Movimenti, reddito e precarietà. Una nuova stagione di lotte

REDAZIONE DI PROTEO

Intervista a Francesco Caruso

Cominciamo dalla precarietà e le morti sul lavoro. L’estate scorsa sei stato al centro di una forte polemica per avere usato parole forti dopo l’ennesima morte sul lavoro. Che rapporto c’è tra precarietà e incidenti sul lavoro? Guarda, mi sembra quasi banale ribadire una cosa che non è patrimonio o elaborazione personale ma frutto di una convinzione diffusa ed elaborata, nei partiti (di sinistra), nei movimenti, nella società civile, nei, si diceva una volta, sinceri democratici. La precarietà e la flessibilità nei rapporti di lavoro sono giunti a livelli tali da trasformare il lavoratore in un moderno schiavo. Non c’è bisogno di Caruso, basta leggere quello che scrivono Luciano Gallino o Zigmunt Baumann

Ritieni che siano lontane le radici di questa precarietà? Parliamo delle misure introdotte con il famoso pacchetto Treu e giunte al loro apice con la cosiddetta legge 30. C’è ovviamente un rapporto tra questa progressiva riduzione del sistema dei diritti e delle garanzie del lavoro e l’impressionante numero di incidenti (circa un milione) e di morti (circa 1.300 l’anno) che avvengono sui luoghi di lavoro. Dispone un lavoratore atipico, a tempo, a chiamata, interinale, a partita iva, sommerso, in concreto e nella forma degli stessi diritti (e dello stesso salario) di un lavoratore contrattualizzato e a tempo indeterminato? Ovviamente no e questo determina un rischio immediato.

Di che tipo? È evidente, credo, che se un lavoratore non difende se stesso perché vittima di precarietà e ricatti, non saranno sufficienti, pur se necessari e indispensabili, gli ispettori del lavoro. I lavoratori devono, per poter difendere i propri diritti sindacali, avere la possibilità di non dovere abbassare la testa di fronte al padrone. Abrogare la legislazione sulla precarietà (a cominciare dalla legge 30) e ridare dignità e diritti alle lavoratrici e ai lavoratori precari era uno dei punti del programma di centrosinistra, che ha delle grandi responsabilità perché su questo tema è stato sin troppo prudente.

Certo il governo Prodi, con l’approvazione del cosiddetto protocollo sul welfare, non si è certo mosso nella direzione desiderata. I movimenti, i sindacati di base, i centri sociali, i precari, i migranti, i senza casa, i lavavetri, i senza diritti, gli invisibili, tutti ci aspettavamo che questo governo cominciasse a fare ciò che aveva promesso: cancellare la precarietà, abrogare la legge 30 del governo Berlusconi, garantire tutele e nuovi diritti. I movimenti hanno chiesto che al centro della politica italiana venissero messi i bisogni di milioni di persone, delle vite precarie di chi non riesce ad arrivare alle fine del mese, di chi non riesce a pagare l’affitto, di chi viene discriminato da leggi omofobe e razziste. L’accordo firmato il 23 luglio scorso, e poi ratificato da un referendum tipo prendere o lasciare, tra governo, sindacati confederali, confindustria su welfare e pensioni, è un accordo che non argina la precarietà dilagante ma invece la alimenta favorendo mercato e imprese. Vorrei far notare poi come dalla consultazione referendaria siano stati esclusi proprio quei lavoratori e quelle lavoratrici precarie, quegli studenti che vivranno questo accordo sulla propria pelle.

In uno scenario che vede un prepotente ritorno del centrodestra e di Berlusconi che margine di azione pensi ci sia per i movimenti e quali i temi centrali? Innanzitutto si pone il problema delle centinaia di processi penali a carico di migliaia di militanti che hanno effettuato azioni di disobbedienza civile. Non parlo solo di Cosenza, di un processo privo di qualsiasi elemento di prova e fondato su astrusi teoremi. Ti parlo, ad esempio, anche degli avvisi che colpiscono i militanti del Dal Molin per azioni simboliche come l’occupazione della prefettura. C’è un clima di intimidazione che rischia di accentuarsi.

E sul tema del lavoro e del reddito? Le nostre priorità rimangono le stesse e non cambiano. Il reddito sociale, il diritto alla casa, allo studio, al lavoro, alla pensione, rimangono il centro dell’azione dei movimenti. Un’azione capillare e diffusa nelle migliaia di comitati di lotta e di protesta che spontaneamente sorgono in tutta Italia su temi che ormai i partiti faticano a seguire. È la testimonianza che i movimenti sono più vivi che mai e che non ci sarà governo che tenga. Ovvio che mi aspetto una fase molto difficile. Si registra un clima pensante. C’è una voglia di normalizzazione, penso ad esempio alla Fiat e ai licenziamenti nei confronti di esponenti sindacali dello stabilimento di Pomigliano, una fabbrica in cui è cominciata una pericolosa opera di normalizzazione. Ma i movimenti sono carsici e hanno dimostrato una forte vitalità. Sono certo che la nostra azione politica sarà forte, intelligente e vivace.