La battaglia della cub Campania per l’affermazione dei diritti di rappresentanza e di corrette relazioni sindacali

MICHELE FRANCO

1. Laboratorio Campania

In altre sedi1 e con dovizia di puntuali argomentazioni è stato, più volte, descritto l’articolato blocco di potere che, da oltre 14 anni, è saldamente al timone delle leve di comando e controllo della Regione Campania. Una aggrovigliata trama di relazioni affaristiche, speculative, clientelari e (persino) nepotistiche le quali, per oltre un decennio, ha esercitato una forma di governance capace di tenere assieme “maggioranze” ed “opposizioni”, sistema delle imprese e cartelli criminali, vecchi centri di potere con le nuovi aggregazioni politico sociali scaturite dai continui sconvolgimenti del quadro partitico ed istituzionale. Che questa, lunga, stagione politica venga definita l’era del bassolinismo è solo un termine per indicare - attraverso l’uomo che, fino ad ora, è riuscito a far convivere interessi e spinte diverse tra loro - una pervasiva modalità di governo e di amministrazione, ad ampio raggio, che ha segnato negativamente una delle regioni più importanti d’Italia. Una vera e propria saga che sta raggiungendo picchi di degrado umano, culturale, economico e materiale in cui l’irrisolta questione mondezza - tanto per citare un caso dirompente - è la plateale cartina tornasole che simboleggia, efficacemente, questo autentico disastro. Sbaglieremmo, però, a limitare la nostra critica alle sole questioni eclatanti che, di volta in volta, assurgono agli onori della cronaca. Certo il tema della continua manomissione ambientale, del saccheggio del territorio, i problemi afferenti i circuiti criminali (con i conseguenti intrecci tra “economia legale” ed “economia illegale”) sono le questioni su cui sono, costantemente, accesi i riflettori dei media a volte anche con un piglio razzistico e scopertamente scandalistico2. Il nostro compito, però, la nostra attitudine - quella di una organizzazione sindacale che si candida alla rappresentazione degli interessi generali del mondo del lavoro e dei ceti subalterni della società - è profondamente diversa e segue metodi, forme e strumenti d’intervento non legati al sensazionalismo o alla temporanea emergenza. Un sindacato conflittuale, non omologato al pensiero dominante, segue una modellistica di azioni e vertenze correlate alle dinamiche dello scontro ed al loro concreto, quanto contraddittorio, palesarsi nella pecularietà della Campania. La nostra linea di condotta deve, necessariamente, configurarsi con un taglio generale che tenga in dovuta considerazione l’intero arco delle questioni che riguardano il lavoro e la vita delle persone.

2. Diritti e rappresentanza sindacale al di fuori del depotenziante pantano del consociativismo

Con questa premessa di carattere metodologico e sostanziale, che non ha nulla di ideologico ma è la logica conseguenza di una situazione politica con cui siamo costretti ad impattare quotidianamente, la Confederazione Unitaria di Base della Campania ha ritenuto di aprire una campagna politica tesa ad affermare il sacrosanto diritto, della nostra organizzazione, ad essere interpellata, ascoltata e riconosciuta come soggetto autonomo, trattante e rappresentativo di significative vertenze sindacali e sociali che si determinano nel nostro territorio. Lotte e conflitti nelle quali le RdB, la FLAICA, l’FLMU, la CUB Trasporti - l’intera Confederazione Unitaria di Base - svolgono una funzione di stimolo all’autorganizzazione, al protagonismo dei lavoratori ed alla rimessa in moto della partecipazione collettiva dei lavoratori e dei variegati soggetti sociali. Questa campagna d’iniziativa politica è finalizzata alla stipula di un Protocollo d’Intesa, con la Regione Campania, propedeutico alla definizione di una possibile pratica di corrette relazioni sindacali le quali - nella nostra Regione - sono svilite e mortificate da una consolidata prassi affaristica, fortemente consociativa e degradante per gli interessi, i diritti e la dignità del mondo del lavoro e dei ceti popolari. Un esercizio esercitato con estrema arroganza ed autoritarismo ed in spregio alle abituali chiacchiere sulla democrazia e sull’ascolto delle esigenze di lavoratori e cittadini che, puntualmente, vengono profuse in occasione delle occasioni dove si consumano la retorica e l’autocelebrazione del potere (e del micropotere ovunque annidato!) Da oltre un decennio CGIL-CISL-UIL non disturbano il manovratore anzi, attraverso una complessa ragnatela di silenzi compiacenti, accordi bidone, spartizioni lottizzatrici, connivenze con settori imprenditoriali e pezzi del sistema criminale è andato avanti un corposo feeling tra i sindacati collaborazionisti e le istituzioni regionali. Per lunghissimi anni CGIL-CISL-UIL hanno avallato l’intero corollario di misure e provvedimenti che ha permesso di continuare i processi di ristrutturazione fondati sulla dismissione di ciò che residuava del vecchio apparato industriale, di privatizzare importanti comparti economici e di determinare l’imposizione della logica d’impresa in settori come la Sanità e le politiche sociali. Inoltre, ed è questo il dato strutturale, di tipo strategico, che sta a cuore agli interessi dei poteri forti della finanza e dell’economia, CGIL-CISL-UIL si sono resi disponibili ad avallare il più grande trasferimento di risorse3 mai avvenuto (particolarmente i soldi provenienti dai vari capitoli di spesa finanziati dall’unione Europea) verso il sistema delle imprese e le loro lobby economiche di riferimento. Le varie amministrazioni dirette da Antonio Bassolino ed anche le altre (compresa la stagione amministrativa del centro/destra di Antonio Rastrelli) hanno potuto impunemente distribuire ingenti finanziamenti - senza farne derivare un aumento dei livelli occupazionali od un miglioramento della qualità della vita dei cittadini campani - solo grazie agli accordi ed al sodalizio, a volte anche specularmene conflittuale, con i sindacati collaborazionisti4. Non c’è settore del mondo del lavoro e della società - da quello privato al pubblico impiego, dai servizi ai settori riguardanti i beni comuni, dalla tutela dell’ambiente al ridisegno urbanistico del territorio - in cui non si è evidenziato questo perverso intreccio alla base dell’attuale sprofondamento sociale della Campania. E’ che il declino economico della Campania (specie nell’area metropolitana napoletana) sia andato accentuandosi non è una nostra boutade propagandistica ma lo si può apprendere leggendo le statistiche ed i dati forniti dagli istituti di ricerca e di rilevamento ufficiali.5 E se qualche novità sta emergendo negli ultimi tempi questa riguarda alcune aree della regione, fino ad ora relativamente al riparo dagli effetti antisociali della crisi, le quali sono investite dal costante depauperamento delle risorse locali, dalla diffusione di fenomeni riconducibili a forme di nuova povertà e dal consolidarsi di fasce di precarietà e di esclusione sociale anche tra segmenti del mercato del lavoro ritenuti “garantiti”.

3. Per dare voce, forza ed adeguata rappresentanza agli interessi dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati

La Campania non è mai stato un territorio pacificato. I poderosi processi di ristrutturazione che hanno cancellato tutto il precedente apparato industriale, gli sconvolgimenti prodotti dalle riconversioni urbane delle aree metropolitane e la capillare presenza della criminalità organizzata la quale funge, concretamente, da calmiere del conflitto non hanno cassato la disponibilità dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati alla lotta ed al conflitto. Il nostro territorio ha conosciuto, e conosce tuttora, la nascita di movimenti di lotta, di significative vertenze e registra una generale indisponibilità popolare verso i variegati effetti antisociali della crisi economica. Da sempre le strade delle città sono attraversate da cortei e da forme di protesta le quali esprimono, a volte anche inconsapevolmente, un desiderio di riscatto e di rinascita a fronte di una condizione di invivibilità. Queste lotte - questo enorme portato di energie sociali - non posseggono, nella stragrande maggioranza delle esperienze che si realizzano, una voce ed una qualsivoglia forma di rappresentanza politica e sindacale atta a conseguire risultati soddisfacenti per tutti. Soventemente questa ricchezza di comportamenti, nonostante gli evidenti, quanto oggettivi, livelli di contraddittorietà e di incomunicabilità sociale con cui si palesa, sono preda dell’azione clientelare e depotenziante di pezzi del sistema dei partiti, dei centri affaristici vigenti e dei circuiti della criminalità organizzata. Inoltre, in molti casi, è avvenuto che obiettivi di lotta sacrosanti sono stati utilizzati specularmene per alimentare, artatamente, contrapposizioni, fenomeni di concorrenza ed ulteriori separazioni dentro i vari settori sociali, nei territori, nei singoli posti di lavoro o nelle categorie. Insomma, a fronte di una vivace effervescenza sociale, le istituzioni, dagli esecutivi nazionali alle amministrazioni locali, non si sono limitate all’azione di governo o, in alcuni casi, alla repressione giudiziaria e poliziesca ma hanno dispiegato un sapiente esercizio di divisione e di depotenziamento politico6 dei movimenti e delle vertenze. Per oltre un decennio un astuto mix tra disinvolti dispositivi di governance ed uso bizzarro e discrezionale dei fondi pubblici ha garantito una sostanziale tenuta del controllo sociale nonostante le esplosioni periodiche del conflitto ed il permanere di una situazione di disoccupazione e di precarietà generalizzata la quale ha assunto, nella composizione tecnica di classe della nostra regione, un connotato numerico non congiunturale ma strutturale. In un contesto di questo tipo - che per alcuni tratti salienti richiama gli elementi di novità analitica riscontrabili nei nuovi termini teorici con cui interpretiamo la moderna contraddizione meridionale - l’azione del sindacalismo di base deve destreggiarsi con intelligenza ed acutezza politica. Il nostro intervento deve assicurare, non solo la difesa immediata dei lavoratori nei posti di lavoro e nella società, ma dovrebbe assolvere a quella indispensabile funzione che può delineare identità, autonomia programmatica e profilo generale e generalizzato delle vertenze ed alle battaglie in corso. In definitiva i nostri obiettivi e metodi di lavoro sono orientati alla costruzione di un argine sociale contro ogni individualismo e contro le derive corporative, che allignano anche nelle fila del mondo del lavoro, per avviare, concretamente e con passaggi politici/organizzativi adeguati anche con forti elementi di innovazione, una efficace opera di ricomposizione sociale. Una indispensabile controtendenza alla frantumazione del mondo del lavoro e dei lavori che costituisce, in questa fase, uno degli assi di lavoro principali del sindacalismo di base autonomo, indipendente e conflittuale. Si è quindi posto alla CUB Campania un compito - per alcuni tratti - inedito rispetto all’abituale prassi sindacale a cui siamo abituati. Una intrapresa ancora abbozzata e lungi dal considerarsi conclusa i cui, auspicabili, sviluppi positivi non sono scontati ma potranno derivare dall’enuclearsi, di volta in volta e durante il consumarsi di alcuni snodi politici, di rapporti di forza favorevoli ai lavoratori ed ai loro interessi. Con la Manifestazione regionale tenuto lo scorso 26 giugno abbiamo iniziato pubblicamente questo percorso conflittuale e rivendicativo nei confronti delle istituzioni della Regione Campania. Il corteo ha inaugurato una prassi politica della CUB Campania che - finalmente - si è posta il problema di iniziare a rappresentarsi come una confederazione sindacale che agisce a tutto campo oltre il (fondamentale) radicamento nei posti di lavoro e nella società. Se ai primi di Luglio la CUB è stata ammessa e convocata al Tavolo del Partenariato, istituito recentemente dalla Regione Campania il quale affronterà periodicamente questioni e tematiche attinenti l’azione di governo dell’amministrazione regionale, è un risultato delle proteste e delle nostre lotte e non un atto di magnanimità partorito della giunta Bassolino. Dobbiamo accontentarci di questi primi risultati? Niente affatto!

Siamo ancora lontani dall’aver incrinato il blocco di potere che governa la Campania e siamo ancora distanti dal conseguimento dall’obbiettivo della piena delegittimazione e del totale disvelamento della nefasta opera di CGIL-CISL-UIL. Riteniamo che questo esito - a cui collettivamente aspiriamo - sarà il prodotto non solo di un riconoscimento formale della nostra organizzazione, a cui pure puntiamo, ma sarà il frutto dell’allargamento del conflitto, della costruzione di vertenze e di processi di autorganizzazione sindacale che dovranno continuamente innestarsi e consolidarsi nell’intera società. Alla CUB tocca, sempre più, una funzione importante ed autorevole la quale dovrà determinarsi e verificarsi in un contesto di rinnovata discussione nell’ intera organizzazione, nell’intensificazione della propria azione generale e nella pratica quotidiana del conflitto. Tutto ciò assumerà un valore fondante e propedeutico per l’intera CUB in virtù di quelle difficoltà ed asprezze sociali con cui si è configurato il Laboratorio Campano.

Federazione Regionale RdB/CUB della Campania

I problemi di Napoli e della Campania sono, spesso, al centro di numerosi servizi giornalistici. Molte volte, però, lo stile con cui si descrivono le situazioni che si pretende di raccontare ed i contenuti politici che traspaiono da questi lavori hanno un taglio volgarmente scandalistico. Un palese accanimento su aspetti oleografici delle vicende, un richiamo (seppur vago) a presunte ascendenze antropologicamente negative delle genti meridionali e l’utilizzo di gran parte dell’armamentario propagandistico reazionario, a proposito di alcuni comportamenti di massa, sono il segno tangibile di una ostilità preconcetta imperniata su cliché datati ed ampiamente sbugiardati dalle dinamiche oggettive in atto nella società meridionale.

pubbliche e sulla pelle dei lavoratori. Un copione, questo, a cui, in Campania e non solo, abbiamo già assistito;

Per correttezza analitica dobbiamo evidenziare che in Campania - nell’ambito delle vigenti pratiche speculative ed affaristiche tuttora in auge - anche l’UGL (nonostante i rituali richiami ad una presunta autonomia programmatica) è partecipe alle ricorrenti spartizioni clientelari tra sistema politico, mondo imprenditoriale e, soventemente, criminalità organizzata. L’unica differenza, con CGIL, CISL e UIL è rappresentata dalla piccola percentuale di benefit e prebende di cui gode in virtù dello scarso radicamento sociale di questa organizzazione;

I rapporti dello SVIMEZ, dell’Unione Industriale, della Camera di Commercio, le varie classifiche del Sole 24 Ore, gli stessi dati di CGIL, CISL e UIL dipingono un quadro analitico della Campania a tinte fosche. Persino i cosiddetti “punti di eccellenza” (nel settore ricerca, delle nuove tecnologie e nel campo aereo spaziale) non compensano, né dal punto di vista qualitativo e né da quello quantitativo, il declino e l’arretramento economico della Regione; 6 Su questo tema rimandiamo i lettori allo scritto “Il movimento di lotta napoletano per il lavoro e la battaglia politico/sindacale dell’RdB/CUB” contenuto nel Quaderno CESTES numero