La crisi economica è solo un sintomo, curiamo la malattia

ALEJANDRO VALLE BAEZA

1. Ciò che la crisi non è Una lavandaia latina a New York, nel 2003, lavorava più di 80 ore alla settimana, prendeva circa 3 dollari all’ora, molto meno del minimo legale e non percepiva i soldi per gli straordinari, tanto meno godeva delle vacanze e dell’assistenza sanitaria1. Gli immigrati accettano questi lavori perché nei loro paesi di origine le condizioni di lavoro sono anche peggiori. Ad esempio, a New York, ci sono gli haitiani, che arrivano dal paese più povero del continente, con una speranza di vita, nel 2006, di 60 anni (la media del Latino America e dei Caraibi è di 73 anni) e con un prodotto pro capite di 560 dollari nel 2007 (5540 dollari è la media latinoamericana)2. Il censimento del 2000 registrava 750.000 haitiani che vivevano negli Stati Uniti, anche se questa è una sottostima, a causa dell’immigrazione illegale. Infatti sarebbe più corretto quantificarli in un milione, e questo significa che un haitiano su sei è emigrato negli USA. Haiti, non è mai stata autosufficiente nel consumo di riso, principale cereale della dieta del paese; oggi ne importa una parte. Questo è uno dei risultati delle politiche neoliberali: ad Haiti la libera importazione di riso ha distrutto la produzione locale e non ha creato nessun posto di lavoro promesso. In questo paese, il neoliberismo non si è imposto solo con la mera forza delle idee ma, in molte occasioni, con la forza concreta delle armi. Un esempio sono le misure terroristiche per destabilizzare il regime di Aristide, nel 1991, fino a rovesciarlo, per poi permettere il suo ritorno al governo solo dopo che il governante aveva accettato le politiche neoliberiste3. La disastrosa situazione di molti paesi poveri è diventata ancora più grave con l’adozione delle politiche neoliberali quando non è stata causata proprio da queste politiche. Quest’anno, più di 4 milioni di persone hanno patito la fame soprattutto a causa dell’innalzamento dei prezzi alimentari, secondo le cifre preliminari della FAO (10 dicembre 2008). Con questa la cifra totale di denutriti nel mondo cresce fino a 963 milioni, confrontata con i 923 del 2007; l’attuale crisi economica e finanziaria può condurre ancora altre persone alla fame e alla povertà, così come ha allertato l’ONU4.

Sempre nello stesso rapporto, si dichiara che: «Per milioni di persone che vivono nei paesi poveri, riuscire a contare, quotidianamente, su una quantità minima di alimenti per condurre una vita sana e attiva, è ancora un sogno lontano. Le cause strutturali della fame, come ad esempio il mancato accesso alle terre, al credito o all’occupazione - per non parlare dei prezzi alti degli alimenti -, continuano ad essere una triste realtà».

Fanta Lingani si sveglia ogni mattina all’alba a Ouagadougou, in Burkina Faso - una repubblica che si trova nella parte occidentale del continente africano -, e va a pulire le strade per una paga esigua. Al termine della giornata, cammina per due ore per andare a comprare, con meno di due dollari, qualcosa per la cena e lavora altre due ore per cucinare per i suoi numerosi figli e per suo marito. Pappa di mais, condita con foglie di albero, pesce e cenere di legno. Sarà l’unico pasto per tutti, per l’intero giorno. Lei, Fanta, è quella che mangia meno di tutti. Fino a pochi mesi fa, mangiavano tre volte al giorno, ora solo una e li aspetta la denutrizione, specialmente per lei. In pochissimo tempo Fanta e la sua famiglia sono passati dalla povertà alla miseria. In Messico sta avvenendo qualcosa di simile, nonostante il fatto che l’entrata media del Messico sia molto più alta di quella del Burkina Faso, ma ci sono dei poveri messicani che stanno nelle stesse condizioni dei poveri del Burkina Faso. Sono diventati dei vegetariani radicali perché non ingeriscono né latticini né uova, tanto meno la carne che già era scarsa nella loro dieta.

«La crisi haitiana è così grave che la gente si è vista costretta a mangiare (non alimenti) biscotti di fango (chiamati pica) per alleviare il senso di fame. È un disperato rimedio haitiano fatto di fango secco giallo che proviene dall’altipiano centrale del paese, per quelli che possono permetterselo».

Non è gratis5.

Già da molti anni gli affamati nel mondo sono tanti, ma sono anche aumentati, all’improvviso, con l’aumento dei prezzi degli alimenti: a luglio del 2007, il mais costava circa 147 dollari la tonnellata ($/T) e a giugno del 2008 era salito a 287 $/T; il riso (alimento principale ad Haiti e in molti altri paesi), a dicembre del 2007, costava 378 $/T e ad aprile del 2008 era salito fino a 1015.2 $/T.

Nel mondo quattro lavoratori su dieci sono poveri lavoratori6, la metà dei lavoratori è in proprio o sono lavoratori familiari. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ritiene siano forme di lavoro informale poiché difficilmente possono essere inserite nel lavoro formale e per questo sono senza prestazioni7. La OIL propone questo indicatore per dare l’idea dell’estensione della povertà.

I due dati precedenti dimostrano che il capitalismo fa vivere nella povertà praticamente la metà e lascia fuori dal suo controllo diretto più del 40% dei lavoratori del mondo, dopo aver regnato per molti secoli. La povertà dei lavoratori è dimostrata non solo da casi come quello di Haiti, ma in tutto il mondo in cui vi è la fame: la fame, la grave situazione dei lavoratori cui è impedito di avere una vita dignitosa è più grave di quello che dimostrano le cifre. Prendiamo ad esempio la cifra dei lavoratori poveri, appena lo 0,8% nei paesi con alti redditi. Vediamo uno dei paesi più ricchi tra questi, gli Stati Uniti:

Grafico 1, fonte elaborazione propria con dati di Mishel, L. et al. The State of Working America 2006-07, Economic Policy Institute, Cornell Univ. Press, NY, 2007.

Si vede che il tasso di disoccupazione nasconde una situazione di cattive condizioni di lavoro; i sottoccupati includono dai disoccupati a quelli che hanno rinunciato dal cercare lavoro poiché hanno perso la speranza di trovarlo e quelli che lavoravano part time e che volevano un contratto full time.

Negli Stati Uniti il lavoro viene pagato con salari sempre più bassi o stagnanti.

Grafica 2, fonte elaborazione propria con dati dell’Economic Report of the President 2008. Instaurazione del neoliberismo (inizi anni ‘80), così come viene mostrato nel grafico 2.

Nonostante il recupero dei salari, The State of Working America 2006-2007 calcolava che il 24,5% di tutti i lavoratori percepivano un salario orario al di sotto della soglia di povertà, stabilita dal governo statunitense; questa cifra saliva fino al 45,7% per le donne di origine latina.

Il capitalismo, nella sua fase neoliberista, ha impoverito moltissimi lavoratori, perché ha accresciuto la disuguaglianza non solo tra i paesi ma all’interno stesso dei paesi. L’esempio degli Stati Uniti è calzante: nel 2004, un quinto delle famiglie più ricche statunitensi percepiva il 47,9% dell’entrata totale, mentre un quinto della popolazione più povera ne percepiva solo il 4%; negli anni recenti, questa grande disuguaglianza è aumentata. Ed è la regola in tutto il mondo: agli inizi degli anni ’90 e dal 2000 in poi, per quanto riguardo i due terzi dei paesi di cui abbiamo dati disponibili, l’entrata totale delle famiglie con alti redditi si è espansa molto rapidamente rispetto a quella delle famiglie con entrate medie o basse. Si osservano tendenze simili nella altre dimensioni della disuguaglianza dei redditi, ad esempio, i redditi lavorativi in relazione ai profitti, o i salari di livello alto in relazione ai soldi dei lavoratori. In 51 dei 73 paesi dei quali esistono dati, negli ultimi anni, la massa salariale, in proporzione alle risorse nazionali, è diminuita. Inoltre, durante lo stesso periodo, il divario tra il 10% dei salari più alti e il 10% di quelli più bassi, è aumentato in 70 paesi di cui abbiamo informazioni8.

2. Ciò che davvero è una crisi: il caso statunitense Durante l’agosto del 2007 si fecero evidenti i problemi di liquidità del sistema bancario statunitense, il Sistema della Federal Reserve. La FED è dovuta intervenire iniettando liquidità extra nell’economia. Gli acquisti quotidiani di bonus realizzati normalmente dalla FED vanno dai 5 mila milioni ai 10 mila milioni di dollari, quindi, in alcuni giorni del mese, passeranno a cifre molto più alte. Questo è uno degli aspetti centrali della crisi finanziaria: la contraddizione creditizia. Questa contraddizione è stata originata dalla speculazione della bolla immobiliare. L’espansione statunitense ha avuto come punto fondamentale l’aumento delle vendite delle case, che ha portato ad un incremento dei prezzi: le vendite di case nuove iniziarono a calare durante luglio del 2005 e solo nell’agosto del 2007 diventò evidente quanto tutto ciò danneggiasse seriamente il funzionamento del sistema finanziario. Nell’ultimo trimestre del 2007, l’istituzione ipotecaria più grande degli Stati Uniti, la Countrywide, ha registrato perdite per 422 milioni di dollari; in seguito è stato assorbita dalla Bank of America. Durante il mese di marzo del 2008, la quarta banca d’investimenti degli Stati Uniti, la Bear Stern, è stata riscattata con una operazione sui generis: è stata assorbita dai suoi rivali, J.P. Morgan e la FED ha cambiato decine di migliaia di milioni di dollari di cattivi debiti dai bonus governativi, trasferendo perdite dalla banche ai contribuenti. Questa operazione non corrisponde alla normativa vigente negli Stati Uniti, infatti la FED ha riscattato un’istituzione le cui perdite provenivano da operazioni speculative di hedge funds localizzati nelle Isole Cayman, per evitare di pagare le tasse. Una delle storie che non vengono mai raccontate: profitti privati e perdite pubbliche. La spiegazione dell’azione della FED è stata la gravità della crisi finanziaria che, con il suo acutizzarsi, ha messo sotto sopra il sistema9. Un altro indicatore della gravità dei problemi finanziari è che, a causa della globalizzazione, le istituzioni molto grandi dei vari paesi, hanno difficoltà o sono già fallite: la banca inglese, Northern Rock, ha subito una forte crisi di liquidità, la prima avvenuta in questo paese, dalla fine del XIX secolo; è stata “nazionalizzata” dal governo laburista, ossia, sono stati socializzati i debiti e in seguito verrà privatizzata, nel momento in cui tornerà ad essere redditizia. Ci sono stati altri casi di banche in difficoltà in Svizzera, Francia, ecc., perché anche negli altri paesi è scoppiata la bolla immobiliare, oltre a dover pagare le perdite statunitensi. Ad esempio, in Spagna è fallita Martín Fedasa, il fallimento più grande della storia spagnola; alcune ipoteche continuano comunque ad avere problemi.

Negli Stati Uniti le ipoteche effettuate durante l’anno sono arrivate a cifre record e i prezzi delle case hanno continuato ad abbassarsi, nello stesso lasso di tempo. Parte dei profitti speculativi delle finanze statunitensi si sono spostate dal mercato ipotecario alle materie prime: il petrolio e gli alimenti sono saliti così tanto e così rapidamente, che hanno provocato proteste in molti paesi; i poveri per gli alimenti e i ricchi per i prezzi elevati della benzina. Paesi esportatori di materie prime hanno cercato di limitare le esportazioni per contenere l’inflazione, come l’Argentina che si è trovata di fronte agli alti prezzi della soia o la Tailandia, con il riso.

A settembre e ottobre sono avvenuti dei fatti molto importanti, in un tempo brevissimo: 1 Il governo ha annunciato un piano di risanamento per i due enti finanziari ipotecari, Fannie Mae y Freddie Mac, che mantengono ipoteche per quasi la metà del PIL statunitense. 2 Lehman Brothers ha dichiarato il fallimento senza poi ricevere un risarcimento dal governo; questo gruppo rappresenta una delle banche più grandi al mondo. Merry Linch, un’altra gigantesca banca di investimenti, è stata acquisita da Bank of America. 3 È avvenuto il più grande fallimento di una banca commerciale degli Stati Uniti: la Washington Mutual (WaMu), fino ad allora la principale cassa di risparmio USA, è stata un’altra vittima della crisi finanziaria. L’istituzione è stata interrotta dalle autorità regolatrici che hanno messo i loro depositi, attivi e succursali, in mano a J. P. Morgan Chase. 4 Il governo ultraprivatizzatore di Bush ha nazionalizzato l’American International Group, Inc (AIG), la maggiore assicurazione del mondo, poiché era al limite del fallimento, evitando quindi che la sua distruzione danneggiasse tutto il sistema finanziario. La Federal Reserve statunitense ha annunciato un accordo per la concessione di un prestito pari a 85.000 milioni di dollari alla compagnia, da farsi a cambio dell’80% dei suoi attivi. 5 Il governo ha strutturato un piano di risarcimento per il sistema finanziario di 700 mila milioni di dollari; l’azione aumenterà il debito degli Stati Uniti a più del 70% del suo prodotto interno lordo (PIL), secondo l’agenzia Fitch. Fino alla fine dell’anno non è chiaro come avverrà il risarcimento, dato che inizialmente si era detto di comprare attivi “tossici” al valore di mercato e dopo si è informato che invece verranno capitalizzate le banche, ossia, concessione di prestiti in cambio di azioni.

Tempo fa i bonus di General Motors e della Ford hanno ricevuto la qualifica di “rottami”, aspetto che ha fatto aumentare il credito per queste due imprese. La General Motors ha annunciato perdite per 39 mila milioni di dollari durante il trimestre del 2007; la Ford ha cambiato il suo pronostico e ha posticipato di un anno il momento in cui smetterà di registrare perdite e ha già annunciato il trasferimento di nuove operazioni fuori dagli Stati Uniti, per tornare ad essere redditizia10. Dopo tutto questo la situazione è peggiorata. Gli alti prezzi della benzina che arrivarono a 4 dollari per gallone, hanno contribuito alla caduta delle vendite tra il 20 e il 30% per le tre grandi di Detroit, ai licenziamenti e alla chiusura degli impianti, tutte situazioni molto frequenti nel 2008. Le tre imprese statunitensi hanno iniziato delle chiusure tecniche durante dicembre. L’industria automobilistica, insieme a quella della costruzione sono i due settori maggiormente colpiti dalla crisi, però i 7 milioni e 576 mila disoccupati che c’erano a gennaio sono aumentati fino a 10 milioni e 331 mila a novembre. Nella seconda metà dell’anno i prezzi di molte materie prime sono scesi considerevolmente e questo ha provocato altri problemi per i paesi esportatori, senza eliminare le difficoltà degli importatori. Oggi negli Stati Uniti, la benzina vale la metà rispetto al suo prezzo massimo e nonostante ciò le industrie automobilistiche sono state salvate dal governo - poiché in pericolo di bancarotta - di questo paese attraverso parte dei fondi destinati, inizialmente, al risanamento finanziario. Il salvataggio di 17 mila milioni di dollari è appena sufficiente per allontanare, per il momento, la bancarotta; la sorte delle imprese è ancora tutta da decidere.

La crisi, anche se è iniziata negli Stati Uniti, sta diventando globale, non solo per l’indubbio peso dell’economia statunitense, ma anche perché molti paesi hanno seri problemi così come viene mostrato nel riquadro seguente: Bilancio dei conti corrente 2007 in % del PIL di ciascun paese > Australia -5.6% > Turchia -7% > Spagna -10.2% > Romania -13.2, Ungheria e Polonia -5.1%; Ucraina -6.2% > Stati Uniti -5.5%

Fonti: elaborazione propria con dati della mappa interattiva del FMI

I grandi deficit dei paesi ricchi e con entrate medie, dovranno, prima o poi, correggersi e la crisi è un modo per farlo. Circa il 10% del deficit, in Spagna, potrebbe provocare una crisi di svalutazione però, ciò non è avvenuto perché il paese ha una moneta di area. Come si aggiusteranno, quindi, i conti esterni dei paesi della zona dell’euro?

Anche in altri paesi il mercato delle case si è gonfiato: Spagna, Gran Bretagna, Irlanda e Australia. I metodi e i tempi sono simili, poiché le stesse banche operano con pratiche somiglianti11. Lo sfruttamento delle diverse bolle finanziarie sta già avvenendo e questo contribuirà alla generalizzazione della crisi.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) prevede la caduta del PIL negli Stati Uniti, in Giappone e nell’Unione Europea, così come già sta avvenendo e non si prevedono miglioramenti sostanziali nella produzione, prima di un anno12.

Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi mondiale di grandi proporzioni. Una crisi che ha un aspetto assurdo e mostruoso: la produzione retrocede avendo tutto il necessario, lavoratori e mezzi di produzione, per mantenerla e anche farla crescere. Milioni di persone, a causa della crisi, perdono la casa poiché non riescono a pagare le ipoteche; tutto ciò contribuisce al fatto che molti lavoratori del settore della costruzione perdano i propri lavori, facendo sì che molte altre ipoteche non saranno pagate, momento nel quale questo circolo perverso si chiude. Ciascun lavoratore licenziato è un incentivo per ulteriori disoccupazioni. I profitti capitalisti sono, in molti casi, cattivi segnali per organizzare la produzione in maniera favorevole allo sviluppo umano, però sono generalmente un buon modo per continuare a produrre guadagni. Eccetto durante la crisi. Con una crisi grave, come quella che stiamo vivendo, il settore finanziario - banche, istituti ipotecari, ecc. - vede diminuire i propri profitti e fallisce. Con il fallimento del sistema finanziario si generano problemi al cosiddetto settore reale dell’economia o si aggravano quelli già esistenti. La produzione di beni tangibili e intangibili (ciò che si chiama economia reale come se le finanze fossero irreali) decade a causa del problemi finanziari e a sua volta li alimenta.

3. Che fare durante una crisi? Una crisi capitalista non è semplicemente il fatto che quattro lavoratori su dieci nel mondo non abbiano lavoro con un salario dignitoso, né che milioni di persone soffrano la fame. Non rappresentano una crisi neanche i milioni di morti in Iraq o i massacri perpetrati dagli israeliani contro i palestinesi. Una crisi capitalista avviene quando il motore della produzione capitalista si arresta. Con queste condizioni perdono non solo le classi sociali ma anche la classe dominante. In seguito, i costi vengono ripartiti in maniera diseguale, come la ricchezza: perdono di più quelli che hanno meno.

Una contrazione del debito, se non viene combattuta, può provocare una crisi molto grave come quella avvenuta negli anni ’30 del secolo passato. In quel periodo la produzione si arrestò in tutto il mondo; la disoccupazione aumentò vertiginosamente. Ad esempio, negli Stati Uniti, secondo le cifre ufficiali, a un lavoratore su quattro mancava lavoro e in due anni la produzione di questo paese si ridusse del 40%!

Però, se i governi intervenissero, la crisi non sarebbe più così grave come quella degli anni ’30? Non lo sappiamo; l’esempio del Giappone che, dopo la crisi degli inizi degli anni ’90, non è tornato a crescere come faceva prima, può essere un indizio, ma dobbiamo ancora capire perché in Giappone l’accumulazione si è fermata.

Grafico 3, fonte elaborazione propria con dati dell’OECD Factbook, 2008: Economic, Environmental and Social Statistics, http://oberon.sourceoecd.org/vl=13689276/cl=18/nw=1/rpsv/factbook/index.htm La gravità della crisi dovrà essere analizzata con nuovi parametri, dopo la crisi giapponese degli anni ’90. Come nel caso giapponese, attualmente i governi spendono somme astronomiche per aiutare le imprese, mentre tagliano le spese della sanità e dell’educazione. Gli aiuti alla popolazione sono esigui, al contrario di quelli agli organismi finanziari. Questa è la regola del capitalismo, così come ce la illustra il famoso storico, Howard Zinn: sin dalla nascita degli Stati Uniti, il ruolo del governo è stato quello di riscattare i potenti dai propri eccessi e far pagare la fattura ai lavoratori.

Il principio per cui il governo aiuta i grandi affari e rifiuta di usare la stessa generosità verso i poveri, è qualcosa che condividono entrambi i partiti: il partito repubblicano e quello democratico. Il presidente Grover Cleveland, un democratico, ha messo il veto su un decreto che avrebbe dato 100 mila dollari agli agricoltori texani per aiutarli a comprare i semi durante il periodo di siccità, dicendo:

«Gli aiuti federali in casi del genere (...) incoraggiano l’aspettativa di una attenzione paternalista da parte del governo e debilita il nostro carattere nazionale».

Però, nello stesso anno, ha utilizzato i suoi possedimenti d’oro in eccesso per pagare, ai ricchi possessori di bonus, 28 dollari in più rispetto al valore di ciascuno, un regalo da 5 milioni di dollari13.

La Banca Mondiale, in una delle sue vergognose dichiarazioni alle quali ci ha abituato, afferma che la spesa è già iniziata, attraverso un finanziamento rapido, per alleviare la fame del mondo, di 1200 milioni di dollari, meno del costo di quattro giorni dell’invasione dell’Iraq14. La destra ha già preparato un’interpretazione di questa crisi e un modo per imporre le stesse misure che hanno usato fino ad ora per soggiogare ancora di più i lavoratori di tutto il mondo; leggiamo ciò che dice S. Edwards, dal rancido nome pinochetista, su una rivista della destra colta messicana:

«Questa non è la crisi finale del capitalismo, questo è il capitalismo. Disordinato e imperfetto, creatore di enormi ricchezze e benessere. Alcune volte inciampa, perché assume un ritmo troppo rapido o vertiginoso o perché, temporalmente, ha sbagliato il percorso. Questo è il capitalismo che cade, sbatte e retrocede. Si lecca le ferite, mentre si prepara a tornare in movimento con la sua enorme forza creativa e la sua efficienza»15. Con la crisi aumenta, in molte persone, la rabbia contro il capitalismo: si tratta di ira contro la macchina differente alla tradizionale opposizione al potere di corte programmatico e ragionato dei movimenti socialisti storici; distinta dalla resistenza (con frequenza violenta) dei movimenti di liberazione nazionale contro le potenze coloniali. È un’altra cosa: l’esplosione della furia di quelli che stanno in basso, senza una precedente proposta politica di trasformazione sociale o una ideologia che giustifichi la loro azione.

È l’ira nata dal malessere, dal degrado, dall’indignazione, dall’incomodità, dalla frustrazione, dal saccheggio e dal maltrattamento dei potenti. È un profondo sentimento di contrarietà che esteriorizzandosi, cambia la mappa politica16.

Questa rabbia senza progetto che stava dietro al famoso slogan “que se vayan todos”17, in Argentina, come prevedeva Guillermo Almeyra, sì è trasformata in “che rimangano tutti”.

La crisi è un momento che ci obbliga ad indirizzare questo progetto che non può essere altro che il socialismo. Il capitalismo funziona male già da troppo tempo per la maggior parte della popolazione mondiale, non è più una alternativa di sviluppo umano. Distrugge l’ambiente18, le vite di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo con le sue guerre, rovina le vite di milioni di bambini a causa della cattiva nutrizione, svilisce l’educazione e la vita quotidiana. Nonostante il capitalismo abbia il potere delle armi, che usa senza pudore, possiede anche un apparato di propaganda estremamente potente, che spiega il perché così frequentemente, in tutto il mondo, i poveri votino contro i poveri.

L’altra faccia del dominio ideologico del capitalismo è lo scarso sviluppo del senso critico. In Messico, ad esempio, prima e durante la crisi, la sinistra non ha parlato altro che di capitalismo con un “volto umano”. Il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), il partito di sinistra più grande e importante, non ha lavorato né ad una spiegazione della crisi né ad una strategia per combatterla e alleviare gli effetti. L’attuale dirigenza del PRD è nata dal potere, dato che negozia con la destra e ha frodato durante le elezioni interne. La seconda forza all’interno del PRD - quella che ha perso nelle elezioni interne, legata all’ex candidato alla presidenza Andrés Manuel López Obrador e con un forte consenso popolare - non ha impostato nessuna alternativa chiara, sia perché si concentra sull’aspetto politico, come fa l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, sia perché non ha sviluppato un progetto di socialismo fattibile.

«Il centrosinistra, alla ricerca di un nuovo Keynes», ha scritto un giornalista del The Guardian19. L’autore scrive che la destra al potere continuerà ad utilizzare le sue politiche anche dopo la crisi e riconosce che l’altra destra, la socialdemocrazia di cui lui fa parte, non ha sviluppato niente di paragonabile alla scuola di Chicago e quindi, non ha molto da proporre. Afferma che il marxismo e i verdi hanno dei progetti realmente alternativi. Io dubito che ce ne sia qualcuno sufficientemente conosciuto e accettato dalla sinistra. Confido nel fatto che in questa rivista discuteremo di lavori come Toward a new socialism di Cockshott e Cotrell20 o “People and Property in the Building of Communism”21 di M. Lebowitz, chiaramente marxisti, però anche altri come quelli appartenenti all’economia partecipativa che si distanziano dal marxismo e contengono critiche e proposte, per niente disprezzabili, per uno sviluppo del socialismo.

Sicuramente la crisi ci obbligherà a discutere nuovamente dei grandi temi, delle finalità del socialismo:

“Nella società di produttori associati che Marx immaginava, lo sviluppo multidimensionale delle persone sarebbe basato sia sulla ‘subordinazione della produttività sociale, che sulla ricchezza sociale’. La crescita della produttività non si produrrebbe a spese dei lavoratori, ma si tradurrebbe nella soddisfazione delle necessità e nella possibilità di avere più tempo libero, che potrebbe essere dedicato allo sviluppo artistico, scientifico (...). Tutte le fonti di ricchezza cooperativa fluiranno più abbondantemente e i prodotti di questa società di produttori liberamente associati, saranno esseri umani capaci di sviluppare totalmente le proprie capacità, all’interno della società umana”22.

Però cose più specifiche, come il ruolo del mercato: una strana proporzione degli economisti politici radicali ha scelto di unirsi al giubilo conservatore e internazionale del libero mercato. Ad esempio, nel dibattito su che cosa costituisca un’economia del benessere - scatenato illogicamente dalla crisi delle economie di stampo sovietico - ci sono, fondamentalmente, quattro scuole di pensiero che rispettivamente, sono a favore di:

1) modelli di mercato di iniziativa pubblica; 2) modelli di mercato di economia mista; 3) modelli di pianificazione centralizzata; 4) modelli di pianificazione democratica o partecipativa.

Senza dubbio, Marx sarebbe sorpreso che l’opinione maggioritaria tra i marxisti d’oggi, si orienti nelle prime due scuole. Di fatto, questa opinione è d’appoggio più alle visione del mercato, per cui tra i marxisti esiste un dibattito attivo tra le differenti visioni dei modelli di mercato che tra i mercati e la pianificazione23.

Nell’articolo da cui abbiamo preso la citazione precedente, si critica la teoria del valore lavoro, erroneamente, dal mio punto di vista e si afferma la necessità di una pianificazione democratica con la quale concordo totalmente.

Il neoliberismo non è un percorso erroneo intrapreso dal capitalismo, è la forma che il capitalismo ha trovato, alla fine degli anni ’70, per svilupparsi meglio e che ha funzionato molto bene per questi fini. Il keynesismo è stata una via efficace per gli stessi fini della teoria neoclassica che propugnava il neoliberismo e che smise di esserlo e per questo le classi dominanti la rifiutarono, molte volte in modo poco educato, fino a diventare brutale. Sempre alcune misure keynesiane sono possibili e convenienti per alleviare la fine a lungo termine: la difesa della proprietà privata e del capitalismo.

La crisi economica non è la malattia, lo è il capitalismo. La crisi è un sintomo di questa terribile e mortale malattia che è diventato il capitalismo. Curiamoci fintanto che abbiamo tempo; per questo dovremo lottare con una memoria solidale con tutte le forze anticapitaliste e apprendere da queste senza arroganza.

1 Gonzalez, Marco Vinicio, “¿Quién crees que lava la ropa en Nueva York?”, Masiosare 294 Supplemento de La Jornada, 1 agosto 2003.

2 Dati della Banca Mondiale, il PIL è calcolato con il metodo Atlas, in dollari correnti. http://web.worldbank.org/WBSITE/EXTERNAL/DATASTATISTICS/0,,contentMDK:20535285 menuPK:1192694 pagePK:64133150 piPK:64133175 theSitePK:239419,00.html

Vedere Chomsky, N., “US-Haiti”, 9 marzo 2004, in http://www.zmag.org/znet/viewArticlePrint/8939 consultato 25-12-08.

http://www.fao.org/news/story/es/item/8836/icode/ consultato il 27/12/08 10:11 PM.

“El hambre invade Haití y el mundo”, Stephen Lendman, Rebelión, 28-IV-08, http://www.rebelion.org/noticia.php?id=66639

Le loro entrate sono pari a meno di due dollari statunitensi al giorno.

International Labour Organization (UN), Global Employment Trends, gennaio 2008, p. 11 n. 5.

Organizzazione Internazionale del Lavoro Istituto Internazionale di Studi Lavorativi, Informe sobre el trabajo en el mundo 2008: Desigualdades de renta en la era de la finanza global (Resumen), 2008, p. 1 in: http://www.ilo.org/public/spanish/bureau/inst/download/summs08.pdf consultado 27-11-08, 23:11.

Il Board of Governors della Fed ha richiesto una regola di emergenza, a marzo, per prestare 13 mila milioni di dollari alla Bear Stearns; in seguito ha detto al presidente del New York Fed, Timothy Geithner, di sollecitare la protezione dalla bancarotta. Due giorni dopo, la Fed ha accettato di finanziare con 30 mila milioni di attivi non liquidi la Bear, garantendo così il suo assorbimento da parte di JPMorgan Chase & Co.

La Ford trasferirà la produzione del modello “Fiesta” in Messico, con un investimento di 3000 milioni di dollari.

Catte, P. et al. “Housing markets, wealth and the business cycle”, OECD, Economics Department Working Papers num. 394. dicembre 2004.

OECD, Economic Outlook No.84, Conferenza stampa del 25 novembre 2008 in cui si prevedeva la caduta dello 0.9% per gli Stati Uniti, lo 0.1% per il Giappone e lo 0.6 per la zona euro.

Zinn, Howard. “La intervencion del Estado: Cambiar la orientación” in Cash, supplemento di Página 12, 19 Ottobre 2008.

Si vedano i costi della guerra in: http://www.nationalpriorities.org/costofwar_home

Edwards, S, “Al Sur de la crisis”, in Letras Libres. Dicembre 2008, in http://www.letraslibres.com/index.php?art=13411.

Hernández N., L., “Rabia contra la máquina”, in La Jornada, 30 dicembre 2008, http://www.jornada.unam.mx/2008/12/30/index.php?section=opinion&article=012a1pol.

Che se ne vadano tutti [N.d.T.]. La complessa e necessaria relazione tra il socialismo e la questione ambientale è strutturata in modo molto interessante e senza giri di parole, in: Foster, John B. “Ecology and the Transition from Capitalism to Socialism”, in Monthly Review, novembre 2008, volume 60, num. 6, in http://monthlyreview.org/081110foster.php

Elliott, Larry, “Un centroizquierda a la búsqueda desesperada de un nuevo Keynes”, tradotto e pubblicato in Rebelión il 31-12-2008, http://www.rebelion.org/seccion.php?id=28

Il libro completo si può trovare in http://ricardo.ecn.wfu.edu/ cottrell/socialism_book/new_socialism.pdf

Relazione al Colloquio “La obra de Karl Marx y los retos del siglo XXI, La Habana, maggio 5-8 del 2003.

Construyámoslo ahora. El socialismo para el siglo XXI, Centro Internacional Miranda, Caracas, 2007, citato nella rassegna di Victor Isidro Luna nella pagina WEB di SEPLA: http://sepla.icidac.org/Desarrollos.htm

Albert, Michael. “Aniversario del marxismo: Larga vida a una parte del marxismo”, in http://zinternational.zcommunications.org/Spanish/1003albert2.htm