Che dolore!!

Maurizio De Santis

Ultimi nella terapia del dolore

1. Atto di dolore

Spesso il sintomo più importante di una malattia, e in particolare del cancro, è il dolore, ma in Italia la sua cura non riceve la dovuta attenzione. La tabella a piè di pagina ci dice che in Europa siamo penultimi nel consumo medio di oppiacei ad uso terapeutico (per fortuna per noi esiste sempre la cara e vecchia Grecia che in certe statistiche socio-economiche ci evita il disagio di essere ultimi. Un tempo anche Spagna e Portogallo avevano questa funzione, ma da diverso tempo si sono evolute molto più di noi).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che l’inadeguato trattamento del dolore, soprattutto quello da cancro, rappresenta un grave problema di salute pubblica. In Italia, in particolare, si spende in oppioidi circa il 7% di quello che si spende in Germania o Danimarca e circa il 20% di quello che spendono Francia, Belgio e Olanda. In un anno da noi si consuma solo il 5% della morfina che si usa in Austria (paese a prevalenza cattolica come il nostro). L’Associazione Luca Coscioni, conti alla mano, rileva che nel 2005 circa il 60% dei malati di cancro (90.000 persone!) non ha ricevuto una cura adeguata contro il dolore. Sono cifre da paura se si pensa che negli ultimi anni il progresso scientifico e tecnologico ha fatto passi da gigante nella terapia antalgica. Da noi si agitano ancora gli spettri della dipendenza dei malati dalla morfina e suoi derivati (creiamo dei drogati!). Provate a chiedere ad un malato di tumore che si torce dai dolori se non sarebbe più contento di farsi prendere dal vortice dell’“oblio”, piuttosto che vivere la disperazione di un tormento continuo, che talvolta può giungere a indurre a pensieri suicidi. Che la terapia contro il dolore nel nostro paese abbia una considerazione diversa rispetto alle altre cure lo si deduce anche dalle difficoltà burocratiche imposte ai medici per acquisire lo specifico ricettario per le prescrizioni e dalle peculiarità della sua compilazione. Si consideri che, per errori di scrittura in tali ricettari, sono previste sanzioni penali. La qual cosa, tra l’altro, crea una condizione psicologica di timore per cui il medico tende ad evitare quanto più possibile anche il semplice reperimento del ricettario per gli stupefacenti. Tanto è vero che l’ultimo Ministro dell’ultimo Ministero della Salute - che ora non esiste più - l’On.le Livia Turco, sensibile a questo problema, aveva emanato un decreto legge per eliminare le difficoltà insite nella prescrizione di oppiacei e derivati. Con la caduta del governo Prodi, ciò che rimane è un “testamento” dell’ On.le Turco affinché il suo decreto possa essere trasformato in legge per adeguare in materia l’Italia agli altri paesi europei. Ma da cosa scaturisce questa riottosità italica nella cura di un sintomo talvolta tanto destruente per chi ne soffre? È sicuramente frutto di una cultura sulla quale, forse, si fa sentire l’influenza religiosa. Nell’Antico Testamento il dolore viene considerato “il mezzo per raggiungere la vita eterna”. Sant’Agostino, in parte, ridimensiona questa esaltazione della valenza della sofferenza affermando che: “si possono accettare molti dolori, ma nessuno può essere amato”. La Chiesa, dal canto suo, ha sempre sostenuto che la sofferenza e quindi anche il dolore, rendono l’uomo partecipe ed emulo del sacrificio del Cristo e, perciò, attore della propria redenzione che gli da titolo ad un posto in paradiso. In tempi più recenti, la sacra Congregazione per la Dottrina della Fede in una dichiarazione sull’eutanasia prendeva in considerazione anche le sofferenze in corso di malattia riproponendo le parole che Pio XII espresse ad un convegno medico nel 1957. Bisogna ammettere che è molto difficile capire il senso che la Chiesa vuole dare al testo sopra citato. Se da una parte, infatti, sembra stimolare gli operatori sanitari a praticare, quasi come un dovere di carità cristiana, la terapia del dolore, dall’altra avverte che:
  secondo la dottrina cristiana la sofferenza ha un valore salvifico (ovvero ci apre le porte del paradiso);
  l’uso dei farmaci atti a lenire il dolore non è esente da pericoli (attenzione all’assuefazione);
  non si può sopprimere la coscienza dell’uomo con gli analgesici in quanto, pur in fin di vita, egli deve essere in grado di compiere i propri doveri morali e familiari, ma anche e soprattutto prepararsi all’incontro con Cristo.

Volendo vestire gli abiti di un cattolico, di fronte a queste affermazioni, mi sarebbe estremamente difficile assumere un antidolorifico con leggerezza senza temere di incorrere in qualche peccato.

2. Santa Rita... dei feroci... proteggi i “fannulloni”

Questi condizionamenti ci inducono una serie di riflessioni. L’Italia è una nazione a prevalenza cattolica come Spagna, Francia ed Austria. In questi ultimi paesi, però, si esegue tranquillamente ogni tipo di fecondazione assistita (oggi siamo costretti ad andare in Spagna se vogliamo usufruirne); si può abortire legalmente e non si “creano” governi per ridiscutere ed eventualmente abolire leggi di civiltà; si pratica la terapia del dolore con la stessa scienza e coscienza con cui si somministrano gli antibiotici; ma allora perché, a parità di identità cattolica, lì le cose si possono fare e qui è tutto difficile e sempre in fieri per essere eliminato? La Chiesa non predica l’universalità della sua dottrina? L’unica risposta plausibile sembra essere che il Vaticano sta qui e non in Spagna, Francia o Austria. Forse è troppo vicino ai palazzi del nostro Governo. Ci vuole troppo poco per andare dal Parlamento a San Pietro e probabilmente i nostri politici, se poco ascoltano le reali esigenze della gente, sono molto influenzati dalle voci d’oltre Tevere. Bisognerebbe appellarsi alla santa avvocata dei disperati, ovvero a S. Rita; ma bisogna stare attenti perché, ai giorni nostri, questa santa ricorda tristemente la clinica milanese dove, secondo gli inquirenti, sarebbero stati commessi abusi sui pazienti e truffe ai danni dello stato. Premesso che abusare di chi sta male è un crimine che raggiunge una ferocia simile alle persecuzioni naziste, anche le truffe ai danni dello stato non dovrebbero considerate essere molto da meno. Ma si sa: gli sperperi sono colpa degli impiegati pubblici (i “fannulloni”) e non delle “pastette” delle convenzioni tra pubblico e privato che incidono in maniera spropositata sul bilancio statale. Comunque, beati spagnoli, francesi e austriaci che possono essere innanzitutto cittadini, e, volendo, anche devoti. Da noi sembra esserci solo devozione ed anche questo è un dolore che non vogliamo curare!

Dirigente I° livello, Ospedale Regina Elena, Roma