La crisi della cultura politica nell’Europa Occidentale

ERNESTO DOMÍNGUEZ LÓPEZ

In un precedente lavoro parlavo degli importanti cambiamenti che si sono prodotti, nell’ultimo decennio, nelle strutture economiche e sociali dell’Europa Occidentale e che sono giunte nel nuovo millennio per dargli un volto nuovo. La riconversione e la delocalizzazione industriale, la terziarizzazione dell’economia, la formazione della società della conoscenza, tutto questo è accompagnato, all’interno della globalizzazione, dalla trasformazione e dalla ovvia sparizione della classe operaia, dalla perdita della propria autorappresentazione tradizionale o dalla mondializzazione dei processi di centralizzazione del capitale, con la conseguente competenza della borghesia. L’insieme delle trasformazioni si estende anche alla struttura politica, come dimostra lo spostamento verso destra prodottosi nella stragrande maggioranza delle forze politiche europee. È ovvio che non si tratta di cambiamenti radicali nell’istituzionalità, ma è altrettanto ovvio che è stata registrata una grande variazione nei contenuti appunto della istituzionalità. Il 1900 è stato il secolo della politica di massa, della politicizzazione dei conflitti sociali, durante il quale si manifestò chiaramente la contrapposizione dell’ordinamento istituzionale “dall’alto” e la vocazione di presa del potere “dal basso”. L’evoluzione dei sistemi politici dell’epoca industriale del capitalismo ha portato con sé, come fase finale, la formazione dello stato di benessere, che è stata l’espressione più completa dell’incorporazione dei diritti civili ai programmi di governo e alla stessa base teorica dello Stato moderno. Tutto ciò è in relazione al processo di democratizzazione del sistema, dato essenzialmente dall’ampliamento della distribuzione dei risultati della produzione e da una relativa riduzione delle disuguaglianze sociali. La politica è stata vista come il centro articolante delle relazioni sociali, che genera coesione ed è garante della stabilità e della sicurezza. È importante segnalare che l’applicazione del modello non è stato in alcun modo un’esclusiva della socialdemocrazia, in realtà è stato il risultato di una necessità concreta del sistema e per tanto vi parteciparono la maggioranza delle forze politiche, al di là delle differenze politiche e ideologiche. Si trattava da un lato di dare una risposta alla pressione che esercitava un campo socialista che, nonostante le proprie differenze, era capace di presentare un’immagine di sviluppo generale e d’innalzamento del livello della vita della popolazione, che rappresentava una sfida molto importante per l’Occidente. D’altra parte, la crisi dello Stato liberale obbligava a sostituirlo con un altro, nuovo, che garantisse la governabilità e allo stesso tempo mantenesse un livello stabile ed espansivo della domanda solvente capace di assorbire la crescita della produzione industriale. Senza dubbio, i cambiamenti strutturali che portarono al soffocamento del modello conosciuto come Stato di Benessere e l’inizio della sua crisi, hanno provocato una frattura nel consenso alla sua conservazione e condussero alla svalutazione delle sue azioni nel mercato politico. Le forze che lo avevano costruito, ora, erano orientate alla sua distruzione. Le correnti di trasformazioni della struttura sociali si sono associate a un flusso continuo di depoliticizzazione della società, completamente funzionale agli interessi della classe dominante che trova in questo una via per costruire e consolidare la sua egemonia. Nella stessa misura in cui quelli “dal basso” vedono la politica come qualcosa di estraneo, quelli “dall’alto” hanno tutte le capacità per appropriarsene senza troppi problemi. Questo significa l’allontanamento del funzionamento istituzionale dagli interessi della totalità della popolazione che ritrova espressione, fuori della scena politica, in determinate forme di raggruppamento sociale e movimenti generalmente in difesa di interessi specifici o contro aspetti puntuali del sistema. Tutto ciò implica una frammentazione delle aspirazioni maggioritarie divenendo particolarismi difficili da articolare. I vari settori e gruppi dell’elité sociale gestiscono la politica in accordo a quelle che sono le loro necessità senza vedersi obbligati a utilizzare vie regolari, almeno come copertura. Secondo Norbert Lechner, si registra contemporaneamente una tendenza all’informalizzazione della politica (...) e della società, ma simultaneamente provoca un sicuro svuotamento delle istituzioni politiche1. Un esempio: i livelli di partecipazione cittadina nei processi elettorali sono più bassi di quelli registrati negli anni passati e hanno una marcata tendenza a continuare questa recessione o comunque a mantenersi bassi. Solo alcuni esempi affinché si possa constatare la grandezza del fenomeno. In Francia, paese conosciuto per la sua tradizionale partecipazione di massa, nel 2002 andò alle urne, nelle elezioni legislative, il 62,4% dei votanti potenziali mentre nel 2007 solo il 60,2%2. In un caso del genere queste cifre contrastano fortemente con quelle registrate durante le elezioni presidenziali sempre del 2007, nelle quali votò l’83,78% degli elettori; questo percentuale aumentò fino all’83,97% nel ballottaggio3. In Germania nel 2002 ha partecipato il 79,1% dell’elettorato, mentre nel 2005 il 77,9%. In Gran Bretagna nel 2001 ha votato il 59,4% degli aventi diritto e nel 2005 il 61,3%. In un paese come la Svizzera, in cui esiste ufficialmente un sistema di democrazia diretta, le cifre sono state del 45,5% nel 2003 e del 48,8% nel 20074. Da qui è possibile valutare la mancanza di convocazione delle proposte programmatiche dei differenti partiti, mentre la relazione con le votazioni nelle quali competono candidati carismatici è chiaramente favorevole a questi ultimi. Non è niente di più che una dimostrazione di una realtà che mano a mano si è imposta: l’impressione che suscita un candidato sull’elettorato risulta molto più attrattiva rispetto al programma che può difendere. Le organizzazioni partitiche hanno sperimentato una delegittimazione considerevole. All’interno dei processi elettorali ha un’incidenza molto forte la crescente importanza dei mezzi di comunicazione di massa che di fatto costruiscono le candidature, al di là dell’appoggio dei partiti. Così, le proposte sono svuotate del proprio contenuto, nella stessa misura in cui si concentrano nella forma, impiegando tecniche di marketing sviluppate da professionisti. Quanto detto precedentemente è una dimostrazione della crisi della cultura politica del capitalismo industriale. Secondo il ricercatore cubano Francisco Álvarez Somoza, tre pilastri interagiscono all’interno della crisi: la rappresentazione cittadina nel sistema del potere politico legislativo esecutivo attraverso lo Stato, nei suoi differenti livelli; i meccanismi politici di partecipazione cittadina, presentati come sistemi elettorali; i soggetti politici5. Se ci rimettiamo a quello già espresso o alle informazioni che possiamo raccogliere dell’Europa, si deduce un’evidente mancanza di rappresentatività della cittadinanza da parte della classe politica. Il cittadino comune si trova di volta in volta più lontano dal funzionamento istituzionale; questo provoca importanti livelli di astensionismo, visto che le proposte presentate non offrono né alternative né soluzioni alle problematiche fondamentali. Questo è associato a un secondo fenomeno: il continuo avvicinamento dei programmi delle distinte forze politiche, le quali avanzano verso una mimetizzazione dei propri aspetti fondamentali su vasta scala; è molto facile da comprovare se ci soffermiamo a osservare le proposte presentate nei differenti processi elettorali. La proposta della Terza Via, un buon esempio per il suo carattere di proposta teorica-ideologica, è stata accolta in modo favorevole non solo dai rappresentanti della socialdemocrazia come Blair e Schröeder, ma anche da dirigenti di altre correnti, come i casi di Romano Prodi,6 anche se era a capo di una coalizione con partecipazione socialdemocratica rimaneva un democristiano e di José María Aznar, del Partito Popolare spagnolo, proveniente dalla destra marcatamente franchista. Negli ultimi decenni questa convergenza si è spostata progressivamente verso destra. La Terza Via respinge la sinistra per cercare di convertirsi in un centro radicale, assumendo politiche neoliberiste; però questo significa un movimento verso le posizioni difese attualmente dai partiti della destra conservatrice, e quello che è ancora più esplicito, si allontana dai contenuti sociali delle vecchie convergenze, ovvero dai fenomeni come la costruzione dello stato di benessere con la partecipazione dell’insieme delle forze politiche fondamentali, socialdemocratiche o no. Tutto ciò si può riassumere come una crisi d’identità delle forze politiche. Salvo nei temi politicamente asettici, come la questione ecologica7, esiste un considerevole ritardo dei programmi politici rispetto alle aspirazioni dei differenti settori sociali. Questo dimostra l’erosione subita dal sistema dei partiti e anche dai movimenti sociali tradizionali che non accolgono i nuovi interessi. Non ne è una conseguenza minore la costante disaffezione che ha sperimentato una buona parte delle forze politiche. Non è strano. I partiti operano come parte dell’istituzionalità del sistema politico e per tanto si articolano come componente di un apparato mano a mano più associato agli interessi dell’elité piuttosto che ai richiami sociali; devono quindi riconfigurarsi in funzione di questa realtà. La capacità di mobilizzazione si riduce drasticamente nella misura in cui ci si divide dalla massa e di conseguenza si perde la funzione di intermediario tra la società civile e la società politica. La conseguenza immediata di quanto detto precentemente è la ricerca di spazi alternativi per l’espressione degli interessi specifici, ovvero i diritti delle donne, l’ecologismo, i diritti degli omosessuali e dei transessuali, il movimento agrario, tutti aspetti che si ritrovano chiaramente nello sviluppo dei movimenti sociali. Il superamento di questa frammentazione e dell’autoesclusione dalla vita politica risulta molto difficile a causa delle peculiarità e dei particolarismi presenti, oltre al ritardo quasi patologico dei partiti politici del quale si vanta il movimentismo sociale. Tra i fattori che colpiscono la struttura politica non bisogna dimenticare l’incidenza della globalizzazione che ha una ripercussione molteplice. Se da un lato favorisce la relativa omogeneizzazione di piattaforme all’interno delle diverse correnti politiche, dall’altro le pone di fronte a nuove scommesse, nelle quali la risposta al fenomeno si trasforma in un meccanismo di definizione delle posizioni delle distinte organizzazioni. Il tipo di globalizzazione che si sta sviluppando attualmente è apertamente neoliberale, data l’imposizione di un padrone comune proveniente dai centri di potere, anche se questo non vuol dire che all’interno dei paese principali del capitalismo si applichino pienamente le politiche neoliberali, ma è certo che molte di queste si espandono in questo direzione. A tutto ciò è necessario aggiungere anche la produzione e l’espansione di una cultura tendente all’omogeneizzazione attraverso la deculturazione messa in atto grazie a meccanismi propagandistici che consolidano l’egemonia occidentale per mezzo dell’esportazione da parte dei suoi padroni. Il dato certo è che si tratta di una americanizzazione della cultura mondiale che attacca anche gli europei. Lo stesso funzionamento della istituzionalità politica è danneggiato da questo tipo di deculturazione. L’uso del marketing politico su vasta scala con la preponderanza dei mezzi di comunicazione di massa nella configurazione delle proposte, è in perfetto stile statunitense, come lo è anche l’adattamento di determinati aspetti del funzionamento dei partiti, come le elezioni primarie, ad esempio. Sarebbe un errore molto grave escludere l’incidenza della caduta del socialismo eurosovietico e i conseguenti cambiamenti nel sistema delle relazioni. Il collasso dell’Est agì in due modi differenti. In primo luogo, liquidò la pressione esterna esercitata sul capitalismo e che fu una delle cause dello stabilirsi dello stato di benessere; la mancanza di rivalità risolse la negazione come fondamento della vicinanza dei soggetti politici sistemici, rendendo non più necessario il mantenimento di un alto livello di prestazioni sociali che avrebbero evitato instabilità sociali. In secondo luogo, strettamente relazionato all’ultimo concetto espresso, significò la fine di un paradigma, la distruzione di una alternativa differente al capitalismo, nonostante i molti difetti; era un’alternativa che faceva parte delle forze che contestavano il capitalismo ed era vista come un obiettivo da raggiungere. Le organizzazioni politiche antisistemiche della linea comunista furono duramente colpite e soffrirono un processo di disgregazione molto profondo. Anche se, e questo è importante da ricordare, in Europa Occidentale questo processo non è cominciato con la caduta, ma molto tempo prima, nella misura in cui furono assorbite lentamente dal sistema e, secondo la terminologia di Weber, anche metabolizzate8; era una conseguenza inevitabile funzionare secondo la logica capitalista e non sviluppare una produzione culturale alternativa. Quello che è certo è che la caduta del socialismo è stato un fenomeno catalizzatore. La fine della bipolarità internazionale della guerra fredda implicò una riconfigurazione delle relazioni internazionali attraverso il passaggio a un tipo di unilateralità che dalla prospettiva attuale appare transitoria, vista l’emergenza delle potenze che si convertono in competitori degli Stati Uniti e quindi in alternativa al suo predominio9. Senza dubbio, l’egemonia statunitense rafforzò le tendenze alla subordinazione euoropea nella scia dell’alleanza transatlantica, anche se si può parlare di una crescente convergenza di interessi. Le espressioni pubbliche di queste relazioni e della maggiore o minore affinità costituiscono uno degli elementi di definizione delle forze politiche attuali, che indicano anche la maniera di percepire il processo integratore europeo10. L’insieme delle trasformazioni che ho cercato di riassumere in questo breve lavoro stanno dando un risultato molto chiaro: la congiuntura storica che corrisponde alla fase finale dell’era industriale in Europa Occidentale, si è conclusa. Quello che si sperimenta non è altro che la lunga e complessa transizione verso l’era post-industriale, nella quale le strutture di lunga durata del complesso sociale euroccidentale si adattano all’interno di uno stadio differente dalla sua curva di sviluppo. Questa realtà condiziona quello che a mio parere risulta essere una delle essenze che fa parte di tutto il complesso che chiamiamo crisi della cultura politica europea: tale cultura, nel modo in cui la percepiamo, nacque, si consolidò e si concretizzò attraverso un sistema politico di sviluppo del capitalismo industriale, arrivando al punto della sua massima espressione nella congiuntura finale dell’era industriale in Europa Occidentale. La fine di questa congiuntura, la deindustrializzazione e le trasformazioni associate a questo, hanno provocato un effetto disastroso sulle forze politiche tradizionali. Le basi sociali di molte organizzazioni politiche stanno vivendo un processo di disgregazione o trasformazione, per cui, se vogliono davvero sopravvivere non possono mantenere le stesse piattaforme programmatiche e politico-ideologiche, ma devono adeguarle alle nuove circostanze. Anche la classe operaia cambia e si auto-proclama in via di sparizione, non dando più appoggio ai partiti di cui prima erano l’elettorato fondamentale. Per questo la gran parte delle forze autodenominatesi di sinistra (dai socialdemocratici ai comunisti) hanno abbandonato le loro tradizionali posizioni e le loro relazioni con un sindacalismo frazionato. Avviene tutto questo perché già da molto tempo non lavoravano fuori dal sistema, ma ne erano parte integrante e quindi ora, di conseguenza, devono evolversi insieme. Se nella nuova congiuntura storica la cittadinanza è apoliticizzata e la partecipazione politica rimane limitata all’elité, la proposta della “sinistra” deve necessariamente rivolgersi a questa, oltre le sfumature più o meno populiste, ma tendenti a mantenere l’influenza sulla parte dell’elettorale che proviene dalle masse non del tutto cooptate.

Master Storia Contemporanea, Ricercatore del Centro di Studi Europei

Lochner, Norbert. Transición política, política en transición. De por qué la política ya no es lo que fue. In Salinas, Darío (a cura di), Problemas y perspectivas de la democracia en América Latina, México: Triana, 1999, p. 78.

Parties and Elections in Europe (Sito Web) http://www.parties-and-elections.de.

La Francia ha la particolarità di essere uno Stato marcatamente presidenzialista (anche se si autodefinisce semi parlamentare) che in Europa risulta sui generis. Sulle elezioni del 2007, vedere Domínguez López, Ernesto. Francia: del gaullismo al neoconservadurismo, in Revista de Estudios Europeos, La Habana, N. 76, pp. 5-24.

Parties and Elections in Europe (Sitio Web) http://www.parties-and-elections.de.

Álvarez Somoza, Francisco, La crisis de la cultura política: sistemas políticos y gobernabilidad, CEE, Inedito.

Sul vincolo Terza Via-Blair-Prodi, vedere Blair, Tony. Romano, yo y la Tercera Vía, in http://www.elmundo.es/1999/03/26/europa/26N0051.html.

Questo con alcuni limiti dati per l’interesse dell’imprenditore.

Riguardo a questa idea, vedere Weber, Max, Economía y sociedad, La Habana, Ciencias Sociales, 1971.

Senza che questo significhi che non siano a loro volta aspiranti all’egemonia, sia globale che regionale.

Sulla fine della Guerra Fredda e sulle sue ripercussioni, risultano molto importante le opere di Hobsbawm. Vedere: Hobsbawm, Eric, Historia del siglo XX, Buenos Aires, Gijalbo-Mondadori, 1998 e Hobsbawm, Eric, Entrevista sobre el siglo XXI, Barcelona, Crítica, 2004.