Crisi finanziaria globale e limiti strutturali del capitale nel XXI secolo

FRANCESCO LUIZ CORSI - GIOVANNI ALVES

1. Il nostro obiettivo è di presentare gli aspetti salienti della crisi finanziaria globale del 2008. Come la cronaca di una morte annunciata, lo sgretolamento dei mercati finanziari ha mostrato la natura contraddittoria del sistema mondiale del capitale sotto il predominio della finanza capitalista. La novità non risiede nell’esplosione della bolla speculativa del 2008, ma nell’intensità e nella dimensione del cataclisma globale e finanziario, e principalmente nella sua ripercussione non solo sul piano economico, ma anche su quello politico, geopolitico e nella lotta di classe in tali aree. Noi difendiamo l’ipotesi che la nuova dimensione del capitalismo globale significherà da un lato (1) l’aggravamento delle lotte politiche e sindacali delle classi salariate contro lo Stato politico del capitale e (2) l’approfondimento delle tendenze distruttive del sistema mondiale del capitale nell’ambito produttivo. In tali condizioni della riorganizzazione capitalista una nuova onda di ricostruzione del capitale dovrebbe emergere dalle condizioni di recessione dell’economia capitalista. L’adattamento dei conglomerati industriali e la precarizzazione del mercato del lavoro possono esacerbare le linee di razionalizzazione corporative e le manipolazioni sistematiche, oltre ad amplificare l’irrazionalità sociale (gli elementi della barbarie sociale possono peggiorare, richiedendo nuovi modi di resistenza strategica ai movimenti). È importante sottolineare che la crisi del capitalismo globale che emerge nel 2008 è uno dei momenti cruciali della crisi strutturale del capitale. Come la grande crisi capitalista degli anni ‘70 esiste una nuova temporalità storico-sociale del mondo capitalista. Infatti, la crisi finanziaria globale del 2008 è un altro degli anelli della catena critica della dinamica capitalista sotto la crisi strutturale del capitale. Dagli 1970 il sistema mondiale del capitale è stato sommerso da una serie di instabilità sistematiche connesse alla natura della ricchezza finanziaria del capitalismo come risposta strutturale alla crisi di sovraproduzione. A quel punto la prima recessione globale nel periodo del dopoguerra ha imposto la nuova fase di sviluppo capitalista che François Chesnais ha chiamato “la mondializzazione del capitale”. Nei “trenta anni perversi” il capitalismo globale emerge con alcune rimarchevoli linee strutturali, caratterizzate da una pletora di ristrutturazioni capitaliste nei vari campi della vita sociale. Nella varietà della nuova architettura capitalista abbiamo la predominanza del capitale finanziario che ha marcato la dinamica capitalista dagli anni ’80 all’inizio del nuovo secolo. Essa è caratterizzata dalla supremazia delle politiche neoliberiste, la complessità delle ristrutturazioni produttive e la amplificazione del finanziamento della ricchezza capitalista. In tale contesto storico, un nuovo e precario mondo del lavoro emerge e un metabolismo della barbarie sociale viene disseminato. Nella temporalità storica della crisi strutturale del capitale, l’economia mondiale diventa piuttosto instabile, ed è marcata da crisi finanziarie e bolle speculative che esplodono, come dal 1987 al 1997. Nel 2008 sembra avverarsi un ciclo allargato di crisi finanziarie, con la crisi corrente che assume una dimensione mai vista, a causa dell’accumulazione di contraddizioni del regime prevalentemente finanziario di accumulazione. La crisi finanziaria nel 2008 raggiunge il “nucleo organico” del sistema mondiale del capitale, mostrando le determinazioni contraddittorie immesse nell’economia capitalista dal suo polo egemonico (gli USA). Gli stati affrontano una crisi finanziaria che è stata disseminata dal mondo capitalista. In questa maniera, la crisi nasce al centro del sistema e la sua intensità e larghezza va dalla crisi strutturale di valorizzazione nella polpa del “nucleo organico”. Ma l’idea di crisi strutturale del capitale possiede un significato preciso - l’acutizzazione delle obiettive contraddizioni nel modo di produzione capitalista nella sua dimensione planetaria. Perciò la crisi strutturale non va confusa con la stagnazione (e caduta) del mondo capitalista. Al contrario, in assenza di una soggettività negativa del capitale, gli ultimi “perversi trenta anni” hanno dimostrato che la crisi strutturale significa l’espansione esacerbata del capitale. Con ciò, dalla crisi del capitalismo globale non dovrebbe emergere una nuova società mondiale emancipata, ma al contrario, si dovrebbero esacerbare le tendenze distruttive, intensificate dalle contraddizioni sistematiche.

2. Ora, visto che non si nota all’orizzonte un soggetto storico di classe capace di “negare la negazione” in ambito globale, ciò che abbiamo è una nuova fase di problematica riproduzione del capitalismo mondiale nella sua fase socialmente barbarica. Si esacerberanno le lotte delle masse salariate a livello mondiale, anche nei nuovi campi di valorizzazione come la Cina, l’India e l’America Latina. Si può dire che, nell’interstizio nazionale, nuove esperienze anti-capitaliste tendono ad emergere che, nel medio e lungo periodo, possono porre la possibilità alla vita sociale di una nuova maniera di produzione. Dal punto di vista del processo storico si può intravedere una nuova socialità post-capitalista che altera materialmente e soggettivamente i soggetti storici collettivi. Tuttavia, siamo nell’ambito della immanenza della storia e della contingenza della politica. Al momento la crisi finanziaria entro la crisi strutturale - sul piano della oggettività sociale e dei riverberi nella fase produttiva - sono momenti di riordino interno del capitale come soggetto automatico di auto-valorizzazione, momenti propiziatori di ricostruzione dinamica in molti ambiti della vita sociale. Si può dire che il 2010 dovrebbe significare un salto ricostruttivo nella vita sociale sotto le condizioni critiche di accumulazione di valore. La crisi, ricostruzione e espansione del capitale di relazione (principalmente nel campo socio-territoriale) - sono le registrazioni sistematiche del capitale come maniera strana di controllo sociale. Come detto sopra, la espansione del capitale è sintomo di crisi strutturale. In tale maniera, la crisi e l’espansione - non la stagnazione - costituiscono il duo perverso della dinamica capitalista. In tale maniera, sotto il capitalismo delle bolle il sistema del capitale cerca di riorganizzarsi “bruciando” capitale fittizio, esponendo le budella del Moloch del capitale che distrugge senza speranza il lavoro vivo. La crisi globale finanziaria del 2008 sta divenendo veramente intensa ed altererà in maniera significativa la reale dinamica produttiva. Sebbene sia fittizio, il capitale bruciato è parte della realtà del sistema capitalista di produzione dei beni - una realtà di crisi di valorizzazione che viene ricordata nei momenti di esplosione delle bolle speculative. Il mercato finanziario ha drenato parte della massa di capitale-moneta stimolato dal mercato della finanza secondaria (hedges e derivati), una massa di valore astratto incapace di venire valorizzata nella sfera produttiva a causa della crisi strutturale di valorizzazione. Sebbene siano state aperte nuove aree di esplorazione e produzione di valore, i nuovi campi di accumulazione non potrebbero soddisfare i bisogni di valorizzazione necessari al nuovo “quanto” di capitale-denaro accumulato negli ultimi decenni di politiche neoliberiste che intensificavano l’esplorazione e accumulazione di valore che diviene incapace di entrare l’ambito produttivo. Allora, il finanziamento della ricchezza è un bisogno strutturale del capitale nella fase corrente. È parte della vita organica della produzione di beni in condizioni di crisi strutturale. Mentre la massa di ricchezza astratta cresce, diventa difficile darle un valore. Perciò l’esplosione della bolla tende a significare (1) ridimensionamento della organizzazione della produzione, che richiede una nuova ondata di sfruttamento capace di ricomporre le basi della valorizzazione per il capitale-moneta assetato di nuovo valore. Incapace di andare oltre i propri limiti, il capitale “fugge al fronte”, stimolando, allargando ed intensificando le proprie oggettive contraddizioni. La nuova ondata dello sfruttamento significherà più accumulazione di capitale-moneta ed incapacità di ottenere valore nella sfera della produzione di merci, e la ricostruzione delle maniere fittizie di valorizzazione (bolle). È importante notare che, nella crisi del 2008, non è bruciato l’intero eccesso di capitale fittizio. La nuova ondata di sfruttamento della forza del lavoro e di spoliazione del lavoro vivo che emerge con la crisi tende ad approfondire le linee distintive del capitalismo globale come “capitalismo manipolativo” (Lukacs). Inoltre, produce elementi di barbarie sociale e la necessità di regolazione statale a livello sociale, aprendo nuovi spazi per le lotte di classe nell’ambito del potere statale. Tuttavia, un altro risultato della crisi globale finanziaria è la politicizzazione ulteriore della economia del capitalismo globale. Mentre lo stato politicizza il capitale aiutando i mercati finanziari, iniettando trilioni di dollari per salvare il capitale finanziario, nutre il Moloch del capitale. Aumentando il debito pubblico estero apre spazi per intense lotte. La disputa per il deficit pubblico deve aumentare. Lo stato politico del capitale “catturato” dalle domande dei mercati finanziari deve peggiorare la propria crisi di legittimità. In questo contesto, in caso di una lunga recessione globale, dovrebbe essere spinto dai movimenti sociali negli anelli deboli del sistema mondiale del capitale, peggiorando la crisi dei sindacati integrati dall’amministrazione del capitale, incapaci di lavorare con le ultime ondate di ristrutturazione produttiva. Infine, il decennio dal 2010 dovrebbe essere un decennio di lotte allargate e di esplicitazione della crisi strutturale del capitale non solo come crisi economica ma anche come crisi della umanità.

3. Lo spettro della crisi del 1929 vola sul capitalismo globale. Dall’Agosto 2007 si è approfondita la crisi del sistema finanziario scatenata dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui nordamericani. La crisi è diventata seria dall’Ottobre 2008, ma è lontana dalla fine. Malgrado le misure di allargamento dell’aiuto del governo nei paesi che adoravano il sacro dogma del neoliberismo, la crisi già raggiunge l’economia reale e tutto indica che durerà e si allargherà a tutto il mondo, raggiungendo le aree periferiche in maniera ineguale. Il centro di radiazione della crisi è il nucleo del sistema e non più la periferia, come negli anni 1990. Lo scoppio della bolla speculativa del NASDAQ nel 2000 è stato il primo segnale che la crisi sistematica aveva raggiunto il centro del capitalismo. Trilioni di dollari di capitale fittizio sotto forma di azioni e titoli sono stati bruciati in breve tempo. All’improvviso i valori sono caduti. La catena di titoli derivati dai titoli sui mutui nordamericani, che abbracciavano i principali siti finanziari del globo, sta collassando e il collasso conduce alla crisi globale del credito, che sta raggiungendo in pieno la produzione e l’occupazione. Malgrado la solida iniezione di denaro nei mercati da parte delle banche centrali dei paesi sviluppati, la situazione delle banche, dei fondi di investimento e delle compagnie di assicurazione continuerà a deteriorarsi così come il settore produttivo. Inoltre, le perdite di molte grandi aziende che speculavano sul mercato finanziario sono pesanti. Il grande aiuto dei governi delle nazioni sviluppate, che ha parzialmente messo alcuni sistemi bancari sotto il controllo statale e garantito i depositi, ha fermato, almeno temporaneamente, il collasso finanziario, ma la crisi può strisciare come nel 1929. Naturalmente la situazione di oggi è diversa. L’incorporazione della URSS, della Cina e dell’India ed altre aree periferiche, i nuovi confini della accumulazione del capitale, allargando troppo il mercato mondiale, pongono nuovi problemi. La crisi mette dubbi alla solidità delle valute, in particolare del dollaro, che viene ad essere sempre più posto in questione come valuta internazionale, sebbene si osservi una fuga in direzione dei titoli del Tesoro USA. Malgrado il relativo spiazzamento della valorizzazione del capitale fittizio della produzione di valore, le sfere produttive e finanziarie continuano fermamente articolate. La crisi approfondirà di più il processo di centralizzazione del capitale, particolarmente nel settore finanziario. Il processo è già evidente negli USA. Si può anche osservare una grande richiesta di regolazione delle finanze globali. Le istituzioni multilaterali come l’IMF e la Banca Mondiale, così attive quando devono disciplinare le economie dei paesi poveri, imponendo politiche repressive, sono paralizzate, senza condizioni e disposizioni per provare a invertire la situazione. Si apre spazio per la regolazione dei mercati e per posizioni alternative al neoliberismo. La crisi del 2008 viene in parte da quasi 30 anni di applicazione di politiche neoliberiste, specialmente la de-regolamentazione di mercati finanziari e dei risparmi nazionali. L’ideologia neoliberista, che esprime sopratutto le paure dei grandi gruppi oligopolisti, sembra essere in crisi terminale. Tuttavia, la crisi non può essere attribuita esclusivamente al neoliberismo. È anche il risultato delle contraddizioni interne e profonde del capitalismo. Risulta sopra tutto dalla prevalenza del capitale finanziario e delle sue maniere di valorizzarsi, in particolare le bolle speculative. L’egemonia neoliberista può essere compresa solo entro l’importanza del capitale finanziario dagli anni ’80. La crisi di sovraproduzione degli anni ’70 ha aperto una fase di crescita economica nel mondo bassa ed ineguale che si è estesa fino al 2003. La crisi di sovraproduzione articolata dalla crisi del sistema finanziario internazionale di Bretton Woods ha creato le condizioni per il cosiddetto standard flessibile per il dollaro, elemento importante per riaffermare l’egemonia degli USA e la prevalenza del capitale finanziario. Il ritmo lento dell’accumulazione al centro del sistema contribuisce a generare un surplus di capitale in forma di denaro, gonfiando la sfera finanziaria, che è distaccata da quella produttiva. Quando il capitale fittizio si muove lontano dalle condizioni reali di valorizzazione, presto o tardi deve deprezzarsi per ricomporre le proprie condizioni di valorizzazione. Il capitalismo ha reagito alla crisi degli anni ’70 ristrutturandosi. Nel centro, cominciò con un processo di dismissione dello stato del benessere; la spesa pubblica fu re-diretta a sostenere la valorizzazione del capitale finanziario, amplificando il debito pubblico. La ristrutturazione produttiva che era importante per imbrigliare la classe operaia e la ri-allocazione produttiva di vari segmenti in aree regionali diverse, ha incorporato milioni di lavoratori asiatici e dell’Europa orientale nell’economia mondiale, rimunerati con bassissimi salari, e messo in discussione le conquiste del movimento dei lavoratori nei paesi avanzati. La ri-locazione spaziale di segmenti industriali, specie in Asia orientale, indotta dalla ricerca incessante di valorizzazione del capitale, ha contribuito ad aprire un nuovo confine di accumulazione che ha costantemente acquisito peso nell’economia mondiale. Tale processo è stato anche determinato da trasformazioni interne dei paesi dell’area e dalle politiche di sviluppo intraprese. Il peso della crescita accelerata in Asia orientale, specie in Cina, è risultato evidente dal 2003, quando l’economia mondiale ha ripreso a crescere vigorosamente. Tuttavia molte aree della periferia, come l’America Latina, hanno vissuto momenti di grande instabilità e crisi economica e sociale. Un altro elemento della ristrutturazione del capitale è stato la de-regolazione delle finanze e dei risparmi nazionali. Tali processi, condotti dai governi di UK e USA, sono stati decisivi per la costituzione del mercato globale finanziario. Come risultato di tali processi si può osservare la riorganizzazione dei tassi di profitto dall’inizio degli anni ’70, che sono cresciuti dalla metà degli anni ’80, basandosi sull’incremento dello sfruttamento del lavoro. Al centro del sistema, eccetto per gli USA nella seconda metà degli anni ’90, il tasso di investimento, come detto da Chesnais (1998, p.9-18), non ha seguito tale tendenza, e vi sono stati poco stimolo alla crescita, difficoltà croniche di valorizzazione del capitale e di conseguenza un continuo gonfiarsi della sfera finanziaria. Le cause della tendenza alla crescita lenta sono il basso livello degli investimenti, la riduzione del consumo dei lavoratori, e la stagnazione di molte aree della periferia. Tale sviluppo non va considerato come sconnesso da quanto accade in Asia orientale, specie in Cina. In quest’area si può osservare una forte accelerazione dell’accumulazione, che sommata agli alti investimenti nella cosiddetta nuova economia negli USA degli anni ’90 ha generato problemi di accumulazione su scala mondiale, che sono state le cause delle crisi del 1997, in Asia, e del 2000, con lo scoppio della bolla NASDAQ (Chesnais, 2006, Brenner, 2006).

4. La prevalenza del capitale finanziario risultata dalla ristrutturazione capitalista è stato accompagnato da trasformazioni della borghesia, che sarebbe, secondo Chesnais (2005), divenuta una classe profittevole che inizia a presentare un comportamento patrimoniale, imponendo “una riforma radicale dei diritti di proprietà”, sottomettendo le aziende e i salariati alla logica della profittabilità del capitale finanziario. La maggior parte dei dividendi e delle parcelle vanno a ridurre i profitti trattenuti per finanziare gli investimenti e determinerebbero la bocciatura di progetti che non assicurino i tassi richiesti dagli azionisti. La dominanza sul capitale finanziario ha creato una dinamica economica instabile basata su bolle speculative. La formazione e scoppio di sfere speculative ha caratterizzato lo schema di accumulazione del capitalismo globale dalla fine degli anni ’80 (Brenner, 2006). Tra il 1990 ed il 2007 sia i momenti di espansione sia quelli di contrazione furono determinati da bolle speculative. L’instabilità del nuovo schema di accumulazione prevalentemente finanziario ha cominciato ad essere evidente con la crisi delle borse in USA nel 1987 e dopo la recessione del 1990-1991. Per combattere la recessione del 1990-1991 i governi dei paesi sviluppati, specie gli USA, hanno ridotto le spese ed allargato i crediti. L’uscita per il capitale finanziario, in un contesto di bassa remunerazione al centro del sistema, era di andare in una periferia che stava subendo un processo di ristrutturazione del proprio debito estero ed aprendo i propri risparmi nazionali come comandato dai governi che avevano appoggiato il Washington consensus. Questi avidi capitali, dopo essersi valutati, hanno mantenuto la loro valorizzazione in buona misura speculando con gli stocks, i titoli, l’immobiliare e le valute da risparmi periferici, che mostravano tassi superiori a quelli dei paesi sviluppati, a causa, molte volte, dei piani di stabilizzazione economica. Hanno anche ottenuto enormi guadagni nei processi di privatizzazione delle aziende di stato e nella acquisizione di aziende private. La non sostenibilità di tali piani in America Latina e la valorizzazione delle valute di vari paesi asiatici, che hanno aperto i propri risparmi nazionali ed erano inseguiti dalla competizione giapponese e cinese (dopo il deprezzamento dello Yen nel 1995), hanno aperto un periodo di grande instabilità nella periferia, il cui apice è stato la crisi asiatica del 1997. L’economia mondiale non è arrivata al collasso a causa di un’altra bolla speculativa che è cresciuta negli USA, basata sulla speculazione sugli stock di aziende ad alta tecnologia nel NASDAQ e sulla continuità della crescita economica americana (con il crescente deficit esterno), cinese ed indiana. La bolla speculativa nel NASDAQ ha contribuito a che la crisi non raggiungesse con tutta la propria forza il nucleo del sistema. I governi centrali e l’IMF velocemente, come avevano fatto in Messico, hanno prodotto pacchetti di emergenza. Tuttavia, hanno imposto politiche di aggiustamento dure per i paesi dell’area. La bolla in USA è scoppiata alla fine del 2000, perché la valorizzazione fittizia non era in grado di resistere più alla “attrazione gravitazionale della caduta dei profitti” nelle aziende ad alta tecnologia, che stavano cadendo dagli anni ’90 per via di un eccesso di capacità, che era stato un elemento importante anche della crisi asiatica (Brenner, 2006). La crisi finanziaria si diffuse rapidamente e le perdite furono generalizzate. La contrazione della economia americana ebbe conseguenze sul mondo intero. Tuttavia possiamo osservare che i risparmi in paesi dell’Asia che si sviluppano hanno sofferto relativamente poco e si sono avute accumulazioni di riserve. L’America Latina è entrata in crisi. Al tempo, molti analisti di mercato ed economisti si aspettavano una crisi di vaste proporzioni nel 2000. Lo scoppio della bolla invece ha solo provocato un periodo di crescita lenta durato fino al 2003. Da quell’anno l’economia è entrata in una fase di intensa crescita comparabile a quella del periodo 1950-1973. L’approfondimento della crisi era stato evitato dall’azione immediata del governo americano e della FED e dovuta al peso crescente delle economie asiatiche nell’economia mondiale, specie la Cina. L’azione della FED è stata completa e veloce. I tassi furono ridotti e il credito allargato. È stato di importanza speciale la riduzione dei tassi di lungo periodo, decisivi per creare una nuova bolla speculativa nell’immobiliare. Il governo Bush ha anche imposto un pacchetto fiscale basato sulla riduzione delle tasse, elevando al contempo le spese militari con le guerre in Afghanistan ed Iraq. Il governo americano adottò politiche anti-cicliche tipicamente Keynesiane (Brenner, 2006). La valorizzazione dell’immobiliare ha permesso alle famiglie di sostenere ampi debiti per mezzo di nuovi mutui e ciò rese possibile il forte incremento del consumo, che ha cominciato a tirare la crescita dell’economia. Mentre il settore industriale era profondamente coinvolto nella crisi, l’economia americana stava recuperando basandosi sulla espansione dei consumi, l’edilizia civile, il settore dei servizi, i settori del commercio e finanziario. Questa maniera di recuperare era alimentata da febbrili speculazioni immobiliari che hanno finito per coinvolgere il sistema finanziario globale (Brenner, 2006). Le ripercussioni non tardarono ad arrivare, specie perché la crescita americana era stata accompagnata da deficit commerciali sempre più grandi, che raggiunsero il 6.2% del PIL nel 2006, favorendo i paesi asiatici sopra tutto. Ma tale crescita non era concentrata in alcuni paesi asiatici come nel periodo precedente, ma era diffusa. Parte di tale crescita era dovuta agli effetti della crescita cinese entro l’economia mondiale, specie per quanto concerne il consumo di merci, i cui prezzi salirono sopratutto a causa della crescita e delle speculazioni cinesi. Nel capitalismo globale il processo di accumulazione, che ha nella Cina il proprio polo dinamico, ed il processo di valorizzazione finanziario-speculativa, centrato negli USA, si è articolato.

5. Tuttavia il centro del capitalismo globale continua ad essere l’economia americana, malgrado i crescenti sbilanci, particolarmente nei conti esterni. Gli USA possono solo incrementare sistematicamente il proprio deficit nelle transazioni medie perché il resto del mondo, specie i paesi asiatici, è disposto a finanziarli. Cercano di allargare il proprio export, cosa che implica il sostenere l’eccesso di consumo americano, e vi è mancanza di scelta nel mantenimento delle proprie riserve altro che in dollari, visto che non vi è un’altra valuta così pienamente internazionale e che il dollaro non è più supportato dall’oro. Per adottare tali politiche contribuiscono a mantenere le proprie valute deprezzate e dall’altra parte stabilizzano l’economia americana permettendo l’adozione da parte degli USA di politiche espansionistiche, che contribuiscono a spingere l’economia americana e perciò le loro esportazioni e produzioni. Si tratta di un tipo di simbiosi tra i risparmi asiatici e gli USA (Belluzzo, 2005). I prezzi relativamente bassi delle importazioni americane contribuiscono a fermare la crescita dell’inflazione e perciò rendono possibile la politica di bassi tassi e espansione del credito alle spese delle finanze pubbliche. Essenziale per la crescita economica, sostenuta largamente su bolle speculative. Tutto si basava sulla emissione di enormi volumi di titoli dall’immobiliare. Una parte considerevole è composta di titoli di dubbia solvenza. Per sfuggire al rischio, le banche e le istituzioni del credito immobiliare americano hanno assicurato quei titoli. Hanno disperso per l’intero mondo titoli direttamente o indirettamente contaminati dall’insolvenza dei titoli sui mutui, creando la possibilità del collasso del sistema finanziario. Ciò spiega il panico corrente e la incapacità di adottare misure per fermarlo. La crisi si calmerà solo quando il volume dei capitale deprezzato diventa abbastanza da ricomporre le condizioni di valorizzazione. Nel 1929 la crisi e la depressione che seguì distrussero un capitale finanziario che era peggiorato dalla fine del secolo XIX, e contribuirono all’arrivo della seconda guerra mondiale. Si crearono anche condizioni per la ripresa del processo di accumulazione su nuove basi nel dopoguerra, basato sul capitale produttivo, sull’economia del benessere al centro del sistema e sullo sviluppo della periferia. La crisi corrente condurrà ad una nuova ristrutturazione capitalista. La continuità dell’egemonia americana e il capitale finanziario sembrano dipendere dalla debacle finanziaria e da questa nuova ristrutturazione.

Riferimenti bibliografici

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Professore di Economia della Facoltà di Filosofia e Scienze dell’Università Statale di San Paolo (UNESP)

Professore di Sociologia dell’Università Statale di San Paolo (UNESP)