1. Precari e miserabili
Questi ultimi mesi si sono caratterizzati per l’enorme concentrazione e difficoltà dei diversi rinnovi contrattuali dei lavoratori impegnati nei servizi gestiti dal privato-sociale. Il rinnovo dei contratti delle lavoratrici e lavoratori delle cooperative sociali, enti e associazioni del terzo settore, si inserisce in un contesto di accelerazione dei processi di smantellamento e impoverimento dei servizi socio-sanitari-assistenziali-educativi. Abbiamo da sempre sostenuto che lo sviluppo dell’affidamento dei servizi alle coop e varie associazioni del terzo settore è esso stesso un mezzo ed un effetto dei processi di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi che dovrebbero essere in carico direttamente agli enti locali e alle aziende sanitarie. Già nel 2006 risultava che il 40,3% della spesa sociale dei comuni era affidata alle “imprese” del terzo settore (e di questo 40,3% è affidato alle coop l’82%, e alle altre il restante 18%), la percentuale sale nelle grandi città metropolitane fino al 60% della spesa sociale: siamo di fronte ad uno spostamento enorme di fondi e di competenze dal pubblico al privato (cosidetto privato sociale). Gli obiettivi di fondo di questo processo sono la diminuzione dei costi (i lavoratori costano di meno perché sono pagati di meno, sono più flessibilizzati, precari ecc...), lo spostamento stesso delle risorse verso le imprese sociali (consenso e controllo sociale di un vasto settore economico), deresponsabilizzazione degli enti pubblici rispetto al diritto ad una cura, assistenza, tutela di qualità, che dovrebbe essere assicurato ai cittadini-utenti dei servizi. Lo sviluppo e l’esistenza stessa del terzo settore, così come lo conosciamo negli ultimi venti anni, è parte integrante della trasformazione dello Stato sociale in “welfare dei miserabili”, dove i diritti all’assistenza e alla cura diventato una concessione rivolta ai settori più marginali e problematici, con una sostanziale diminuzione della qualità e della quantità dei servizi. Di questo contesto i sindacati concertativi CGIL-CISL-UIL non hanno avuto un ruolo di semplici spettatori o “facilitatori”, ma hanno sostenuto questo processo riconoscendo alle cooperative sociali e al terzo settore il ruolo “speciale” di privatizzatori dal volto umano, e l’esistenza stessa di un contratto collettivo specifico per le cooperative sociali è la prova di questo trattamento collaborativo: il ccnl delle coop sociali si è imposto come il contratto più concorrenziale nel settore, per il livello dei salari e per le norme di flessibilità e di deroga che contiene rispetto agli altri ccnl già esistenti nel settore; le coop sociali hanno così conquistato la fetta più grande del mercato sociale a scapito degli altri soggetti storicamente presenti. Il mito del contratto unico di settore si sta concretizzando nella realtà attraverso l’adozione del livello minimo rappresentato dal ccnl coop sociali. Questo approccio che considera, al di là delle apparenze, i lavoratori del settore come “precarizzati” della pubblica amministrazione, si completa nell’evidenziare la particolare condizione di vantaggio normativo e contrattuale che le cooperative hanno in genere nei confronti delle altre imprese nel nostro paese e le “sovrastrutture” politiche e culturali che annebbiano, in parte ancora oggi, il vero valore aggiunto del mondo del no profit: in occasione di un convegno-vetrina delle coop sociali creammo un contro slogan che funziona perfettamente: “la ricchezza del terzo settore è la miseria dei lavoratori e del welfare”.
2. Sinistre privatizzazioni
Le amministrazioni di centrosinistra sono state all’avanguardia, come in altre questioni, nei processi di aziendalizzazione e privatizzazione dei servizi socio sanitari; potendo contare su un blocco politico-sindacale che consentiva di accelerare processi altrimenti più difficili, la concertazione tra governi locali e sindacati ha trovato in quei territori un contesto ideale per sperimentare e sviluppare a pieno un modello di società e di sistema sociale che dietro le parole d’ordine della partecipazione della società civile, della sussidiarietà dal basso, del federalismo “buono”, ha comunque come obiettivo la riduzione della spesa sociale e lo spostamento di risorse dal pubblico al privato (in questo caso il privato sociale). Dall’esplosione del terzo settore, alla fine degli anni ottanta, abbiamo assistito a diverse fasi e le sintetizziamo riferendoci ad alcuni elementi, con delle date puramente indicative:
1980 - 1992: in una prima fase di espansione esponenziale, con la messa in appalto di moltissimi servizi prima gestiti direttamente dalle amministrazioni pubbliche, il blocco delle assunzioni e il “mito” delle coop come luogo di sperimentazione di pratiche diverse di cura sociale sono stati i capisaldi reali e ideologici della crescita (ovviamente anche i risparmi presunti o reali del costo del lavoro degli operatori in una fase di compressione della spesa). 1993 - 2001: una seconda fase di assestamento, seguita alle prime crisi delle cooperative del settore, che ha ridefinito nuove mappe e nuovi equilibri nel mondo delle cooperative: alcune si trasformano e si stabilizzano come grandi aziende a livello nazionale, le altre coop si ridimensionano e/o si specializzano. In questa fase si è riscontrato anche un miglioramento, relativo sempre alle situazioni regionali più “a regime” nei processi di privatizzazione sociale, delle condizioni quotidiane di lavoro e del rispetto dei minimi contrattuali (il livello di queste condizioni varia tuttavia moltissimo non solo tra singole cooperative, ma anche tra settori e settori anche della stessa cooperativa ed è un dato legato alla organizzazione concreta del lavoro, alla capacità di resistenza diretta e organizzata sindacalmente dei lavoratori), non ultimo la nostra presenza e azione sindacale. 2002 - 2007: una terza fase di “consorziamento” delle coop, che si organizzano e si presentano come soggetto unico nei confronti del committente, al di là dell’appartenza politica e alle centrali cooperative; l’obiettivo iniziale e dichiarato era una sorta di fronte comune verso i clienti, di protezione verso le coop esterne agli ambiti territoriali e da quelle “spurie” e/o non affiliate alle centrali cooperative.
Il processo ha interessato tutte le coop, con la creazione di associazioni temporanee di impresa (ATI) per le gare di appalto, che facilitano il mantenimento delle rispettive fette di mercato, fino alla creazione di veri consorzi. Un effetto collaterale, perseguito e importante, è stato l’ulteriore allontanamento e impermeabilità della dirigenza dalla base sociale. Questo processo di unificazione, prima concreto che formale, ha una lettura più generale ed estesa negli altri settori: si tratta dell’adeguamento a livello di articolazione imprenditoriale alle trasformazioni che a livello politico hanno portato alla nascita del Partito Democratico. Le fasi si collegano anche al mutamento degli scenari di contesto esterni: alla prima fase di privatizzazione con tariffe “da vacche grasse” segue una fase di chiusura e tagli, che nelle Regioni partono con gli affondi di riordino dei piani sanitari regionali e con l’aziendalizzazione delle USL. La fase di assestamento sono preparate e accompagnate dalle normative regionali sulle coop sociali, le regole degli appalti su “offerta economicamente più vantaggiosa”, direttive sull’autorizzazione al funzionamento, riordino delle qualifiche professionali, ecc... Dalla crescita e crisi del settore no profit ne escono con difficoltà e ridimensionate le associazioni che storicamente rappresentavano il cuore del privato sociale: ANFASS e AIAS come altre realtà riducono il proprio ruolo fino a prima “protetto”, con tagli nei servizi gestiti, con modifiche nei trattamenti e assetti societari, il livellamento nei confronti delle cooperative è ovviamente verso il basso.
3. Precarizzazione sociale
Ad oggi la compressione della spesa sociale e sanitaria continua a “macerare” attraversando il settore, i contratti collettivi bloccati, il peggioramento delle condizioni concrete, l’aumento dei carichi di lavoro, la flessibilità e precarietà dei rapporti e delle prestazioni, la presa in carico diretta dei servizi, l’aumento delle convenzioni “a retta”, sono la leva competitiva utilizzata per rispondere alle continue richieste di “snellimento” dei costi degli appalti. Sullo sfondo, ma con tempi di maturazione che possono essere rapidi, l’introduzione dei meccanismi di accreditamento, e la nascita delle ASP Aziende per i Servizi alla Persona (ex IPAB), mutazioni che dovremmo interpretare e sulle quali dovremmo intervenire urgentemente. Le difficoltà che sono emerse e stanno emergendo nelle trattative sul rinnovo dei contratti evidenziano che tutti i nodi del sistema sono venuti al pettine: i contratti nazionali in vigore non vengono applicati realmente in molte regioni, approfittando del sistema di deroghe e di emersione previsti dal contratto e dai regolamenti interni, con un forte ricorso a contratti atipici e quindi senza CCNL di riferimento, con ulteriore contrazione dei fondi nei bandi di gara o di accreditamento, crescita della concorrenza tra cooperative ed enti sulla pelle dei lavoratori, aumento del costo del lavoro collegato al lentissimo superamento del regime a contribuzione ridotta (salario medio convenzionale), tagli dei trasferimenti statali ad enti locali e sanità: tutti nodi che rendono la situazione insostenibile e potenzialmente esplosiva. Di fronte a questo scenario riteniamo che ci possano essere solo due alternative: continuare a illudersi che il sistema del mercato sociale fondato sulla sussidiarietà e sul terzo settore sia soltando da migliorare introducendo ulteriori regole a regole già esistenti (ma mai efficaci), oppure porsi il problema del definitivo superamento dell’attuale meccanismo, iniziando ad incidere su alcuni problemi di fondo, organizzando capacità di resistenza, mobilitazioni e lotte in un settore storicamente poco sindacalizzato.
4. Contrattazine sociale e sindacato metropolitano
Due sono le direttrici di mobilitazione che stiamo proponendo e organizzando tra le lavoratrici e lavoratori del settore: un percorso di riconoscimento contrattuale e normativo della funzione pubblica del lavoro nel settore, l’inversione di rotta per quanto riguarda i processi di esternalizzazione e affidamento in appalto, accreditamento ecc... Ed è per questo che anche la nostra piattaforma contrattuale e normativa è soprattutto una piattaforma di lotta finalizzata all’affermazione di questo percorso, che se pur difficile ed impegnativo è l’unico che possa dare una prospettiva di riscatto e di protagonismo alle lavoratrici e lavoratori del settore. In particolare alle proposte contrattuali, che sono orientate all’equiparazione dei trattamenti in essere a quelli esistenti o richiesti per gli operatori con contratto pubblico, si accompagnano alcune proposte di legge che integrano la stessa piattaforma, individuando alcune delle norme attualmente in vigore che consentono deroghe ed elusioni dei diritti ai danni dei lavoratori del settore e più in generale negli appalti e nelle cooperative. Senza farsi nessuna illusione su percorsi istituzionali per la modifica delle norme di legge che da molti anni sono con il segno “a perdere” per i lavoratori, vogliamo porre in maniera articolata il problema dell’esistenza di una normativa che sostiene, ai danni dei lavoratori, una economia cooperativa che da decenni sta perdendo ogni connotato realmente sociale (è di questi giorni l’intervento dell’Unione Europea, anche se su diversi aspetti, riguardo i vantaggi concessi nel nostro paese alle cooperative). Si tratta, in primo luogo, di porre, sindacalmente e politicamente, la necessità di una modifica sostanziale della Legge 142/2001 (Legge sui soci lavoratori) con i seguenti obiettivi:
estensione, senza il rimando a ulteriori specifici accordi sindacali come è attualmente, dei diritti sindacali e dei lavoratori (Legge 300/70), poiché è inaccettabile che i diritti sindacali siano applicabili a discrezione e con riserva nelle cooperative;
abolizione delle parti che consentono il licenziamento del socio lavoratore, senza la tutela prevista per i normali lavoratori dipendenti, tramite la semplice esclusione da socio;
abolizione della norma che consente la deroga dei contratti collettivi nazionali (oggi c’è il riconoscimento del solo trattamento economico complessivo, cioè non di tutta la parte normativa e non di ogni singolo istituto contrattuale), stessa cosa per la possibilità delle cooperative di dichiarare lo stato di crisi per sospendere l’applicazione dei contratti nazionali e integrativi;
sanatoria dei contributi versati in maniera ridotta dalle coop tramite il meccanismo del salario medio convenzionale (oggi in via di lento superamento ma i danni fatti sono enormi con l’attuale regime contributivo) e riconoscimento per le prestazioni socio-sanitarie-educative e assistenziali come lavoro usurante.
Altra faccia della medaglia “normativa” riguarda la regolamentazione degli appalti: considerando le ragioni dei processi di esternalizzazione ci si vuole dotare di una proposta di legge che vada a reintrodurre il principio, abolito con il Dlvo 276/03 (Legge 30), che era contenuto nell’art. 3 della legge n. 1369/1960, dove si affermava la solidarietà tra appaltante e appaltatore obbligati “a corrispondere ai lavoratori dipendenti dell’appaltatore un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiori a quelli spettanti ai dipendenti dell’appaltante”, estendendo il principio alle varie forme di esternalizzazione oggi presenti nel mercato del lavoro (accreditamento, convenzioni ecc...). A questa proposta sugli appalti si affianca la parte dell’articolato della proposta di legge della campagna “Assunti Davvero” sulla reinternalizzazione dei servizi in appalto sulla quale la RdB/CUB si è spesa e continua a spendersi fino in fondo, organizzando i vari settori del precariato pubblico e sociale. Un’articolata, dicevamo, cassetta degli attrezzi, che caratterizza un progetto di intervento e di organizzazione: un cantiere aperto che vuole scommettere sulle capacità di resistenza e di reazione di un settore frammentato e messo sotto ricatto: su questo stiamo nel mezzo di un percorso per una migliore strutturazione sindacale a livello nazionale del settore. La strutturazione di base è la più semplice ed efficace possibile: con coordinamenti territoriali di delegati rappresentativi delle diverse situazioni aziendali, l’obiettivo è di gestire ed organizzare il dibattito e l’orientamento politico generale in collegamento con un coordinamento di settore a livello nazionale, uscendo o riducendo al minimo tendenza aziendaliste che non consentirebbero nulla più di una logorante contrattazione dell’esistente, e di fatto l’accettazione delle regole date dal mercato del sociale. Sulla modalità di intervento sindacale emerge la necessità di dare priorità ad una gestione rivoltà ai problemi collettivi del settore o di pezzi significativi del mercato socio-sanitario; la tutela individuale ma anche la contrattazione aziendale sui singoli servizi non può essere sufficiente, né essere al centro della nostra esperienza di lotta ed organizzazione.
Non è secondario che siano proprio le lavoratrici e lavoratori delle cooperative a porre la necessità della riappropriazione del controllo sul “ruolo” e sulle “finalità sociali” del lavoro sociale (contro la dequalificazione dei servizi, l’aumento delle pratiche repressive e di controllo sull’utenza ecc...): le sperimentazioni sul campo di un sindacalismo metropolitano, capace di agire una “contrattazione sociale” possono trovare la propria base di appoggio, nei termini di esperienza e di effettiva rappresentanza, proprio attraverso il protagonismo dei settori lavorativi coinvolti nell’efffettiva gestione del welfare locale.
Federazione RdB Bologna, Rete per il Reddito Sociale e i Diritti