale è il punto di vista di partenza. In questi ultimi venti anni abbiamo assistito a numerosi momenti di dibattito nazionale e internazionale sullo sviluppo sostenibile, sull’educazione ambientale, sull’economia locale, che hanno prodotto carte di principi universalmente condivise, sulle quali per quest’ultimo motivo non possono non nascere fondati sospetti, e successivamente adottate da molti Pesi: la “Dichiarazione di Rio”, il “Protocollo di Kyoto”, “Agenda 21”, per citarne solo alcuni. Un insieme di nobili principi, che però non entrano mai nello specifico, lasciando quindi libera interpretazione ed applicazione. La loro genericità non implica infatti nessun vincolo all’ottenimento degli obiettivi, i quali inoltre non mettono minimamente in discussione seriamente gli attuali modelli di sviluppo, facendo intendere quindi che tutto ciò possa essere realizzabile anche all’interno di modelli che hanno come elementi intrinseci fondamentali il consumismo e il profitto. Tanto libera interpretazione e tanta genericità, fino al punto da essere adottati dal capitalismo stesso. Con il nostro lavoro, che come tu hai detto è molto incentrato sulle tematiche ambientali, vogliamo contribuire a dare una visione alternativa a queste, cercando di sgombrare il campo da possibili equivoci, interpretazioni distorte, mettendo in chiaro un punto di vista di classe. Pertanto lavori come quelli di Luciano sono essenziali per lo sviluppo del progetto editoriale della nostra casa editrice.

Perché proprio l’America Latina? (D. V.) Perché in America Latina vi è un processo già in atto di trasformazione e di tentativo di superamento della società del capitale per dar vita ad una società basata sul reale concetto di sviluppo sostenibile, meglio di sviluppo socio-eco sostenibile. Il paradigma del “Vivir Bien” come definito dai boliviani ed adottato dal Governo di Morales, o del “Buen Vivir” come invece lo chiamano gli ecuadoriani ed anche questo fatto proprio dal Governo di Correa, è tutto questo. In molti paesi di quel continente si stanno cambiando le regole sociali ed economiche, nelle quali stanno scomparendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, strada sulla quale altri paesi del Sud America si sono già da tempo avviati come Cuba, o si stanno avviando come Venezuela, Nicaragua e altri, oltre a Bolivia ed Ecuador. Un processo verso il Socialismo nel XXI secolo che vede l’uomo e la natura al centro delle preoccupazioni.

Anche a te Luciano chiedo: perché la tua forte e continua insistenza proprio sull’America Latina? (L. V.) L’attuale crisi del modello di sviluppo capitalista è non solo crisi economica, ma anche la peggiore crisi socio-ambientale, energetica e climatica della storia: è crisi sistemica. La situazione attuale ci obbliga a ricostituire e inventare nuove e diverse modalità di convivenza, basate su un sistema di coesistenza tra natura e società, ponendo fine alla barbara e crudele violenza capitalista, coloniale moderna che ha distrutto e continua a distruggere popoli indigeni e primitivi, la loro cultura, il loro socialismo precapitalista, la natura; che salvaguarda i diritti di pochi, primo fra i quali il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione, quindi alla brutale legge dello sfruttamento dell’uomo, il proprietario capitalista, sull’uomo, il proletario lavoratore, e sulla natura, negando al contempo i diritti sui beni comuni, i diritti di tutta l’umanità. Il saccheggio delle terre, le teorie delle razze, il genocidio dei popoli indigeni, la tratta degli schiavi dall’Africa all’America Latina, iniziati subito dopo la “scoperta” dell’America del 1492, non sono finiti ed ancora oggi il potere è sostenuto attraverso il dominio brutale del capitale e le guerre militari. Nei paesi della periferia e semiperiferia, come quelli dell’America Latina, si sviluppa la produzione prevalentemente di carattere fordista, cioè quella produzione di carattere industriale ormai quasi dismessa dalle metropoli imperialiste. L’America Latina, insieme alle altre aree periferiche e semiperiferiche, rappresenta un luogo privilegiato per la produzione fordista e per il rilancio dell’accumulazione attraverso uno sfruttamento industriale e sfrenato sperimentato negli anni ’50-’60 del secolo scorso nei paesi oggi a capitalismo maturo, nei quali oggi si realizza la fase cosiddetta postfordista e dell’accumulazione flessibile che convive però con i metodi produttivi fordisti e schiavistici. Si realizzano al contempo quelle filiere produttive internazionali che attraversano interi continenti che se da una parte rappresentano la nuova frontiera dello sfruttamento capitalistico, stabiliscono al contempo una relazione diretta fra i lavoratori di tutto il mondo nella concretezza del socialismo nel XXI secolo. Ecco il perché della nostra attenzione tutta politica e senza alcun approccio romantico o nostalgico alla realtà socio-politica dell’America Latina, che a causa della ristrutturazione neoliberista vede sempre più allargare la forbice ricchezza-povertà. Il ruolo di semiperiferia economico-produttiva assegnato all’America Latina ne fa un’area in cui più alto e diretto è il conflitto di classe, nella centralità del conflitto capitale-lavoro e nell’esplicitarsi concreto e selvaggio e senza mediazione delle contraddizioni capitale-natura, capitale-scienza, capitale-democrazia, capitale-diritti, con la negazione dello Stato di diritto attraverso la brutale repressione dei movimenti di classe, ma allo stesso tempo ha determinato le condizioni per passare dalle mille forme di resistenza all’offensiva nelle attuali determinazioni delle trasformazioni per la transizione al socialismo.

Accenna alla specificità di alcuni processi rivoluzionari. (L. V.) Il modello capitalista impedisce lo sviluppo autodeterminato dei paesi poveri, i quali vengono invece utilizzati solo come fornitori di materie prime, terra e manodopera a basso costo. In questo senso una economia in fase di sviluppo come quella boliviana o degli altri paesi dell’America Latina, non può fare affidamento sulle regole del capitalismo create in sostanza per impedire l’autodeterminazione dei popoli. Se si analizzano in concreto alcuni paesi, si nota che ad esempio in Bolivia dopo l’approvazione della nuova Costituzione del Presidente Evo Morales, si è introdotto il principio “Bolivia Digna para Vivir Bien”; per la prima volta si sono avuti dei riconoscimenti per i popoli indigeni che erano stati dimenticati ed esclusi. Il paradigma del “Vivir Bien”, ossia quello dei popoli indigeni originari, ha come principio fondamentale la difesa delle risorse naturali nell’armonia con la Madre Terra; in pratica questo vuol dire che le risorse naturali che da sempre erano svendute alle grandi multinazionali diventano un bene dello Stato, diventano diritti dei popoli sui beni comuni, redistribuzione socialista della ricchezza. L’acqua, l’energia, il gas naturale, il petrolio, come tutte le altre risorse naturali compreso il concetto stesso di ricchezza della biodiversità, diventano dello Stato e dei popoli indigeni. Il concetto fondamentale del “Vivir bien” è in sostanza una espressione politica-culturale, ma anche un modo di fare economia alternativo alle leggi del capitale, dell’accumulazione e del profitto, nella quale ci si richiama alla convivenza comunitaria con una interculturalità e senza avere squilibri di potere, unendo questione etnica e dinamiche del conflitto di classe; si oppone al concetto occidentale del “vivere meglio” in quanto non è possibile vivere bene se la maggioranza vive male, anche se un solo uomo o un elemento della natura, vive male, o vive per essere sfruttato per il profitto. L’efficacia della gestione locale è molto chiara a Cuba dove, per esempio, la pianificazione socialista centralizzata si decentralizza e si considera come società locale sia la provincia sia il municipio. La gestione del Governo locale si esprime con il Piano Strategico dello Sviluppo Locale con pianificazione a lungo e a medio periodo; sono interessati a questi progetti università, attori politici, economici e sociali del territorio. La politica economica adottata dal Governo di Cuba dopo la Rivoluzione è stata sempre diretta a garantire lo sviluppo sociale ed economico del paese, equilibrato e partecipato, in tutte le sue zone partendo anzi da quelle più arretrate. L’elemento che distingue lo sviluppo locale per Cuba è rappresentato dal fatto che esso rappresenta una componente socio-economica necessaria alle politiche e agli obiettivi nazionali che si integrano con le forme di democrazia economica partecipata locale, ma sempre nell’impostazione della pianificazione socialista; è necessario quindi fare attenzione non solo a ciò che occorre a livello globale ma anche a quello che è necessario a livello locale. I progetti di sviluppo locale devono rendere sempre migliore lo stretto vincolo esistente tra l’amministrazione nazionale e quella provinciale e municipale cercando di dare il maggior risalto possibile alle amministrazioni locali e alle risoluzioni dei problemi di piena compatibilità sociale soddisfacendo prioritariamente e universalmente e gratuitamente i bisogni sociali (sanità, istruzione, lavoro, casa, sport, ecc.) dell’intera popolazione locale. Il Venezuela è uno Stato con più di 25 milioni di abitanti ed è uno tra i più ricchi nel mondo per quanto riguarda le risorse naturali (gas naturale, diamanti, oro, caffé, cacao, legname, ma soprattutto petrolio); proprio per questo, avendo una posizione particolare dovuta alla sua condizione di paese produttore di materie prime strategiche, con l‘aggravarsi della crisi economica e della dipendenza energetica si stanno acutizzando i problemi di import-export internazionale. E’ necessario quindi dotare il paese di una struttura produttiva non monosettoriale e dipendente quasi esclusivamente dall’export di greggio, e dare inizio a una programmazione economica decisamente socialista e a forte caratterizzazione locale, attraverso la grande esperienza della democrazia partecipata bolivariana. E’ chiaro che vi è una marcata differenza tra sviluppo economico per il progresso sociale del capitalismo, anche se di Stato, e la scelta del Socialismo bolivariano, in quanto il primo si basa su concorrenza, rivalità e sulla legge del profitto, mentre il progresso sociale si fonda su concetti totalmente opposti, come la solidarietà , la collaborazione e la soluzione di appoggio incondizionato ai problemi dei poveri, deboli, emarginati, in una logica di cooperazione, di democrazia politica ed economica partecipata in chiave socialista. Se lo Stato controlla il sistema produttivo nazionale diversificato, in cui partecipano cooperative, imprese socialiste, distretti produttivi socialisti, ciò significa dare una forza produttiva, dare coscienza di classe ai lavoratori, caratterizzando maggiormente con forme autodeterminate di pianificazione collettiva, in una organizzazione economica e sociale che può rappresentare una via forte del socialismo nel e per il XXI secolo. Anche il concetto del “Buen Vivir” è un paradigma che raccoglie in sé conoscenze e tradizioni del mondo andino e del mondo occidentale e le unisce per adattarle al contesto della società moderna. Nella nuova Costituzione dell’Ecuador del 2008 si introduce come parte integrante dei diritti riconosciuti quello del “Buen Vivir”. Il “Buen Vivir” (sumac kausay, principio della disciplina indigena nella zona andina) significa la piena soddisfazione delle necessità, tanto oggettive come soggettive, delle persone e del popolo, attraverso l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo e della natura con una forma di vita che realizzi un equilibrio tra uomini, comunità e natura, realizzando condizioni di uguaglianza, eliminando le discriminazioni a partire dalla realizzazione concreta del diritto degli uomini alla salute, all’educazione, alla vita.

Nel sottotitolo “Educazione e percorsi alternativi di economia locale in America Latina per lo sviluppo socio-eco sostenibile”, al termine sviluppo sostenibile avete preferito “sviluppo socio-eco sostenibile”. Puoi spiegarci perchè? (D. V.) Quando parliamo di inquinamento, di rifiuti, di acqua, di energia, di turismo, di paesaggio, di guerra, di diversità biologiche e culturali, tutti temi strettamente legati allo sviluppo sostenibile, come possiamo scindere questi dal modello di organizzazione politica ed economica della società? Non basta la “green economy”, così cara ad Obama come ai “progressisti” di casa nostra, a risolvere il problema, quando in questa i rapporti di produzione, il fine della produzione, i rapporti sociali, sono gli stessi di prima. Allora il problema non è “crescere” o “decrescere”, oppure una economia e una società del profitto e del consumo più “verde”, ma cambiare le regole del gioco, dare indicatori diversi, dove non è il PIL lo strumento di misura, (questa sulla critica del PIL come critica al modo di produzione capitalista, è una battaglia che Luciano, insieme ad altri marxisti, porta avanti, anche con varie pubblicazioni, già da fine degli anni ‘80) ma la qualità della vita intesa come grado di cultura, di sanità, di armonia con la natura, di vita democratica partecipata, di redistribuzione sociale delle ricchezze, di proprietà e gestione collettiva delle risorse, di riconoscimento delle diversità in un mondo di uguali. La realizzazione dello sviluppo sostenibile è assolutamente insita nel conflitto capitale-lavoro-uomo-natura e non scindibile dal conflitto di classe. Gli interessi dell’Umanità non coincidono con quelli del capitalismo. E’ un problema di civiltà, tra quella capitalista e quella che dovrà sostituirla in futuro. Al concetto di sviluppo sostenibile va necessariamente affiancato un concetto diverso di progresso: una Società Sostenibile! Cioè uno sviluppo capace di cambiare radicalmente i concetti di proprietà, di produzione, di consumo. Uno sviluppo che parta da una rinnovata economia eco-socio sostenibile, capace quindi di configurarsi come una economia dello sviluppo autodeterminato e fuori mercato. Una società che si sostituisce all’esistente non solo cambiandone il nome, ma cambiandone i concetti basilari. Una società che abbia al centro l’uomo come individuo e parte di una umanità e che a quet’ultima tenda a soddisfare le sue aspirazioni. Che al contempo abbia al centro la natura non solo come risorsa dell’umanità (e non certo del capitale), ma anche per il suo valore in se. Una società capace di superare anche il concetto di rapporto opportunistico con la natura, dove non si tratta di preservala per poterla sfruttare meglio e di più, ma capace di vivere in armonia con essa e di utilizzarla quando ne è necessario, quindi una natura non solo come risorsa dell’umanità, ma sopratutto patrimonio dell’umanità quale indicatore della qualità della vita.

Mi sembra che in questo tuo libro si insista molto nel legare la questione etnica alla determinazione di classe. (L. V.) I popoli indigeni originari propongono da sempre, con la loro cultura, di creare una unità tra Madre Terra Pachamama, società e cultura, rispetto dei diritti dell’umanità ed eliminazione della discriminazione razzista, e innanzitutto la realizzazione di una nuova etica sociale alternativa al mercato e allo sfruttamento capitalista. E’ un programma alternativo nel quale il contadino deve tornare ad essere proprietario della terra che coltiva, i popoli originari devono avere tutti i diritti nei territori in cui vivono perché i popoli originari garantiscono il mantenimento dell’ambiente; la terra è di chi la lavora, di chi ne è parte, di chi la preserva! Questo è il contenuto di classe della cultura e pratica dei popoli originari. Le disuguaglianze presenti nei paesi dell’America Latina, le condizioni sfavorevoli presenti nelle aree rurali, la povertà, sono però accompagnate da una grande ricchezza del tessuto sociale, già prima della conquista del potere statale dei movimenti sociali e di classe per l’affermazione rivoluzionaria, o fortemente progressista, come nei casi di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Paraguay. Grazie a questa ricchezza infatti sono nate imprese di piccola e media dimensione con lo scopo di diffondere in tutta l’America Latina la pratica di un commercio equo e solidale, anche in forme differenziate e a volte come esperienze sperimentali di autoimprenditorialità e vero cooperativismo solidale. E allora si sente nei popoli la necessità di elevare la cultura del socialismo comunitario pre-capitalista nel grande nuovo processo post-capitalista del Socialismo del e per il XXI secolo, quasi provocatoriamente non si fosse passati, o non si sia dovuti passare, per il colonialismo e il modo di produzione capitalista. La pratica di democrazia economica partecipativa, di economia solidale e territoriale è molto presente nei paesi dell’America Latina rivoluzionaria, nei quali l’economia locale si intreccia con esperimenti di economia pianificata della transizione al socialismo. E’ importante evidenziare però che tali forme non rappresentano una economia di assistenzialismo o di semplice welfare.

Con l’edizione di questo libro, Natura Avventura coniuga l’interesse ambientale ai paradigmi dei popoli originari? (D. V.) Il concetto fondamentale della filosofia andina e amazzonica si basa su una idea di convivenza comunitaria¸ l’indigenismo identifica il “Vivir bien” con il piacere del vivere in armonia con la Madre Terra e critica la cultura occidentale che non pone al centro l’uomo in quanto parte della natura, ma piuttosto gli interessi materiali e del profitto. Il paradigma del Vivir Bien necessita la formazione di persone che riescano a combinare il passato e il contemporaneo, attraverso un collegamento tra natura ed etica, in quanto le risorse dell’uomo sono di valore molto più elevato delle risorse materiali e di fatto sono quelle che danno significato a queste ultime. Il meccanismo politico-economico principale non è dato dall’accumulazione, perché la madre terra fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno e con il nostro lavoro possiamo produrre tutto ciò che necessita agli uomini e agli animali. Anche il “Buen Vivir” significa vivere in armonia con tutto il sistema macroambientale e quindi non consumare più di quello che la natura può sopportare; in questo senso l’idea del “Buen Vivir” ha molto da insegnare e si collega ai principi chiave del socialismo storico, in una sorta di “contaminazione” fra questo e l’interpretazione di classe del socialismo comunitario dei popoli originari.

“Vivir Bien” e “Buen Vivir”, è il vivere meglio? Spiegaci di più. (L. V.) Il concetto di una Bolivia degna, sovrana e produttiva per il Vivir Bien, fa parte integrante e centrale del programma del Movimento Al Socialismo (MAS); l’alternativa che propone questo movimento sostiene che il contadino deve tornare alla proprietà della terra che coltiva e che i popoli originari devono avere diritto sui territori nei quali vivono e garantire il mantenimento integro dell’ambiente, meglio della natura; inoltre è fondamentale continuare a coltivare le risorse produttive che possiede il paese perché è l’unico modo per uscire dalla povertà, compresa anche la coltivazione della foglia di coca che rappresenta una delle risorse principali dei contadini del Chapare. La difesa della coltivazione della foglia di coca è in sostanza la difesa della storia della Bolivia, dei suoi usi, dei suoi costumi; i narcotrafficanti sono coloro che hanno il potere e effettuano crimini con il traffico della cocaina e non i “cocaleros” che sono contadini-lavoratori, forza centrale del movimento di classe boliviano. L’esempio calzante del Presidente Evo Morales è semplice: come il consumo di uva non è da paragonarsi a quello del vino e il mangiatore di uva non è un alcolizzato, la stessa differenza vale fra il consumo, che ha qualcosa anche di spirituale, delle foglie di coca e la funzione della fabbrica di morte della cocaina, voluta dalla società del capitale e del profitto. Anche questo mercato criminale è funzionale ai processi di liberalizzazione del commercio sostenuti dal WTO e che provocano effetti sconvolgenti sulla vita dei popoli indigeni; primo fra tutti l’invasione delle comunità indigene di prodotti agricoli a prezzo contenuto, che annientano i metodi di coltivazione naturali ed ecocompatibili e che genera, tra le conseguenze più immediate, la comparsa sempre più frequente di malattie, tumori, ecc. tra le popolazioni indigene. I popoli indigeni hanno iniziato ad organizzarsi contro la sovranità alimentare dei potenti, delle multinazionali in un percorso di classe in difesa della Madre Terra con il “Vivir Bien” della Bolivia e il “Buen Vivir” dell’Ecuador, senza voler essere il “folklore” della democrazia. Ed è interessante porre a confronto le diversità esistenti tra la concezione del “Vivere meglio” e quella del “Buen Vivir” e del “Vivir Bien”; la prima infatti presuppone l’idea del progresso illimitato quantitativo in cui si tenta di diminuire le disuguaglianze però sempre attraverso una competizione senza limiti e senza etica tra gli uomini, è chiaro però che a “vivere meglio” sono solo una parte ridotta della popolazione mondiale, mentre la maggioranza continua a “vivere male” o comunque a “vivere peggio” di pochi altri. Al contrario il paradigma del “Vivir Bien” e del “Buen Vivir” si basa sul concetto della realizzazione delle necessità per tutta la comunità e non solo per il singolo; l’essere umano deve stare in comunione con l’acqua, l’aria, gli animali e con la Pachamama (la Madre Terra); ecco il passaggio fondamentale dalla concezione dei diritti singoli dell’uomo ai diritti collettivi e generali per l’intera umanità.

Da tempo insisti sull’economia locale a pianificazione socialista, nell’ambito di quella che tu chiami economia socio-ecologica politica. (L. V.) L’avanzamento della competizione globale, con gli aumenti della povertà diffusa, delle guerre economiche e guerre guerreggiate, pone in una nuova ottica il concetto di economia locale, che non deve essere associato all’idea di “piccolo o di poco conto”, ma anzi deve essere inteso come un qualcosa di innovativo e di alternativa e che sostituisce all’idea della crescita basata sulla quantità il concetto di progresso sociale, basato sulla qualità in un modello politico-economico solidale, partecipativo e autodeterminato. La condizione da perseguire e per cui lottare è quindi quella di una democrazia diretta per una economia locale che tenga conto non solo dello sviluppo economico autodeterminato, ma anche del progresso sociale. E’ in sostanza dalla realtà locale che si deve partire, per riaffermare il valore dell’uomo-natura, non come soggetto individuale ma dentro la difesa dei diritti dell’umanità, del necessario equilibrio fra l’uomo, le altre specie e l’ambiente nella sua complessità. Da una pianificazione socio-economica centralizzata che si relazioni concretamente alla dimensione locale si può muovere verso il superamento degli squilibri fra fasce sociali, regioni, popolazioni, verso l’affermazione di modelli di transizione al socialismo, per l’utilizzo razionale di tutte le risorse con l’attuazione concreta dell’economia socio-ecologica politica. Ad esempio la pianificazione socialista ha consentito al Governo di Cuba di conseguire molte importanti vittorie; limitare le differenze economiche esistenti tra le diverse sfere sociali, sopravvivere alla grave crisi economica dell’inizio degli anni ’90, resistere per quasi cinquanta anni al grave blocco economico imposto dagli Stati Uniti. Nonostante tutti gli aspetti positivi della pianificazione centralizzata vi sono però, a livello locale, degli spazi di socialità e di economicità che possono essere sfruttati attraverso lo sviluppo socialista locale del territorio. Con questo obiettivo è nata la proposta chiamata Iniziativa Municipale per lo Sviluppo Locale (IMDL), che permette ai governi dei municipi di attuare delle politiche di sviluppo che consentano di sfruttare al meglio i territori e di attuare un sensibile sviluppo economico che permetta di migliorare il livello di vita della popolazione, le condizioni ambientali, il riciclaggio dei materiali, l’equità tra i sessi, la creazione di occupazione, ecc., dando impulso sociale ad una democrazie economica partecipativa e solidale. Questa iniziativa rappresenta una parte del lavoro attuato dal Ministero dell’Economia e Pianificazione di Cuba che ha nei suoi propositi proprio l’obiettivo di raggiungere il maggior livello di sviluppo socialista locale eco-socio compatibile e solidale, sempre chiaramente nell’ambito del più generale piano nazionale. Ecco che quella che io chiamo economia socio-ecologica politica è disciplina scientifica in quanto interagisce con la pratica politica della trasformazione.

Un lavoro complesso dunque, molto articolato, che ha visto la partecipazione di molti studiosi. (L. V.) Si, per me e per Carlos Lazo Vento, che mi ha aiutato a curare questo libro, è stato un lavoro complesso, durato molti mesi, che ha visto il coinvolgimento di molti studiosi, intellettuali militanti soprattutto, che da anni sono impegnati in questo lavoro e che con i loro contributi hanno dato ricchezza a questo lavoro, dando così un panorama ampio della realtà della America Latina, da Cuba al Venezuela, dalla Bolivia all’Ecuador, dal Brasile al Messico, dal Cile al Nicaragua. A tutti loro vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.

Quanto è importante questo lavoro per una piccola casa editrice come Natura Avventura Edizioni? (D. V.) La nostra è una piccola e giovane casa editrice che affronta quotidianamente le grandi difficoltà oggettive dell’editoria, amplificate dallo “schiacciamento” esercitato dai grandi gruppi editoriali in mano ai potentati economici e politici. Nonostante questo abbiamo comunque voluto dare vita a questo progetto soprattutto come contributo militante più che come operazione commerciale, anche se con l’aspetto puramente economico dobbiamo farci necessariamente i conti. L’aspetto culturale è sempre appartenuto alla sinistra, una volta si chiamava “controcultura”, io preferisco definirla militanza della cultura come contributo alla trasformazione sociale. Un processo di trasformazione che abbia tra le sue istanze anche le questioni ambientali, finalmente recuperate dalla sinistra di classe che invece per troppi anni le aveva lasciate in mano ad un ambientalismo connivente con il capitalismo. In quest’ottica un lavoro come “Allerta che cammina...” lo riteniamo importantissimo e innovativo.

Per concludere toglici una curiosità: perché il titolo “Amiamo i Beateles o i Rolling Stones?” alla tua prefazione? (L. V.) Questo vorrei rimanesse una curiosità del lettore. Comunque brevemente: è un titolo che abbiamo ideato insieme all’editore Domenico Vasapollo durante la lavorazione del libro in una sera piacevole nella quale univamo al lavoro momenti di “gioco”, come spesso avviene fra noi. Abbiamo voluto parafrasare il titolo di una famosa canzone dandogli un senso metaforico, individuando nella musica dei Beateles (ci perdonino tutti i fan dei Beateles) un cambiamento nel panorama musicale ma senza essenzialmente cambiare le regole del gioco, mentre in quella dei Rolling Stones una rottura radicale con il passato. Se amiamo di più i Beateles o i Rolling Stones è facile intuirlo, il perché e il senso della metafora lo capiranno i lettori leggendo il libro.